DEL PERCHE' KING E' MEGLIO DI WAGNER

…nel senso che è riuscito a tessere, negli anni, un’opera totale compresa e amata in tutti gli angoli del pianeta. E di quest’opera La storia di Lisey costituisce uno dei vertici: come dimostra Wu Ming 1 in un articolo uscito su L’Unità l’ultimo giorno del 2006. Potete leggerlo integralmente su Carmilla. Qui vi riporto intanto il lungo zoom che apre la recensione: ma siete cordialmente pregati di completare la lettura prima di commentare. Mentre voi continuate, spero, a stare bene, la vostra eccetera lascia per oggi la tastiera e va a guardarsi la luna piena sulle montagne (sì, i lupi e le poiane ci sono ancora, e anche molti gatti affamati e miagolanti. Esseri umani, invero, pochissimi).

L’odierna letteratura popolare, discendente diretta e mutante del feuilleton, ci propone strutture, linguaggi e personaggi sempre più complessi, anche in opere che scalano le classifiche con facilità e non-chalance. E’ il caso dell’ultimo best seller di Stephen King, La storia di Lisey (Sperling & Kupfer, 2006, pp. 619,  €18).
Zoom out: in realtà è tutta la cultura pop a essere sempre più
complessa e articolata, e a richiedere a chi la fruisce un maggiore
lavoro cognitivo. Un cinespettatore ibernato trent’anni fa e svegliato
oggi sarebbe molto turbato non soltanto da pellicole come Syriana, The Prestige o Il ladro di orchidee, ma anche da prodotti di penultima generazione come Fight Club o I soliti sospetti.
Li troverebbe astrusi, ansiogeni, impossibili da seguire. E stiamo
parlando di cinema narrativo, film “di cassetta”, non di Godard.

Un telespettatore di trent’anni fa, abituato a narrazioni lineari e dozzinali come Chips, Le strade di San Francisco o i cartoons di Hanna & Barbera, non capirebbe nulla non dico di Lost o 24, ma nemmeno di ER:
ritmo ipercinetico, vasta congerie di personaggi, intrichi di
sottotrame, narrazione frammentata, episodi non autoconclusivi, rimandi
di non immediata decifrazione etc.
All’inverso, una serie come Ai confini della realtà,
negli anni Sessanta ritenuta un gioiellino di complessità, profondità e
tv intelligente, oggi ci appare come una raccolta di favolette: ogni
elemento è sottolineato ad nauseam, il lettore è accompagnato scena
dopo scena, tutto è congegnato per essere “a prova di stupido” e non
richiedere alcuno sforzo interpretativo.
E che dire dei cartoons? Da Scooby-Doo e Braccobaldo ai Simpson e Futurama
il salto è di svariati anni-luce. E persino la tv-spazzatura di oggi,
quella di cui faremmo volentieri a meno, è comunque più complessa della
tv-spazzatura d’antan: seguire tutti i giochini psicologici, le
alleanze transitorie, lo svolgersi della minirete sociale del Grande fratello richiede sicuramente più attenzione, concentrazione e attività sinaptica di quanta ne richiedessero Ok, il prezzo è giusto o la Carrà che ti chiedeva di indovinare quanti fagioli contenesse un vaso.

Ancora: trent’anni dopo Pacman, i ragazzini sono esperti di
videogames complicatissimi, mondi virtuali dove occorre tener conto di
infinite variabili, avere capacità relazionali, saper risolvere
problemi ed enigmi, sforzare la memoria. E che dire della nomenclatura
del mondo-Pokemon, complessa oltre i limiti del cervellotico eppure
perfettamente comprensibile ai nostri figli e fratelli minori?

Insomma: grandi masse di persone sono in grado di seguire,
decodificare, commentare (nonché interagire creativamente con) prodotti
culturali che ieri sarebbero stati avanguardia, comprensibili solo a
minoranze colte, mentre oggi mandano in tilt gli indici d’ascolto e
battono record di vendite.
Anche se a volte non sembra, il pubblico è maturato, è diventato più
attento ed esigente. Soprattutto, si sente – ed è – sempre più
coinvolto e partecipe, non vuole più essere soltanto “audience”. La
cultura pop contemporanea tende a formare comunità aperte di
fruitori-riutilizzatori. Per ogni serie TV o videogame esiste una
sottocultura di massa, formata da persone che discutono, dissezionano
livelli ed episodi, citano, rielaborano, producono addirittura guide
ufficiose, manuali on line, compilano il Dizionario Inglese-Klingon,
realizzano video amatoriali dedicati alla loro passione etc. Costoro
siete "Voi", gli "You" a cui Time ha appena dedicato la copertina di
fine anno.

