Prima domanda, che non pretende risposte: cosa fa di uno scrittore un grande artista? La capacità di descrivere il mondo, di scardinare il medesimo, di ricostruire attraverso la propria devastante abilità linguistica i meccanismi mentali con cui riproduciamo nel pensiero la visione che del mondo portiamo in noi?
Seconda domanda, anche questa da seminare al vento: dov’è David Foster Wallace nei racconti di Oblio? E’ il funambolo guastatore e insieme, forse, propagandistico, che si arrampica sui vetri del grattacielo in Mister Squishy? E’ il bambino preso in ostaggio, e in apparenza ritardato, e comunque speciale, che immagina (Di più! Scrive e filma) la tragica storia di un cane e dei suoi padroni semplicemente spostando l’attenzione da un riquadro all’altro della finestra, mentre il maestro impazzisce (L’anima non è una fucina)? E’ il compagno di scuola/alter ego/spirito del tempo appena passato che si uccide perché è un impostore della vita (Caro vecchio neon)? Oppure è il ragazzino-dio di Un altro pioniere, o, meglio ancora, l’artista di provincia i cui escrementi si materializzano in prodigiose sculture che frantumano l’ordine costituito di una famosa rivista appena poche settimane prima che la medesima venga spazzata via, con le sue capostagiste firmate, dal crollo delle Torri (Il canale del dolore)?
Almeno a quest’ultima domanda lui, Wallace, ha risposto no. Anzi, ni. Ad Antonio Monda che lo intervistava per l’Almanacco dei Libri ha ricordato che non bisogna chiedere ad uno scrittore di interpretare il suo lavoro e che forse esiste pure un modo corretto di intuire le sue intenzioni, ma che anche questa correttezza lo fa soffrire. E ha aggiunto: “se uno scrittore pensasse di esprimere qualcosa in maniera diretta e con una singola frase si limiterebbe a scrivere quella frase. Ma la letteratura- almeno per quanto riguarda lo scrittore- riguarda le cose che non possono essere espresse direttamente”.
Ma perché ci si accanisce a cercare Wallace dentro Wallace? In una parola: perché fa paura. Perché è mostruosamente bravo. Perché, appunto, sa ricostruire come pochissimi altri oggi non la realtà, non la storia, ma il processo di pensiero di chi vive la realtà e la storia. Questo, per essere brevi. E però. Però non si può dar torto a Tommaso Pincio quando scrive che c’è qualcosa che rende esitanti, qualcosa che fa percepire i personaggi di Wallace poco vivi, anzi, poco umani: e che li rende invece costruzioni meravigliose e impeccabili di un funambolo del linguaggio.
Giustamente Marco individua la frase chiave dell’intero libro, in Caro vecchio neon: “La lingua è tutto ciò che abbiamo per capirlo (quello che succede, ndr) e per cercare di instaurare qualcosa di più vasto o significativo e vero con gli altri”.
Ecco. La sensazione finale è che la lingua, in sé, non sia esattamente tutto quel che abbiamo. Da qui, la non negabile impressione che DFW metta alla prova chi legge, imponendogli fatica fisica (e, come qualcuno diceva, anche frequenti ricorsi al vocabolario), non riesce a cancellare del tutto una perplessità strettamente connessa all’ammirazione.
E il desiderio che racconti, scusate, una storia.
D.F. Wallace, impeccabile meccanismo dentro alla mente degli uomini ricostruendo i loro processi mentali. Tutto il resto è al di fuori: genialità linguistica senza cuore, ma con un grande vocabolario di severe parole. E fu l’Oblio, quello dell’anima, se una ce l’abbiamo foss’anche solo in guisa di nostra illusione.
Cari saluti,
Iannox
Grazie per avermi citato!L’argomento mi stava a cuore e meditavo da tempo di scrivere un pezzo in proposito. Ora l’ho fatto, ed è sul mio blog. http://www.scrittors.splinder.com
Wallace è un caso creato dai giornalisti, occuparsene è una perdita di tempo. buon anno e hastalavista
Wallace chi?
Ah, sì, mi pare.
Conto di leggerlo, senza meno, in occasione del primo annivesario della sua dipartita (l’unico scrittore buono è quello morto)
A proposito di autori di cui non si parla più, che dire di EDGAR Wallace, inglese, uno dei padri del mystery e del romanzo d’azione del XX secolo? Autore del ciclo de “I quattro giusti” e di decine di whodunit (i gialli classici in cui si deve scoprire il colpevole)… Dai suoi libri furono tratti tantissimi film tra cui… “King Kong”.
http://www.edgarwallace.org/
non male d.f.wallace visto che riesce sia a criticare i media e le modalità di interazione (ed anche di persuasione) con il pubblico, sia a creare dei racconti che non sono effimeri o di scarso contenuto.
“la ragazza dai capelli strani” non è male per essere una raccolta ed il messaggio finale anch’esso è intelligente:
“si può morire d’accettazione?”