DISTINZIONI

Zygmunt Bauman riflette, in un’anticipazione apparsa oggi su Repubblica, sulle avenguardie, nonchè sul concetto di “distinzione” fra prodotti culturali. Avevo voglia di tornare sull’argomento da qualche tempo, e ne approfitto postandovi la parte centrale dell’articolo.
Stephen Fry, un attore britannico popolarissimo sempre sul palcoscenico, al cinema e in televisione, rinomato per la sua arguzia e il suo talento di narratore, modello vivente dello stile di vita che gli aspiranti membri dell´élite artistico-culturale vorrebbero tanto abbracciare, è un ospite molto desiderato in qualsiasi salotto intellettuale londinese e in qualsiasi party che ambisca al rango di “favola della città”, e un indirizzo molto ambito nella rubrica di qualsiasi network con una ragionevole pretesa di prestigio e di rilievo; in breve, una persona dall´enorme influenza sulle menti di qualsiasi cosa possa essere definita l´attuale “élite culturale”. Nel cercare di spiegare il fenomenale successo del sito web Facebook, l´ottimo giornale British Sunday notava che “la folla” dei suoi utenti, insolitamente per i siti di social network, «includeva tantissimi tipi famosi» e suggeriva che ciò accadesse perché «in che altro modo potresti chiedere a Stephen Fry di diventare tuo amico?».
Stephen Fry, una celebrità rispettata da chiunque voglia essere qualcuno nel mondo degli intenditori delle ultime mode culturali, ha sentito la necessità di spiegare e giustificare ai lettori del Guardian perché sia accettabile per una persona come lui, acclamata come modello delle più raffinate e sublimi credenziali culturali, infilarsi una volta a settimana i panni di “fissato”, dedicando la sua rubrica all´ultimo gingillo elettronico: congegni che si ritiene appartengano alla cultura “popolare” (in passato, in tempi felicemente ignari del “politicamente corretto”, conosciuto come “cultura di massa”) piuttosto che al suo superiore/detrattore alto o intellettuale (le denominazioni “alto” e “intellettuale” non sono più utilizzate nell´attuale gergo del politically correct, tranne che come insulto, con derisione e tra virgolette). Fry comincia la sua dichiarazione con una confessione: «I dispositivi digitali scuotono il mio mondo. Questo potrebbe essere considerato da alcuni come una tragica ammissione. Non il balletto, l´opera, il mondo naturale, Stephen? Non la letteratura, il teatro o la politica mondiale?». E si affretta a prevenire le potenziali accuse: «Beh, la gente può andare matta per tutte le cose digitali e ancora leggere i libri, può andare all´opera e guardare una partita di cricket e richiedere i biglietti dei Led Zeppelin senza andare in frantumi (…). Ti piace la cucina tailandese? E che c´è che non va con quella italiana? Ehi, calma. Mi piacciono entrambi. Sì. Si può fare. Mi possono piacere il rugby e i musical di Stephen Sondeim; l´alto gotico-vittoriano e le installazioni di Damien Hirst. Herb Alpert e Tijuana Brass e i pezzi per pianoforte di Hindemith; gli inni inglesi e Richard Dawkins; le prime edizioni di Norman Douglas e l´iPod; il biliardo, le freccette e il balletto (…). (Una) passione per gli aggeggi non mi rende restio alla carta, alla pelle e al legno, ai Natali vecchio stile, ai film di Preston Sturges e le passeggiate in campagna».
Alcuni limiti sono ancora rispettati, e oltrepassarli è da incauti. In toto, comunque, questa pubblica confessione e dichiarazione supplica di essere letta come una decisa sfida al concetto di Pierre Bourdieau di “distinzione”, come principale posta in gioco nella battaglia delle arti, concetto che ha governato e ottimizzato la nostra concezione delle arti e più generalmente della “cultura” durante gli ultimi tre decenni.

49 pensieri su “DISTINZIONI

  1. Iiiiih io pure la penso come Fry! E pure come lui la pensavo quando da ragazzina iscritta a filosofia, mi ostinavo a parlare di Hegel prima e andare al Gilda dopo – terrificante sito romano danzerino – irto di decorazioni e bisogna dire di fascisti, ci si divertiva da matti, ma poi alla lunga una se non ne scappava poi ci si ammalava.
    Il che mi ha fatto sempre pensare, nei miei continui scivolamenti tra basso e alto, tra soap operas e letteratura, e tra clichet della sinistra e clichet della destra – non tanto ai pareri stantii di chi tiene vive le dicotomie, di cui penso tutto sommato che me ne fotto, ma alla prospettiva individuale di chi shifta di qua e di la. L’importante è stare dove si sta bene, ma più si è svegli e meno bisogna star fermi.

  2. pierre ‘bourdieu’ e non ‘bourdineau’
    articolo tutto sommato molto superficiale, l’idea che il basso non esista è peregrina in quanto a legittimare la merda è sempre un intellettuale o comunque l’élite trovandovi qualcosa di godibile con operazione culturali molto discutibili: in questo modo il popolo sarà sempre sottomesso e manipolato in quanto quello che osserva è un’altra cosa da quella che qualcuno comunque produce per lui

  3. Cara Loredana, questo pezzo messo li’ come apertura di cultura mi pare l’ultimo segno di un giornale seduto, poco curioso, nel quale sono al «si salvi chi puo’».
    Ecco, Repubblica e’ un giornale profondamente annoiato.

