UN'ALTRA VECCHIA STORIA

Qualche giorno fa, su la Stampa, Guido Ceronetti ha scritto un fosco articolo sulla vecchiaia. Fosco e strano: perchè da una parte fa, giustamente, piazza pulita di una serie di luoghi comuni, e dall’altra reitera quelli che riguardano la diversità tra vecchiaia maschile e femminile. Personalmente,  credo che gli anatemi di Ceronetti siano molto più onesti dei “pronto nonno”. Ma credo anche che il lavoro sull’immaginario che riguarda la vecchiaia sia, in effetti, immenso. Ecco l’articolo.

Va considerato oltraggioso un avverbio che viene inesorabilmente interposto nella ripetutissima frase, quando si tratta vecchiaia e vecchi come «problema sociale» – eccola: «La vita, fortunatamente, si e’ allungata molto». Al suo posto, sarebbe adeguato un purtroppo, ma il coraggio, l’energia vitale della verita’ manca talmente al linguaggio comune da non far sperare che si ficchi una volta tanto nell’uso. Per me, che non ho voglia di mentire, vale il purtroppo. Si cerca di tamponare la faccenda, quanto al problema sociale, moltiplicando le attenzioni dello Stato assistenziale; quel che le vanifica in buona parte e’ la quantita’ enorme di vecchi che con poche varianti d’anni entrano a far parte dello stuolo dei predestinati ad invecchiare, ignari spesso, per altre distorsioni prodotte dal linguaggio traditore, di quel che li aspetta. Allontanare la morte ad ogni costo e’ il miraggio unico di questo sprofondamento nel sottosuolo della menzogna. La demografia scientifica contiene una falsificazione basilare, oltre al fluttuare delle statistiche: non tiene conto che i vecchi consumano di piu’ di ogni cosa, acqua specialmente, risorse alimentari (la tristezza senile rende mangioni), medicinali di ogni specie, energia di riscaldamento, trasporti, denaro pubblico. Aggiungi, incalcolabile, eco-non compatibile, il consumo di affetto, dato ai vecchi per pieta’, dovere, tolleranza, avarizia, una nuvolaglia di vapori neri gravanti sulla vita associata peggio delle emissioni di anidride. L’affetto va risparmiato, perche’ se lo diamo a rubinetti aperti la terra ne resta asciutta: lo si lesina ai vecchi, d’istinto, perche’ ne resti un po’ di piu’ ai bambini. Nelle antiche comunita’ perdute (tra cui Atlantide) i vecchi si sacrificavano per la tribu’ e andavano incontro alla morte nelle foreste – ma l’Io non era ancora apparso, e non ci sono piu’ abbastanza foreste, specie incantate, per assorbire tante vecchiaie. E nelle giungle d’asfalto ci ritrovano subito e ci danno del disertore. A Tolstoj riusci’ il colpo, ma il filo del Telegrafo lo riacchiappo’ a Ostapovo. Inoltre, socialmente, una quantita’ di vecchi non sono ancora affatto inutili e il Mercato dell’a-buon-prezzo li spia. E’ psicologicamente e individualmente che la grande Pandemia di sopravvivenza, cominciata all’incirca alla meta’ del XX secolo, s’impagina con inedita crudelta’ nei moderni contesti del Tragico. La sua maschera dolente si scontra con una feroce inaccettabilita’ che la nega: sempre piu’ zittiti, ai vecchi viene imposta un’anagrafe falsificata, un’identita’ non corrispondente, un volto da lifting interiore, che piace al cretino («Ma che bella faccia! Va la’ che stai bene! Dai dei punti ai giovani!»); i pugnali congiurati del Luogo Comune trafiggono il tuo autentico esserci di persona umana, che non puo’ e non vuole essere Quello che si vuole lei sia, e che pretende l’inquisizione degli ottimisti, una irrealta’ di costruzione medica e di finta premura sociale, un raccapricciante «diversamente giovane», ma semplicemente e umilmente un corpo vecchio, che vive arretrando, come sa, come ci riesce, e in cui il pensiero della morte non osa piu’ dirsi, per la brutalita’ della repressione linguistica, liberatorio e di speranza. La vecchiaia per antonomasia, la realta’ senile che ha piu’ parentela col Tragico e’ la maschile; non ci sono due condizioni uguali: le donne sono favorite dalla diversita’ sessuale e mentale. La donna vecchia ha ancora forze sufficienti per consolare la vecchiaia dell’uomo vecchio. Non sono paragonabili le due solitudini. Chi ha avuto e perso una compagna amata e’ infelice allo stato puro. Portagli pure a casa la zuppa calda: potrebbe venire dallo Chef Premio Nobel piu’ ispirato, non ne scalfirebbe l’infelicita’ neppure per un minuto. Fin che puo’ la vecchia signora allontana la pena occupandosi della casa e di attivita’ sociali; il vecchio gentleman mangia pane di ghiaccio solido. Se e’ colto, gli restano i libri; certamente non la televisione (vedi il romanzo breve di Simenon, Il Presidente, perfetta radiografia di una vecchiaia molto ricca e molto bene assistita). Osservate nelle case di riposo le facce degli uomini e quelle delle donne, quando non siano spente dalla malattia mentale: nelle donne sopravvive sempre qualcosa di ilare, di facilmente appagabile, un’onesta rassegnazione che per pudore non si manifesta; l’uomo nel suo avvilimento e’ senza misura, nei suoi tratti si esprime uno stato di desolazione indeterminato, senza confini. In genere socializzano poco, sono dei manichini, dei tubi digerenti orbi di digestione. L’uomo vecchio sente sempre che il suo incontro con l’esserci e’ stato un fallimento, che e’ mancato all’appuntamento con quel che e’ piu’ alto. E rimane muto, davanti a tanta sciagura, mentre gli altri chiacchierano e chiacchierano, impotenti a capire. L’essenza del Tragico maschile e’ la privazione di appagamento. Con molta cautela Sofocle ne fa intravedere un modo al termine dell’Edipo a Colono, Victor Hugo lo vede nella morte del Giusto che e’ Jean Valjean. Nelle tremende solitudini sovraffollate di vecchiaie in eccesso delle nostre giungle metropolitane, pero’, restano all’esterno le redenzioni trasmesse dalle nostre carte esemplari. Anche la maialita’ senile e’ enigma e dramma maschile. Ricordo un filosofo di cui ammiravo la dottrina: seppi che, da pensionato, resto’ fino alla morte tuffato nell’Osceno. Alle donne niente di simile potra’ mai accadere. Ma la maialita’ dei vecchi che perdono il controllo (cosi’ si dice) non ha spiegazioni facili. Il vecchio perde il ritegno piu’ per disperazione che per vizio, in specie dopo una vita irreprensibile, non puo’ far conto di corteggiamenti, sbatte nell’impotenza. La perdita totale di rapporti con gli accessi ad altri mondi e con il Dio Ignoto, fracassa le dighe frollite dal cumulo d’anni. E la moltiplicazione dei vecchi dissemina fortemente, coperto o manifesto, maialismo senile. Le innumerevoli ipertensioni domate non fanno precipitare in una pornofilia indomabile? Il geriatra allungando (altro non puo’ fare) la vita, prescrivendo farmaci sgattiglianti, perche’ non dorma «il garrulo eremita», e nello stesso tempo antidepressivi e sonniferi, non allunga anche la torturante altalena degli affanni sessuali maschili al di la’ del segno di un decente traguardo? Volete che le carrozzine dei centenari, davanti ai sexshop dei piu’ disumani paesaggi urbani, facciano la fila? Non sarebbe il diavolo a sospingerle la’ dentro? La ne’mesis-natura risponde colpo su colpo a tutti, nessuno escluso, gli oltrepassamenti di limiti, che diventano, in un granello di filosofia, altrettanti modi predestinati delle oscure espiazioni metafisiche da cui si origina la vita (Volonta’ schopenhaueriana o qualsiasi altra forza emanata dai boccaporti dell’Essere). La politica, cieca come uno squalo, balbetta i suoi «fortunatamente» e lo strafalcione delle sue «problematiche», e un famoso pugno-di-mosche e’ sempre tutto quanto, alla fine, ci resta in mano. Io, qui, non ho pensato che ad emendare al minimo, di qualche impurita’ e falsificazione, il linguaggio della tribu’.

