DEI DELITTI E DELLE PENE

Buon anno a tutti: al paesello
marchigiano il vento ulula, le poiane volteggiano e i lupi sono affamati. Ma la
prima pietra della “cosa” è stata posata, e nel frattempo ho messo mano a un
paio di articoli e a un paio di libri, con la canonica tisana calda sul bracciolo
del divano.

Veniamo a noi.

Nella casella di posta ho
trovato un intervento che mi invia Riccardo Ferrazzi, e che con piacere vi
giro. Continuate a stare bene.

Da quando è caduto il muro di
Berlino, con conseguente implosione dell’URSS e del socialismo reale, è sempre
più frequente il richiamo all’illuminismo. Marx e Lenin non “funzionano” più?
Rifacciamoci a Voltaire e Rousseau. L’importante è avere ragione.

Il guaio è che proprio
l’illuminismo ci ha insegnato a non fidarci degli ipse dixit. Una frase
di Voltaire o di Lenin può essere penetrante, ma non può essere vera sempre e
comunque. Non basta citarla per mettersi al riparo dalle critiche. Bisogna
contestualizzare. E vabbe’. Ma, si dirà, la Dea Ragione ci aiuta a distinguere
proprio perché ci dà dei principi universali e necessari. Usando la Ragione
sappiamo sempre da che parte sta la Giustizia. Ebbene, vogliamo provare a dire
qualcosa sull’esecuzione di Saddam Hussein evitando i luoghi comuni?

Intanto, sarebbe il caso di
mettere da parte le ipocrisie. Quando la guerra è scoppiata qualcuno pensava
davvero che Saddam avrebbe portato a casa la pelle se non fuggendo chissà dove?
Qualcuno si illudeva che americani e sciiti l’avrebbero risparmiato?

Si risponde (facendo riferimento
ai valori dell’illuminismo) che chi vince deve dimostrare la propria
superiorità morale rispettando la dignità della persona umana. Anche perché non
è proprio il caso di fare un martire di un tiranno. Eccetera eccetera.

Eppure, cosa volete che vi dica?
A me pare che in certe cose l’illuminismo abbia le luci spente. Facciamo come
con i pregiudicati: andiamo a vedere il curriculum, la fedina penale
dell’illuminismo.

Luigi XVI non ha governato
meglio o peggio dei suoi predecessori, successori e pari grado nel resto del
mondo. La sua unica colpa è stata di non rendersi conto che i tempi erano
cambiati. Ma non l’avevano capito neanche i suoi ministri e consiglieri. Di
più: non se ne erano accorti nemmeno i rappresentanti del terzo stato, finché
non si sono riuniti nella stessa aula e hanno cominciato a scambiarsi opinioni.
Neanche quattro anni dopo, nel gennaio del 1793, una Assemblea Nazionale sulla
cui rappresentatività si potrebbe anche trovar da ridire pose all’ordine del
giorno il problema della monarchia, e lo fece nel modo meno illuministico:
chiedendo la testa del re.

Non si trattò di un processo.
Ogni deputato si alzò e dichiarò i motivi POLITICI della sua scelta. Con un
solo voto di maggioranza, Luigi Capeto fu mandato a porgere i suoi omaggi al
boia. Ma non era finita. Siccome per Maria Antonietta motivi politici non ce
n’erano, si imbastì un processo-farsa, la si accusò di incesto e di ogni
possibile porcheria, e la si trascinò alla ghigliottina. Infine,
nell’impossibilità di imbastire un processo a un ragazzino la cui unica colpa
era quella di essere figlio del re, lo si fece illuministicamente sparire nelle
tenebre.

Che dire? La rivoluzione era una
necessità storica, e la Storia esige le sue vittime. Quando si abbatte una
monarchia bisogna estinguere la linea dinastica, altrimenti c’è sempre il
rischio di una restaurazione. Il re, sua moglie e suo figlio non avevano commesso
reati, ma la Storia li condannava. Almeno a Luigi XVI gli illuministi l’hanno
detto in faccia. Con Maria Antonietta e con Luigi XVII non ne hanno avuto il
coraggio, e hanno aperto la strada ai processi-farsa, alle ipocrisie, agli
omicidi politici.

Ma l’illusione dei lumi non
demorde: ventidue anni dopo, quando la Francia va all’assalto dell’Europa, e si
monta la testa, e si rovina, l’Inghilterra vuol dimostrare di essere più civile
e illuminata. Manda Napoleone all’Elba. Naturalmente, in meno di un anno Bonaparte
scappa e mette in piedi un’altra battaglia. Stavolta l’Inghilterra lo porta a
Sant’Elena, ma non ce la racconta giusta. Dev’essere successo qualcosa laggiù,
visto che il prigioniero muore a cinquantun anni (e non di ulcera, ma
probabilmente di arsenico).

