I PRESIDI CHIAMANO…

Lipperinijob …e qui si risponde. Avviene che la sottoscritta, praticamente con la valigia in mano per le terre piemontesi (poi liguri, per il Festival della Scienza), dovrà poi ripreparare i bagagli, destinazione Bari, per il Forum nazionale del libro e della lettura organizzato dai Presidi del Libro il 5 e 6 novembre). Quel che mi si chiede riguarda molte, moltissime, delle cose discusse qui non soltanto negli ultimi giorni: in soldoni, quanto possono fare i blog per i libri. Evidentemente, cercherò di riportare parecchie delle esperienze fatte e dei pareri dati qui. Insomma, se l’intervento che Giuseppe Laterza farà a Bari, e che qui vi anticipo, vi suscita riflessioni, obiezioni e quant’altro, io me ne farò portavoce. E adesso vado a chiudere la valigia.

C’è stato un periodo, pochi anni fa, in cui si è vaticinata la morte del libro. Questa curiosa idea nasceva dalla convinzione che il progresso tecnologico fosse inarrestabile. Tutti i vecchi strumenti di comunicazione sarebbero stati sostituiti a breve termine dai nuovi, più duttili, rapidi, potenti. Perché chiedere ai ragazzi di portare a scuola libri di testo, quando –come scrisse Franco Tatò, dirigente della Mondadori- si può studiare direttamente sul personal computer fornito dalla scuola stessa? Perchè comprare un libro in libreria se lo stesso testo è scaricabile da internet? Perché mettere nella valigia delle vacanze  un pesante volume di 500 pagine –ad esempio l’ultima puntata di Harry Potter- quando sul mio leggerissimo palmare (battezzato e-book) posso tenerne 5000? Ricordo come fosse ieri un incontro di librai a Venezia in cui un gruppo di supermanager del gruppo editoriale Bertelsmann prevedeva l’imminente scomparsa di questa nobile professione. Per gli editori c’era ancora una estrema possibilità, prima del baratro: buttarsi nelle nuove tecnologie, produrre CD ROM, investire in grandi portali culturali in rete e cose del genere. Solo chi fosse stato rapido nello sfruttare il nuovo mercato che certamente si sarebbe aperto poteva sperare in un futuro. La stessa Bertelsmann mise in pratica questa convinzione, creando un grande sito per la vendita di libri, dischi e altri prodotti, chiamato BOL. Purtroppo per loro, le cose non sono andate così. BOL ha dovuto ridimensionare fortemente le sue ambizioni, di e-book se ne vedono in giro pochi e fortunatamente nuove librerie aprono ogni giorno, seppure tra mille difficoltà. Sarà pur vero che la crescita tecnologica è inarrestabile, ma certamente non è vero che essa segua un percorso lineare, facilmente prevedibile. Soprattutto, non è facilmente prevedibile, mi pare, il suo impatto sulle abitudini dei cittadini-consumatori: la disponibilità di una certa tecnologia non implica automaticamente il suo utilizzo su larga scala.

Passata la fase acuta dell’ideologia tecnologica, chi opera nel mondo del libro (librai, bibliotecari, editori, ma anche insegnanti) si è rassicurato. Negli ultimi anni ci siamo detti che tutto sommato il libro “resiste”. Il mercato dei libri forse non cresce, i dati sulla lettura nel nostro paese non mostrano impennate ma non c’è neanche quella drammatica riduzione che molti temevano. Anzi: ci sono fenomeni che, comunque li si giudichino, mostrano una notevole vitalità del libro e della lettura. Basta citarne due: l’esplosione delle vendite in edicola, che nel giro di quattro anni ha prodotto  l’ingresso di forse più di duecento milioni di libri nelle case degli italiani, e la diffusione straordinaria dei festival letterari, con un numero elevatissimo di persone -probabilmente qualche milione- che si sposta da una città all’altra per ascoltare i propri autori preferiti.

Quanto è successo e sta succedendo in questi primi anni del XXI secolo autorizza, mi sembra, un  dubbio. Siamo sicuri che il libro ‘resiste’? E se invece proprio questo antico mezzo di comunicazione fosse indispensabile nell’epoca contemporanea? Addirittura, non potremmo verificare insieme, qui al Forum di Bari, l’ardita (me ne rendo conto) ipotesi che il libro sia un fattore di innovazione?

