A PROPOSITO DI CULTURA POPOLARE

E’ nei commenti più sotto: ma vale la pena di trasformare quanto segue in un post a se stante. Questo è l’intervento di Wu Ming 1 sulla cultura popolare. Con glossario.

I rapporti tra le dimensioni della cultura "popular", "popolare", "folk" e "di massa" oggi sono in via di
ridefinizione, ma li possiamo capire solo se non li confondiamo tra
loro.
Un tempo si chiamava "cultura di massa" quella (prodotta e riprodotta industrialmente) che
aveva soppiantato la vecchia cultura popolare (nel senso di "folk").
L’inghippo nasce dal fatto che in inglese questa cultura di massa è
sempre stata definita "popular" (per sottolineare il fatto che non si
rivolge a ristrette élites ma è rivolta alla fruizione da parte di
grandi numeri di persone).
C’è però uno spostamento d’accento: se l’attributo "di massa" descrive
questa cultura dal punto di vista di chi la produce, distribuisce,
promuove, l’aggettivo "popular" la descrive dal punto di vista di chi
la fruisce, la integra nella propria vita, se ne riappropria, ne
discute.
Insomma, "popular culture" è la cultura di massa intesa principalmente come fenomeno sociale, antropologico.

Il recupero del folk di Woody Guthrie, Pete Seeger etc. da parte di
interpreti come Dylan o Joan Baez e poi mille altri, fino a Devendra
Banhardt, al neo-folk e oggi alle Seeger Sessions del Boss (che sta
facendo un lavoro prezioso), è fin dagli anni Sessanta un fenomeno di
cultura di massa e "popular". Quello non è più il folk originario,
perché il contesto è diverso. Quindi attenzione quando si dice che
Springsteen fa musica "popolare", attenzione a non confondere "folk" e
"popular".

Le trasformazioni in corso oggi stanno sfumando la distinzione tra
chi produce e chi fruisce. Era un confine già "poroso" e pieno di
varchi, ma oggi la rete sta smantellando tutte le garitte di guardia.
Da un lato il mainstream è meno importante di un tempo (fine della "hit
culture": i dischi di successo vendono incredibilmente meno di un
tempo, i film di successo incassano molto meno al botteghino),
dall’altro c’è un vorticoso , gorgogliante proliferare di nicchie di consumo/riscrittura/riappropriazione.

L’aspetto di cultura "di massa" sta perdendo importanza, mentre quello di cultura "popular" acquista un rilievo sempre maggiore.
Qui c’è il nuovo inghippo: secondo chi si occupa di questa nuova
cultura "partecipativa" (fan fiction, mash-up, machinima, brick films
etc.), la "popular culture" di oggi ha in sé molte caratteristiche
tipiche della vecchia cultura folk pre-industriale, ma in un contesto
nuovo, di ultramodernità.

Vogliamo cercare di capirle , queste cose, vogliamo discuterne
insieme, o preferiamo accusare chi se ne occupa di "straparlare" e di
non occuparsi davvero di cultura ma di pattume? Davvero si pensa di
poter continuare a dire che oggi "le masse" sono in balia del "consumo
passivo", riproponendo inalterate analisi di cinquant’anni fa? Davvero
c’è chi pensa di "occuparsi di cultura" snobbando tutto questo, che è
un vero e proprio terremoto cognitivo (e che sta rendendo i bambini più
intelligenti, come dimostra  Steven Johnson ricerche alla mano)?

——–

GLOSSARIO

FAN FICTION
(abbreviato in "fan fic") è la letteratura prodotta dai fans di libri,
film, cartoons e serie televisive, in cui si utilizzano l’universo e i
personaggi dell’opera a cui si far riferimento. Si può trattare di
omaggi ma anche di contributi critici, come tutto il filone di
letteratura "slash" che illumina il sottotesto omosessuale della serie
classica di Star Trek (il palese rapporto di amore e di attrazione fisica che tiene
uniti Kirk e Spock).

MASH-UP
è il riutilizzo di più canzoni e tracce musicali per creare qualcosa di
nuovo, spesso con intento parodico ma a volte con intento serissimo.