Prima guerra mondiale. Gli
imperi centrali hanno l’accortezza di arrendersi quando i loro eserciti sono
ancora in territorio nemico. Gli imperatori vengono destituiti, ma salvano la
pelle. Hanno buttato i loro popoli in una guerra sbagliata, ma gli hanno
risparmiato l’occupazione delle truppe nemiche. Vanno in esilio e lasciano i
loro dominii in pieno marasma civile e morale.

Seconda guerra mondiale. La
Realpolitik getta l’illuminismo nella pattumiera e la Dea Ragione dov’è? La
Germania invade la Polonia senza dichiarazione di guerra e procede alla
“soluzione finale del problema ebraico”. Alla fine del ’42 la guerra è già
perduta, ma Hitler non ci crede. Vuole la catastrofe e, perbacco, la ottiene.
Dal bunker della Cancelleria vede la Germania distrutta, occupata, spartita in
quattro. Si suicida. Per i suoi complici viene allestito un processo e le
prevedibili condanne mettono in luce una contraddizione. Per quanto evidenti
siano i crimini del nazismo, il modo in cui è costituito il tribunale fa sorgere
la domanda: se il vincitore giudica lo sconfitto, che bisogno c’è di un
processo? Il processo c’è già stato. È la guerra. Anche se il vincitore non
avesse ragione, ha vinto. Ha diritto di ucciderti. In guerra non si uccidono i
nemici?

Si dirà: si uccidono i nemici
che combattono, non quelli che si arrendono.

Si risponde: questo è vero per i
soldati (e neanche sempre, purtroppo). Ma i capi? Risparmiando Napoleone e
mandandolo in vacanza all’Elba, l’Inghilterra ha condannato a morte decine di
migliaia di innocenti a Waterloo. Avrebbe fatto meglio a far fuori subito
Napoleone.

Probabilmente ciò che sto per
dire suonerà cinico. Io ritengo che si tratti soltanto di una sconsolata
osservazione della realtà. Possiamo fare mille stupendi discorsi sul dover
essere
. Ma la storia, chissà perché, prende sempre un’altra strada. Sarà
sbagliata, sarà iniqua, sarà tutto quello che volete, ma le cose sono sempre
andate così e, per quanti sforzi si facciano, non mi pare che ultimamente siano
cambiate.

Non è che i capi di stato siano legibus
soluti.
Sono soggetti ad altre leggi, non scritte, ma inderogabili. Tanto
per cominciare, i capi di stato possono arrivare al potere in modo più o meno
democratico. La loro legittimità non dipende dal modo con cui ci arrivano, ma
dal consenso (o dal non-dissenso) del suo popolo, ma anche degli stati che lo
riconoscono e gli mandano ambasciatori. Tanto è vero che, qualunque cosa dicano
le costituzioni, un capo può essere costretto ad andarsene anche se non ha
perso le elezioni, anche se non viene sfiduciato dal Parlamento. Basta uno
scandalo, un litigio, un capetto che dichiara al giornale: “Ritiro il mio
appoggio”. Viceversa, può capitare che un capo rimanga al potere anche dopo una
grave crisi, o addirittura una guerra perduta, se il suo popolo non gli si
rivolta contro e lui riesce a non cadere in mano ai nemici. E questo
indipendemente da come il capo ha ottenuto il potere: nel pieno rispetto delle
norme democratiche o con un colpo di stato. Come dicevo, ciò che legittima il
potere del capo è la persistenza del consenso.

Ora, la storia è piena di capi
di stato che, per motivi più o meno nobili, per follia o per insipienza, vanno
a cacciarsi in situazioni dalle quali non possono uscire se non con la morte.
Ciò che mi atterrisce non è tanto la loro fine, quanto l’incapacità dei
vincitori di assumersi a viso aperto le loro responsabilità. Che senso ha
catturare il capo dei vinti e processarlo? In nome di quale legge si dovrebbe
giudicare? Quali dovrebbero essere le fonti di un diritto internazionale in
base al quale giudicare l’operato di un capo di stato eletto o tollerato dal
suo popolo? Se per portare quell’uomo sul banco degli imputati l’unico modo era
fare una guerra, una volta fatta e vinta il giudizio è già stato dato dalla
storia. In queste condizioni qualunque processo è una farsa e il suo unico
scopo è quello di accoppare il prigioniero proclamando di farlo a buon diritto.