  4. Lucifer, a me piacerebbe molto proporre una concezione di “basso” come ciò che viene fatto senza rispetto per l’intelligenza (e NON la cultura) chi fruisce del prodotto.
    E comunque: non sono forse gli intellettuali ad etichettare come “molto discutibili” tali o tal altre operazioni culturali?
    Esempio: Tanto D’Annunzio quanto Dickens avevano ben chiaro che bisognava dare il proprio pubblico qualcosa che questi chiedevano. Ma uno lo faceva con accorta partecipazione, l’altro con calcolata teatralità. Uno dei due non ha migliorato l’alfabetizzazione del popolo a cui si rivolgeva…

  5. Dico la mia.
    L’esistenza stessa dei concetti di ‘alto’ e ‘basso’ è teologica e teleologica: prevede una fine ed è implicito in essa un Dio da monoteismo (se esiste l’ ‘alto’ esiste il ‘più alto’, e quindi…). Se accettiamo il fatto (e ogni ‘fatto’ è, appunto, ‘fatto’, ‘costruito’, quindi ogni fatto è ‘fiction’…) di vivere su una palla di fango dispersa nel cosmo, non esiste nessun concetto esterno alla produzione culturale che permetta di valutare la produzione culturale in sè. Perchè più in alto non c’è Dio. O meglio, potrebbe anche esserci, ma se ne sta per i fatti suoi – e la Terra continua a ruotare nel vuoto cosmico.
    La legittimazione avviene, appunto, all’interno di apparati di legittimazione, che sono validi solo all’interno di precisi contesti culturali (non è relativismo, è relazionismo). Non c’è bisogno di legittimare il porno perchè la gente possa farsi pugnette. E una volta legittimato, non è che le pugnette cambiano – è che i ‘colti’ possono farsele a cuor più leggero. Confondere i ‘discorsi’ accademici (che hanno il loro valore: io non sono per niente anti-accademico, io sono _dentro_ l’accademia) con il ‘discorso’ sociale è un grave errore, è come confondere l’etichetta di una bottiglia di vino con il vino. Il punto non è legittimare o no Stephen King. Il punto è capire che a lui, con ogni probabilità, di esser legittimato non interessa un
    fico.
    Questo non vuol dire che non sia possibile esprimere opinioni estetiche o d’altra natura. Esistono dei modi per raccontare ‘bene’ una storia – esiste un artigianato che è possibile, più o meno, giudicare. Ma tenendo presente che il giudizio è legato allo spazio, al tempo, alla psicologia, perfino alla biologia di chi lo esprime, di chi lo ascolta, del medium in cui è espresso, eccetera. Appunto, è a sua volta interno alla produzione culturale.
    In generale, poi, le visioni di una ‘società di consumatori’ che lasciano fuori il concetto di ‘produzione del consumo’ (in tutti i campi: letterario – Fish -, televisivo – Fiske – , quotidiano – de Certeau – eccetera) sono zombi di altri tempi. Lasciamoli riposare, dai.
    Detto questo, non capisco se Dawkins sia considerato ‘basso’ o ‘alto’: quando parla di religione è di una superficialità imbarazzante. Se non avesse ben sfruttato (appunto) gli apparati di legittimazione inglesi e internazionali, le sue considerazioni sarebbero state liquidate nelle tre parole che meritano. E sulla memetica, beh, ci sarebbe da dire un quintale di cose – ma è ancora di moda, se non sbaglio.
    Questa difficoltà a porre Dawkins al posto ‘giusto’ del continuum “alto-basso” dice qualcosa, forse, sul valore del continuum in sè…

  6. E’ vero. Abiamo regole per la Cultura ma non ne abbiamo per la Cultura di massa. Divertente, no? (Mi scuso per la criptici….citi…c..cipti-hoplà)

  7. “Alcuni limiti sono ancora rispettati, e oltrepassarli è da incauti.”
    Beh, anche questa affermazione è incauta, però.
    Sempre che l’abbia capita bene: cioè se al posto dei Led Zeppelin si mettono i Duran Duran allora la “devianza” non va più bene?
    Per dirla come Paolo S: se l’autore anzichè fare cultura popolare ma “onesta” fa cultura commerciale e “furba” sarebbe da rifiutare?
    Sarei d’accordo, ma il problema di distinguere dove finisce l’una e comincia l’altra e collocarle al loro posto nel “continuum” di Francesco non mi pare sia facilmente risolvibile.
    La mia opinione sarebbe quest’altra: non importa se ti piacciono i Duran Duran per qualunque sia perfida ragione, quel che conta è tu possa apprezzare anche Hindemith o Puccini o Ornette Coleman.
    Il guaio è se ti piacciono solo i primi e i loro simili.
    Insomma: posso essere un fine intellettuale eppure trovare godimento in qualcosa di stupidino come possono essere i gadget digitali (o peggio), e limiti a questo ragionamento è difficile metterli, secondo me.
    Poi però in pratica: se un supposto intellettuale mi dice che ama Coelho ecco che la Lipperini ha ragione: il limite è superato, qui si esagera!!
    Al punto di partenza? No, ecco qua: è accettabile se alla persona intelligente piace qualcosa di facile e stupidino, ma di una stupidità di cui è consapevole. Se la cosa stupida è presa sul serio, allora non va bene.
    Un esempio personale: a me diverte Victor Hugo, specialmente in certi brani eccessivi, ridondanti e tromboni, però lo so che sono tali.
    Insomma l’importante è la consapevolezza, poi se una cosa “bassa” ti diverte non vuol dire che sei scemo .