MACHINIMA sono
i video di animazione realizzati usando ambientazioni e personaggi dei
videogame. Oggi in rete ci sono veri e propri talk-show realizzati con
la tecnica del machinima, vedasi ad esempio questa intervista a McKenzie Wark sul suo nuovo libro.

I BRICK FILMS
sono animazioni amatoriali (ma alcune sono tecnicamente eccelse)
realizzate usando le costruzioni della Lego o di altre ditte
produttrici. Su archive.org se ne trova uno sbrozzo, ad abundantiam.

81 pensieri su “A PROPOSITO DI CULTURA POPOLARE

  1. Si ha la sensazione che qualcuno voglia usare la categoria “autoriale” come un marchio di qualità, cosa che non è. A me pare sempre che “autoriale” sia un atteggiamento, e basta. L’atteggiamento di chi, nel produrre qualsiasi opera d’intelletto destinata alla fruizione del pubblico, voglia metterci sopra un bollino, un cartello, un checazzonesò, a indicare: “Attenzione! io non sono un semplice artigiano! io non sono un mestierante qualsiasi! io sto facendo arte! sono un Autore!”.
    Poi, in alternativa, la categoria “autoriale” viene usata da quei fruitori che non sopportano di contaminarsi con qualsiasi cosa puzzi anche lontanamente di “popolare”, per definire gli oggetti della loro fruizione. Sovente questa contrapposizione arriva fino al paradosso: mi è capitato personalmente di sentir attribuire, da un invasato degli indie comics, il bollino di “fumetto d’autore” a serie come “American Flagg” di Howard Chaykin, o 100 bullets” di Azzarello/Risso, serie bellissime ma assolutamente e dichiaratamente “popolari”.

  2. No, Wu stavolta non ci siamo capiti. Non rimprovero niente, solo dico che come lettore mi piace che si parli di qualcosa in modo approfondito col tempo e l’attenzione che ci vuole. Io – ma può essere che altri la pensino diversamente – sono felice di sentir parlare persone che hanno una competenza, anzi di più: un amore per certe cose. Per questo suggerivo dei topic un po’ strutturati. Tu parlavi di La torre nera alla fine del 2005, se non sbaglio non l’hai mai scritto. A Loredana suggerivo i Griffin e non mi sono sbagliato dato che sostiene di interessarsene e di stare già scrivendo. Suggerimenti pensando a chi mi sto rivolgendo, non trucchi retorici. Non sono io quello che legge L’arte di ottenere ragione prima di andare a nanna 🙂
    @ Davide Malesi, perché trovi che fumetto d’autore e fumetto popolare siano inconciliabili? Se frequenti il mondo dei fumettisti scopri il contrario con tanti esempi. Uno è Spirit di Eisner, o in Italia Crepax. Questi autori sono maestri. Io poi chiamo Gipi lo Springsteen del fumetto.
    Non accapigliamoci con polemiche inutili.

  3. P.S. Andrea, “Popular music” e “Pop music” non sono la stessa cosa. La seconda espressione si usa in genere come la usi tu, la prima nell’accezione che ho usato io per tutto questo thread. E non è che me lo sono inventato io, questo fatto. Leggiti qualunque libro di Richard Middleton, o di Franco Fabbri, o di qualunque altro studioso di popular music. E l’utilità di questo utilizzo delle categorie è attestata, dal momento che senza una distinzione tra classica, folk e popular non si sarebbe costruito alcun ragionamento coerente sul rapporto tra musicista e pubblico e sul suo sviluppo storico.
    Lascia stare quello specchio, per carità, che non si vede più quasi niente!!!

  4. Andrea, Gipi è bravo, non si discute (ho acquistato sia “Questa è una stanza” che quell’altro, che non mi ricordo come s’intitola, quello del tipo ch’esce di galera e va fino alla casa vuota dello sbirro che l’ha incastrato…). Però, sia detto senza provocazione, categorie come “lo Springsteen del fumetto”, “il Churchill degli scacchi”, “il James Cagney della metafisica araba”, “le Bananarama del tango argentino”, ogni volta che le sento, mi sembra che vengan dritte da ‘sto coso qua
    http://polygen.org/web/Indie.731.0.html
    (giusto per sdrammatizzare un po’, eh)