Le possibili cause di tutto questo sono svariate, avremo occasione
di elencarle e rifletterci sopra nei prossimi articoli, basandoci su
ricerche e riflessioni di studiosi come Henry Jenkins del MIT di Boston
(che studia il ruolo dei fans e la natura partecipativa della cultura
pop nell’epoca di Internet) o Steven Johnson, autore di quel Tutto ciò che fa male ti fa bene
(Mondadori Strade Blu, 2006) dove s’indagano i rapporti tra la
crescente complessità dell’ambiente culturale e l’Effetto Flynn, cioè
lo spiccato aumento, da trent’anni a questa parte, del QI medio dei
bambini occidentali.

Segue qui.

41 pensieri su “DEL PERCHE' KING E' MEGLIO DI WAGNER

  1. Eh, mi volete far piangere? Son nato nel 1967, avete citato pezzi di mia storia emotiva, sia letteraria, che cinematografica, che televisiva (io la televisione la guardo, mi distinde, come distendeva l’ Eterno Giovanni Raboni; tenete sul comodino, leggete, rileggete, il Merdiano a Lui dedicato appena uscito).
    Con Wu Ming 1 ho già concordato da altre parti in questo Villaggio Globale dei Blog sul discorso di Cultura Popolare, non torno, anche perchè io scrivo ancora con matite e penna stilografica, e ho un blog, e ogni tanto capito sui blog, per sentirmi meno solo… e per apprendere, poi ha consigliato il Mitico “Il Mulino del Po” di Riccardo Bacchelli, e lo amerò per sempre, anche se a volte (essendo io anarchico conservatore) mi dissocio, da ciò che scrive e scrivete (o che bel, che bello)…

    Questo è un romanzo sull’amore, il matrimonio e il lutto, ma anche sui rapporti tra sorelle, tra fratelli, tra padri e figli, scrittore e scrittura, scrittore e lettori, celebrità e privacy. E’ un libro emotivamente stratificato, intriso di perturbante tenerezza, che mette in luce gli aspetti meno scontati e più contro-intuitivi di amore, angoscia, nostalgia e paura. Lisey Debusher è la vedova di Scott Landon, famoso scrittore morto da due anni. Il loro è stato un matrimonio felice e al contempo oscuro, pregno di rimozioni e segreti. Segreti risalenti all’infanzia di Scott, trascorsa in un’isolata fattoria della Pennsylvania insieme al fratello maggiore Paul, entrambi alla mercé di un padre psicotico e autolesionista che nondimeno amava i suoi figli, li amava con forza e disperazione. …”
    non ho mai letto nulla di Stephen King, sono ancora lì a stupirmi con “Lessico Famigliare” di Natalia Ginzburg, che rifuggo King… ma dipo ciò che ha scritto Wu Ming 1, leggerò King… SCIAMBOLA, leggerò King…
    Baci e Abbracci
    davide
    http://bloomsbury.blog.kataweb.it/

  2. Ecco, non è che WuMing1 “mostra” la bellezza di qualcosa, come i comuni mortali, no: lui “dimostra”, come scrive giustamente Loredana. Non sa toccare niente di umano con le sue parole, allora cita dati e correnti più o meno scientifiche (a mio parere di parasociologia, ma lasciamo stare). Il fulcro della sua dimostrazione è che i bambini di oggi hanno una maggiore intelligenza logico matematica, hanno una capacità di calcolo matematico o prudenziale (il che è tutto da verificare). Peccato che questo tipo di intelligenza non c’entri nulla con quello che può dare una narrazione.
    Un’altra occasione sprecata per aperture vere.

  3. Una piccola richiesta a Wu Ming 1.
    Sono completamente d’accordo con tutto il suo articolo su King e l’evoluzione del pubblico che consuma la “pop culture”.
    Sottoscrivo ogni singola virgola e ogni singolo punto.
    Però vorrei un chiarimento, se possibile, su questa frase “Un telespettatore di trent’anni fa, abituato a narrazioni lineari e dozzinali come Chips, Le strade di San Francisco o i cartoons di Hanna & Barbera”.
    Sulle prime due che citi mi trovi d’accordo (non le ho mai sopportate personalmente) ma perchè i cartoni di Hanna & Barbera sarebbero etichettati come dozzinali?
    Io credo che se ci limitassimo al mondo del cartoon statunitense seriale del periodo (quindi
    con le produzioni Disney per il piccolo schermo, quelle della Mgm e quelle Warner Bros post Tex Avery e post Jones)potremmo anche rivalutare l’opera di questo prolifico studios.
    Certo non mancano le produzioni di scarso/nullo interesse (chi si ricorda Magilla il Gorilla e Josie and the Pussycats?)e abbonda spesso un certo pressapochismo nelle tecniche di animazione ma ci sono anche delle perle indimenticabili come Wacky Races (che introdusse Dick Dastardly e Muttley due personaggi involontariamente usciti dal teatro dell’assurdo…vabbè l’ho sparata grossa…).
    E non credo che sia solo l’effetto nostalgia.
    Certo The Simpsons e Family Guy sono narrativamente più raffinati e complessi, con riferimenti multilivellari e dose di humor politicamente scorretto degno del miglior Lenny Bruce.
    Sono però prodotti figli della postmodernità (o chiamatela pure come volete…)
    Pensati proprio qui ed ora.
    D’altronde ai miei tempi mi sembrava all’avanguardia Atom Ant(sempre di produzione HB) mentre mia nipote si addormenta davanti ai Looney Tunes.
    Posso togliare la maglia i tempi sono cambiati…
    Saluti
    Ps= La Cartoon Network Studios, la rinata Hanna-Barbera, ha prodotto quel piccolo capolavoro che è Samurai Jack….qualcuno l’ha mai visto?

