GUARDARE LA LUNA, E ANCHE IL DITO

Non è questione di indicare la luna e di guardare il dito. E’ che dito e luna, come direbbe Alejandro Jodorowsky, appartengono a due mondi diversi. In questo caso, allo stesso mondo, guardato da due diversi punti di vista. Non è una storia zen, è una storia di informazione, di media e di spiazzamenti.
I fatti, per cominciare. Venerdì scorso tutti i quotidiani riportano la notizia della sentenza della Corte di Cassazione. Le prime tre righe della notizia sono: “nei procedimenti per violenza sessuale di gruppo, il giudice non è più obbligato a disporre o a mantenere la custodia in carcere dell’indagato, ma può applicare misure cautelari alternative”.
Sempre venerdì pomeriggio, interviene a Fahrenheit Barbara Spinelli, che spiega con chiarezza come vada interpretata quella sentenza (in parole davvero povere – le mie, in questo caso – rimanda al giudice la decisione). Nel frattempo, però, sui social network, Facebook in primo luogo, dilaga il passaparola: a protestare sono gruppi di donne e organizzazioni femministe, e anche singole e singoli. Di bacheca in bacheca, la notizia si ingigantisce e si arriva a parlare di  stupro depenalizzato e fioriscono avatar listati a lutto per la messa in libertà dei violentatori.
Ebbene. Nei due post più linkati nelle ore successive, quello di Federica Sgaggio e quello di julienews, si rettifica la notizia così come aveva fatto Barbara Spinelli. Ma mentre Barbara ha giustamente ricordato che questo non solo non diminuisce di un’oncia la gravità della situazione italiana per quanto riguarda stupro e violenza (la conseguenza è che la battaglia, tutta culturale, deve riguardare quei giudici che sono chiamati a decidere), da quei due post (e da molti altri) si ricava la sensazione – più o meno esplicita – che  a essere messe sotto accusa siano soprattutto le donne. Coloro che hanno male interpretato la notizia nei loro comunicati ufficiali (Se Non Ora Quando), le singole ragazze e non che hanno protestato nei loro profili.
Dunque: a essere in difetto non sono gli organi di informazione che hanno come proprio dovere e ragion d’essere la correttezza della medesima, bensì i lettori e le lettrici che non sono capaci di approfondire le notizie fornite e informarsi a loro volta, divenendo essi stessi generatori di informazione. E’, grossomodo, lo stesso atteggiamento del sindaco Alemanno che a fronte dell’assenza di contromisure alla neve caduta venerdì, accusava i romani di non aver messo le catene.
Ed è un vero peccato. Perché, semmai, la reazione viscerale delle donne  è il segnale di un’esasperazione che si deve alla disattenzione di chi (politica e informazione, di nuovo) ha cavalcato le istanze del movimento per poi disinteressarsene quando si deve passare ad altro. Perché, come ha ricordato la relatrice Onu Rashida Manjoo durante la sua visita in Italia, non c’è nulla che sia migliorato dal punto di vista della violenza, e tuttora su questo tema le donne sono condannate all’invisibilità.
Invisibilità. La pronta reazione contro le sciocche che guardavano il dito sembra mettere in secondo piano tutto questo. Trascura che esiste un silenzio maschile (come ha sottolineato subito Lorella Zanardo, come scrive Giovanna Cosenza, come ha denunciato Femminismo a Sud) che dura da troppo tempo: silenzio sulla propria cultura, sugli stereotipi in cui si è cresciuti, sui modelli che vengono proposti. Dopo l’intervento di Barbara Spinelli in trasmissione ho sollecitato una risposta da parte degli ascoltatori maschi. Ho ricevuto, con due sole eccezioni, messaggi contro le madri degli stupratori e contro le “streghe” con cui gli stupratori medesimi erano costretti a convivere, tre sms consecutivi di padri separati che protestavano perché dovevano mantenere l’ex moglie e i figli, uno che ricordava come i medesimi siano costretti al suicidio (il giorno dopo, un padre separato ha ucciso il proprio bambino di pochi mesi, gettandolo nel Tevere), e una perla finale da un avvocato del Tribunale del riesame di Napoli che consigliava a Barbara di “rileggersi la CaZZazione” (sic).
E’ facile prendersela con le  associazioni che hanno invitato a protestare sui social media: non costa nulla e ci sarà sempre qualcuno prontissimo a rilanciare i link per dimostrare che le donne sono disinformate e isteriche. Difficilissimo è chiedere informazione corretta a chi è preposto a fornirla. Ancor più difficile chiedere, per il bene delle donne e degli uomini, che questi ultimi comincino ad affrontare i simboli culturali che vogliono farne dei mostri, dei predatori, o degli assassini. E a volte ci riescono.

93 pensieri su “GUARDARE LA LUNA, E ANCHE IL DITO

  1. Cara Loredana,
    per capire i sentimenti delle persone che si trovano al di fuori di circoli interessati al problema – come sono per esempio i commentaria dei forum che seguo – cerco di leggere i commenti dei lettori di alcuni qoutidiani online.
    Dopo aver letto “IL fatto quotidiano” di solito sono arrabbiata e desolata nello stesso tempo: ogni volta che si parla di stupro (o di questioni di genere) la maggior parte dei facinorosi commentatori si scatena tirando in ballo le false accuse di stupro, i problemi dei padri separati, e via di seguito.
    Il discorso è complesso: da una parte ho anche io l’impressione che le campagne contro lo stupro puntino alla demonizzazione del maschio in quanto tale; NON È VERO, lo so, ma a forza di sentir dire che “del problema si parla molto, le donne sono ipertutelate, etc”, alla fine me ne convinco anche se non è vero. Dall’altra parte, mi rendo conto che se i commenti sono quelli che leggo e se le risposte che avete ricevuto nella trasmissione sono del tenore che hai raccontato, vuol dire che in realtà
    non abbiamo ancora la consapevolezza di cosa sia uno stupro.
    Ho l’impressione che questa reazione maschile sia dovuta al fatto che viene stigmatizzato l’atto, ma che non sia ancora stata scalfita la “cultura dello stupro” che porta all’atto.

