GUARDARE INDIETRO

A parte gli scherzi e fuor di polemica. C’è qualcosa che mi dà da pensare in questo strampalato inizio di autunno: mettiamo in fila almeno due dei libri usciti recentemente, già peraltro citati qui: parlo di Zio Demostene di Antonio Moresco, e dell’antologia Strettamente personale.

Pur diversissimi negli intenti, nella poetica, nel linguaggio, entrambi guardano indietro nella storia privata (che in molti casi, certo, è anche politica) . Passeismovert_1 Ed entrambi mi suscitano un dubbio: antico e invariabilmente  legato a quella parte di produzione letteraria italiana che al soggettivismo resta inchiodata. Da dove nasce, e perché è in incremento, l’esigenza di raccontare se stessi prendendo spunto dal passato, si tratti dello zio rivoluzionario o, come altrove, della mancata rivoluzione che ha sfornato dirigenti di televisioni satellitari? Perché il presente sembra non raccontabile? Avrà mica ragione Naipaul quando dice che oggi il romanzo deve cedere le armi davanti alla narrazione giornalistica?

Ricordo una vecchia teoria di Paolo Fabbri a proposito del “passeismo”. Diceva così: “Sappiamo tutti che gli storici sono i profeti del passato. E così è il nostro sguardo oggi, uno sguardo storico. Siamo entrati nel terzo millennio, ma evidentemente con il volto girato verso il passato…sembra che affrontiamo il nuovo secolo non come all’inizio del Novecento, con lo sguardo rivolto verso il futurismo, ma con lo sguardo rivolto verso il ‘passeismo’”.

E allora? Allora non ho, come sempre, soluzioni: pongo qui le stesse domande che rivolgo a me stessa.

Per le certezze, rivolgersi altrove: per esempio a Massimo Onofri, intervistato oggi dal Corriere sul tema dell’impegno. Finale:

C’è stata, secondo Onofri, una fase storica di totale rigetto degli strumenti critici, che ha coinciso con il momento culminante del «calvinismo» e dell’«echismo». Siamo alla fine degli anni Settanta. «Nel suo nuovo libro sulla generazione di Tondelli che sto recensendo per Diario , Palandri racconta l’esperienza della rivista Panta : mi ha sempre colpito il fatto che da quell’esperienza fu tenuta volontariamente fuori la critica, eppure Tondelli era una spugna che assorbiva di tutto. Però gli mancavano i quadri di riferimento, il senso della tradizione. La biblioteca di Alessandria era stata bruciata per la seconda volta: che cosa potevano fare questi giovani, i più puri di cuore, se non illudersi di ricominciare da capo? Questo è il motivo per cui, rispetto alla generazione precedente (dei Cordelli e dei Montefoschi, dei Tabucchi e dei Celati), le risposte letterarie furono, con le dovute eccezioni, regressive e acritiche. Con l’ultimo Calvino e con i romanzi di Eco, con il mito di Borges e la conseguente convinzione che tutto era stato scritto, la letteratura italiana era arrivata a una fase terminale». Forse si sentì il dovere di azzerare tutto e di ricominciare euforicamente da capo. «Sì, ma Tondelli lo fece in modo molto accondiscendente rispetto alla realtà, aprendosi alle mode e alle mitologie del suo tempo». Per la prima volta insomma si rinunciò al binomio letteratura-critica? «E’ così. Con effetti anche ridicoli di analfabetismo di ritorno. Per esempio lo stupore di Tondelli quando scopre Arbasino…».

57 pensieri su “GUARDARE INDIETRO

  1. Riccardo, io non faccio distinzione di secoli, sono molto poco “novecentesco” come immaginario di riferimento. Il novecento ha prodotto un sacco di letteratura borghese e dell’antieroe che sarà anche bella ma che non mi interessa né appassiona. Di solito mi richiamo alle epopee dell’antichità, alle ballate medievali, alle chansons des gestes etc. Mi richiamo alla funzione del bardo, dell’aedo, del trovatore.

  2. scusate, pregevoli commentatori del mio blog preferito (ma una volta – posso dirlo? – era N.I.), pur leggendo i vari interventi – forse i più vicini al mio parere sono quelli di Wu Ming, di Biondillo anche Ferrazzi però – non mi è chiara una distinzione (ma si tratta di una distinzione?): tra chi scrive del passato, e non può certo essere definito solo per questo passatista, e chi scrive del PROPRIO passato. Insomma, Manzoni ha scritto del secolo XVII, e indirettamente anche del suo, senza dire granché della mamma e del papà (se non ricordo male…); e persino Hemingway (che peraltro la mamma… la odiava) avrà certo raccontato come pochi Caporetto o la pesca del marlin, ma ormai lo sanno tutti che nulla di quello che ha scritto l’aveva vissuto veramente in prima persona… comunque non così. Dico bene?

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