  8. Nautilus veramente superconcordo. Anche se sei ingiusto su Hugo, puaretto.
    Ma mi viene da aggiungere delle cose, cose che aggiungo perchè io sono di quelli che amano saltare dal basso all’alto e viceversa, auspicabilmente nella consapevolezza di cui parla Nautilus.
    – Che se ti piace una cosa infima – nel mio caso: ho nel curriculum 15 anni sani di Beautiful – devi lavorarare seriamente e onestamente, cioè sta a dire con onestà intellettuale verso il prodotto a dimostrare il perchè della sua seduzione. In questo senso la consapevolezza dell’idiozia deve essere relativa, deve esserci ma contenuta, perchè sotto un profilo intellettuale se è esacerbata è fuoriviante. Questo vuol dire dover riconoscere in certi prodotti idioti per statuto un merito che la Cultura con la c maiuscola tende a disconoscere e spesso a sociologizzare:”E’ interessante perchè rappresenta i valori in cui si identificano i giuòvani d’oggi” per esempio è un classico.

  9. Mi sembra che si stia sfondando una porta aperta già da parecchi anni. La mia impressione è che non ci sia un grande bisogno di trovare avvocati che difendano la cultura popolare, il “basso”, chiamiamolo come meglio ci pare. Va da sé, è strapotente, invasivo, vincente su tutti i fronti. Non credo proprio che oggi languisca nella dimenticanza e nello sdegno. Casomai è vero il contrario, ovverosia che sono le forme più complesse e aristocratiche a marcire lucchettate in soffitta. Artisti che indicano strade impervie se ne vedono pochi, tutti sono accondiscendenti con il mercato e i grandi numeri, tutti cercano di piacere alle folle, tutti vanno incontro gioiosi al pop, al pulp, al noir, ai fumetti e alle canzonette. Insomma, mi pare che si stia maramaldeggiando sul corpo semicadaverico di una cultura “alta” che ha già tirato le cuoia da parecchio. I poeti, i pittori, i musicisti, i narratori che spingono verso le cime finiscono nel gelo dell’indifferenza. O mi sbaglio? Un caro saluto a Loredana e a tutti quanti

  10. La seconda che hai detto, Lodoli. Ti do un indizio: la cattiva retorica di cui fai uso. Una via di mezzo tra Carla Benedetti e le poesie in punta di lapis di Marino Moretti: pare una postilla del tuo pezzo sulla perdita della maestra unica «che ci ha aiutato a crescere nella pace di un tempo immobile e fecondo».

  11. a me il commento di lodoli è parso molto sensato, in fondo bauman in questo articolo dice (male) qualcosa di simile, quando ammette che oggi “intellettuale” è diventato un insulto. non capisco invece la replica di girolamo, con questo tono astioso da buttafuori. e comunque “cattiva retorica”, anzi pessima, è anche quella di chi, sul modello di emilio fede (perché gli estremi si somigliano), nelle polemiche storpia il nome dell’avversario, cosa che girolamo qui ha fatto più di una volta.

  12. Se ‘intellettuale’ è diventato un insulto, la colpa è degli intellettuali.
    Avrei molte cose da dire sull’intervento di lodoli – per esempio, che senso ha, antropologicamente, il concetto di cultura popolare? Nessuno, oggi meno che mai, mi pare.
    Ma a una ci tengo: confondere ‘pulp’ (un fenomeno storico), fumetti (un medium), noir (un genere), eccetera, dimostra una scarsa comprensione del fenomeno di cui si parla. O, almeno, una mancanza di rigore nel farlo. Mancanza di rigore che svuota di senso qualsiasi provocazione – dal mio punto di vista, sia chiaro.
    E se un qualsiasi consumatore informato, uno di quelli che giocano di ruolo e comprano popcorn al cinema, legge una cosa del genere, se ne rende conto. E dice: ‘ammazza, ‘sti intellettuali, parlano, parlano, e manco sanno di che’.
    E, sapete cosa? Secondo me ha ragione.

  13. Ecco, Lodoli che arriccia il naso sul fumetto. Lodoli è un intellettuale di peso che prende la parola per esempio da Repubblica. Io sono il nulla mescolato alla polvere (sia chiaro, è esattamente quello che voglio essere e restare), eppure so che il fumetto fin dall’inizio ha dato prodotti straordinari.
    Il fumetto e l’animazione.
    So anche, io nulla polveroso, che Martin Kippenberger è con ‘Prima i piedi’ un grande artista (Kippenberger è stato un grande artista in ogni opera della sua breve vita d’artista). Eppure mi tocca sentire tale Girolamo che altrove sostiene fesserie su Kippenberger e il Muppet Show.
    Sparate, solo sparate senza amore per la cultura.
    Allora, noi polvere di nulla che cerchiamo un po’ di qualità nell’arte, cosa li leggiamo a fare gli ‘intellettuali’?
    A me viene in mente Lorenzo Milani che li lasciava fuori della porta.