Per questo motivo la legittimità
dei tribunali internazionali sarà sempre contestata. Non credo che sia possibile
un giudizio equo per i capi di stato, comunque sia formata la giuria. Se un
capo trascina il suo popolo in un’avventura sbagliata, quel popolo è colpevole
di non averlo eliminato (politicamente o fisicamente) prima che facesse danni
irreparabili. Se non l’ha fatto il suo popolo, i vincitori disporranno di lui,
ma per diritto di conquista militare. Le responsabilità inerenti e conseguenti
non potranno essere nascoste, per quanti tribunali ci si inventi, con la
sentenza ovviamente già scritta.

28 pensieri su “DEI DELITTI E DELLE PENE

  1. parole santissime…!!.. finalmente un po’ di politically uncorrect.
    Su Vibrisse, quando mi sono esposto dicendo che ero d’accordo con la condanna a morte di Saddam… mi hanno ammazzato ;p i dittatori sanguinari decaduti devono morire… è meglio così. altrimenti il paese che ha avuto la forza di spodestarlo (e condannarlo) non ripartirà mai.

  2. Intanto chiedo scusa per un errore di sintassi: ho fatto una correzione, ma l’ho fatta a metà, e ne è venuto un pastrocchio!
    Poi, vorrei chiarire: io non sono affatto favorevole a mettere a morte questo o quello. Mi limito a far notare che le cose sono sempre andate così. Come diceva Mao: il potere esce dalla canna del fucile.

  3. Nella sua prima vita, Saddam Hussein è stato un criminale, un dittatore e un burattino degli americani. Con l’aiuto di questi ultimi ha mandato a morire tanti giovani iracheni, ucciso tanti giovani iraniani, gassato e torturato curdi e sciiti etc.
    Nella sua seconda vita, Saddam Hussein è stato un criminale, un dittatore e un nemico degli americani e dei loro alleati. Per combatterlo, George W. Bush ha mentito al mondo intero, mandato a morire tanti giovani statunitensi, ucciso uno spropositato numero di iracheni, giustificato torture e abusi ad Abu Grahib e a Guantanamo.
    Nella sua terza vita, che è durata una manciata di minuti, Saddam Hussein è stato un uomo capace di fermezza, dignità, eleganza e coraggio di fronte alla morte, pur circondato da frizzi, lazzi e cachinni di uomini infinitamente più vigliacchi e sicuramente non migliori di lui. “E’ dunque questa la nobiltà umana? E’ così che mostrate il vostro coraggio?”, poi l’ultima preghiera, interrotta dal boia con ultimo gesto da verme, l’apertura della botola per impedire al nemico financo di rivolgersi a Dio.
    Dubito che, in circostanze analoghe, né George W. Bush né Marco Viviani né il sottoscritto saprebbero comportarsi meglio di come si è comportato il Rais all’alba del 30 dicembre 2006. Certamente questo non lo redime, ma parla all’elemento umano che accomuna tutti noi. Persino un assassino di massa come Saddam, di fronte al mistero dell’ultima esperienza, è stato in grado di comunicare qualcosa di bello e importante.
    Insomma: disprezzo e condanna per le imprese di Saddam Hussein e per chi le ha tanto a lungo finanziate, ma onore all’uomo che è riemerso in lui negli ultimi istanti. Questo, rispetto alla realpolitik (io non sono contrario al tirannicidio), è un altro livello, e forse pone il mio commento fuori dal tema. Forse.