  5. Andrea, io scrivo coi tempi che mi sembrano più consoni, con le priorità che decido io, e sui temi che decido di sviluppare. Di King, ad esempio, sto scrivendo progressivamente, aggiungendo un mattoncino a ogni recensione, libro dopo libro.
    Ovviamente, il discorso che faccio si capisce se uno quei libri se li legge. Perché questo è importante: le cose non si segnalano alla cazzo, si segnalano perché qualcuno le legga e poi, insieme, si prosegue la riflessione. E i link si mettono perché qualcuno *prima* vada a dare un’occhiata, e *poi* esprima un parere, e possibilmente non la prima lamentela che gli passa per la testa.
    Per ora, ad ogni modo, la mia priorità è finire il nostro romanzo, e commenti sui blog ne lascio ogni tot settimane, quando ho ritagli di tempo. Scusami se la penso in questo modo. La prossima volta, prima di impegnare il mio tempo in un’impresa che ti priva del gusto di scaracchiare acido cloridrico su miei eventuali post “strutturati” (come sempre è accaduto), ti chiederò l’autorizzazione. Scusa ancora.

  6. Quasi Ot: Davide, grazie per il link. Il generatore casuale, fra l’altro, di Lovecraft mi sta facendo piangere dalle risate 🙂

  7. Pesantemente OT: Loredana, ti capisco, visto che dinanzi a espressioni quali “avevamo risvegliato l’incommensurabile cilindro senza nome, testa polposa e tentacolata, faccia caprina e senza mento e braccia coriacee”, non riesco a fare a meno di piegarmi in due dal troppo sollazzo. Comunque il mio preferito resta l’Enrico Ghezzi simulator: vecchiotto ma sempre attuale, a mio avviso
    http://polygen.org/web/Ghezzi.645.0.html

  8. Punti si svista da un fiordo.
    – Bel remeber! ho conosciuto le paolino paperino band, dopo aver ascoltato “orgia cartoon” dei gem boy (ero piccolino).
    – Anche Carboni ingrassato di qualche chilo si concede un intervista MACHINIMA con Mollica che per l’occasione è più magro del solito 😀
    – The Boss lasciatelo ai fissati di Radio Capital, ci sono cose migliori di certi mosaici musicali da prateria.
    -Wu ming, meno male che ci siete, altrimenti… anomia sociale prendimi 😉

  9. WM1, tu sei per me “il James Cagney della metafisica araba”. Il problema è che io sono “le Bananarama del tango argentino”!!!
    (davide: io adoro polygen.org!)

  10. @ Malesi, sì sì, ma dài scherzavo nel chiamarlo lo “Springsteen del fumetto”, era una cosa nata dal fatto che una volta disegnò un racconto soltanto a penna e gli dissi che sembrava un disegno “chitarra e voce”. Lui trovò la cosa azzeccata.
    E anche per il fatto che Fofi gli pronosticò che avrebbe fatto fumetti per pochi. Invece è uno che piace subito. E sono contento per lui perché è anche una gran persona.
    @ Wu, guarda, dato il tuo carattere non proprio portato alla complanarità (o complanare a sprazzi), ritengo che quello che abbiamo affisso sul colonnino sia un risultato epocale. Specchi o non specchi, qualcosa di utile è stato detto in questa interazione “spigolosa”.

  11. Ne sono convinto anch’io, nonostante l’interlocutore debba sempre tenerti nei binari a bacchettate sulle nocche, o meglio, legarti all’albero di maestra, visto che tendi ad ascoltare un po’ troppo le sirene del trollaggio: benaltrismo, acidità di stomaco, “solo io so cos’è importante e voi non ne parlate mai”, “La Lipperini fa marketing”, “perché non parlate di quant’è bravo Scarpa” (anche se si sta parlando dell’elefante di Sumatra e anche quando è evidente che l’interlocutore non condivide il tuo giudizio… critico sul suddetto autore), ricorso all’insulto più crasso come quando ti eri incaponito su Munari etc.
    A parte tutto questo, è sempre un piacere parlare con te.