  4. Una piccola richiesta a Wu Ming 1.
    Sono completamente d’accordo con tutto il suo articolo su King e l’evoluzione del pubblico che consuma la “pop culture”.
    Sottoscrivo ogni singola virgola e ogni singolo punto.
    Però vorrei un chiarimento, se possibile, su questa frase “Un telespettatore di trent’anni fa, abituato a narrazioni lineari e dozzinali come Chips, Le strade di San Francisco o i cartoons di Hanna & Barbera”.
    Sulle prime due che citi mi trovi d’accordo (non le ho mai sopportate personalmente) ma perchè i cartoni di Hanna & Barbera sarebbero etichettati come dozzinali?
    Io credo che se ci limitassimo al mondo del cartoon statunitense seriale del periodo (quindi
    con le produzioni Disney per il piccolo schermo, quelle della Mgm e quelle Warner Bros post Tex Avery e post Jones)potremmo anche rivalutare l’opera di questo prolifico studios.
    Certo non mancano le produzioni di scarso/nullo interesse (chi si ricorda Magilla il Gorilla e Josie and the Pussycats?)e abbonda spesso un certo pressapochismo nelle tecniche di animazione ma ci sono anche delle perle indimenticabili come Wacky Races (che introdusse Dick Dastardly e Muttley due personaggi involontariamente usciti dal teatro dell’assurdo…vabbè l’ho sparata grossa…).
    E non credo che sia solo l’effetto nostalgia.
    Certo The Simpsons e Family Guy sono narrativamente più raffinati e complessi, con riferimenti multilivellari e dose di humor politicamente scorretto degno del miglior Lenny Bruce.
    Sono però prodotti figli della postmodernità (o chiamatela pure come volete…)
    Pensati proprio qui ed ora.
    D’altronde ai miei tempi mi sembrava all’avanguardia Atom Ant(sempre di produzione HB) mentre mia nipote si addormenta davanti ai Looney Tunes.
    Posso togliare la maglia i tempi sono cambiati…
    Saluti
    Ps= La Cartoon Network Studios, la rinata Hanna-Barbera, ha prodotto quel piccolo capolavoro che è Samurai Jack….qualcuno l’ha mai visto?

  5. Il “mondo del cartoon statunitense seriale del periodo” ha prodotto cose straordinarie. King è uno scrittore straordinario. Ma questo è il punto di partenza. Faccio notare che il più grande sostenitore di Disney è Eisenstein, che scrive, anzi comincia su di lui un saggio bellissimo in cui “mostra” quanta bellezza e profondità è in quelle storie, e per farlo cita per esempio Francesco D’Assisi. E’ proprio quella di Eisenstein il tipo di apertura giusta, non nell’ottica della battaglia, del tirare giù dalla torre, come se gli artisti fossero nella casa del Grande Fratello. E nemmeno nell’ottica di una orizzontalità che fa diventare tutto uguale a tutto. Capisco che Eisenstein fosse una persona di grandissima cultura e intelligenza, che qui nessuno sia alla sua altezza, ma questo non toglie che si possa seguire la sua strada, quella della comprensione, dell’attenzione, della curiosità in modo che si arrivi a riconoscere la “voce” di ogni forma di espressione, fuori da una gerarchia, ma riconoscendo le differenze.
    Qui invece c’è l’ennesimo articolo in forma propagandistica e pseudoscentifica, ridicolo, snobistico.

  6. Un’altra notarella. Sopra, nell’elogio dell’intelligenza calcolante, si parla anche della velocità con cui arrivano i dati al fruitore: il “ritmo ipercinetico”, si dice.
    Volete davvero il ritmo ipercinetico?, un flusso spaventoso di dati da gestire nella massima interazione possibile tra scenario e giocatore (dico davvero: la più alta immaginabile). Lo so che volete questo. Io ho la soluzione. Il videogioco che vi propongo si chiama “Regata”. Si gioca dentro uno scenario perfettamente tridimensionale, col proprio corpo e rischiando davvero. Questo rende Regata il più bel videogioco del mondo, quello in cui gli scenari sono tanto complessi da raggiungere il reale, quello che sviluppa al meglio le capacità cognitive.
    Come tutti i videogiochi Regata col tempo si è evoluto. Io l’ho giocato fino al 2002, dopo il CICO ho appeso la scotta al chiodo. Ora il videogioco si può giocare col Moth. Praticamente il Moth è un guscetto a vela di 3.20 metri che si alza sull’acqua con gli hydrofoil. Potete raggiungere i 29 nodi, che sull’acqua sono una velocità spropositata, per darvi un’idea un aliscafo lungo una trentina di metri arriva a 36 nodi.
    Allora, gli amanti dell’ipercinesi e del videogioco, nonché coloro che cercano lo sviluppo delle capacità cognitive, tattiche e tecniche, non si perdano quest’esperienza. Io non l’ho mai provato ma immagino sulla base di quello che so, che sia straordinario. E ricordate: i migliori videogichi sono fuori dal video.