  4. Non difendo nessun tiranno, neppure dalla morte, ma identificare la Storia come un semplicistico duello tra governanti (in vario modo eletti) e popolo che li sostiene o li tollera e poi ancora come duello tra popoli che si scontrano e che si riducono a teste coronate o governanti che sopravvivono o soccombono… bho…non mi sembra che le cose siano così semplici. Non tutti i popoli riescono a reagire ai governi di varia natura e quando lo fanno spesso hanno la peggio. Da nessuna parte, e mai, il regnante o il governante singolo o la sua immediata cricca hanno esaurito le responsabilità del Potere.
    Di solito (non sempre, spero)i veri Poteri sopravvivono e prosperano benissimo a dispetto di qualsiasi sovrano o governante morto, magari con abili manovre di trasformismo.
    Lasciando da parte la sorte più o meno segnata di Saddam (non si vede poi perchè l’abbiano scampata Amin Dada, Pinochet e tantissimi altri satrapi sostenuti in vari modi anche -soprattutto- dall’occidente illuminista) viene da chiedersi come mai sopravvivano davanti a qualsiasi buon senso (all’illuminismo sarebbe chiedere troppo) quelli che chiusero gli occhi (e finanziarono) quando gasava i curdi o combatteva l’Iran e che con un mirato embargo, quando Saddam non era più l’amico di un tempo, fecero sterminio della popolazione civile irachena. Hai poi voglia di rimproverare gli iracheni per non avere avuto la forza di opporsi o di essere finiti nelle fosse comuni quando lo hanno fatto (anche in periodi in cui Saddam era amatissimo nel mondo illuministico). Forse per il popolo iracheno era difficile capire se dovevano temere di più il dittatore locale o quello globale e illuminato. Credo sia ancora più difficile oggi, per qualsiasi iracheno di qualsiasi orientamento politico, capire la valenza della morte di un dittatore quando coloro che lo hanno macellato si occupano di una quotidiana macelleria che neanche Saddam si sarebbe sognato.
    Proprio davanti al caso iracheno, alla macelleria quotidiana di quella popolazione mi viene da pensare che non ha senso occuparsi solo della morte di un singolo uomo (quelle di Falluja o dei matrimoni finiti in funerali perchè troppo chiassosi dove le mettiamo?), ma di ricominciare a dare conto a noi stessi delle forze (umane, umanissime e piuttosto interessate) che muovono le nostre realtà. Perchè? Perchè proprio tornando al mattatoio Iraq direi che su questi aspetti chiudiamo volentieri gli occhi per calarci nel caso emblematico o nei capri espiatori e non pensare.
    Un esempio delle nostre diverse distrazioni o distrorsioni rispetto alle dinamiche della realtà?
    Non riguarda Saddam, ma l’Italia e recenti episodi. Sembra non avere molta attinenza con il caso in questione eppure mi sembra di scorgere un comun denominatore proprio in questa difficoltà nell’individuare responsabilità e nel far seguire azioni.
    et voilà Orioles sui linciaggi di casa nostra
    http://www.megachip.info/modules.
    php?name=Sections&op=viewarticle
    &artid=3089
    Ps: Nel caso di Saddam, molte erano le ragioni per volerlo sopprimere, non ultima il fatto che come testimone di una ex amicizia era alquanto scomodo. Sono dettagli da non trascurare, soprattutto quando sono proprio gli ex amici a voler definire i nuovi Poteri. Non so se sia il caso di scomodare l’illuminismo.
    e poi, come dice Vauro: E’ l’era della forca, della esibizione mediatica dei cadaveri dei nemici, delle danze virtuali sul loro corpo del signore delle scimmie.
    Sono acida e polemica. Sì. Deve ancora passare la Befana (io?). Finite le feste starò meglio. Spero.

  5. Sottoscrivo il bell’intervento di Wu Ming 1 aggiungendo solo una osservazione a proposito della pena di morte. Una volta Borges fu intervistato dalla televisione argentina su questo tema. Prima di lui comparvero fior di intellettuali, che si dichiararono favorevoli o contrari all’esecuzione capitale con lunghe e dotte riflessioni. Quando venne il suo turno, cioè alla fine, Borges si limitò a dire una sola frase: “l’unica cosa che non si può fare a un cannibale è mangiarlo”.

  6. Il tirannicidio è sempre motivato da una necessità politica – il che non vuol dire che sia una atto “umanitario”: vuol dire che ha una ragione politica. Fucilare seduta stante Mussolini impedì agli inglesi di farlo espatriare in Svizzera, fucilare l’ex-zar e i suoi eredi fu una mossa all’interno della schacchiera della guerra civile in corso. Oltre alle ragioni politiche, il tirannicidio (come l’esecuzione dei sodali del tiranno) ha una spiegazione nel clima in cui esso matura: sul finire dell’aprile 1945 non si poteva essere gentili, per dirla con Brecht (con buona pace di Pansa & co). Se Saddam fosse stato catturato dai miliziani sciiti sarebbe stato, probabilmente, fucilato sul campo. Così, però, non è stato. Due anni dopo la fine della guerra, ricordo sommessamente, in Italia c’era l’amnistia per i reati connessi alla guerra (lasciamo da parte il modo in cui fu allargata dai magistrati monarco-fascisti: ma farla fu un atto di civiltà). E c’era (c’è) un codice penale che prevede il diritto alla difesa, una giuria giudicante, un reale secondo grado di giudizio, e la condanna solo se ogni dubbio è fugato. E l’abolizione della pena di morte, anche per i reati politici. Tutto questo in Irak non c’è, questo è il punto. Saddam non è stato processato da un tribunale d’emergenza, ma da quella che dovrebbe essere la giustizia ordinaria irakena. Quanto al problema dei Tribunali Internazionali, condivido appieno le perplessità dell’articolo: non arrivo a criticare il tribunale di Norimberga, come fa Zolo (che non è proprio l’ultimo arrivato), ma molte delle sue ragioni le condivido. Proprio per questo la condanna a morte (anche dei gerarchi nazisti a Norimberga), in quanto atto irreparabile, dovrebbe essere bandita da un tribunale la cui legittimità (non la necessità storica) è oggetto di contesa. Poi resta la ragione fondamentale per essere contro la pena di morte sempre: ogni condanna a morte fa regredire la giustizia a vendetta, facendo un passo indietro di due secoli dal tentativo (fallibile e precario, ma in poche migliaia di anni di civilizzazione non abbiamo poi inventato niente di meglio) di intendere la pena in termini di funzione sociale.