  12. forse questo dibattito, invero un po’ irrigidito e ricorrente (e ricorrente perché irrigidito?) farebbe un passo avanti se si introducessero alcuni elementi: posto che ogni opera simbolica è nel nostro tempo anche un prodotto e una merce, posto che nessuno risiede in un luogo separato da cui possa godere di una vista migliore e privilegiata, perché non contaminata, sull’esistente, e posto che non c’è a priori soluzione di continuità in termini di importanza dentro la generale produzione di manufatti intellettuali tra alcuni e altri (anzi, il pensarsi privilegiati è la via sicura per la produzione del kitsch), posto questo, va posta anche una domanda: c’è una differenza formale – non nel senso di un alto e un basso, ma di una diversità di metodo – tra:
    – prodotti industriali (quindi collettivi) che lavorano sulla “macchina desiderante” dei gusti collettivi utilizzando in modo automatico – irriflesso – elementi strutturali e topoi propri della storia della narrazione o in generale della produzione di immaginario (cfr Eco), a volte in modo pedissequo altre volte anche forzando alcuni di questi elementi almeno in senso combinatorio, o inventando nuove figure della proiezione sociale, vuoi in senso positivo (cfr S. Johnson) che regressivo: (ad es.: il serial tv, i film come mission impossible, i reality);
    – prodotti immediatamente partecipativi – tutti i prodotti in qualche modo lo sono, ovviamente, ma c’è un'”immediatezza” che non va perduta e ne distingue alcuni: (ad es.: la musica elettronica autoprodotta);
    – prodotti “autoriali” che utilizzano settori ben delimitati di quegli stessi elementi strutturali e stilistici, con una capacità maggiore o minore di forzarne il significato e le forme: (il “genere” più o meno frastagliato, certo cinema indipendente più radicale) (curiosamente proprio qui sembra sopravvivere “l’autore”, fino a livelli di puro divismo corroborato da guadagni miliardari);
    – prodotti autoriflessivi in cui, con grande libertà nell’uso dei materiali (e ambizioni di mercato più limitate) il mondo stesso della produzione intellettuale cerca coscientemente di “pensarsi” e narrarsi pensando al contempo alle forme di tale narrazione, e le due cose in modo collegato e autoriferente, vuoi nella sua (del mondo) dimensione politica, vuoi in quella ideologica, ecc: (ad es. i libri di WM, o quelli di moresco, per riunire due estremi italici rappresentativi di tendenze diverse).
    (“La pop art è pop o è la cosa più lontana possibile dal pop? O entrambe le cose?”)
    ?
    Se non è molto interessante tracciare queste differenze in termini di “qualità” (nozione del tutto astratta che a questo livello nulla ci dice di come funzionano i singoli prodotti nei confronti dell’ideologia, cioè della autocoscienza circa la collocazione dell’autore singolare o collettivo nel suo contesto- il che è proprio il punto della differenza formale rintracciabile), è però essenziale tracciarle in termini formali. Viceversa, un concetto descrittivo così vasto da essere onnicomprensivo – tutto ciò che viene venduto è popular – si rivela polemicamente utile rispetto a tarde forme di aristocrazia del gusto che si pretendono estetiche, ma del tutto inservibile in termini di reale intelligenza dei fenomeni.
    Tutto imo, savasandir, anzi anche meno dato che non so se son d’accordo con quel che ho detto, e con la tara delle cazzate inevitabili parlando di cose come queste e della tortuosità che, come un buttafuori ubriaco seleziona malamente il lettore bendisposto
    😉

  13. bg, bg… Come quasi sempre accade, del tuo commento ho compreso soltanto la prima frase, perciò rispondo a quella. Il dibattito non mi sembra irrigidito, e non mi sembra nemmeno sempre lo stesso. Perlomeno, io non dico sempre le stesse cose, ogni volta mi sposto in avanti di qualche metro. Sono partito anni fa da alcuni postulati, che nel frattempo hanno trovato conferme (anche “neuroscienze alla mano”, per usare una tua espressione), e ora scrivo non più in cerca di quelle conferme, ma a partire da esse, e con lo scopo dichiarato di valorizzare cose che esistono (sì, vabbe’, in che senso si può dire che qualcosa “esiste” etc.), non di cercare l’uomo a lume di lanterna nelle presunte nebbie della cultura di oggi. Non sono interessato a polemiche regressive (sì, vabbe’, ma “regressive” rispetto a quale idea di incedere lineare della Storia etc. etc.) su apocalissi, genocidi culturali, restaurazioni, recuperi da parte del capitale o dello “spettacolo”, fini della letteratura, nientismi, quasinientismi, ètuttounmagnamagnismi, adorni, debordi, cesarani, dialettico-negativismi, filosofemi, decadenze, post-logocentrismi, trituramenti di balle: sono invece interessato a bagnarmi nel grande mare, mi incuriosisce quel che accade nel mondo reale (sì, vabbe’, che significa “reale” ecc.), dove le persone continuano a creare e a narrare beatamente ignare di queste fìsime. Ed è quello che sto facendo.