  2. Loredana, due cose: 1) il problema dell’informazione è un problema tout-court. Non ci sono notizie più vere di altre. Ed è giusto secondo me l’atteggiamento di Sgaggio di voler ricostruire sempre correttamente il discorso in cui la notizia si crea. Per dare a ognuno la possibilità di reagire con la sua gradazione di indignazione, dolore, perplessità. Non esiste solo il dito o la luna, se vogliamo fare un discorso comune. Esistono pollici, anulari, lune nuove, lune piene, e tanti barlumi nel cielo – a mezz’altezza.
    Poi: 2) chiedi un intervento degli uomini. Va bene. Provo a dire la mia.
    Nel momento in cui la violenza è già avvenuta (stalking, aggressione, ricatto, stupro, qualsiasi abuso…), per me non esiste più relazione. A quel punto lì la questione è giuridica. E sono dalla parte della vittima. Stop.
    Il punto è ovviamente prima.
    Il punto è che molti maschi spesso non si fanno domande sulla gestione di una relazione qualora questa relazione non dovesse andare bene. Chi sono io fuori dalla relazione?
    Ora partirei da un esempio manicheo. Partirei dalle asimmetrie diciamo più naturali uomo-donna, non da quelle culturali (anche se sappiamo bene quanto poi – io sto con Butler – tutte queste arrivino quasi a coincidere).
    Mettiamo che io sono un uomo di trent’anni che ha desiderio di paternità.
    Mettiamo che io sono una donna di trent’anni che ha desiderio di maternità.
    Nessuno di noi due sta molto bene. Nessuno è capace di vivere decentemente una relazione con l’altro. Non lo sa fare. Irrisolti, se non psicotici, persone molto deboli psicologicamente come tanti. Entrambi sanno forse che sarebbe bellissimo viversi una genitorialità insieme, che per la felicità del bambino avere più modelli serve a farlo crescere meglio, ma. Ma sono bravi zero con le relazioni.
    Ora quale può essere l’esito del desiderio dell’uno e dell’altra?
    Il primo, il maschio, si deprime. E diventa mettiamo aggressivo. Non sapendo viversi una relazione, sfascia. E nel caso gli capiti di avere un figlio, non fa nulla per tenere unita la coppia. Si separa (viene mollato, allontanato), e diventa uno dei tantissimi padri separati, esasperati e rivendicativi. Addirittura riscopre una piccola coscienza politica a partire dalla rivendicazione del suo diritto, di vedere i figli, etc… In rete ci sono ormai decine di siti di associazioni che organizzazioni sit-in, manifestazioni, proteste, battaglie giuridiche…
    La seconda, la femmina, c’ha una relazione che dura tre giorni, un mese, tre mesi, e rimane incinta. Non gliene frega niente della relazione, o non è capace di portarla avanti, ma quel desiderio invece che in lei era netto, preciso, giusto, l’ha portata a dire, ho trent’anni, trentacinque anni, quaranta, quanto posso aspettare per vederlo realizzato, soprattutto se sono una persona tendenzialmente depressa, incapace di costruire relazioni difficili, etc…
    Ora, per me, se volete capire le cause che generano molti mostri, partite da esempi del genere. Mi colpisce sempre nelle storie di violenza sessuale, di qualunque tipo, la generale giovane età delle persone. Ragazzi di vent’anni, alle volte diciotto, o ventisei – come quel povero ragazzo che l’altro giorno a Roma ha buttato il figlio nel Tevere da ponte Mazzini. “Medeizzazione”, dice giustamente Caputo.
    La giovane età vuol dire per me anche: desiderio di una comunità, di una famiglia. Che è un desiderio anche sano vissuto da persone che però non sono capaci di vivere le relazioni.
    E poi che succede? Cosa succede in una società che incita (ma non educa) al desiderio, quando il desiderio non è più realizzabile?
    La natura in questo caso è un’alleata della donna. Le madri single sono spesso una famiglia, i padri single no. E in un contesto di solitudini come quello che spesso viviamo, questo può essere un bel brodo culturale che fa nascere e crescere depressione e violenza.

  3. Considero il problema della violenza sulle donne uno degli scandali piu’ stridenti della nostra cultura quindi non ho nessun dubbio a concordare con lei sul fatto che e´compito sia delle donne, ma soprattutto delgi uomini, riflettere sul ruolo determinante della violenza sessuale nella nostra societa’.
    Pero’ mi permetta un’osservazione: il suo post precedente che doveva fare il commento alla sentenza della Cassazione (per inciso capire le sentenze della Cassazione e la loro rilevanza e´complesso anche per gli esperti, per esempio in Italia non esiste nessun obbligo per i giudici di seguire la giurisprudenza della Cassazione siamo un Paese di civil law non di common law) riportava il racconto straziante dello strupo subito da Franca Rame.
    Le pare che quel racconto fosse adatto a commentare e trasmettere il significato della sentenza? Mi permetta di dubitarne.

  4. chi ha messo in circolo e rilanciato la notizia, in quella forma, sapeva bene quel che faceva: quante volte abbiamo letto semplificazioni di sentenze giuridiche, per suscitare clamore?
    Oggetti sono:
    1- la polemica, il clamore appunto, buono per salotti tv, discussioni da bar e indignazione popolare
    2- e non secondario, solo secondo in elenco, screditare e attaccare i giudici proprio nel momento in cui una maggioranza TRASVERSALE (lo sottolineo questo aggettivo) protetta dal voto segreto vota quell’assurdita’ della responsabilita’ del giudice, roba da intrimidazione mafiosa
    3- hai ragione, Loredana, e non gli pare vero: in tutto questo il clamore e la diffusione virale della protesta sono stati opportunamente usati per screditare le donne e i movimenti che ne rivendicano maggiore dignita’.
    Mentre avrebbero dovuto essere giustamente interpretati come segnale che si e’ andati troppo oltre, nell’attacco a quanto faticosamente conseguito, nel relegare le donne a un ruolo subalterno, senza comprendere poi che il tema della violenza di gruppo e’ di quelli particolarmente aspri e drammatici.
    Io, per dire, ho avuto un incubo la notte dopo aver letto la descrizione di Franca Rame. Nel nostro inconscio e’ sepolto il dolore e il terrore di generazioni di donne violate, nella barbarie dei conflitti.
    Nella barbarie, appunto.

  5. in questi casi meglio il rischio di una reazione scomposta e un poco isterica di un sobrio,rassegnato silenzio di stampo franchista(che sta tornando preoccupantemente di moda)

  6. Qualche risposta.
    Grazie a Christian per il lungo intervento. Dal canto mio, posso dirti che più che di “natura” preferirei parlare di cultura. Di modelli assorbiti fin dalla nascita. A mio parere, è solo lavorando su questi che è possibile arrivare a qualche risultato. E rilancio chiedendo come mai, fin qui, non si provi a fare questo lavoro sul versante maschile.
    Simone. Sì, o non lo avrei postato. Proprio perché resto convinta che bisogna agire sulla “cultura” dello stupro: e farlo significa anche rendere esplicito che cosa significa per chi ne è vittima.

  7. Allora parliamo della sentenza. In Italia una madre (varrebbe pure per il padre) accusata di infanticidio (poi riconosciuta colpevole) e´stata scaracerata quindi nemmeno l´omicidio prevede il carcerazione preventiva quindi prevederlo per un reato meno grave (e per quanto lo stupro sia detestabile non puo é ssere piu grave di omicidio) e´ un evidente violazione del principio di uguaglianza.
    Poi una notizia: nessuna delle domanda fatte a Franca Rame oggi sarebbe ammesse in nessun tribunale che rispetta le leggi dello Stato quindi per cortesia se vogliamo parlare di cultura cerchiamo di parlare di una cultura che esiste sul serio. Non fosse altro perche’ non e´utile.