  7. Secondo me Saddam con le ultime parole non ha rinfacciato il disonore di chi aveva davanti. Non poteva farlo perché in vita non ha MAI avuto onore. Quindi è paradossale e al limite del comico intenderla sul piano dell’umanità e dell’onore. Saddam in realtà ha detto “Voi siete come me”, e dicendo questo non si è affatto “umanizzato”, ma ha usato l’intelligenza per rappresentare qualcosa: la totale disumanità di TUTTI i partecipanti a quella scena che lo avrebbe portato alla fine.

  8. Non sarebbe stato possibile “rappresentare la totale disumanità di TUTTI i partecipanti a quella scena”, senza astrarsi da quella disumanità, senza separarsi e vedere da fuori quella “disumana” e tetra deboscia. La dignità è in questo distacco: poteva morire tremando, piangendo, inveendo contro i nemici e maledicendo la sorte, ma ha scelto un altro modo.

  9. Loredana, hai scritto TERRAZZI anziché FERRAZZI, ingenerando in me strazianti interrogativi del tipo “Terrazzi, chi era costui?”.
    Su rivoluzione, condivisione e costrizione interessanti anche Tashtego e Franz Kraaspenhar, ospiti d’onore nel mio blog:- )

  10. Ha preso le distanze dalla sua sorte: non ha pianto, né riso, ha compreso e fatto comprendere con quella frase. Non lo vedo come un gesto di umanità ma di intelligenza (che viaggia per conto suo rispetto all’umanità), è stato un filosofo, e ha dimostrato perché è riuscito per tanti anni ad essere leader in mezzo al male. Probabilmente anche i boss della camorra hanno questa disumana intelligenza. Probabilmente anche Pinochet l’avrebbe dimostrata se si fosse arrivati a una condanna.
    Ma per me rimangono esseri disumani.

  11. non ho guardato i video sulla morte di Saddam. In genere non guardo questo genere di cose perchè mi risulta già penoso immaginarle. Dissento sui giudizi relativi ai comportamenti più o meno dignitosi in punto di morte. Dissentii per ‘come muore un italiano’. Dissento adesso.
    Se il rais se la fosse fatta addosso, la sua morte (i significati della) sarebbero stati diversi?
    ho visto in diretta qualche morte animale (non di mia sponte nè con piacere) e assicuro che percepiscono benissimo la fine, tremano e se la fanno addosso dalla paura. Non mi sorprende che cosa analoga avvenga per gli umani. Non mi sorprende neanche che alcuni umani controllino le loro reazioni in omaggio a presunte ideologie o dignità. Mi sorprende ancor meno che pur volendo controllare le reazioni molti umani condannati a morte abbiano poi dei cedimenti all’ultimo minuto. C’è qualcosa di significativo o di ‘alto’ o ‘nobile’ nei diversi modi di morire? a mio avviso no, si muore come si può, soprattutto se si è dei condannati a morte.
    A Beccaria non sembrava strano che un criminale incallito potesse reggere benissimo la tortura, mentre un povero diavolo poteva benissimo cedere e mandare sulla forca sua madre con una falsa testimonianza. Anche per questo motivo riteneva inutile e stupida la tortura.
    Partendo da analoghe considerazioni non trovo niente di strano e di significativo nel fatto che un dittatore affronti la forca con maggiore dignità di un torturato di Guantanamo. Può benissimo accadere, può essere. Non so quanto pesi il fatto che un qualsiasi tiranno mette da sempre in conto il fatto che la morte violenta è uno dei rischi del suo mestiere. Sia che a ammazzarlo siano i vessati, i suoi parenti o altri interessati a sostituirlo.
    Resta il fatto che la pena di morte (ma anche le guerre, le carneficine perpretate in nome della democrazia o di alti ideali o per sport) è una vendetta di Stato e un preludio a sempre più biechi comportamenti (dello Stato e del Diritto).
    Questo indipendentemente dalle reazioni in punto di morte di chiunque e indipendentemente dall’uso che di questi comportamenti si fa per giustificare questo o quello o per ridare un briciolo di dignità a persone che non è detto ne abbiano o ne abbiano mai avuta.
    besos