  14. Be’ non voglio dire che tizio o caio è ‘trombone’. Insomma non mi interessa, anche perché è una logica dell’insulto che non accetto. Volevo solo fare un esempio concreto di qualcosa che è al di fuori della funzione, del compito di un intellettuale.
    Ma non è un problema irrisolvibile. Se chi è legittimato non ha amore e rigore, possiamo arrangiarci da noi, ognuno nel suo piccolo come delle molecole. La rete ci dà finalmente la possibilità.
    Wikipedia è un ottimo esempio, no?

  15. Tra i miei due interventi ce n’era uno, di un nick anonimo, ora cancellato, che conteneva ovviamente un insulto.
    Lo dico altrimenti non si capisce il mio secondo intervento.

  16. Hai ragione Andrea. E’ che io sono francamente stufa delle persone (sempre la stessa) che intervengono solo per postare una frasetta di insulto. Nonostante i reiterati inviti a non farlo, peraltro.

  17. Anche Lorenzo Milani era un intellettuale.
    Bisognerebbe intendersi su cosa è un intellettuale, mi pare che qui si intenda soprattutto alcuni chierici riconosciuti, cioè la definizione più ristretta.
    Anche la parola “artista” si è molto allargata negli anni, come la parola “scrittore”; direi di fare la stessa cosa con la parola “intellettuale”, altrimenti si usano due pesi e due misure.
    Wu Ming 1, per esempio, come può tirarsi fuori dalla categoria?
    E del resto la rete ne è piena.
    Che poi siano intellettuali che vale la pena ascoltare e indicano una visione nuova o chiarificatrice e articolata e acuta, ognuno deciderà per sé.
    @ Francesco
    “Il punto non è legittimare o no Stephen King. Il punto è capire che a lui, con ogni probabilità, di esser legittimato non interessa un fico.”
    Da attenta lettrice, gliene importa eccome, e va in guerra contro gli scrittori “accademici” che gli tolgono l’attenzione dei critici riconosciuti.
    Questa storia dell’alto e basso non è mai morta, è stata profondamente introiettata anche quando la si nega. Il canone, per quanto maltrattato, resiste ancora, benché sia plastico. Posso dire senza tema di smentita che quella che ha perso posizioni presso il pubblico è la trattazione complessa di ogni disciplina. Se si allarga il bacino degli utenti, anche chi propina interpretazioni del mondo ne terrà conto, fuori dal recinto dell’accademia, che è un recinto per specialisti.

  18. Oh, secondo me sulla questione “intellettuale” bisogna stare molto attenti – nel suo uso dispregiativo io ci vedo spesso un precipitato culturale che viene da destra, e l’accettazione di quel precipitato. Io credo che molti qui rivendichiamo un modi intelligente e polisemantico e onesto di trattare gli oggetti di cui ci nutriamo. Secondo l’accezione reazionaria e destrorsa l’intellettuale sarebbe quello che se ne sta per i cavoli suoi e sceglie solo alcuni oggetti in virtù di una loro presunta e in certe epoche (piuttosto remote) accreditata nobiltà.
    Ma io sinceramente rivendico un modo intellettuale di relazionarmi ai miei oggetti, e la differenza che propongo è solo in quali essi sono. Rivendico un atteggiamento attento e onesto (cioè come sopra: leggo i fumetti perchè LI TROVO INTERESSANTI e non PER SVAGAMME) e la necessità di usare gli strumenti più o meno razionali e più o meno innovativi che utilizzo normalmente.
    Trovo questo intellettuale, come l’ho sempre trovato e non c’è niente di insultante.

  19. Alcor, su King potrei sbagliare, ma se ben ricordo il punto che pone è diverso – e non ha a che fare con ‘l’essere lui legittimato’, ma con una presa in giro degli ‘organismi di legittimazione’. Ho i testi a due nazioni di distanza, quindi non sono certo di quanto dico, ma la mia memoria è quella.
    Comunque questo concetto di ‘canone’ prevede una certa teoria della critica che è tutto fuorchè condivisa nell’accademia stessa (ancora una volta, Stanley Fish non sarà un nome nuovo, per molti).
    Zauberei: sono più o meno d’accordo con te, anche se mi si rizzano i peli quando sento ancora parlare di ‘destra’ e ‘sinistra’. Il mio problema con la definizione di intellettuale è, diciamo, biografico. Io studio, leggo e scrivo sia per lavoro che per svago – compio attività ‘intellettuali’. Il problema inizia quando queste attività, in virtù di motivi culturali complessi (l’ancora imperante dualismo cartesiano, per dirne uno), vengono elevate a uno status ‘superiore’ rispetto alle altre. E lo dico contro OGNI mio interesse sia pratico, che ideologico.
    Di più. Un certo tipo di produzione ‘intellettuale’ è del tutto incontrollabile. Falsificabile non è ‘perchè tanto non è scienza’. Soggetta al pubblico non è ‘perchè tanto non è commerciale’. A criteri estetici neanche ‘perchè devi capire cosa voleva dire’. Alla fine si ritorna a una versione adulta (circa) di ‘mamma, guarda come scrivo/dipingo/suono bene’.
    Ora. Gran parte degli intellettuali con cui ho avuto a che fare, erano ‘intellettuali’ perchè, oggi come oggi, le carriere intellettuali sono facili: qualsiasi imbecille può diventare professore universitario, se sa applicarsi a studiare i traduttori dei traduttori di Omero, e la soglia di accesso ad altre professioni intellettuali è perfino più bassa. Invece, se giochi male a pallone, gli amichetti non ti sceglieranno mai per la loro squadra. Se cucini male, al tuo ristorante non viene nessuno. Lì c’è qualcosa che _si vede_. Nel lavoro intellettuale ci sarebbe anche, ma solo se riusciamo a scrostarlo da decenni di polvere e nebbia. Fattibile? Non so.