17 pensieri su “UN'ALTRA VECCHIA STORIA

  1. Terribile e vero, Ceronetti. Parla dal suo punto di vista maschile, naturalmente, perché così è per lui, senza ipocrisie. Noi donne abbiamo fatto della rassegnazione un’arte, e questo a volte è penoso, spesso è rivoluzionario. Accettare la vita e la morte è la prima fonte di liberazione. Abbracciare la vecchiaia, incuriosite dal vedere quello che succede, perché noi donne – questo sì per fortuna – non dobbiamo sempre o non dobbiamo ancora rispondere alla domanda di potenza che viene dal mondo. Il bisogno di potenza è manifestazione di paura. E di paura di cosa? della morte, della fine, del nostro destino.
    silvana

  2. Terribile e vero, ma facciamo che certe considerazioni e analisi siano un punto di partenza e non di arrivo. Molti uomini anziani sono così, per i modelli che hanno avuto e che non possono certo cambiare a 80 anni, ma sono stati dei giovani cresciuti con determinati modelli, appunto. Allora cambiamoli, per il futuro almeno. In vecchiaia tornano proprio certi modelli ‘addomesticati’ durante la vita lavorativa e nel pieno delle forze, e finite le inibizioni, si torna all’egoismo che ripete spesso gli stereotipi con cui siamo cresciuti. La mancanza di percorsi adeguati e dignitosi di assistenza peggiora le cose. Si dice che ‘si muore come si è vissuti’ , forse è vero. Comunque manca un po’ di ‘pietas’ in queste parole di Ceronetti, e uno sguardo più misurato verso una esperienza che comunque sembra dovremo affrontare tutti – sempre chè arriviamo alla vecchiaia che la scienza si affanna a procurarci.

  3. Sono quasi completamente d’accordo con il punto di vista di Ceronetti, un punto di vista che tengo per me e non oso mai esprimere, sia perche’ con questa schiettezza si infrange un tabu’ dell’ipocrisia sociale, sia perche’ certo non lo saprei esprimere con parole cosi’ dense e profonde.
    Credo che purtroppo questa sia la vera pietas, non il peloso compassionismo che ci viene inflitto da retaggi cattolici e non solo.
    Ho le mie belle esperienze a testimoniarlo: da piccola sono vissuta con parenti anziani, ora assisto mia madre e presto, troppo presto saro’ vecchia anch’io.
    E’ un dato di fatto che, nel prolungare la durata della vita, la scienza ci abbia fatto un regalo a meta’. Spesso a questo prolungamento non corrisponde affatto qualita’, anzi, diventa un lento stillicidio, una tortura dei giorni in attesa del prossimo male, del prossimo sintomo, del peggioramento inevitabile. Un dramma e un peso per se stessi e per chi ci circonda.
    Anziani fragili come cristallo, menti deboli, occhi vacui, ossa distrutte, in attesa della prossima caduta. Anziani riafferrati per la collottola, a forza di flebo e ossigeno, dal pietoso e dignitoso affievolirsi del cuore, a sopravvivere e a guardarti come per chiedere: fino a quando? E tu non hai risposte da dare, non hai consolazione o speranza. Solo nuove pillole, a incrementare un lucroso mercato, a sfruttare anche una parvenza di vita.
    Forse, con le prossime generazioni andra’ meglio, forse grazie alla prevenzione si arrivera’ piu’ in salute alla vecchiaia, meno osteoporosi, meno problemi cardiaci e vascolari e mentali, e allora tutti questi meravigliosi progressi medici ridaranno un senso al tutto.
    Ma troppi fra i gia’ molti anziani di adesso sono in un limbo di sofferenze sopportabili o no, prolungate all’inverosimile. E teniamo conto, se proprio vogliamo parlare di sessi, che in questo le donne sono penalizzate, piu’ longeve ma maggiormente afflitte da dolori e magagne di lunga data, post menopausa, rispetto ai coetanei maschi.
    Ecco, solo su quella divisione cosi’ netta per sessi, fatta da Ceronetti, ho qualche perplessita’, penso vi siano molti stereotipi dietro. Ma ho gia’ scritto anche troppo, mi fermo qui.