  12. La vicenda di Saddam e la lettura che ne ha fatto Wu Ming 1 mi hanno fatto pensare alla Congiura di Catilina di Sallustio, al ritratto di questo grande malvagio di cui il Sallustio moralista addita i vizi, la corruzione, l’esecrabilità ma senza esimersi dallo scorgere un certo qual fascino, una grandezza sotterranea, fino alla morte affrontata a testa alta e con valore non inferiore a quello dei nemici. Non si tratta di difendere o rivalutare Catilina, o qui Saddam. Si tratta di un approccio antimanicheo e realistico di valutazione dell’animo umano. La malvagità e la bontà sono come certi minerali, che in natura non esistono allo stato puro, ma sono sempre aggregati a pietruzze di grandezza o a qualche mica di viltà.

  13. Buon Anno.
    “al paesello marchigiano il vento ulula, le poiane volteggiano e i lupi sono affamati…” può essere la trama di un romanzo. …
    Sostengo la battaglia di Marco Pannella, questa volta si contro la pena di morte, anche se le figure del Male come i Dittatori sanguinari preferirei sparissero dalla Storia (utopia e dibattito lunghissimo…) , invito Marco a sospendere lo sciopero della fame, a volte non son daccorto sulle battaglie sue e dei radicali (eutanasia… leggere ROSANNA BENZI, IL VIZIO DI VIVERE…) ma gli Voglio Bene, un bene dell’ Anima…
    forse sul dibattito torno, o forse no, stò Ri-leggendo Giorgio Caproni e Attilio Bertolucci e penso a un mondo migliore, più poetico, meno Bestiale…
    Baci e Abbracci
    davide fent
    http://bloomsbury.blog.kataweb.it/

  14. Stenderei un velo pietoso su Pannella, che ammanta le sue innocue e periodiche diete dei pretesti più nobili, al grido di “Non voglio più vivere in un mondo così” (salvo poi continuare a farlo, inveendo contro la stampa colpevole di aver dato un risalto inadeguato ai suoi momenti di dieta).

  15. Graziano
    -Non si tratta di difendere o rivalutare Catilina, o qui Saddam. Si tratta di un approccio antimanicheo e realistico di valutazione dell’animo umano. La malvagità e la bontà sono come certi minerali, che in natura non esistono allo stato puro, ma sono sempre aggregati a pietruzze di grandezza o a qualche mica di viltà.-
    tutto vero, senz’altro. Purtroppo il passo da quì ad esaltazioni della bella morte e di un certo virilismo mortuario è breve, anche se so che non era tra gli aspetti che interessavano chi ha fatto gli interventi quì.
    Da un pò di tempo (ma forse sono ipersensibile) vedo e sento risorgere questa valutazione/svalutazione per comportamenti in punto di morte. Non mi piace e continuerà a non piacermi.
    Quando penso che uno come Pinochet avrebbe probabilmente tenuto davanti a un plotone di esecuzione un atteggiamento marziale e distaccato, non risalgo alle pietruzze di grandezza o a chissà quale comunione o appartenenza umana, bensì all’uomo forte che si attiene un’ultima volta al suo modello (di uomo forte) per glorificare l’operato di una vita.
    Con questo non voglio negare che anche Amin Dada avesse momenti di tenerezza o amasse i cani, solo che era in grado di vivere serenamente accanto a frigoriferi il cui contenuto (se sono vere le cronache) nessuna eventuale morte ‘dignitosa’ avrebbe potuto riscattare.
    Poi possiamo discutere delle frustrazioni delle loro vite, dei perchè hanno martoriato genti e del come tutti abbiamo in qualche recondito angolo del nostro essere anche una particella che somiglia a loro. Sono tutte cose che si possono fare, a posteriori, dopo averli neutralizzati e resi inoffensivi. In qualsiasi modo.
    Saddam era già inoffensivo (quindi poteva benissimo scontare una pena o finire i giorni in esilio come tanti suoi simili incorsi in incidenti di percorso analoghi), putroppo i suoi ex amici, oggi occupanti del suolo iracheno, avevano le loro convenienze nell’eliminare (teatralmente, come optional) un uomo con cui avevano condiviso troppe cose (armi? finanziamenti? accordi?) oltre a una certa umanità di base.
    besos