Presidi1 Per facilitare la vostra riflessione, ho messo insieme alcuni dati. Sono partito da quelli sulla lettura e sull’acquisto di libri, disponibili sia nell’ultima preziosa pubblicazione dell’AIE sia in altre sedi. Ne risulta che i paesi nel mondo in cui si comprano più libri sono, nell’ordine, Giappone, Norvegia, Germania, Singapore e Stati Uniti, Finlandia, Belgio, Svizzera, Svezia, Regno Unito. Già questo primo elenco è piuttosto suggestivo: i paesi che comprano più libri sembrano tutti paesi ‘forti’, con un livello di vita alto rispetto al complesso dei paesi  esistenti sulla terra. Ma restringiamo il confronto all’Europa, anzi all’area dell’euro, così da avere indicatori più omogenei. Se prendiamo la classifica dei 15 paesi europei dell’area dell’euro per numero di lettori vediamo alcune cose interessanti.

Il paese in cui si legge di più è la Svezia (71%), seguita dalla Finlandia (66%), dall’Inghilterra (63%), dal Lussemburgo (56%) e dalla Danimarca (55%), dai Paesi Bassi (53%) e dalla Germania (50%).

I paesi in cui si legge di meno sono, partendo dal basso, Grecia e Portogallo (35%), Spagna e Irlanda (40%) e purtroppo l’Italia (42%). Sul perché di queste differenze sono state scritte e dette molte cose. Alcune molto serie, altre piuttosto amene, come quelle che disse agli stati generali dell’editoria l’anno scorso il presidente (figuriamoci) della commissione cultura della Camera dei deputati che spiegò la maggiore lettura in alcuni paesi europei con il fatto che…fa più freddo! A me in questa sede non interessa dare spiegazioni, che magari saranno date negli interventi dei nostri autorevoli ospiti, ma piuttosto fare un esercizio semplice ma –credo- istruttivo. Vorrei comparare la classifica dei paesi europei che leggono di più con altre classifiche significative e in particolare espressive della modernità da una parte e della capacità innovativa dall’altra di un paese. Per fare questo esercizio ho utilizzato un piccolo libro prezioso, che consiglio a voi tutti di acquistare nella economica edizione della casa editrice Fusi Orari (costola della rivista “Internazionale”). Il libro si chiama Il mondo in cifre ed è curato dalla prestigiosa (e affidabile ) rivista “The Economist”.

Uno degli indici più importanti riportati nel libro è quello relativo alla competitività globale del paese. Nella nota posta sotto la tabella, che tra poco vedremo, si dice che la graduatoria riflette non solo la capacità del paese di raggiungere “alti e prolungati tassi di crescita del PIL pro capite”, ma anche altri criteri significativi, come “l’apertura di una economia, il ruolo del governo, lo sviluppo dei mercati finanziari, la qualità delle infrastrutture, la flessibilità del mercato del lavoro”. Se prendiamo i primi venti paesi della tabella troviamo tutti e 7 i paesi europei che leggono di più e uno solo –l’Irlanda- tra quelli che leggono di meno. Stesso risultato se consideriamo un’altra interessante classifica, che misura le opportunità che il paese presenta per l’attività imprenditoriale : tra i primi venti ci sono tutti i nostri ‘magnifici’ sette della lettura europea e uno solo-sempre l’Irlanda – di quelli che leggono poco. Prendiamo adesso in considerazione quello che l’Economist chiama l’indice di ‘creatività economica’, “una media tra risorse umane, incentivi di mercato e grado di interazione tra le imprese e la ricerca scientifica” Anche qui troviamo tra i primi venti paesi economicamente più creativi quelli in cui si legge di più e nessuno (qui neppure l’Irlanda ) di quelli in cui si legge di meno. Stesso identico discorso per l’indice di “tecnologia dell’informazione che misura l’uso dell’informatica e delle telecomunicazioni (linee telefoniche, internet, personal computer e cellulari). E lo stesso vale per l’indice che misura la spesa totale per ricerca e sviluppo

Passando ad indici più qualitativi, è interessante vedere come i paesi europei in cui si legge di più sono anche quelli in cui c’è minor corruzione percepita e maggior parità tra uomo e donna. Particolare curioso, i paesi in cui si legge di più sono anche quelli che fanno più uso di contraccettivi.