  4. Milena, sono d’accordo con te nell’analisi, ma non rinuncio a volere qualcosa di diverso e utilizzare la situazione attuale delle cose per cercare di cambiare qualcosa. Che siano un punto di partenza certe constatazioni, non solo un arrivo che ci trova muti e paralizzati a guardare lo sfacelo. Con ‘pietas’ intendevo altri valori e altri sguardi per attivare altre risposte, non certo solo compassione o (per chi ha vicino degli anziani) abnegazione. E’ uno sforzo che dobbiamo fare noi anche per creare modelli diversi per affrontare la vecchiaia credo.

  5. Il problema è che queste cose non le risolvi con delle riforme. La morte, per quanto puoi tenere in vita una persona, non la risolvi. Oggi, gli anziani vivono meglio, in passato erano un numero minore ma stavano comunque male. Quando si ammalò mio padre di cancro, ho fatto questa esperienza: non gli dicevamo nulla. Ma perché? Non per preservale lui dalla sua morte, ma per preservare noi dall’affrontare con lui la sua morte. E’ una forma di egoismo? di vittoria della vita? Ricordo che quando uscivo dalla sua stanza, respiravo a pieni polmoni per riprendermi, con prepotenza, la vita. E tutti non vedevamo l’ora che morisse, perché era insostenibile. Questa è la verità e Ceronetti ha messo in luce l’ipocrisia che ci fa sentire tanto buoni e a posto.
    silvana

  6. Ci sono due ordini di problemi, secondo me.
    Uno pratico, uno, diciamo, piu’ filosofico-sociale.
    Io, per mia natura, tendo sempre a ragionare in funzione del primo. Entrambi comunque sottostanno a un blocco, anche solo per discuterne in termini pacati. Ed e’ quello che ho chiamato falsa pietas, ipocrisia, idealizzazione o che altro si voglia.
    E cioe’, negare l’idea stessa che la vita non sia necessariamente sempre giusta e degna di essere vissuta, in ogni condizione. Negare che spesso non e’ questione di abnegazione, spirito di sacrificio, vocazione di cura o altro, ma di vera e propria disperazione, annullamento di se’ e della propria vita, sacrificio di altri affetti. Oppure barcamenarsi fra soluzioni improbabili e sensi di colpa.
    Per quanto riguarda il problema pratico, vedo poche soluzioni, appunto, fin tanto che la prevenzione non avra’ avuto successo quanto la cura.
    Per il resto, ci sarebbe da ragionare della situazione disastrosa dell’assistenza, di quanto l’anziano e i parenti siano lasciati soli di fronte a momenti e scelte esistenziali drammatici, spesso tremendamente penalizzanti (so io quanto ho sofferto da piccola, vorrei risparmiare a mia figlia altrettante sofferenze).
    Per quanto riguarda l’aspetto filosofico, quanto meno sarebbe da ricuperare l’idea di una vecchiaia dignitosa. Che non e’ fare il giovincello a novant’anni, come vorrebbe una parte della nostra mentalita’ corrente, ne’ il vecchietto malandato, oggetto di pieta’, degradato a creatura inferiore. (Perche’ tutti gli assistenti, negli ospizi e negli ospedali, danno del tu agli anziani? A me da’ fastidio, non lo trovo confidenza ma mancanza di rispetto della persona).
    Entrambi i casi, giovincello o malandato, significano sempre e comunque recuperare il vecchio nella sua “utilita’ sociale” di consumatore, vuoi di pillole e cibo, vuoi di balere e crociere della terza eta’ (che poi non ho nulla contro i divertimenti in se’, anzi, solo che est modus in rebus, e spesso il modus e’ volutamente alterato).

  7. Abbiamo sempre avuto in letteratura, teatro & co.le immagini del vecchio saggio, del vecchio porco, del vecchio demente. Probabilmente perché sono sempre esistiti i vecchi — saggi, porci o dementi.
    Il fatto che la medicina scombini i numeri e crei nuovi scenari sociali, non cambia poi di molto per ciascuno di noi la possibilità di scegliere se essere coscienti di quello che diventiamo oppure metterlo tra parentesi. Poi può arrivare l’alzhaimer e portarsi via il mazzo di carte.
    Ma prima, nessuno ci invita a pensare davvero al fatto che invecchieremo, che perderemo capacità e facoltà, che alla fine moriremo.
    Ma non dovrebbe essere questa una delle cose importanti da capire, nella vita? L’esorcismo impossibile della vecchiaia non è altro che la nostra estrema impreparazione alla morte. In una società che non si cura nemmeno di iniziare a preparare alla vita…