  14. “bg, bg… Come quasi sempre accade, del tuo commento ho compreso soltanto la prima frase, perciò rispondo a quella.”
    :)))
    non dico touché perché ho il pudore in genere io stesso di attribuire ad altri (di solito fittizi) i miei giri di frase 🙂
    ma nemmeno io sono interessato a spettacolismi adornisti o debordiani genocigli (oggesù, ancora!). per me sono “reali” le differenze, ed è impossibile del resto non bagnarcisi, ma se mi bagno in quelle poi mi metto la maglia per capire che acqua fosse e dove girano le onde e mica mi va di levarmi in lirica sulle sorti progressive del mare dove tutte le onde sono blu (azz che metafora pisciosa la mia). tutto qui. (e ti risparmio una rampogna sul romanticismo implicito nel bagnarsi in qualcosa che quindi è altro da ciò che siamo, bovarismo gne gne). però, ecco, ho un soprassalto di dignità nel dire che non è serio attribuire il fisimismo alle fisime altrui e le proprie girarle per postulati, che uno fa anche fatica a scrivere certe pippe, e insomma apprezza l’impegno 🙂
    per il resto, sempre amici, dai

  15. Sempre. Però, concedimi, c’è una bella differenza tra fìsime (che non attribuisco certo a te, e anche se tu le avessi io non capirei quali sono 🙂 ) e postulati (che non rivendico certo solo a me, sono milioni le persone nel mondo che si interrogano su cosa siano le culture oggi). Mentre i postulati sono ipotesi in cerca di conferme, le fìsime si nutrono di assiomi mai dimostrati da nessuno.
    Niente “magnifiche sorti e progressive”, da quelle siamo vaccinati da tempo. E’ invece l’eterna tentazione del “fa schifo tutto” il pericolo. E’ quella a condannare all’ineffettualità, alla poetica del risentimento e del mugugno, al rompere l’anima a chi invece crede che di cose se ne stiano facendo e a sua volta tenta di farle. Il mugugno è reazionario. Il “lavaggio del cervello” presuntamente subito dal resto dell’umanità è la scusa dei mediocri per non capire come si comporta il prossimo e perché.

  16. wm1, se sei in versione femminile direi che il capello biondo ti dona 🙂
    se invece mi sbaglio e sei in versione maschile, che dire del portamento e del sombrero?
    tuca tuca e che la notte ci porti consiglio

  17. wm, non mi devi convincere di questo: dai tempi dei nostri incontri col professore sappiamo che pessimismo della ragione-ottimimsmo della volontà sta meglio rovesciato, e che la storia si legge – almeno anche – dalla parte del desiderio e – non solo – da quella del comando.
    Io cerco, proprio perché mi interessa riflettere su cosa siano le culture – mica sempre, per lo più mi occupo di cazzeggiare – di portare l’attenzione su un altro punto (e anche qui con qualche rapporto con vicende professorali e moltitudinarie): il molti è fatto di differenze, o ci si concentra su queste o quello diventa in fretta un uno, e come tale per principio non va da nessuna parte.
    Quello che fate voi (voi wm) nè diverso da quello che fa un blogger medio che scribacchia amenamente i suoi discorsetti e poesiole di dubbio gusto, che non è quello che fa canale 5 quando imposta una fiction sul belpaese, che non è quello che fa un negro che scrive per qualcuno libri rosa ecc ecc.
    Eliminare dalla ricerca delle specificità il discorso pseudo-aristocratico-kitsch su “qualità e importanza” è del tutto meritorio (sono importanti cose diversissime e il “ruolo” non garantisce affatto la qualità). Ma se non si cercano, sul piano formale, interno, e produttivo, esterno, anche le linee di forza e di tensione dentro il calderone del “tutti narrano”, non se ne capiscono le nervature, e non si può più fare alcun serio e laico discorso sul potere (e infatti, guarda caso, anche i tardi professoristi si trovano in quest’empasse, mutatis mutandis)
    scusino il criptico, non voglio svelare troppi retroscena
    😉