  7. Intervista ad Esther Leslie su animazione e avanguardia, in cui tra l’altro dice: Ho scritto la mia tesi di dottorato su Walter Benjamin e rimasi affascianta dalla sua apertura nei confronti della cultura popolare – ma era una apertura non ruffiana verso il gusto di massa, né riteneva che la cultura popolare fosse in sé e per sé “dalla parte degli angeli”. Benjamin era affascianto dal potenziale critico-politico della cultura di massa, ma anche dalla sua crudeltà e la violenza e cita i cartoni come un esempio di questo. Mentre pensavo queste cose, insegnavo in un dipartimento di Cultural Studies [studi sulla cultura popolare e di massa, ndr.]. Odiavo l’atteggiamento paternalistico nei confronti della cultura popolare che si respirava lì. “Tutta la cultura poplare è bella e carina e tutta la cultura alta è il male, elitaria e offensiva nei confronti dei poveri e degli oppressi”, oppure: “Il pensiero critico è cattivo e oppressivo, il piacere è meraviglioso e democratico”…Nei dipartimenti dove si producevano Cultural Studies, Adorno veniva bollato come l’equivalente di un dittatore coloniale o una guardia delle SS perché era critico nei confronti dell’industria culturale. Ero indignata dal modo in cui certi accademici lodavano ingenuamente Benjamin e attaccavano crudelmente Adorno senza preoccuparsi di pensare alle interconnesioni che c’erano tra i due e senza curarsi del fatto che il punto di partenza di entrambi era una politica di emancipazione.

  8. a.b., si vede che i videogiochi li frequenti poco. Una partita a Gears of War, lasciatelo dire, è una cosa che non c’entra niente col fatto di andare in barca. Non dico che sia meglio o peggio, non è questo il punto: è che proprio non c’entra niente. E poi, la tua affermazione (“i migliori videogiochi sono fuori dal video”) è una istigazione alla violenza: sarai mica della NRA? mi stai seriamente consigliando di armarmi di fucile d’assalto e granate per poi mettermi in giro e cominciare a sforacchiare gente a destra e a manca?

  9. Uso le stesse categorie che tu/voi usate per proiettare i videogiochi nell’empireo e vi mostro come si possano provare esperienze uguali o molto molto probabilmente qualitativamente migliori e più complesse fuori da un video, agendo nella realtà.
    quello che mi interessa è incrinare la visione monolitica che accompagna il videogioco, ora addirittura attrezzata di parasociologia. Quello del Moth è un esempio che mi è venuto di fare perché è una barca (o un missile?) veramente straordinaria che ho scoperto da pochissimo, una barca che finalmente usa una tecnica che esisteva da trent’anni e più, quella degli hydrofoil. Siamo di fronte a una rivoluzione nella deriva, nella vela, nello sport, nel divertimento (addio sloop di De Carlo!).
    Poi se tu vuoi fare una rapina in banca fai pure, ma non te l’ho detto io, io ti dicevo comprati o costruisci un moth e taglia il mare.
    Ma ricordati che per decollare occorre leggerezza, quindi lascia a casa la fidanza e anche tutta la tua biblioteca. Lì si vola soli.
    Su YouTube digitando “moth sailing” trovi i video. Cavolo, mi sta venendo voglia di staccare la scotta dal chiodo.

  10. Il nervo scoperto degli adorniani è sempre stata la costitutiva incapacità di fare per davvero i conti con Benjamin. Non c’è riuscito neppure Rolf Tiedemann (il curatore delle opere complete di Benjamin), che era uno che prima di pensare leggeva, e dopo aver letto cercava di capire quello che aveva letto, invece di telefonare al Maestro per farsi dettare la linea, come certi adorniani che continuano a consultare il bicchierino sul tavolino a tre gambe.

  11. a.b. wrote:
    «Peccato che questo tipo di intelligenza non c’entri nulla con quello che può dare una narrazione.»
    Mai dire cosa può o non può più essere il romanzo, come invece si tende spesso a fare in Italia.