  20. “Wu Ming 1, per esempio, come può tirarsi fuori dalla categoria?”
    Dipende da quale categoria stai descrivendo, dal momento che Francesco Dimitri ha parlato di un sotto-insieme di persone definito da un’attitudine sopra descritta: quelli che parlano di popular culture da fuori, facendo di ogni erba un fascio. Ecco, in questo caso credo che il mio percorso parli per me, per cui “tirarmi fuori” posso eccome.
    Se invece parliamo di concetti generali, di ontologia (“essere intellettuale”) etc., è un altro paio di maniche. In quel caso, non trvo esempi di alcun “tirarmi fuori”. Per me, e non ho mai cessato di ribadirlo, “intellettuale” è chi fa un lavoro intellettuale o comunque opera pubblicamente col proprio intelletto. Altre connotazioni mi sono sempre state sulle balle. Proprio come Zauberei, mi sembrano destrorse, reazionarie. Però ha ragione Dimitri: spesso queste connotazioni resistono anche – non soltanto, ma anche – per colpa di chi si impegna a incarnarle.

  21. A me (molto in basso come si capisce nella gerarchia della polvere del bravo Barbieri) l’intervento di Lodoli è piaciuto, mi trova abbastanza concorde. Non mi pare condanni senza appello la cultura popolare, ma che trovi solo che le sia rivolto un interesse quasi unilaterale rispetto a quella più tradizionale .
    Dove mi pare sbagli è nell’interpretazione dell’articolo di Bauman: lì non si esalta la cultura “bassa” ma si cerca di spiegare come anche un intellettuale autentico possa provare interesse e godimento profondi in certe manifestazioni di questa cultura.
    Non sarà un argomento rilevante, ma, pur non frequentando una cerchia di intellettuali, quante volte il sottoscritto non è stato beffeggiato perchè esprimeva la prpria ammirazione per “Pretty Woman” o per “Beautiful”? (Zaube non sei sola!)
    Ecco, l’articolo di Bauman mi pare vòlto a far giustizia dell’intellettualismo di maniera.

  22. Beh quando uso la parola ‘intellettuale’ intendo chi può decidere di prendere la parola da qualche luogo ‘autorevole’.
    WM1 è vero pubblica articoli su La Repubblica, però credo sia, per così dire, una concessione, non è insomma il padrone di quello spazio.
    E’ invece padrone invece di uno spazio in rete, che è meno ‘autorevole’, ma sicuramente culturalmente più avanzato, vivo e complanare alle persone cui si rivolge, che infatti possono interagire con lui.
    Questo è un altro modo di essere ‘intellettuale’. Così come era un altro modo quello di scrivere da un particolare tipo di grattacielo chiamato monte Giovi.

  23. @Wu Ming, appunto, vale anche per me la seconda, mentre barbieri usa il termine in modo negativo (se non ho frainteso) per indicare un’altra modalità.
    Torno a quanto ho detto, bisognerebbe intendersi. Oddio, bisognerebbe, sarebbe solo più comodo.

  24. Scrivo di cinema, ho scritto di sport, passo metà della mia vita in una borgata di Roma insegnando italiano e storia in un istituto professionale. Non mi sono mai sentito un intelllettuale per molti motivi, il primo dei quali è che non sono una persona particolarmente colta e tante cose proprio non le capisco. Volevo semplicemente far notare che ai nostri tempi non manca certo un contributo potente di cultura pop o come diavolo vogliamo chiamarla. Piuttosto manca una spina verso l’alto, qualcuno che indichi alternative nobili, istanze ideali, percorsi che escano dall’ammucchiata generale. La poesia, ad esempio, è caduta in disgrazia, si pubbllicano pochissimi libri. L’arte è soggetta totalmente al mercato e alla moda, un gallerista mi confessava che oggi nessuno più noterebbe un pittore come Morandi, riservato e inflessibile nella sua ricerca. Il cinema d’autore quasi non trova più distribuzione in provincia, dove imperano le multisale e i filmoni spettacolari. I giornali quasi non recensiscono più libri che non siano casi extraletterari. Le orchestre non hanno più finanziamenti e chiudono. E anche le librerie fanno una fatica enorme a tirare avanti, perché non si vede un ricambio generazionale nei lettori. Il teatro più interessante, penso alla Valdoca per esempio, non trova spazi per farsi vedere e amare, mentre i comici trionfano ovunque. O mi sbaglio? Un saluto a tutti, Marco Lodoli