  18. Stiamo parlando su due piani diversi, e quindi ciascuno di noi ha la sensazione che l’altro stia sfondando porte aperte. Quello che tu scrivi (finalmente in modo comprensibile) è uno degli assunti di partenza del discorso che faccio, non uno dei punti d’approdo. Ad annichilire le differenze in nome di un’ideologia è chi dice che oggi “è tutto uno schifo”, dove l’accento non è posto – come potrebbe sembrare – su “schifo”, bensì su “tutto”. Chi non è in grado di (o non vuole) rapportarsi con dinamiche culturali che scavalcano le mediazioni e i giudizi di gusto e valore ratificati dall’autorità ha tutto l’interesse a descrivere il mondo come una totalità indifferenziata: Faletti e i videogame, i blog e i reality, Melissa P. e il Giallo Mondadori, i rave e i giochi di ruolo, i B-movies e i parchi-giochi, è tutta la stessa roba ed è tutta merda.
    E’ vero, c’è chi ha risposto scendendo sullo stesso terreno, vuoi per provocazione, vuoi per snobismo rovesciato, vuoi per idiozia: “E’ tutta la stessa roba ed è un’unica grande figata”, piallando differenze formali, qualitative e di contesto. E’ il caso di alcuni ultrà della trashologia, che a suo tempo svillaneggiai qui.
    Ma onestamente, non mi sembra che sia quella la tendenza dominante. Chi si accosta alla cultura popular senza pregiudizi lo fa, appunto, senza pregiudizi, né negativi né positivi. E in ogni caso, in questa specifica discussione, a me importava sottolineare non le differenze formali o la qualità dei risultati espressivi, ma le dinamiche sociali, di interazione, di cooperazione, di riutilizzo, di scambio, di costruzione di comunità. Non capire che queste dinamiche sono importanti anche (absit iniuria) politicamente, significa condannarsi a non capire nulla del futuro prossimo. C’è tutto un passaggio di “Convergence Culture” in cui si fanno esempi di come le dinamiche comunitarie create nel mondo virtuale di “The Sims” stiano educando una generazione a esercitare i propri diritti di cittadinanza. E anche tutta la mobilitazione dal basso per Howard Dean alle primarie democratiche 2003 colse di sorpresa chi non aveva seguito realtà di rete come Friendster. Questo è quello che mi interessa.
    P.S. bg, soffri di False Memory Syndrome: io non ho mai incontrato il Professore (Lui) in vita mia.

  19. ops…
    però ecco a quei tempi noi incontravamo Lui, e poi incontravamo voi, cavallacavallaaltroché, quindi per la proprietà transitiva, cioè per il corpo mistico, la metempsicosi degli stati febbrili del, eee, la sussunzione col, ehm, uh.

  20. Sì, ricordo quella vaneggiante riunione di fronte alla Statale, intorno a un tavolo pieno di ritagli di riviste e pornazzi. Berlusconi sceso in campo da pochi mesi. E compagni che adesso non ci sono più. Quando ti leggo e ti scrivo, tengo sempre conto di questo, e anche tu, credo.
    Ah, sulle coliche gassose: non dirmi che non ti avevo avvertito. E l’avevi chiamato “manierismo”, tzè! :-/

  21. no no, il manierismo era tutto nella descrizione enfaticamente realista :)))
    il parto, in quanto evento tra i più splatter dell’universo, deve essere trattato con una tecnica di sottrazione chirurgica
    😉

  22. Non dire cazzate wu ming 1, la paolino paperino band era molto più aggressiva (sia nei testi che nella musica) che cantare cip cip cip fa l’uccellino…dal vigile a troietti, su risentiteli bene semmai…..ma d’altronde da uno a cui piacciono i nirvana che aspettarsi?

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