  12. mamifacciailpiacere
    i ragazzini di oggi più svegli in matematica… certo wu ming è stellare, iperboreo certo, poco aduso a chiedere notizie agli insegnanti

  13. Ipsa Dixit scrive citando una recensione “Mai dire cosa può o non può più essere il romanzo, come invece si tende spesso a fare in Italia.”
    a proposito del mio «Peccato che questo tipo di intelligenza non c’entri nulla con quello che può dare una narrazione.»
    Ma io non sto dicendo che cosa è la narrazione (nemmeno parlavo del romanzo), sto dicendo che cosa può produrre una narrazione nella testa del lettore. Non credo che questo abbia a che fare con la capacità logico-matematica, altrimenti certi libri di quiz sarebbero la Divina Commedia. La forza prodotta dalla narrazione sta su un piano esistenziale, umano.
    Possiamo anche metterla così, perché in USA, cioè un paese in cui la cultura idolatrata in questo articolo trabocca, hanno rieletto Bush? Forse la cultura dovrebbe dare strumenti critici e di osservazione della realtà, INSIEME alle grandi fiabe, miti ec. Questo è l’obiettivo: unire, capire, recuperare, aprire, non fare una gara con lancio dalla torre, o “dimostrare”.
    Per quanto riguarda il Grande fratello posso dire di aver conosciuto, l’estate scorsa, un insegnante che aveva cambiato non solo classi ma addirittura scuola, perché la precedente era diventata invivibile per come erano stati assorbiti dai ragazzi i modelli di comportamento degli ospiti della casa.

  14. ad oggi la letteratura, a differenza di parecchio tempo fa, devo scontrarsi con i videogame, la telelevisione, il cinema.
    il sesso e le ragazze facili.
    mentre nel caso del tubo catodico le cose sono cambiate “dentro”, lasciando invariato il mezzo di comunicazione, ad oggi non si può più parlare di grandi storie che ti stringono il cuore.
    ad oggi si deve parlare di storie che ti strappano il cuore e la mente.
    se una volta c’era una beat generation, oggi c’è la muscle generation, la versione ormonalmente scombussolata, dopata.

  15. Ogni volta che si parla di cultura americana salta fuori l’immancabile ” gli americani sono tutti coglioni perchè hanno votato bush ” , penso che questo sia un tantino razzista .

  16. Intanto, cara Loredana, buon anno a te e buon anno a tutti gli amici di Lipperatura.
    Ho terminato di leggere “La storia di Lisey” pochi giorni fa e prossimamente recensirò il libro sul mio blog (ma anche altrove).
    Sono piuttosto d’accordo con Wu Ming 1: “La storia di Lisey” è, in effetti, un buon libro. Dispiace che qui in Italia non stia andando così tanto bene come in altri Paesi (o come per altri libri di King). In quarta di copertina Nicholas Sparks scrive che qui abbiamo a che fare con “King al suo massimo”. Su questo punto non sono del tutto d’accordo. Si tratta, secondo me, di un King “in buon spolvero”, ma non al suo massimo. È vero che qui troviamo neologismi, interessanti espressioni gergali, flashback strutturati in maniera impeccabile e continui cambi di scena e ambientazione. Ed è vero che, ancora una volta, viene fuori la grande magia di King: la capacità di creare personaggi in carne e nervi che escono dal “piattume” delle pagine e conquistano la terza dimensione. Se devo, tuttavia, individuare un difetto in quest’opera (uno solo) farei riferimento a un “difettuccio classico” di King: la prolissità. Secondo me con qualche taglio (soprattutto nella parte centrale) il romanzo e la storia sarebbero stati più… “ficcanti”. Ma questa è una mia idea. Io penso che King soffra un po’ di una sindrome che lo accomuna ad altri autori suoi connazionali. Io la chiamo “sindrome da Guerra e Pace”, in altri termini l’ansia di offrire al mondo un’opera letteraria il più possibile monumentale. Ecco perché ritengo che “La storia di Lisey” appartenga a un buon King, ma non a un King al suo massimo. La punta massima, a mio avviso, rimane “Misery”: il thriller perfetto (e esente da “prolissità narrative”).

  17. Il pezzo di Bui è infarcito di rimandi e citazioni più o meno colte e aggiornate, ma l’inferenza che vorrebbe i ragazzotti più svegli e abili in logico-matematica è del tutto campata in aria e smentita ad ogni piè sospinto dai test e dalle esperienze degli insegnanti di scuola media e università. Si riscontra, al contrario, un’incapacità preoccupante nell’applicarsi al ragionamento deduttivo; più in dettaglio, lo stimolo continuo di aree superficiali della corteccia cerebrale, invece che delle aree preposte al ragionamento. Ritenere inoltre i giochini elettronici quali generatori di mondi e intelligenza comportamentale è un controsenso: non esistono software capaci di simulare in modo soddisfacente l’intelligenza umana, per cui il massimo di variabilità ammessa è “random”, legata ad algoritmi di programmazione che lasciano spazio a scelte casuali, di tanto in tanto nel procedere delle routine, dalle quali deriva un cambio di scenario. La massa di effetti speciali, possibilità concesse e rapidità richiesta è inoltre dovuta a pura potenza di calcolo elettronico, non ad una coscienza, neppure elementare. Ne consegue che, mediamente, i ragazzotti addestrati al videogame sono in effetti degli idioti comportamentali che, se non istruiti criticamente, confondono i piani di virtualità con quelli di realtà.