  25. Da come metti le cose esisterebbe una cultura pop (non so quanto abbia senso questa espressione, ma usiamola) ‘potente’ e una cultura ‘alta’ che è ‘nobile’ e per pochi.
    Be’ non è così, non esiste questa separazione. Gianni Pacinotti che è autore di fumetti col nome Gipi, ha sicuramente scritto un capolavoro, ‘S’. Questo libro, che è il ricordo di suo padre Sergio a due anni dalla morte, è popolare come linguaggio, è raffinatissimo e innovativo, ed è di una nobiltà, di una civiltà assolutamente pregevolissima.
    Il Teatro delle Albe, che quanto a innovazione e qualità non è meno del Teatro della Valdoca (e tante volte nei festival vengono chiamati entrambi) ha organizzato una serata molto bella sui cortometraggi di Gipi. Così come ha organizzato un evento con Moresco, che a differenza di Gipi, specialmente per i Canti del caos, usa una narrazione diciamo così più elitaria (penso all’uso delle immagini che ne fa un artista visivo contemporaneo a tutti gli effetti).
    Chi davvero lavora bene si lascia alle spalle le separazioni artificiali. Anzi: artificiose.

  26. Non è che secondo me ‘intellettuale’ è una parolaccia. Soltanto vorrei che tornasse a essere scritta insieme a ‘responsabilita’. Se una persona per esempio recensisce libri sulle pagine culturali nazionali di Repubblica ha una ‘autorizzazione’ molto forte, insieme a una responsabilità altrettanto forte, e non può non offrire il meglio del discorso critico. Invece apro l’ultimo dei blog dell’ultimo degli otaku di provincia e trovo un’attenzione, un’informazione e diciamolo, un amore per la cultura, più alto che sulle pagine culturali di uno dei più grandi quotidiani italiani.
    Esempio, parlo del fumetto perché è la situazione che conosco meglio. Dopo anni di tentativi voltoliniani di recensire le graphic novel come si deve, ttL ha addirittura fatto marcia indietro. Sono cose culturalmente inconcepibili. Succede che devo scartare gli spazi ‘autorizzati’ e ‘autorevoli’ per rivolgermi alla rete, per esempio a un sito come Lo spazio bianco, che tra l’altro ha delle regole per assicurare la trasparenza dei recensori, assolutamente ferree e impensabili nel mondo della ‘cultura alta’, ‘letteraria’.
    Allora ripeto, di redazioni di ‘intellettuali’ così che ce ne facciamo, quando c’è una cultura che viene dal basso con una vitalità feroce?
    E in più, ciclicamente dobbiamo anche leggere le lamentazioni della cultura ufficiale verso i blog…

  27. Andrea: capisco al 100%, e mi immedesimo. Io ho proposto varie volte di recensire giochi di ruolo – spiegando che Unknown Armies è il canto del cigno del postmoderno, che il nuovo D&D è uno spettacolo di costruzione narrativa ipermediale, che Kult permette di vivere il ‘mood’ gnostico meglio di tanti saggi. Macchè. Un manuale di gdr è un libro, è fatto di carta e inchiostro, si legge, ma per qualche motivo non è Libro. Perchè la narrativa l’è una cosa seria, mica una cosa da fare con amici bevendo e mangiando e facendo casino tutta la notte. Mah.

  28. Be’ Dimitri qui devo fare ammenda, anch’io credo ho sottovalutato le strutture narrative dei videogiochi. Impazzava a quel tempo una guerra feroce (o almeno io la vedevo così) e mi pareva che ogni parola sui videogiochi fosse un’anfibiata in faccia alla letteratura che amavo.
    La cosa curiosa è che a farmi cambiare idea è stata proprio quella letteratura, nel senso che un libro sui videogiochi era uscito per la collana curata da uno dei prediletti scrittori 🙂

  29. Comunque a me pare che Fry una distinzione la faccia: lui dice “mi possono piacere manifestazioni di cultura d’elite (per cui si presuppone un’adeguata educazione) e robetta della cultura di massa alla portata di tutti, L’UNA COSA NON ESCLUDE L’ALTRA…” ma la distinzione in quel caso rimane.
    Qui non si tratta di nobilitare la cultura popolare (operazione che, son d’accordo in questo con Lodoli, si fa tutti i giorni dalla mattina alla sera) ma di ammettere che una persona di raffinata formazione possa godere con egual piacere i passatempi “facili” che questa cultura propone, senza, come dice Fry: “cadere in frantumi”.
    Anzi, se un intellettuale non ha di queste diversioni, per me è sospetto.
    Una storia:
    capitai in casa d’un regista TV, aveva una grande filmoteca vhs in cui mi misi a curiosare. Che c’era? “La febbre dell’oro”, “Senso”, “Amarcord”, “Casablanca”, “Ladri di biciclette”, “Dies Irae”…e così via! centinaia di titoli da grande storia del cinema…ma un gusto personale no? Magari un “Giovannona Coscialunga”? Un “Alien scontro finale”! Macchè, NIENTE! Era una cineteca disperante.
    Sarà stato un intellettuale vero come voleva sembrare, costui? Ho i miei dubbi.

  30. Lodoli, posso troppo tempo a studiare circolari, leggi, proclami pseudo-pedagogici di fonte ministeriale (ma tra Gelmini e Fioroni non faccio differenza) per non trovare (e non da oggi) il tuo rimpianto verso i bei tempi in cui c’era la spinta verso l’alto ed era tutta campagna e maestra unica, i tuoi strali verso la mancanza di istanze ideali, le tue espressioni del tipo “ammucchiata generale” del tutto concordi con l’impianto culturale che sorregge (e non da oggi) l’inversione a U della politica scolastica. Te lo dico non come intellettuale (che non capendo Kippenberger, pare non possa), ma come insegnante.