Vediamo infine come si combina la lettura con altri consumi, cosiddetti ‘culturali’. C’è perfetta corrispondenza tra lettura di libri e lettura di giornali: sia nel senso che tra i paesi che leggono più quotidiani ci sono tutti quelli che leggono più libri sia nel senso che non ce n’è neppure uno di quelli che leggono meno libri. Caso diverso per l’acquisto di dischi in cui tra i primi venti ricompaiono l’Irlanda e addirittura la Spagna e il Portogallo (seppure agli ultimi posti) e per  gli  ‘host’ su Internet, in cui l’Italia compare tra i primi venti. In compenso però l’Italia scompare dai primi venti paesi per possesso di computer ogni 1000 abitanti dove invece ritroviamo i magnifici sette della lettura europea, mentre siamo addirittura quinti nella speciale classifica degli abbonamenti per telefoni cellulari. Infine, è molto interessante notare come non ci sia alcuna corrispondenza tra acquisto di libri e possesso della televisione: la tabella 16 mostra come siano ben piazzati nella classifica televisiva paesi europei che comprano pochi libri (Irlanda, Spagna e Portogallo) mentre ci sono relativamente pochi televisori in alcuni paesi che consumano molti libri, come Norvegia e Danimarca (qualcuno dovrebbe farlo sapere ad Adornato, visto che anche il consumo televisivo mi risulta svolgersi quasi sempre in ambienti riscaldati).

In conclusione, alti indici di lettura e acquisto di libri si ritrovano in paesi 1) globalmente più competitivi; 2) economicamente più creativi, 3) che  danno più opportunità alle imprese e in cui si usano di più le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, 4) che investono di più in ricerca e sviluppo, 5) più paritari -o se volete – meno maschilisti e meno corrotti. Inoltre, nei paesi in cui si leggono più libri, si leggono anche più giornali e si possiedono più computer. Ovviamente, e tristemente per il nostro paese, la correlazione è inversa per i paesi in cui si legge meno.

Come si possono leggere questi dati? Ritornando alla domanda iniziale, la lettura è solo un prodotto dell’innovazione o ne è anche un fattore? E se quest’ultima asserzione fosse vera, come andrebbe ripensata la politica di promozione della lettura nel nostro paese? Che senso ha investire grandi risorse pubbliche nelle autostrade e lasciare le biblioteche scolastiche –solo per fare un esempio- in uno stato miserevole? Perché non seguiamo l’esempio dell’Irlanda che ha ottenuto tassi di sviluppo unici in Occidente negli ultimi quindici anni, partendo da una situazione assai più arretrata della nostra, investendo soprattutto nella formazione e nella ricerca? Perché i governi di destra e di sinistra in Italia sembrano accomunati da un profondo disinteresse per la diffusione della cultura (se non nella  dimensione spettacolare del grande evento)? E cosa possono fare i singoli che operano con i libri, che siano fuori o dentro il mercato per diffondere la lettura?

Anche quest’anno numerosi e qualificati protagonisti del mondo del libro hanno accettato il nostro invito a intervenire in questo Forum e di questo li ringraziamo. Come pure ringraziamo molto i diversi ospiti che saranno con noi in questi giorni, i quali, pur non essendo né insegnanti né bibliotecari, né librai né editori hanno sentito come importante venire a dialogare con noi sulla diffusione della lettura. La loro presenza per noi è di grande conforto e stimolo al tempo stesso, perché e la testimonianza che il nostro lavoro non serve solo a noi stessi e ai pur tanti lettori di libri nel nostro paese. Il nostro lavoro può servire, se fatto con intelligenza e consapevolezza, anche autocritica, a tutti i nostri concittadini, se vogliamo che il nostro paese sia un po’ migliore.

29 pensieri su “I PRESIDI CHIAMANO…

  1. le valutazioni espresse nell’intervento sono note (più o meno) e condivisibili. la correlazione tra i dati statistici però è arbitraria. cioè, la corrispondenza tra l’andamento di due parametri non implica una relazione tra quei due parametri, è chiaro (per es., se io vado a guardare la classifica dei paesi europei per latitudine, ugualmente trovo che tutti paesi che leggono meno sono più a sud – ad eccezione dell’irlanda).
    per poter correlare dei dati statistici ci vuole un’analisi molto più raffinata. altrimenti si va a naso.
    in particolare – a naso – io credo che ci sia una relazione più diretta tra numero di lettori abituali e ricchezza pro capite, considerando ques’ultima in un periodo di almeno 50 anni.

  2. Mi pare che Laterza abbia ragione al di là dei numeri e delle interpretazioni statistiche. La cultura si fonda sulla lettura, fino a prova contraria. E mi riferisco ad una cultura viva, in rapporto attivo con la realtà, quindi innovativa. Vale la pena di lottare per promuoverla.