  18. Scrive Davide:
    “la evidente fesseria che la cultura rende in qualche modo migliori le persone”
    Non capisco perché ti rivolgi a me. Per me la cultura è solo uno strumento, puoi usarla bene o male. Puoi rincoglionire la gente, come scuoterla rendendola consapevole e libera. Questo vale non solo per il sapere che analizza, produce concetti, magari un protocollo per descrivere oggettivamente il mondo, vale anche per quello che Rella chiama il “pensiero per figure”, che è “mitico”. Lo scarafaggio di Kafka è un sogno ma se arriva può modificare il punto di osservazione. La tragedia greca funzionava così.
    Poi c’è il divertimento che può stare benissimo dentro tutto quanto. “Le Voyage dans la Lune” di Georges Méliès, oppure “Little Nemo in Slumberland” di Winsor McCay sono cose popolari, uniscono divertimento e potenza dell’immaginazione. Sono sogno (ma qui si usa dire mito). Sono capolavori assoluti. E se non possono trasformare un imbecille in persona civile, possono comunque essere carburante per chi civile è già: una nazione civile – diceva Munari – vive in mezzo alla sua arte.
    Che il Little Nemo di oggi possano essere i Simpson, non lo escludo, però non è con l’atteggiamento da crociati, quello denunciato sopra da Esther Leslie, che lo capiremo.

  19. il videogioco , come il gioco di ruolo , ha cambiato la posizione dello spettatore , che da soggetto passivo è diventato un soggetto attivo , lo spettatore con le sue azioni può cambiare la storia , questo ha portato uno spostamento del centro dell’ attenzione dall’ autore allo spettatore .
    Penso che sia questo processo di traslazione a farvi rodere a scoppio , un autore incapace nn può più attegiarsi a Solone , blaterare di superiorità di una cultura , di una lingua , di un mezzo di comunicazione sugli altri o accusare lo spettare di essere un coglione , perchè i suoi prodotti fanno schifo , e chi ancora lo fà è soltanto ridicolo .

  20. a.b., la mia osservazione nasceva dalla tua domanda: “perché in USA, cioè un paese in cui la cultura idolatrata in questo articolo trabocca, hanno rieletto Bush?”. Capisci da te che una siffatta domanda (peraltro retorica) pone il lettore di fronte a una sorta di equazione: USA = paese in cui la cultura idolatrata in questo articolo trabocca = posto in cui viene eletto uno come Bush (che, sia detto fra noi, è una delle Icone del Male Assoluto più apprezzata negli ultimi anni dalla buone coscienze progressiste). Ora, intendiamoci: non è che Bush mi piaccia (penso che sia un imbecille, oltre che un pezzo di merda) ma non mi sembra intellettualmente sano promuovere una equazione del genere. Dove sta scritto che una società capace di produrre prove artistiche di alto livello sia, debba essere, anche una società retta e civile? O, dove sta scritto, per converso, che una società retta e civile debba per forza produrre prove artistiche di alto livello? Tu che apprezzi (giustamente) Piero della Francesca e i suoi coevi, hai idea di che verminaio fosse l’Italia di quegli anni lì dal punto di vista sociale e politico?

  21. “Ne consegue che, mediamente, i ragazzotti addestrati al videogame sono in effetti degli idioti comportamentali che, se non istruiti criticamente, confondono i piani di virtualità con quelli di realtà.”
    Giusco, mi piacerebbe sapere dove prendi tanta certezza, tanto disprezzo, tanta fierezza di essere nel giusto.
    Quali esperienze? Quali insegnanti? Nel pezzo di Wu Ming 1 si citano autori e testi che hanno analizzato videogiocatori e videogiochi. Mi piacerebbe che i lapidatori vecchi e nuovi fossero in grado di argomentare con altrettanta forza. Altrimenti, la sensazione che se ne ricava è quella di essere di fronte a persone che sempre più traggono le loro informazioni da articoli di giornale, nella maggior parte triti e ritriti e pronti a citare Grand Thief Auto come il Male dei Mali.
    Senza mai averci giocato, peraltro.

  22. @ mario
    condividerei il tuo intervento, che rimarca un punto importante (il rovesciamento del rapporto autore/lettore) se fossi certo di averlo capito 🙂
    mi spiego: intervieni in un blog che non usa “dettare la linea”, e i cui partecipanti esprimono opinioni diverse e divergenti: alcune sensate, altre meno. A chi riferisci il “voi” (=voi che vi rodete a scoppio)? Ad alcuni interventi, a tutti, agli ultimi?
    Purtroppo c’è chi, due o tre volte al giorno, segue la prescrizione medica di passare su un paio di lit-blog e sputare nel piatto trovato in tavola “a prescindere”: spero non intendessi sputare nel mucchio anche tu.