  8. Concordo sulla faccenda degli stereotipi di genere, e non sono neanche così convinta che siano giustificabili con la questione della attuale contingenza culturale. Cioè quel che si dice è vero perchè culturalmente è così. Uh com’è poetica quella frase della perdita di appuntamento coll’assoluto! L’articolo è molto ben scritto, ma mi pare che si vada in questa intellettualizzata e distorcente mistificaizone dell’omo trascendente e intelligenterrimo (secondo il canone del letterato) e la femmina tendente allo stato bestiuolo: invero la cretinaggine è bipartisan.
    E ancora mi pare che si scotomizzi (l’ho detto:)) l’importanza delle relazioni con gli altri, con i figli per esempio e la capitale simbolica di certi gesti di cura nel contesto della relazione. Ceronetti parte dal personale e universalizza – poeticamente ma anche indebitamente. Credo che in molti vivavo la vecchiaia nel modo da lui descritto ma altri no. Ho avuto una nonna intellettualerrima, che schiantò alla morte del suo secondo marito, e che aveva certo quel senso di sfioramento mancato dell’assoluto di cui parla Ceronetti. Era solitaria e forastica, ma le nostre cure “l’hai presa la medicina per la schiena?” erano la garanzia di un affetto che la teneva in vita, e le attenzioni del suo contesto sociale – il medico della mutua piuttosto che il postino che le portava le buste al suo piano, la tangibile risposta di un mondo. Trovo frettoloso pensare che il mondo smetta di valere. Lei se ne è andata che ancora ci stava attaccata colle unghie.

  9. Il problema pratico è quello di recuperare una idea di vecchiaia che oggi suona falsa, sì: soprattutto perchè ci si ritrova con genitori (o che altro) vecchi, magari a 50 o 60 anni, spesso ignari, a combattere contro qualcosa che fa a pugni con le immagini di vigoria anche mentale, che non sono comunque la massa: tutti perlopiù siamo digiuni della realtà, a meno che non si lavori in un reparto geriatrico, quando succede a noi di doversi occupare di un anziano. Un problema pratico è che il personale addetto non fa corsi specifici per assistere gli anziani e le famiglie in ospedale: ci sono sempre più vecchi ricoverati ma nessuno sa bene cosa farci, vi assicuro. Appartamenti rivoluzionati per ospitare le badanti, case isolate magari in campagna che ospitano un solo vecchietto caparbio che nessuno va a prendere, l’interazione con le famiglie che si attiva sì e no nei casi estremi (estremi in che senso?). Sono problemi pratici, non sono situazioni tollerabili che le persone più giovani devono affrontare filosoficamente. Sono carenze incivili e basta.
    E si soffre, Ceronetti soffre e giustamente addita la situazione. Il problema con la morte, le infermità, gli accidenti, è personale, e molto si può fare per risolverlo ragionando e riflettendo in profondità, ma lo sconforto viene quando mancano elementari soluzioni pratiche, aiuti professionali, che veicolano anche il rispetto. Qui da noi siamo in situazioni ‘disagevoli’ per tutto, ma non è normale!

  10. No, non e’ normale. E’ atroce, spesso. Si e’ soli a tollerare l’intollerabile, a vivere l’invivibile.
    Pur spendendo montagne di soldi, sempre che uno ce li abbia, (altrimenti e’ dramma: aiuti e posti convenzionati sono sempre meno), si trovano comunque soluzioni insoddisfacenti, a maggior ragione quando patologie, disabilita’ e non autosufficienza si fanno pesanti.

  11. La diversità della vecchiaia tra uomo e donna è primariamente biologica e secondariamente culturale. La donna affronta meglio la vecchiaia.
    La qualità di vita degli anziani oggi è migliore e preferibile a quella dell’800.
    Grazie alla medicina.