  8. Continuo a chiedermi come mai buona parte degli ipergarantisti e buona parte di quelli che si scordano totalmente della tutela delle vittime siano di sesso maschile.
    Continuo a chiedermi come mai la maggior parte dei commentatori e degli opinionisti maschi che si sono sprecati in questi giorni abbiano tutta questa difficoltà nel riconoscersi come vittime ma una grande facilità nell’identificarsi come offensori.
    Ci sarebbe poi anche da domandarsi come mai non spuntino fuori quando centinaia di persone presumibilmente hanno reiterato un reato da nulla e finiscono in cella ma amen, significa che quando si tratta di stupro c’è qualcosa che li scatena, c’è poco da fare.

  9. Loredana, brevemente. Sono nato nel 1975. Appena dopo “Women is the nigger of the world” di Lennon, dopo il referendum sul divorzio, ma soprattutto nel momento in cui Lacan parlava di evaporazione del padre, il femminismo metteva in crisi il patriarcato, e le nascite media per coppia calavano tutto in un botto da 2 a 1.1. La mia è la prima generazione adulta in condizioni cambiate.
    Sono cresciuto studiando il pensiero femminista, a partire da un presupposto che mi è parso evidentemente imprescindibile: la diversità uomo-donna. Ho imparato a riconoscere le minorazioni sociali, giuridiche, culturali che toccavano alle donne. E ho pensato fossero ingiustizie.
    Ecco la domanda di partenza era un interrogativo sull’umano: come faccio a riconoscere e chiedere giustizia per dei soggetti deboli come sono spesso le donne?
    Ora l’interrogarsi sul maschio da parte di un discorso di genere comune, non solo maschile quindi, deve avere un altro presupposto per forza.
    Ed è questo: le donne riconoscono che gli uomini siano soggetti deboli, socialmente giuridicamente culturalmente?

  10. @simone spero di non interpretare male l’intenzione della padrona di casa nel suggerirti di andare oltre la notizia o la cronaca giudiziaria in se, credo che Loredana voglia proporre una riflessione sulla nostra società e su come questa si accosti allo stupro. Tra i fattori da prendere in considerazione ci sono sicuramente i mezzi di comunicazione e il modo in cui riportano i fatti, ci sono chiaramente le sentenze e le condanne o meno dei tribunali. Ma poi c’è altro ed è di questo, credo, che si voglia parlare qui. Per riuscire ad andare alla radice del problema bisogna analizzare certi meccanismi mentali e certe situazioni e per farlo occorre che vuoi uomini vi mettiate al tavolo con noi e parliate sinceramente di voi stessi.
    Dicevi giustamente tu che le domande rivolte a Franca Rame oggi in un Tribunale nessuno si sognerebbe di farle, lo spero bene.
    Purtroppo però le vittime di uno stupro non vivono in un tribunale, ma fuori in mezzo ad una società che ancora oggi queste cose le pensa. Magari non le dice, ma le pensa e crea quel muro di gomma che finisce per giudicare e isolare la vittima prima ancora del colpevole (o presunto tale). Credo che su questo dobbiamo lavorare ancora molto e dobbiamo farlo insieme, uomini e donne.
    Ad esempio devo ammettere di essere rimasta davvero stupita nel leggere nel post e nei commenti quanto si facile per molti ex-mariti riuscire a “identificarsi con uno stupratore”. Non sto dicendo che ogni ex lo sia, dico che non pensavo che così tanti trovassero nel divorzio la motivazione per farlo. Il mio non vuole essere giudizio generalista me la segnalazione di un campanello d’allarme che non possiamo ignorare.

  11. @ Laura:
    accetto tutte le osservazioni, pero’ non si puo ´accusare tutto il web di aver distorto la notizia della sentenza quando si e´poi allegato come commento l´esperienza di una donna strupata 40 anni fa’.
    Tu dici che le donne non vivono nei tribunali: concordo perfettamente pero’ dovrebbe far riflettere che per esempio che nel Regno Unito (non in Uganda) solo il 5% delle cause per stupro arrivano a una sentenza di condanna e questo non perche’ le donne mentono! Ma perche’ il processo penale in questa materia e´assolutamente incapace di tutelare le vittime. Non credo assolutamente che una donna possa in qualche maniera essere risarcita dal fatto che il suo stupratore finisce in galera ma sicuramente non lo sara’ se questo non viene condannato.

  12. Simone, temo che lei mi legga con un pregiudizio estremo: non sono stata certo io ad accusare il web di aver distorto la notizia. Semmai, nel post sottolineavo che gli accusatori e le accusatrici non hanno colto il dolore e l’esasperazione che da quella “distorsione” emergeva.
    Mi associo, inoltre, a chi commentava che quando si chiede una riflessione da parte maschile, avviene con frequenza che questa si trasformi in atto d’accusa nei confronti delle donne. Anche quelle stuprate quarant’anni fa: non è una ferita che si rimargina, se vuole saperlo. E il racconto di Franca Rame è, mi creda, attualissimo.
    Christian: credo che le donne riconoscano quella debolezza. Il problema è quando quella debolezza si trasforma in violenza.

  13. “in parole davvero povere – le mie, in questo caso – rimanda al giudice la decisione”.
    Si capiva benissimo anche dagli articoli che sono stati scritti. E’ proprio per questo che sono nate le proteste! Perché il giudice potrebbe decidere che l’indagato possa stare ai domiciliari e che quest’ultimo, quindi, possa minacciare la presunta vittima (o peggio).

  14. Scrive Raimo:
    “Cosa succede in una società che incita (ma non educa) al desiderio, quando il desiderio non è più realizzabile?
    La natura in questo caso è un’alleata della donna. Le madri single sono spesso una famiglia, i padri single no. E in un contesto di solitudini come quello che spesso viviamo, questo può essere un bel brodo culturale che fa nascere e crescere depressione e violenza.”
    Per quel che so e sento, mi pare che questo sia veramente il punto.
    Il resto è, giustamente, tutela legale del cittadino e certezza della pena.

  15. @simone certo infatti i due lavori, quello della giustizia e quello sull’immaginario sociale e culturale, devono andare di pari passi perché l’uno supporti e integri l’altro, perché dove il primo non ha mezzi possa arrivare il secondo. Nel tutelare e aiutare la vittima prima di tutto.
    Guarda davvero non capisco perché tu te la prenda per il monologo di Franca Rame, io non credo che Loredana accusi nessuno, lei per prima ha sentito il bisogno di fare chiarezza chiedendo il parere di Spinelli, per evitare di far rimbalzare via web notizie errate.
    Il racconto della Rame nella sua scioccante autenticità è una testimonianza di ciò che una donna ha subito e subisce quando è vittima di violenza, dovrebbe rappresentare per te l’occasione di metterti nei panni di un’altra e chiederti “come vorrei essere trattato se capitasse a me?”.
    Forse mi sbaglio io ma non attaccarti ad un sciocchezza cerca di affrontare la questione da ogni punto di vista.