  16. Spettatrice per una volta non sono d’accordo con te. Il che forse naturalmente è solo un bene. La possibilità voglio dire di esercitare un sano confronto. Credo che si debba riconoscere a Hussein la capacità di aver affrontato la morte in un modo, come dire, più che decente. E credo che lo si debba fare per un motivo. La religione di Saddam Hussein prevede la possibilità di trucidare e di uccidere il nemico. Anzi, la vittoria, in un determinato tipo di società è rappresentata dalla morte anche fisica dell’avversario. Possibilità che fino a non molto tempo fa era prevista anche nelle nostre democratiche civiltà. Peraltro rispetto a certe vite di merda che facciamo noi, non è che la morte in battaglia sia il peggio che possa capitare. Che è quello che i kamikaze pensano e attuano. Io non dico che si debba sperare che le cose vadano come vanno. Che i kamikaze continuino a fare i kamikaze e che i nemici siano sconfitti anche fisicamente. Credo però che il riconoscimento di una cultura diversa debba essere consapevole, e come dire, totale. Solo nel dire, “Riconosco che anche la tua è una civiltà” c’è la possibilità di far passare anche altro, altri messaggi. Per esempio: “Ti invito a pensare che ce ne potrebbe essere una come dire, meno dura, più sfumata, e meno eroica”, o altre cose così. Dicendo “Siete tutti dei sanguinari, violenti e cattivi…” si rischia di perdere il confronto, il rapporto con gli altri che pare ci stiano tanto a cuore. Ma è davvero così? O non temiamo forse che gli altri, con la loro civiltà sanguinaria e repressiva possano fare del male a noi? A noi, così liberali e – anche se un po’ fallucconi – al fondo portatori del migliore dei mondi possibili? Che cosa ci spaventa della morte di Saddam, se non il fatto che pensiamo possa un giorno o l’altro essere esportato anche da noi? Possa arrivare anche da noi?

  17. Scusa. Era solo per dire che ‘l’umanità di base’ non esiste. E’ anche quella frutto di un pensiero e di una civiltà. Quindi, come dire, un prodotto storico. Giuridico, per essere precisi. Il giusnaturalismo. Corrente che prevede fra le altre cose che ogni uomo abbia dei diritti e un’umanità, come dici tu, ‘di base’.

  18. le esecuzioni capitali mi fanno orrore,almeno quanto concetti tipo “abbattimento controllato”.E sono pure certo che 30 anni di gabbio,come dicono a Roma,spaventerebbero a morte persino il tiranno più disumano di qualsiasi camera a gas(non per niente in un film è stata inserita la mitica frase ricamata di fascino “sparami,mi faresti un favore” e non toglimi la libertà,ti amerò per sempre)

  19. e,in generale,credo che essere favorevoli alla pena di morte sia proprio di quelle persone che tendono a considerare i lavoratori extracomunitari come merci(scorie,se in esubero)

  20. Angela,
    le mie osservazioni erano indipendenti da qualsiasi contesto culturale. Occidentale, orientale, nordico o del sud.
    Riguardavano il porsi davanti alla morte in generale e, nello specifico caso, la ‘dignità’ dei condannati a morte in particolare.
    Peraltro, ogni volta che penso a dei condannati a morte ho sempre davanti agli occhi i soldati condannati arbitrariamente e dolosamente del film ‘orizzonti di gloria’.
    Sarà finzione, ma quelle sono le immagini che il mio cervello mi rimanda, anche quando penso alle esecuzioni di civili statunitensi (del caro giorgio che a casa sua non ne ha mai graziato uno) o cinesi o a quelle senza processi o diritto che ogni giorno segnano questo scomodo pianetino.
    Non trovo in nessuno dei comportamenti dei condannati a morte (che se la facciano addosso – ed è la norma – o che sorridano sardonicamente come gli antichi fenici) nient’altro che reazioni pietosamente, tristemente, umane. Non ho nella mente un indice di valori che considera meno dignitoso il soldato che muore con le mutande sporche rispetto alla morte impavida di un pseudo fascista. Entrambi cercano di vincere o sono sconfitti dalla paura. Questo è quello che accade a New York, a Bagdad o a Pechino e che è trasversale rispetto a qualsiasi cultura.
    In sintesi: riconosco dignità nella morte a tutti, anche ai condannati dalla vendetta di Stato pur se urlano e si disperano sia a Bagdad che in Alaska.
    Rispetto poi alla ‘loro’ cultura sanguinaria e alla nostra ‘moderatamente no’ vorrei solo leggere la storia raccontata da ‘loro’ dopo una ipotetica sconfitta del ‘noi’. Non so se sulla ‘nostra’ (in questi casi tendo a una posizione ‘non allineata’ rispetto a questo possessivo) potremmo conservare la stessa opinione che ne abbiamo stando da questa parte della barricata.
    Basta guardare a come, ancora, i nostri testi di storia ci raccontano le crociate, rispetto a come le raccontano i ‘loro’ che ne hanno assaporato i tristi frutti.
    No, Angela, non credo in particolari differenze tra ‘noi’ e ‘loro’, la ‘nostra’ e la ‘loro’ civiltà di questi tempi hanno molto in comune: viaggano a velocità elevata verso la barbarie (senza con questo voler offendere i barbari).
    Poi, chiaramente, possiamo anche pensarla in modo diverso e questo è un ottimo stimolo per ragionarci su. Prometto di farlo.
    besos