  12. Soprattutto culturale. E soprattutto qui da noi. E rischia di protrarsi fino alle nuove generazioni, può perfino peggiorare… rimango convinta che l’educazione e i modelli che respiriamo fin dalla nascita sono fondamentali: uomini sperduti e incapaci di fare le cose elementari che faceva sempre e solo la moglie o compagna che non c’è più; persone autoritarie che vessano figli e parenti; caratteracci lasciati liberi di esprimere il peggio, la pigrizia, l’egoismo – la vecchiaia li accentua, non li inventa. Non credo che la riflessione sulla vecchiaia sia laterale o estranea al contesto pratico subìto o osservato intorno a noi. Ci sono regioni italiane, la provincia fuori dalle città grandi, dove la solidarietà familiare sostituisce orgogliosamente i servizi che le amministrazioni sono ben felici di non dare. Un contesto di mutuo soccorso che si sta incrinando ovviamente, creando per ora più senso di colpa che consapevolezza dei propri diritti e bisogni. Così anche la riflessione si inasprisce. Insomma, si invecchia e basta, non si cresce. Tutti.

  13. Proprio da questo articolo di Ceronetti sulla INUTILITà, nonchè sulla IN-ECONOMICITà degli anziani, barbaramente definiti VECCHI, qualche giorno fa ho tratto spunto per scrivere una lettera al direttore Augias che l’ha gentilmente pubblicata su Repubblica all’interno della sua rubrica.
    Quelli che vengono definiti VECCHI dal sig. Ceronetti, sono la nostra memoria storica, sono quelle stesse persone che ci hanno messi al mondo e che ci hanno insegnato il difficile mestriere di vivere.
    Da qualche anno, faccio assistenza in una casaalloggio per anziani, a Roma. Una bellissima realtà ideata e realizzata dalla Comunità di Sant’Egidio ed interamente gestita da volontari.
    Passo il mio sabato pomeriggio con questi anziani meravigliosi, che sono diventati praticamente “i miei nonni” e come me, tante altre persone più o meno giovani, si avvicendano con amore tutti i giorni , tutto il giorno per aiutarli, senza percepire un centesimo. Si perchè anche se ormai la maggior parte degli individui non ci crede, il bene gratuito esiste ed esistono ancora persone che credono che ci sia più gioia nel dare che nel ricevere.
    Il messaggio che vorrei mandare a tutti i lettori è che la vecchiaia è una fase della vita, non meno bella ed interessante delle altre. Le persone anziane non sono un peso, ma un gioiello prezioso da amare e custodire con cura.

  14. “Il messaggio che vorrei mandare a tutti i lettori è che la vecchiaia è una fase della vita, non meno bella ed interessante delle altre”.
    Ora non esageriamo. Che la qualità della vita delle persone anziane sia migliorata è evidente. Ma la vecchiaia se potessimo evitarla sarebbe meglio. Non potendo farlo ci costruiamo sopra delle belle costruzioni a base di illusioni – che aiutano.
    in attesa che la medicina trovi la soluzione all’invecchiamento – che considero non fisiologico ma una malattia – è giusto prendersi cura di questa categoria umana poco protetta, anche se si considerassero inutili. Non è la loro utilità il parametro morale in base al quale vanno protetti. Ma la vita in sé.

  15. Le donne non sono abbastanza intelligenti per il Tragico (la T maiuscola è fondamentale). Mi sembra d’averlo già sentito dire..Che buffo che anche uno che pretende di smontare i luoghi comuni poi caschi su quello che è il più comune di tutti. Nessun ‘incontro mancato con l’esserci’, per le donne..Niente, non ce la possono fare, non gli salta proprio in mente. Chiaro che poi da vecchie stanno meglio.
    Mi diverte sempe constatare come anche gli intelletti più illuminati (o sedicenti tali) si inchinino alle convenzioni più bieche, non appena riguardino il maschile e il femminile. Mi piacerebbe sapere chi gliel’ha detto a Ceronetti che le donne vecchie sono serene e affaccendate nella cura (ah, la meravigliosa cura femminile! il feticcio per eccellenza!). Chissà perché si permettono sempre di pontificare su quello che le donne sentono e sono, senza mai informarsi prima. Io per conto mio mi sento tragicissima, e non sono neanche vecchia. Dove ho sbagliato? devo andare in analisi? ohibò.

  16. Chi dice a Ceronetti che una donna vecchia è tenuta ad essere più forte e più in forma (più longeva lo è di sicuro, in ogni caso) di un uomo vecchio, quasi giustificato a lasciarsi andare? Questa cosa è un maschilismo che fa tutto il giro del cerchio e finisce per descrivere il sesso maschile come popolato da dei deboli. Inaccettabile, per entrambi i sessi

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