  31. Andrea: io parlavo dei gdr ‘da tavolo’, quelli vecchia maniera. Non vengono neanche riconosciuti come medium (sto facendo un PhD proprio su questo: perchè cavolo sia l’immaginario giornalistico che le ‘storie’ accademiche si sono saltati a piè pari non un genere ma un medium _intero_?)

  32. Kippenberger lavorava negli anni di Paladino, Clemente eccetera. I pittori della Transavanguardia hanno fatto cose interessanti, eleganti, a volte anche belle. Però Kippenberger, pittore come loro, postmoderno come loro, colorista, disegnatore anche nella pittura, inventivo, libero e giocoso, riusciva a fare cose di una drammaticità vera, piantata nella vita, come la Transavanguardia non è mai riuscita, nemmeno nelle opere più tribolate di Clemente. Non so, per rendere l’idea spostandosi nella letteratura, è come se parlassimo di Mattatoio n.5. Questo è vero per tutte le opere di Kippenberger. La sua tensione creativa è stata in un arco di tempo molto breve sempre intensissima. Davvero è un artista che non puoi non ascoltare e non amare.

  33. Francesco, non so come possono aver saltato un medium intero, quello che ti posso dire è che una persona che pattugliava una spiaggia del Costa Rica, approdo delle tartarughe femmine per seppellire le uova, be’ era notte, s’è saltata un tartarugone gigante pigliandolo per uno scoglio.
    Boh, si vede che è buio anche nelle università… 🙂

  34. @andrea
    Gipi non me pare usi per nulla un linguaggio pop(olare). Mi pare molto difficile che il “popolo” apprezzi quei disegni disegnati male. E’ roba supersofisticata.
    Non credo che i fumetti, i disegni siano pop in quanto tali, come mi sembra che si intenda qui. A meno di non intendere anche l’alfabeto come uno strumento pop in se’.
    Con i disegni, con i fumetti ci si fanno cose pop e non.
    @Francesco
    che l’intellighentia un po’ avanti con l’eta’ non si interessi di D&D mi pare normale e, in fondo, pure sano. E’ vero, che Gary Gigax è morto e sepolto e che quindi ormai cos’e’ un role playing dovrebbe essere acquisito. ma ci sono molti giovani intellettuali 30/40enni (ne conosco diversi) che ci sono venuti su benissimo con Call of Cthulu e ADandD e che quelle cose le mettono e le metteranno nelle cose che fanno.

  35. Ci volevo solo dire che vedere citati su Lipperatura il D&D, il Richiamo di Cthulhu, io ci aggiungo di mio GiRSA e ONSTAGE, fa proprio piacere e mi fa sentire molto meno nerd.
    Chissà se il fatto che Spielberg e Lucas siano stati grandissimi fan di Gigax ha significato qualcosa 🙂 Ve lo immaginate partecipare ad una sessione con Antonioni che masterizzava?
    Il discorso di cultura alta e bassa, è antico. Sarò banale ma penso proprio che non abbia senso. Se fosse vero quello che dicono i critici, ossia che ogni generazione di scrittori\lettori sia un gradino inferiore alla precedente, adesso scriverebbero solo cinghiali per oranghi.
    Né il successo di pubblico può essere l’unica garanzia di qualità. Forse il tempo è davvero l’unico a poter mettere bocca in questa faccenda. Ma poiché il tempo è nient’altro – in questo caso – che una lunga striscia di pubblici e critici che si susseguono, non starei a fidarmi troppo neanche di lui.
    Nel senso che spesso non è facile capire la differenza tra il giudizio del tempo e il giudizio della moda. A meno di non avere proprietà prolettiche…

  36. Alessandro, si e no. ‘Sì’ perchè certo, hai ragione, di ‘giocatori’ ce ne sono. Ma tu mi citi CoC che, vado a memoria, è del 1981. 1981. D&D? 1974. E non c’è stato niente nel frattempo? Niente Ars Magica, niente Over the Edge, niente Changeling, niente Nobilis, niente Dogs in the Vineyard, niente Spirit of the Century? I regolamenti mutano, il gdr ha una storia dinamica (Ekerot cita Onstage, un prodotto italiano di cui dovremmo andare orgogliosi… ma, quanti dei presenti lo conoscevano?)
    Considerando il tuo discorso, la stessa intellighentia che ha il diritto di non sapere (anzi, che è addirittura sano che non sappia) cos’è un gdr per motivi ‘anagrafici’ non dovrebbe parlare di iPod, creative common, facebook, eccetera. Il che mi pare assurdo.
    Rapido esempio. Di recente è uscito un meraviglioso remake di CoC, con un regolamento diverso – un regolamento che è, come tutti i regolamenti di gdr, una implicita teoria narrativa (in questo caso, su cosa sia l’horror). Ed è, secondo me, uno dei migliori prodotti horror degli ultimi anni, assieme a Casa di Foglie. Che a sua volta è un libro con elementi ludici. Però è Libro, e merita analisi, e gli accademici e i giornalisti ci si interrogano. Del remake di CoC (si chiama Trail of Cthulhu, per chi fosse curioso), nisba. Non voglio ri-cadere nell’equivoco della legittimazione, ma è una forma di miopia su cui è interessante porsi domande, no? Perchè o si dà per scontato che tutti quelli che ignorano i gdr sono stupidi e superficiali (cosa che non credo), o ci sono altri fattori culturali in gioco. Gli stessi, per tornare a bomba, che fanno sì che, quando propongo la recensione di un gdr (che fisicamente è un libro a tutti gli effetti) a una redazione grossa, mi si risponda ‘no, grazie’. Forse sarò guidato dalle mie passioni, non dico di no, ma a me sembra che qui di domande da porsi ce ne siano eccome.