  16. @christian raimo: mi fa molta impressione la tua asserzione « La natura in questo caso è un’alleata della donna. Le madri single sono spesso una famiglia, i padri single no. » E’ vero? Quanto? Quanti padri single conosci/amo? Quali statistiche? E, alla fine, quello che conta: PERCHE’? Non so…prendetela come una piccola provocazione, io sostituirei con “etica personale” (ad esempio) la parola “natura” nella frase citata. Il concetto indefinibile, elastico e ineffabile di natura è utile a porre “fuori di sè” le questioni e di certo questa non è una buona base per promuovere cambiamenti. Il farsi carico di qualcosa, come ad esempio “fare famiglia” (e cosa si intende è da descrivere) è un’impegno scelto. Spero sia chiaro cosa voglio dire. Buon lavoro a chi si mette in discussione radicalmente.

  17. “non è una ferita che si rimargina, se vuole saperlo”
    NON HO MAI DETTO QUESTO! e per inciso non lo penso nemmeno.
    Vede lei sostiene, giustamente, che si debba raccontare e far conoscere il dolore delle donne stuprate ma sinceramente trovo completamente fuori luogo che si racconti uno stupro di 40 anni fa’. Le donne stuprate oggi non sono le donne di 40 anni e lo stato (le leggi) e la societa’ non sono le stesse. Questo non vuol dire che siano migliori, anzi sono molto piu subdoli! Se dopo il femminismo, come dicevo, in UK si condannano solo il 5% degl imputati per stupro vorra dire pur qualcosa!
    Sul fatto che debbano essere gli uomini a riflettere sullo strupro molto piu’ delle donne (o meglio in maniera diversa) guardi con me sfonda una porta aperta.
    Purtroppo credo che la “violenza” verbale che ha scatenato la sentenza dubito fortemente rifletta una riflessione sul tema. La capacita’ di sostenere una qualsiasi dibattito pubblico decoroso in Italia e´svanita da molto tempo.

  18. Ancora. L’educazione è una responsabilità. Sono uomini e donne a non educare. Gli insegnanti e le insegnanti. Le madri come i padri spesso non riconoscono questa debolezza, e non educano a viversela. Se, come dici Loredana, le donne riconoscono la debolezza e gli uomini no, perché non pensare di lavorare su questo punto – insieme. Non chiedere a una vittima di fare tutto per conto suo.
    Sulla violenza subita siamo d’accordo. Che dobbiamo dire? Tutela sempre, mai sottovalutazione, battaglie come fai tu militanti.
    Ma mettiamo che io fossi uno che mentalmente fa stalker tutti i giorni. Che guarda il profilo facebook della sua exdonna dieci ore al giorno, quale possibilità di educazione al desiderio ho?
    E mettiamo che un giorno mi capiti in un accesso di violenza di violentare una donna, a quel punto che possibilità di rieducazione ho?

  19. @ Laura:
    io non ho nulla contro il racconto di Franca Rame. Ho solo fatto notare che
    1. sentenza
    1. racconto
    se poi il web fa 1+1 non capisco cosa ci sia da stupirsi.
    Sul fatto di “mettersi nei panni della vittima”, essendo gay sono circa 32 anni che sono vittima (non come Franca Rame) di questa cultura maschile, quindi io il mio percorso di critica l´ho gia’ fatto! Quello che volevo semplicemente dire era che mi pare che se veramente si vuole parlare di stupro e di risposta della legge sarebbe il caso per le donne e per gli uomini di aggiornarsi! Saro’ semplicista ma mi pare che le donne (e con loro gli uomini) siano rimasti fermi negli ultimi 20 anni….

  20. @ simone mi sembra che qui la possibilità di creare un dialogo costruttivo e decoroso ci sia, e gli spunti offerti sono molti, perché allora non la cogli? Perché non ti confronti con le domande proposte da Raimo e da altri? Hai un’ occasione non la sprecare per fare le pulci a Loredana.
    Ciò su cui ci si sta confrontando non è solo “la risposta della legge”, è anche come riconoscere prima una debolezza che può diventare violenza, è come aiutare a prendere consapevolezza di questa debolezza subdola, è come gestire la rabbia dovuta a una separazione che può diventare violenza, anche estrema come testimoniano i numerosi femminicidi avvenuti nei soli primi giorni del 2012, è domandarsi perché spesso si incolpano solo le madri di aver educato male i propri figli.
    Fermarsi al solo lato giuridico è, talvolta inutile e frustrante, ma spesso molto comodo da sfruttare come alibi per le proprie bassezze! (non mi riferisco a te personalmente sia chiaro)

  21. Ormai sta diventando un classico: far ricadere le colpe su chi si muove dal basso, disconoscendo totalmente le proprie responsabilità. Il messaggio che è stato fatto passare è chiaro: “non è la sentenza che è sbagliata ma siete voi che siete ignoranti”. Sappiamo tutti molto bene che la realtà non è questa. Perchè la sentenza è un incentivo all’impunità per i violenti e un ostacolo alle donne che trovano il coraggio di denunciare le violenze subite.
    Quello che di positivo voglio sottolineare è invece il bellissimo movimento che si è creato sui social network, segno di un risveglio (anche di molti uomini) che finalmente sta cominciando a prendere corpo.

  22. Un dubbio che spero qualcuno/a di voi mi aiuti a sciogliere. Da cosa si desume che gli accusati di questo stupro non possano fuggire, inquinare le prove o reiterare il reato? A differenza di Michele Misseri, per esempio. O della figlia, o dei mafiosi.

  23. @ Donatella:
    La sentenza non dice che debbano essere liberati dice che non devo per forza stare in carcere, per esempio possono andare agli arresti domiciliari o se minorenni in una comunita’ protetta.
    Inquinare le prove: se hanno confessato non esiste la possibilita di farlo
    fuggire: se non hai mezzi economici e/o con contatti fuori dalla tua zona di residenza e’ considerato molto difficile che tu scappi
    reiterare il reato: dipende dal reato e dalla persona, se hai molestato per mesi una donna e poi l´hai violentata e´ben possibile che ci riprovi…
    (a parte le specificita del terzo punto sono gli stessi argomenti che valgono per tutti i reati).

  24. @ Laura:
    forse non riusciamo a capirci.
    Tu dici :”è domandarsi perché spesso si incolpano solo le madri di aver educato male i propri figli.” Io non sto dicendo che tutte queste domande non abbiano senso (io me le sono poste da tempo per inciso) io ho solo fatto notare che oggi, 2012, per raccontare uno stupro (e commentare una sentenza) si e´citatao uno stupro di 40 anni fa!
    Non ti pare indicativo?