  21. Due giornalisti si interrogano sulla solita fortuna che accompagna gli ex protettori e sponsor di Saddam e attuali massacratori dell’Iraq. Sono i soli che da colpevoli non solo la scampano, ma diventano anche giudici e boia.
    Senza dimenticare chi fu e cosa fece il rais (sempre con le più alte protezioni internazionali che applaudivano, esultavano e,forse, pagavano), perchè è stato ucciso (da quelli che quando gasava i curdi si giravano dall’altra parte a patto che massacrasse gli iraniani attraverso la carne da cannone irachena) e la forma coloniale della giustizia che lo ha impiccato, dei suoi burattini e dei burattinai.
    Sì, la morte di Saddam è qualcosa che va oltre quei pochi minuti di macelleria di Stato.
    Da tenere d’occhio le ultime osservazioni di Tariq Alì a proposito della lezione che la morte di Saddam può rappresentare per altri …
    eccovele:
    Se Saddam può essere impiccato, altrettanto può accadere a Mubarak, al joker hascemita ad Amman, e ai reali sauditi, purché coloro che li spodesteranno siano felici di collaborare con Washington.
    Tariq Ali
    http://www.informationguerrilla.org
    /2007/01/01/saddam-hussein-altro-che-
    norimberga-un-processo-coloniale-di-tariq-ali/
    Robert Fisk
    http://www.megachip.info/modules.php?
    name=Sections&op=viewarticle&artid=3121

  22. le affermazioni di Ferrazzi su giacobinismo, Rivoluzione francese, illuminismo ecc. ecc. sono errate e spesso ignobili e ricordano il peggior Cochin (che forse Ferrazzi non ha mai letto)se non attraverso il suo “idolo” Furet…
    GP

  23. GP, forse qualche argomentazione in più non guasterebbe.
    Giulio, non ho capito se la tua osservazione suona critica alla necessità storica o a Dio. A chiunque si attribuiscano, le necessità storiche restano.

  24. ecco parte di ciò che gli ex compagni di merende hanno di fatto impiccato insieme al corpo di Saddam. Il tutto affinchè l’immaccolata immagine dell’occidente e della sua supposta (nel senso di medicinale), superiore, democrazia sia sempre quella di una Maria Goretti potenziale e irreprensibile.
    Robert Fisk di nuovo ci ricorda gli accordi per far fuori l’opposizione comunista (la CIA fornì gli indirizzi e Saddam, delicatamente, eseguì), le informazioni per battere gli iraniani e altre bazzeccole che penzolano con il rais dalla forca e che spero si presentano, in forma di incubi quotidiani e ingombranti, nelle vite e nella quotidianità di quanti furono suoi sponsor di ieri e boia di oggi.
    http://italy.peacelink.org/
    conflitti/articles/art_1990
    9.html

  25. probabilmente fino al 91 gli sciiti sentivano l’esigenza di far cadere Saddam al costo di una rivoluzione sanguinaria con la stessa intensità con cui io desidero carne alla pizzaiola di primo mattino.Eventualmente dovevano sentirsi come una sorta di Padani poco convinti,con relative istanze(poi,come si suol dire qualcuno dall’esterno li ha gasati e hanno finito per farsi gasare)

  26. diamonds,
    tanto per precisare: la penso come Tariq ali nell’artcicolo che ho citato in un intervento precedente, cioe:
    Che Saddam fosse un tiranno è indiscutibile, ma si preferisce dimenticare che ha commesso la maggior parte dei suoi crimini quando era un fedele alleato di quelli che oggi occupano l’Iraq. Come egli ha ammesso durante il processo, fu l’approvazione di Washington a farlo sentire al sicuro nel gassare Halabja con agenti chimici, in piena guerra Iran-Iraq. Meritava un processo e una punizione appropriati, in un Iraq indipendente. Non questo.
    besos

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