  37. @ Alessandro Lanni
    Che la tecnica di Gipi nel disegno e nella narrazione sia raffinata è vero, non potrebbe essere diversamente, però il risultato non è una storia cervellotica. Sono finora storie ambientate nella provincia di Pisa, di famiglie tutto sommato normali.
    Poi lui sa fare in modo che il racconto non sia lineare, ma lo fa diciamo così con molta gentilezza. E sono storie che alla fine portano alla luce un dolore che tutti possono capire, sentire. Sono storie di vita.
    Gipi ha rinunciato alla sua parte visionaria e fantastica per concentrarsi su una forma di realismo. Negli incontri dice sempre che la sua tecnica è influenzata dalla leggibilità (non mi vengono ora parole migliori).
    Il risultato è che i suoi libri, quando riescono ad arrivare sotto gli occhi del lettore, sono unanimenente apprezzati e amati (davvero non ho mai visto un tale amore ‘bulgaro’).
    Mentre Marco Corona, disegnatore spledido, narratore geniale, produce però storie ‘sospese’, più difficili da leggere, bellissime per particolari che esplodono dentro, per le atmosfere, per le suggestioni, per l’ispirazione.
    A costituire un problema per tutti è invece il medium fumetto. Cioè si fa fatica a raggiungere il lettore, perché c’è un pregiudizio sul fumetto come arte per ‘bambini’.
    Poi io terrei distinto il ‘pop’ dal ‘popolare’. Nel senso che quello del pop è un linguaggio nato in un certo periodo storico e non necessariamente popolare, tant’è che oggi è utilizzato per produrre arte visiva e anche libri di fiction e saggistica secondo me più elitari che popolari.

  38. Andrea, pero’, non per difendere questi “intellettuali” (che poi chi e’ oggi che si definirebbe intellettuale, un dieci per cento di quelli che oi definiremmo tali), ma mica una cosa scritta da un intellettuale deve essere per forza cervellotica.
    Io non sono andato mai a un incontro con Gipi, mi fido che ci sia un amore bulgaro, anche se mi viene il dubbio che sia bulgaro proprio perche’ sono tutti li’. Insomma, anche ai raduni dei Baglioni fan club c’e’ lo stesso amore bulgaro.
    Boh, io non so se sia un problema reale questa storia del medium fumetto e della cattiva fama che ha. Corto Maltese e’ stato un gran successo, molto intellettuale e molto di successo. E se non piace non dipende solo da snobberia, ma magari proprio perche’ e’ un linguaggio che va conosciuto e poi apprezzato.
    E’ vero, altrove i fumetti hanno un altro status e altre vendite, ma lo stesso discorso vale anche per i libri.
    Per dire, esistono fumetti molto snob e libri molto pop (e’ una banalita’, ma mettiamo le cose a posto)

  39. Aspetta Alessandro. Ho scritto:
    “Il risultato è che i suoi libri, quando riescono ad arrivare sotto gli occhi del lettore, sono unanimenente apprezzati e amati”
    cioè non sono amati soltanto dallo zoccolo duro che segue Gipi sul blog o negli incontri pubblici, dai suoi fan insomma. Sono amati in generale da chi diventa suo lettore, anche se prima non lo conosceva.
    Tieni presente che l’ultimo lavoro LMVDM (che se ho capito conosci) è stato distribuito in edicola con Internazionale ed esaurito praticamente subito.
    Ora è ristampato da Coconino allo stesso prezzo.
    Se invece penso a un fumetto meno popolare direi il lavoro di Alan Moore. Che tuttavia è un genio assoluto.
    (So che penserai: ma Moore ha più lettori di Gipi, ma questo dipende da tanti fattori, diversi dal carattere popolare o non della narrazione).

  40. “Cosa voglio dire?
    Che nei tre casi citati chi leggge non si sente, mai, voyeur.”
    Mah! straordinaria questa capacità telepatica di sapere interpretare cosa provano tanti diversi lettori dei tre autori. Un pensiero fantastico e una conoscenza del voyeurismo perfetta!

  41. Ma la definizione di “intellettuale” non è un vezzo? non basterebbe dire scrittore (cioè che scrive cose pubblicate tramite mediatori)?

  42. ‘Intellettuale’ è la definizione di una funzione fondamentale per il bene della società.
    Da qui la rabbia, quando non viene svolta come dovrebbe.

  43. allora caro andrea non vedo in giro molti intellettuali. La definizione che ne dai è molto “platonica”. Alla vetta della piramide i filosofi. Sarebbe da provare. Ma Adorno mi sembra abbia chiarito la nuova dimensione merceologica dell’artista moderno. Mi sembra che sia in atto un’involuzione Preferisco allora una posizione alla Houellebecq o le analisi lucide di un Gottfried Benn. Però vorrei sbagliarmi

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