  23. Negli anni ’50, una delle vittime del Maccartismo furono i fumetti, accusati di traviare le giovani menti dei lettori con modelli violenti semplicistici, beceri, immorali…oggi tocca ai videogiochi. Per qualcuno gli anni ’50 non finiscono mai.

  24. Loredana, fino a prova contraria è lei (col Bui) che scrive sui giornali e chi tira dritto per dritto è il giornalista anzi, in questo caso, il fantasioso scrittore. Sto discutendo l’affermazione, data per dimostrata, che il QI logico-matematico dei bambini aumenti per merito dei videogiochi; che tale idea sia supportata da Flynn o chi per lui, non mi stupisce, tutti devono campare anche in accademia, e se c’è chi studia la frequenza dei battiti di ali di farfalla nel corteggiamento, può esserci anche chi prende mille ragazzini, li mette due mesi al videogame (distinguendone la complessità, of course, mica solo frogger) e ne deduce che è aumentata la prontezza di riflessi o la capacità di orientamento. Salvo poi scoprire che, nel principale campo utile di applicazione di tanta accresciuta intelligenza (fisica, matematica, ingegneria, scienze pure e applicate), come dimostrato da studi di settore e test universitari anno dopo anno, il livello è particolarmente basso e in continuo decremento; non studiano, non si applicano, non gliene importa nulla o a molti di questi giocodipendenti gli va il cervello in pappa? Segnalo peraltro un minimo minimo di cut-up sulle favole di Flynn: http://www.jnd.org/dn.mss/everything_bad.html
    E’ già vecchia, per cui non la ripeto, la vulgata scientificamente dimostrabile dell’aumento dei disordini comportamentali e relazionali, nonché del tasso di aggressività. Diamo un po’ di spazio anche ai lapidatori di estrazione accademica? Basta cercare “effect of videogames on mind” su Google.
    Per il resto, sappia che sta comunque parlando con un felice videogiocatore, dai coin-up anni ’80 fino ai role-game citati dal rododentro mario (la saga The Bard’s Tale era il mio preferito, su Apple II) e che tuttora getto una mezzoretta al giorno sul manageriale economico-calcistico hattrick.org con eccellenti risultati. Insomma, il senso della mia tirata è: questi benedetti mocciosetti mettiamoli a pane, acqua e matematica, dopo di che vediamo se il QI sale (e magari con esso il prodotto interno lordo nazionale).

  25. insomma quando qualcuno con cui non sei d’accordo cita ricerche scientifiche sono delle stronzate , quando le citi tu ( cercando ” effects of videogames on minds” su google)sono altamente attendibili

  26. Davide, non sono io a proporre equazioni. L’equazione la trovo su questo blog: cultura popolare (come la si intende qui, cioè in modo perlomeno riduttivo)=intelligenza=persona migliore.
    Allora ho fatto l’esempio di un paese in cui la cultura popolare, come la intendono su Lipperatura, trabocca, constatando che non è davvero il paradiso.
    Purtroppo lo so, non basta che una persona legga un libro per diventare migliore, non mi ricordo se l’ho già scritto sopra, ma gli aguzzini del Salò di Pasolini declamavano poesie -pure belle- tra una tortura e l’altra.
    Il mio discorso è più terra terra. Su Lipperatura l’atteggiamento è da crociati del “popolare” (sempre ricordando che lo intendono in modo distorto e chiuso), ed è un atteggiamento sterile, perché invece di trovare nessi tra le cose, recuperare quello che è dimenticato e via di questo passo, si ossificano in posizioni di chiusura che sono esattamente -ma col segno invertito- le posizioni che vorrebbero criticare (parola grossa qui, dato che il pensiero critico subito porta ad accuse di “adornismo” ecc.)
    Così succede che, qui l’ampiezza della visione ha la magnitudine di uno sgabuzzino, mentre in tanti posti della rete davvero si – uso una parola forte – “insegna” a “vedere” il popolare.
    Io per esempio imparo tantissimo da Igort, Infine vorrei ricordare ad Alessandra che quello che ha detto sulla censura del fumetto americano in un certo periodo storico è vera. Sono stato proprio io (che probabilmente lei considera un maccartista) a citare un saggio bellissimo di Chieregato su questo tema, comparso sulla rivista Hamelin – note sull’immaginario (rivista che se ben ricordo a Loredana non interessa). Mi piace molto la forza che certe culture hanno messo dentro i loro prodotti. La parola giusta è “libertà”. Periodicamente tormento Igort dicendogli che i suoi fumetti usciti per la grande distribuzione giapponese sono bellissimi proprio per questa libertà dell’immaginazione, ma che poi quando leggi, nella tua testa, diventa “libertà” e basta. Così Alessandra si fanno discorsi concreti e davvero di apertura. I crociati invece di cercare il dialogo con voci diverse, imparando ad ascoltarle, tentano di conquistare posizioni buttando dalla torre le voci che -me ne rendo sempre più conto- per loro parlano una lingua sconosciuta.