  25. Per quanto mi concerne, ho trovato comunque la sentenza sintomatica e ho discusso degli articoli anche con qualche autore. Non tutte le persone che hanno criticato la sentenza erano davvero così digiune di cultura giuridica da non capire le distinzione poi acclarate. Il termometro del sessismo di ogni cultura passa sempre per i provvedimenti che prendono i tribunali per la sensibilità che dimostrano riguardo alle tematiche di discriminazione. E non è che ogni volta che un provvedimento legislativo infrange un principio costituzionale le sezioni della cassazione saltino in piedi – quindi è interessante chiedersi come mai lo abbiano fatto questa volta. E’ interessante chiedersi perchè era stato varato quel provvedimento invece nel 2010 – e a cosa andava in contro. Sgaggio ha fatto certamente bene a rettificare ma sarebbe stato ancora meglio se certe cose fossero storicizzate, e ci si ponesse delle domande sul perchè le cose capitino.
    Invece, non amo molto la retorica de ah voi maschi silenziosi e muti, dite dite ma non vi assumete responsabilità. Mi pare una cosa controproducente e ricattatoria e che non mette la questione su un piano collettivo e culturale che riguarda purtroppo entrambi i generi.

  26. @no, il monologo di Franca Rame è una testimonianza diretta rara e descritta in modo particolarmente “efficace”: non tutte le persone sopravvissute a stupri ne raccontano, descrivono la loro esperienza, non molte hanno una prosa così chiara e eloquente e non tutte sanno raccontare facendo passare le sensazioni precise, lo stato d’animo etc…
    Domanda: quante narrazioni pubbliche spontanee conosciamo di persone sopravvissute a stupro?

  27. poi un’altra cosa. Stimo moltissimo Christian e lo saluto, ma non concordo con molto del suo post. Mi pare di una semplificazione desolante. Ma è su quella semplificazione che si reggono le rampogne ah voi maschi etc. E non servono – a mio modesto avviso.
    Stupro e violenza sono un cortocircuito di altre istanze che passano dal sesso alla relazione, ma non hanno una casualità prima con la relazione. Non è che se una lascia uno quello la stupra perchè lei l’ha lasciato, come sa ogni donna che disgraziatamente passa da questa esprerienza o da una simile è scattato ben altro per cui le è diventata all’improvviso una funzione di lui, e del suo desiderio di morte. Lei è diventata d’improvviso cosa reale e oggetto psichico. Questo passaggio è sempre patologico e grave e non può mai derivare da itinerari esistenziali semplici, e può avere o un rinforzo culturale (in Italia più tenue che in altri luoghi in cui invece è massivo come sudamerica o nord africa) oppure una causa endopsichica. Vi prego attenzione alla psicologia selvaggia. Perchè porta a provvedimenti ingenui e inefficaci, false prese di coscienza.

  28. @simone, forse non ci capiamo davvero, tenterò di spiegarmi meglio o di farti qualche domanda in più per capire!
    Tu ritieni che il racconto della Rame sia anacronistico perché racconta la giustizia e i tribunali di 40 anni fa? Ho capito bene?
    Io ritengo invece che sia ancora attuale per raccontare quel sostrato sociale e morale da cui le leggi, le sanzioni e le pene traggono vita.
    Quelle domande, quelle insinuazioni raccontano una collettività che esiste ancora oggi (fatta di uomini e donne sia chiaro) che si nasconde in maniera subdola dietro alla giustizia per non fare i conti con se stessa.
    Spero di aver capito il tuo commento e di essermi spiegata nonostante la fretta!

  29. @ Laura:
    E’ un attimo piu’ complicato. Certo che il racconto di Franca Rame e´per certi aspetti attuale. Ma per esempio oggi un giudice non puo´chiedere a una donna in un processo per stupro nulla sulla sua vita sessuale.
    Eppure fuori dal tribunale gli uomini se lo domandano e come!! Allora il punto e´come e´possibile che le leggi siano cambiate cosi tanto e pure le istituzioni (basta dire che oggi in manistratura le donne sono la maggioranza, non sono ancora a livelli di vertice per un puro fatto anagrafico visto che sono entrate dopo e in magistratura si va in pensione tardissimo) ma poi la societa’ sia la stessa!
    Poi inoltre con tutto il rispetto Franca Rame racconta la storia di una donna privilegiata, che “lavora” con la parola. Se hai un po´di tempo vai su youtube e cerca “processo stupro 1979″: ecco quello e´un racconto di uno stupro su una donna comune!
    Poi il punto che io volevo sottolineare e´che si e´usato quel racconto come commento alla sentenza. Magari io avro’ frainteso ma a me pare che volesse significare che tra la sentenza e il poliziotto che chiede ” ma ha goduto?” non di sia nessuna differenza.

  30. L’info mediatica era fuorviante, d’accordo. Gli approfondimenti (Sgaggio etc.) chiarivano, bene. Nonostante i chiarimenti di carattere legislativo, le donne tendono spontaneamente a reagire e indignarsi (naturale, i soprusi violenti, storici e attuali, bruciano), certo. Ma queste sono tutte conseguenze, un ‘dopo’: non una causa, un ‘prima’, come scrive bene Christian. Non trovo semplicistico il quadro delineato nel suo primo intervento, anzi va al fulcro della questione, oltre le inevitabili discussioni su derive violente maschili, preziosa tutela alle donne, e disquisizioni su quale genere sia più o meno consapevole delle proprie debolezze (le quali, certo, potranno tracimare o meno in differenti sfumature di violenza a seconda degli individuali gradi di patologia). Ma il punto di partenza è l’ineguatezza personale, di uomini e donne, ‘ad affrontare la padronanza simbolica dell’assenza, da cui nasce la potenza: abbiamo disimparato che è la sottrazione a dare la forza’ (Baudrillard), per cui facciamo figli in un contesto di incapacità, dipendenza, tossicità, come divorzisti e psicologi ben sanno, trasmettendo loro questo brancolare nel bisogno dell’altro che se va bene non causa stalking e stupro in famiglia, ma di certo perpetua l’infausta ignoranza affettiva. A voglia poi, su queste basi, sperare in un qualche grado di equilibrio ed empatia da parte di carnefici e vittime ( più spesso che non? sempre? ) perfettamente collusi. Questo, alla base. Questo, il melmoso circolo vizioso da cui ogni discussione sul che fare non può prescindere, se non si vuol rimanere su una superficie di dicotomia uomo-donna e ideologici o viscerali flames anti-qualcosa. Ben inteso che, per violenze di ogni tipo, sono necessari i massimi strumenti di tutela, che benedico anche personalmente avendovi fatto io stessa ricorso, a causa di situazioni in cui IO ero metà del problema ORIGINARIO. Con ciò, ovviamente!, NON intendo che ‘meritassi’ violente vendette, ma solo che nella stragrande maggioranza dei casi, difficilmente una donna con autentica dignità e amore per se stessa s’imbarca in relazioni violente e maternità fragili (Ciò vale esclusivamente per la violenza fuori entro le mura domestiche, e quindi sono parzialmente OT rispetto allo stupro di branco e alla novità della cassazione)

  31. @gabrielle8
    “il punto di partenza è l’ineguatezza personale, di uomini e donne, ‘ad affrontare la padronanza simbolica dell’assenza, da cui nasce la potenza: abbiamo disimparato che è la sottrazione a dare la forza’ (Baudrillard), per cui facciamo figli in un contesto di incapacità, dipendenza, tossicità, come divorzisti e psicologi ben sanno, trasmettendo loro questo brancolare nel bisogno dell’altro che se va bene non causa stalking e stupro in famiglia, ma di certo perpetua l’infausta ignoranza affettiva. ”
    Ho qualche familiarità con il pensiero di Baudrillard, tuttavia non riesco a collocare bene questo che scrivi nel contesto. Cioè, m’interessa, capisco che il punto è questo (la diagnosi, poi bisognerebbe avere il coraggio di una prognosi che forse laicamente è inammissibile), ma vorrei che dicessi di più. Anche citando il vecchio Jean.
    Non è per buttarla sempre in cultura, ma bisognerà pure uscire dal guado del sentirsi carnefici o vittime, ricordarsi che si deve innanzitutto educare (se stessi e gli altri) alla vita di relazione.

  32. Sommessamente, non mi riconosco affatto nell’idea che carnefici e vittime siano sempre collusi. Letterariamente bello, ma non mi sembra possa corrispondere alla realtà. Non a tutte le realtà, perdonate. E non per dividere i generi in buoni e cattivi: non l’ho mai fatto nè lo farò. Ma andiamoci piano, per favore.
    Simone. Mi colpisce che lei si sia fermato alle prime battute, e insista ossessivamente (un poco) su quelle e non sul vero e proprio resoconto dello stupro.
    In assoluto. Confesso di essere un po’ perplessa. Perché mi sarebbe piaciuto e mi piacerebbe capire come nasce in un uomo la pulsione allo stupro (e alla violenza, anche). Invece, mi sembra che si sia parlato soprattutto delle donne. Forse bisogna rassegnarsi.

  33. Loredana, te lo dico schietto, come se fossi mia sorella.
    Io, maschio e colpevole (in gioventù e non solo) delle più svariate forme di paraculaggine nei confronti del sesso femminile, non riesco a concepirla nemmeno la pulsione allo stupro, e credo che tutti i maschi che conosco (e ne conosco) ti direbbero la stessa cosa. Però potrei spiegarti come nasce la pulsione a mettere in mezzo un diverso e a umiliarlo per emergerne in gruppo trionfanti e rassicurati, o a castigare un figlio che ti fa sentire impotente nella tua ambizione a mettere in ordine il mondo e il piccolo caos che lui ha nella testa. Cosa voglio dire?
    Primo, credo che lo stupro nasca o da un tale disastro pulsionale che solo uno psicoanalista bravo può venirne a capo, o da uno strato di violenza tribale che non ha l’altro sesso come bersaglio primario, ma diciamo così come vittima circostanziale.
    Insistere sulla guerra tra i sessi per spiegare lo stupro mi pare a questo punto oggettivamente fuorviante. Come ho già scritto nel commentario precedente, sono convinto che la società dei “diritti” (tra cui il diritto alla felicità, che è solenne sciocchezza), abbia presunto una contemporaneità culturale che non c’era, rinunciando troppo in fretta alla pedagogia delle relazioni. Chi vive nel secolo del tribalismo e della sottomissione (e non serve essere musulmani per vivere in quel secolo), interpreta a proprio modo il diritto al piacere, come il cannibale che apprezza ambiguamente la bontà dell’ospite.

  34. Sono abbastanza d’accordo con Valter perchè in effetti lo stupro è un sintomo – ed è anche per questo che si fa fatica a spiegarne la dinamica e la causa, perchè magari ci sono gruppi di vicende individuali simili ma insomma. E non è solo una questione di reazione al vuoto relazionale. Spesso ha un problema strutturale a monte – che in certi contesti sociolculturali è eretto a normale forma di sistema sesso genere.
    E’ complicato e tornerò con calma.
    Tuttavia c’è sempre una valenza simbolica dello stupro che diventa moneta corrente nella lotta fra i sessi. PErchè nell’incoraggiare politiche di intervento e nel fottersene, nell’aprire dibattiti e non farlo, nel dire è colpa di lei oppure no bene si gioca molto della partita.

  35. Per me è fondamentale leggere quello che veniva detto nei processi “40 anni fa”, che per Simone sono tanti, ma che per me sono pochissimi. Le cose sono cambiate? Benissimo, ricordarci da dove eravamo partiti è proprio quello di cui abbiamo bisogno per renderci ancora meglio conto di dove siamo arrivati…

  36. Loredana ma non si può ragionare sullo stupro e su come nasce, è intrinseco alla nostra natura. Meglio: non c’è la pulsione allo stupro. stupro è un concetto, un’idea. ci piace una cosa ( pulsione ), la vogliamo ( pulsione continuativa ), usiamo la forza se in quel momento è l’unica. Poi ci sono situazioni differenti in base ai tempi e alle culture, ma la base è quella. a te non piace parlare di natura, però è così. se fosse racchiuso in una combinazione genetica semplice o in una conformazione cerebrale pure pure. Poi è inutile concentrarsi su come si diventa stupratori, va bene quel che già dici da un pezzo: educazione affettiva, sentimentale, emotiva, sessuale, ‘ste cose che sai bene.

  37. E bello il tuo interesse @Valter. Intuisco che capisci il punto, nonostante o grazie a 🙂 la citazione, effettivamente un pò calata dal/nel nulla rispetto al contesto. La cultura in cui posso e mi sento legittimata a buttarla è circoscritta a frammenti accademici individuati solo a posteriori esperiti. Quella frase di J.B. si presta bene a esprimere l’origine del simulacro d’ amore su cui si reggono le relazioni che iniziano male e finiscono peggio (anche se poi non condivido, pur comprendendola, la sua perentorietà assoluta su insensatezza del mondo e ‘illusione come regola fondamentale’). Per dire insomma, pane e salame, che se non si ha la sorte di avere o incontrare passione per se stessi e/o qualcosa che risuoni con noi e dovendola dunque giocoforza cercare in qualcun’altro, l”amore’ che ne consegue è tutto tranne che quello. [C ‘è un Amore povero e non condiviso, quieto quieto, che non infrange il vetro dei tuoi giorni privati né attizza il fuoco di una luna fredda nel tuo letto. Di lui non ti accorgi Quando un’ossessione, forse in sua vece, ti fa piangere. Non sai cosa senti quando prendi tra le braccia solo te stessa!Quali notti desideri, quali notti?E qual’è il colore degli occhi che sogni quando sogni?]. “Educare se stessi e gli altri alla vita di relazione”, assolutamente sì, solo che la seconda parte presuppone che qualcuno lo abbia fatto con noi, inficiando così la prima. Il che conduce per direttissima al benedetto COME ‘uscire dal guado del sentirsi vittime e carnefici’. Collusione che, @Loredana, non sarà sempre, ma forse spesso sì: così non fosse, quel COME e quell’educare non sarebbero tanto difficili da focalizzare. Ma perchè rassegnarsi? verbo fatale e definitivo che non tiene conto di risorse che magari stanno nel buio (e da esso a volte nascono), eppure esistono. Da parte di uomini e donne. Ognuno la sua una e unica parte.