  27. GiusCo, fammi (o mi faccia) capire. Io sono la giornalista e, in quanto tale, dovrei cercare conferme a quello che tu/lei sostieni? Se mi permetti, non mi ritengo soddisfatta dal link fornito e dall’invito a fare una ricerca su Google (mossa non eccellente: potrei imbattermi persino nell’omologo anglosassone del Moige). Ricambio, invece, con questo link:
    http://www.pbs.org/kcts/
    videogamerevolution/
    impact/myths.html
    Un’altra cosa: mi piacerebbe che ogni tanto si facessero distinguo fra videogioco e videogioco. I Sims non sono la stessa cosa di Final Fantasy, per fare un unico e banalissimo esempio. Come spesso avviene, in questo curioso periodo si è costretti a fare battaglie di retroguardia (difendiamo i generi! difendiamo i videogiochi!) per l’irrigidirsi – stupefacente- di un gruppo di opinionisti e professionisti e-ahi- intellettuali su posizioni che nei fatti sono già superate.

  28. Io in altre occasioni ho espresso la mia personale prossimità ai ragionamenti portati avanti da WM1, o dalla Lipperini stessa, ecc. E però colgo l’occasione per porre sommessamente delle mie perplessità.
    L’entusiasmo di autori come Jenkins, Johnson, o magari anche Rheingold, mi lascia spesso esitante. Lo trovo utile ai fini di una comprensione dei fenomeni il più possibile aperta ed empatica coi temi trattati, e senz’altro lo reputo preferibile a certi tecno-catastrofismi e/o atteggiamenti di trincea; detto questo, ho paura che la realtà sia molto più complessa di come descritta sulle loro pagine. In questo, volendo, mi appoggio ad altri teorici che, vuoi anche per il maggior respiro della loro analisi, mi pare penetrino con più efficacia il nocciolo della questione (il primo esempio che mi viene è il solito Castells). Insomma, il punto è che non è che stiamo andando incontro a un mondo “migliore” di quello che c’era prima: semplicemente, siamo già dentro un mondo diverso, tutto qua. Con parentesi esaltanti, fenomeni abbaglianti, ma anche con un certo tasso di problematicità. Di questa problematicità, in questi ragionamenti non trovo traccia.
    Non credo abbia senso dire che i ragazzi di oggi hanno un QI maggiore dei loro coetani che li hanno preceduti, quando comunque il mondo che fruiscono è completamente diverso, a partire dalle due categorie base dell’agire umano, ovvero spazio e tempo. Allo stesso modo non si può non pensare ai vari Lost e E.R. come ad accelerazioni tutto sommato prevedibili di talune tendenze emerse – anche in ambito “popular”, mainstream ecc – a partire da fine anni ’70/inizi ’80.
    La fiducia in un progresso lineare che mi pare sottenda l’entusiasmo di cui prima, onestamente non mi convince. Anche perché, se c’è qualcosa che a questo punto credo regni sovrana, è proprio la non-linearità. Farei pure un paio di esempi di astrofisica, ma non vorrei appesantire troppo… Ma sono solo miei dubbi personali, tutto qui. Le solite, invadenti, perplessità.
    Passo.

  29. Dado, non spargere in giro notizie pericolose, che poi ai Critici Laureati che non possono tagliare e incollare il titolo del libro sulla Recensione Permanente contro il mercato editoriale tocca scrivere una stroncatura nuova di zecca

  30. Premetto che ho letto solo il post, ma vorrei fare un post.it. Lo sappiamo, vero, che il pubblico di cui si parla qui è prevalentemente formato da occidentali bianchi che abitano in zone urbane e di età generalmente non superiore ai 60 anni, di reddito medio e di cultura media? Cioè di una minoranza assoluta sul pianeta?
    Lo dico solo perché avendo faticato a imparare che molto di quello che piace a me è letto solo da quattro gatti, mentre credevo che fosse universalmente amato, adesso, come tutti i neoconvertiti al relativismo culturale, ci tengo a mettere i puntini sulla mia personale i.

  31. Posso dirlo? A partire dal 1978, ho letto tutto King (alti e bassi) ma questa pretenziosa STORIA DI LISEY l’ho trovata illeggibile. Siamo sicuri che la complessità e la post-modernità tanto decantata dai Wu Ming sia necessariamente un pregio? Siamo sicuri che IL LADRO DI ORCHIDEE sia un film migliore di OMBRE ROSSE? Siamo sicuri che David Wallace sia uno scrittore più compòleto di Simenon?
    Siamo sicuri che Wu Ming non dica (oltre a cose intelligenti e acute) anche tante fesserie?

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