  38. valter, ho seguito molto bene il tuo ragionamento e voglio dirti delle cose, a mo’ di riflessione. scrivi
    “Primo, credo che lo stupro nasca o da un tale disastro pulsionale che solo uno psicoanalista bravo può venirne a capo, o da uno strato di violenza tribale che non ha l’altro sesso come bersaglio primario, ma diciamo così come vittima circostanziale.”
    e ti seguo, e credo tu abbia ragione a ricondurre l’atto dello stupro entro confini che riguardano principalmente il meccanismo e le dinamiche del branco, e, al di là dei sessi, dell’istinto a sopraffare e a rivalersi sul debole.
    poi però scrivi
    “Insistere sulla guerra tra i sessi per spiegare lo stupro mi pare a questo punto oggettivamente fuorviante.”
    e mi fai pensare subito una cosa. nel ragionare, io, adesso, esco dalla logica della “guerra tra i sessi”, ma rifletto su, come dire, le statistiche, e le sensazioni personali frutto di conoscenze istinto e cultura a proposito di questo tema. ovvero rifletto sul fatto, concreto e inconfutabile, che a stuprare siano essenzialmente gli uomini. (non solo, qualora a stuprare fosse una donna, è logico che viene meno tutto il corollario di violenza, di squallore, di crudeltà che possiamo solo immaginare. e mi raccomando, che non mi si risponda con retorica, facciamoci un favore a tutti.)
    dunque cosa mi viene in mente? faccio un paragone con una cosa che può sembrare OT. riflettevo in giornata sulle differenze sostantiali più che formali tra il porno, per così dire, classico standard, basato sulla donna-immagine che compiace e illude l’uomo di essere la sua geisha (in parole povere), e il porno che si sgancia da questa dinamica e prende come soggetti e mira ad appagare istinti di altro tipo, e dunque il porno basato sull’esplicita umiliazione della donna, su immagini e situazioni in cui c’è poco di pecoreccio e molto di estremo, nel senso vero della parola. quel tipo di porno che degenera al suo apice nello snuff movie.
    quindi, tenendo conto che sempre di porno si parla, da un lato, al di là del valore della sostanza che si comunica, vi sono in ballo corpi molto sessualizzati che appunto incarnano quel tipo di sensualità, di femminilità, di “femmina” che l’uomo spettatore vuole ricevere in cambio, dall’altro corpi totalmente deprivati della “sessualità”, dell’eros, e anzi corpi ridotti a brandelli di carne, da sfruttare fino all’esaurimento. cosa voglio dire?
    che se i primi mi fanno pensare a un target, stereotipato, ovviamente, di uomini alla ricerca dell’appagamennto di quella che verrebbe definita una pulsione “naturale”, dall’altro io posso immaginare solo ed esclusivamente uomini estremamente misogini, con psicopatie gravi legate al sesso, e spesso uomini che hanno mentalizzato il sesso, e infine uomini che non potrebbero in alcun modo, parlo proprio a livello di erezione, stabilire un contatto con un corpo femminile alle prese, mettiamo, con la voglia di fare l’amore.
    ora. tutto questo per dire che secondo me, spesso, dietro lo stupro brutale, vi è appunto una profonda misoginia. un odio estremo e viscerale, un’impotenza che si può risarcire solo con la violenza più crudele. mi viene in mente il film monster. ed ecco, volevo arrivare qui. ovvero che se come dici giustamente tu la questione è quella del forte sul debole, e non la guerra tra i sessi, quello che mi perplime è che, rovesciata, nessuna donna farebbe del male a un uomo come l’uomo fa invece sulla donna. non che non esistano le donne che odiano gli uomini. ma magari la donna esercita quell’odio girandosi dall’altra parte del letto, e negandosi a vita. non con la violenza. (Loredana, non sto sostenendo che le donne non siano violente, ok? le donne possono essere violentissime, tremendamente violente. mi riferisco al discorso stupro. mi riferisco al fatto che non mi stupisce che esista lo stupro, purtroppo, quando esistono generi musicali in cui l’umiliazione della donna e l’incitamento a farlo è tema dominante, se non esclusivo.) spero di non essere andata troppo OT.
    Laura.

  39. Non ho mai stuprato né avuto voglia di violentare nessuna donna in vita mia. Sono contento di aver avuto un’educazione emotiva che ha relegato lo stupro nell’ambito del tabù. Ma se dovessi pensare a una narrazione credibile di uno stupro nel quale riesco a provare empatia anche per lo stupratore è per esempio lo stupro che Noodles commette in C’era una volta in America. Oppure prendete il racconto d Kundera che si chiama l’Autostop.
    Ma anche questo non spiega il prima e quindi presto ci torno su questo, o almeno ci rpovo.

  40. @Gabrielle8
    Ecco. Stare al buio, immaginare nell’assenza, costruire pian piano il discorso d’amore prima ancora che ci sia un altro cui rivolgersi, ma già rivolgendosi all’Altro. Detto così sembrerebbe un punto di partenza, e invece è già un enorme traguardo. Io SO che le donne sono sempre state più brave in questo, (non lo so se è natura o cultura, poco mi cale, ma c’è il mito della tessitrice che sostiene l’immagine) e se ho imparato a farlo ho imparato da loro. L’uomo è sempre stato quello che il sipario lo strappa, e s’impone come colui che doveva venire: atavico piacere o altrettanto mitico fardello? Comunque è con questo che abbiamo a che fare, e forse ricorrere come tu fai alle immagini porta più vicino al cuore delle cose.
    @Laura
    Tu l’hai scritto e io ci stavo pensando stasera. La pornografia è una delle chiavi di volta per capire l’involuzione dei tempi, lo sdoganamento del machismo e la persistente tolleranza nei confronti dello stupro. Quella che tu chiami l’epoca della “geisha” è la pornografia patinata di prima generazione, che oggi è praticamente un articolo da museo, rispetto non tanto alle fantasie grandguignolesche dell’estremo (che si disinnescano da sole per la loro evidente teatralità) ma al porno casereccio o amatoriale, che è tutto un “dagli alla porcona”, da soli o coi cugini, e dove la simulazione dello stupro è esplicita molte volte (ovviamente lei nel finale rivela di aver goduto come una pazza e ringrazia gli stupratori). Io su questa cosa vorrei che ci si fermasse, perchè scene del genere viste da un uomo in età che ha dovuto conquistarsi il tesoro dell’intimità femminile cercando di esserne degno, modificando la propria rozzezza e scoprendo che l’intimità è figlia della fiducia, queste scene fanno anche ridere. Ma immagino che un mio alunno di quindici o sedici anni, per quanto acculturato diversamente a casa e sui libri o sui programmi in chiaro, veda in questo il risvolto “verace” di una sessualità che la vita ancora gli nega.
    Una delle cose che mi ha stupito maggiormente frequentando thread come questi è la tolleranza che le donne “progressiste” mostrano nei confronti della pornografia, quando poi sollevano (giustissime peraltro) campagne di stampa contro manifesti pubblicitari. Come se la pornografia non fosse altrettanto facilmente accessibile (e ben più appetibile). Come se questa pornografia di cui parlo (non siamo all’eleganza del Vintage o ai drammi erotici di Oshima, eh!) non costituisse un vero e proprio incitamento all’avvilimento del corpo femminile. Qui nuoce in modo drammatico l’incapacità di liberarsi dalla dialettica negativa dell’illuminismo: condannato all’impossibilità di affermare valore e quindi di proteggere ed escludere, a una libertà intesa solo come assenza di vincoli, divenuta ormai una triste coazione a ripetere.

  41. Non ci riescono. Gli uomini dico. Non riescono a parlare di loro stessi stessi senza andare a finire in OT non rispetto al tema di un blog, ma della relazione. Non sanno interrogarsi, dicono cose banali o anche colte ma che non c’entrano assolutamente niente con quello che gli stiamo chiedendo.
    Ho fatto un giro per vedere se era solo qui che si sfuggiva ma è dappertutto così. Un po’ come la neve in questi giorni: non c’è scampo, nessuno dice niente. Niente.
    Sapete che vi dico? che forse hanno ragione, sullo stupro non c’ è proprio niente da dire e pregherei di non ridare la colpa alla madre, almeno questo…
    Lo stupro è un fatto. Amen.

  42. Laura S, scusami eh. Ma sto facendo uno sforzo da tre giorni. Riconosci chi lo fa. Parlare di se stessi cercando di vedere nella propria condizione maschile le possibilità dello stupratore non è uno sforzo da poco.
    Vorrei partire da un piano di dialogo, che per me non è quello della violenza, ma quello della aggressività.
    La aggressività fa parte di una vita sessuale relazionale?
    Proviamo a rispondere a questa domanda.

  43. No. Non necessariamente. L’aggressività è il tratto difensivo dell’io che sente minacciati i propri confini. Ed è tipico delle personalità non ancora sviluppate, dei bambini. Leggere Adriana Cavarero.
    Questa è la mia risposta di donna. Ora, please, un vero sforzo da parte maschile. E basta, ancora please, con questa storia del rapporto vittima-carnefice, non soltanto è vecchio, ma non spiega niente.

  44. @LauraS
    In effetti anche tu non stai dicendo niente. Cioè, faresti prima a fare domande, a dirci cosa vorresti sentirti dire dagli uomini su questo.

  45. Okay, ecco finalmente un piano di dialogo.
    Per me l’aggressività invece è parte fondamentale di una vita sessuale relazionale. Se non fosse così, la parte animale della nostra umanità sarebbe ben spazzata via. Leggere Kernberg, “Relazioni d’amore”.
    O prendere quello che per me è un riferimento, l’adagio lacaniano: “L’amore è dare qualcosa che non si ha a qualcuno che non vuole”.
    La sessualità trasforma, trasfigura l’aggressività. Non la sublima, non la rimuove. Altrimenti buttiamo via con l’acqua sporca della violenza anche il bambino del libero arbitrio e dell’assenza dell’Altro che sta alla base di qualunque relazione. Ci pensiamo come esseri autosufficienti, e già moralmente autonomi prima della relazione.
    Ora, ci sono alcuni momenti della vita relazionale secondo me dove l’aggressività può essere trasformata in amore solo se c’è una relazione sessuale matura. Questo vale: da una coppia che decide di fare un figlio, a una coppia che decide di instaurare una relazione sado-maso per il piacere di entrambi.
    Quando questa relazione matura non c’è – e per me una relazione matura è quella che si può instaurare su un piano di dialogo (impegno, responsabilità, “identità narrativa” – per stare a Cavarero, appunto; ma anche per dire il codice che chi pratica bondage) – qualcosa va storto, e quell’aggressività si muta in violenza (ossia io pretendo qualcosa che tu non vuoi).
    Il piano del linguaggio era agito da una società che aveva una sua simbolica. Oggi quella simbolica va ricostruita, cercando una possibilità di senso dove eros e logos possano interagire, e capendo anche come le altre forme dell’amore (dalla philia all’agape) possano contribuire.
    Paradossalmente il processo una donna violentata, con quell’infame domanda “Hai goduto?”, svela le possibilità che la presa di parola ha (rispetto alla vita sessuale che ci fa ritornare per brevi istanti a essere animali). Dire “no”, urlarlo è quello che trasfigura la nostra umanità e la rende soggetto di sentimenti e decisioni, un essere in relazione sempre. L’atrocità della domanda è la vera violenza. Io voglio che tu sia succube su un piano non solo animale ma umano.
    In questo senso “hai goduto?” sintatticamente ha la stessa forma della frase che pronunciamo quando abbiamo finito di scopare spesso: “vengo”, “sei venuta?”. Il punto che questa domanda svela è la fragilità che sentiamo come uomini (innamorati e stupratori e stupratori) – e se lei non mi amasse? dice l’innamorato; e se la mia sottomissione non l’avesse veramente piegata?, dice lo stupratore; e se lei non avesse veramente paura?, dice lo stalker.
    Il desiderio (anche quello criminale) ci svela la nostra mancanza. Se forse possiamo pensare cosa abbiamo in comune con persone che ci sono così distanti come uno stalker, uno stupratore, o un pedofilo, potremo partire con il considerare questa grammatica del desiderio che ha forme comuni, ma contenuti molto diversi.

  46. Leggendo gli interventi di Laura e Valter sul porno, mi trovo d’accordo. La differenza tra la nicchia che dice Laura, tipo bizarro sleaze, è che lì le donne sottoposte a violenze e umiliazioni non ne godono affatto (almeno è questo che mi pare di aver capito, mi manca il coraggio di verificare) e lo spettatore gode proprio di questo; invece nella violenza messa in scena nel porno mainstream, la donna gode della violenza che subisce, anzi c’è anche il topos della donna repressa che grazie a un rapporto sessuale più o meno imposto scopre e deve infine ammettere la propria natura di gaudente sessuale. Godere della sofferenza e umiliazione altrui è francamente patologico, credo. Mentre far godere l’altro è un desiderio sano, e in fondo cosa ti fa sentire più potente? In effetti l’illusione che lo stupro confini con qualcosa di piacevole, che la distinzione con un vero rapporto consensuale non sia poi così netta, è proprio uno dei punti cardinali della “cultura dello stupro”, mentre certe rappresentazioni tendono a consolidarlo, come ha scritto Valter.

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