  3. adesso dico una cosa che vi farà inorridire tutti:
    non appena trovo l’e-book con 5000 libri dentro (meglio del tipo introvabile e non piu’ in stampa), se il prezzo non è elevato, lo compro.
    A furia di leggere blog mi sto abituando allo schermo e quando le pagine del libro non si ‘illuminano’ ci resto male.
    Ok, mi ridimensiono.
    I libri mi piacciono. Sviluppo un rapporto ‘fisico’ con questi oggetti di carta e anche una sorta di affetto, ma se mettessero sul mercato uno strumento leggero, resistente e decente che incamera una biblioteca (che da tenere in casa signifa raddoppio della superficie abitabile), bhe, non avrei esitazioni ad acquistarlo (prezzo permettendo). A quel punto magari si può passare direttamente dal produttore al consumatore e scaricare dai siti degli scrittori 🙂 (non a gratis, ovvio, devono pur mangiare)
    Da un punto di vista pratico mi auguro di poter attingere sia da supporti elettronici (a energia ‘solare’, mi auguro) che cartacei (in carta riciclata preferibilmente), non mi piacerebbe certo che la gente che lavora in campo editoriale andasse a spasso.
    Il doppio supporto potrebbe anche limitare il consumo di carta (e quindi di piante) soprattutto se paesi tipo la Cina dovessero raggiungere livelli di ‘consumo’ piu’ alti.
    A me capita di vederla così, non sbranatemi, vi prego, ho solo una bibliotechina di un migliaioequalcosa e un appartamento di 60mq.
    Besos

  4. Sul resto niente da dire, ma sulla frase “Perché non seguiamo l’esempio dell’Irlanda che ha ottenuto tassi di sviluppo unici in Occidente negli ultimi quindici anni, partendo da una situazione assai più arretrata della nostra, investendo soprattutto nella formazione e nella ricerca?” qualcosa da ridire ce l’avrei: l’Irlanda ha avuto quello sviluppo vertiginoso (che sta subendo una flessione a fronte della concorrenza di altri paesi) grazie soprattutto a una politica fiscale favorevolissima che incentivava gli investimenti gravando pochissimo sui costi d’impresa.
    Non collegherei la crescita a investimenti voluti in formazione e ricerca: sono nati DOPO e a fronte del regime fiscale favorevole e degli ignenti investimenti degli investitori e non del governo Irlandese.
    Per quanto riguarda il consumo di giornali, per esempio col mondo inglese, non credo sia possibile un paragone a fronte della diversa tipologia fra i quotidiani inglesi e gli equivalenti italiani (da noi non esistono i giornali dedicati solo al gossip che coprono la maggior parte delle vendite) e anche per un’altra usanza tipicamente italiana: tutti i bar d’Italia hanno a disposizione di tutti i loro clienti almeno due giornali e non succede in nessun altro paese. I giornali questo lo sanno, lo calcolano e ribaltano i loro costi pubblicitari non solo sul venduto, ma sul parco giornaliero dei potenziali lettori.
    Buona serata. Trespolo.
    PS: spettatrice, io lavoro col computer da anni, ma spero di poter continuare a leggere libri di carta…

  5. Trespolo, anch’io passo molte ore al computer e mi auguro di continuare a leggere i libri ‘di carta’, ma sperimenterei anche quelli su supporto elettronico se questo corrispondesse a quanto indicato prima. Sto facendo una rapida ricerca su google per capire quali sono gli ultimi ritrovati della scienza e della tecnica, ma mi pare che siamo ancora indietro come standard di lettura e caratteristiche tecniche dei lettori dedicati. Sembra che però si rivelino utilissimi per testi scolastici o tecnici che richiedono costante aggiornamento (evitano le ristampe e lo speco di carta=alberi).
    ‘notte

  6. un’aggiunta alla considerazione di trespolo.
    da studi, fatti per esempio dalla swg, risulta che in italia per ogni giornale ci siano da 4 (media nazionale) a 12 lettori (specie testate locali).
    questi indici di penetrazione sono molto importanti soprattutto per chi deve fare pubblicità.

  7. in effetti nel big thread multi-blog sull’uso del web in letteratura, una delle poche cose concrete uscite riguarda gli sviluppi della tecnologia che può portare a ‘libri digitali’ leggibili.
    sulla presunta fine del libro di carta, rimanderei invece ad una pubblicazione cui ho dato modesto contributo: Gerard-Georges Lemaire, “La fin du livre”, Paris-Tokio 2001.

  8. @Paolo, allora quel libro è da leggere, ma… si trova in italiano o inglese? Francese mai imparato…
    @Spettatrice, che l’evoluzione tecnica prima o poi consenta, partendo magari dai libri tecnici, di sostituire la carta (e le piante) sicuramente succederà. Già ora, se ci pensi, la maggior parte della manualistica dei programmi per computer è distribuita sotto forma di file .PDF o altri standard.
    Però a me l’idea di avere il classico libro di carta in giro per casa non dispiace, magari utilizzando il supporto “alternativo” per una prima valutazione sull’autore.
    Rimane però il problema di *come* remunerare le vendite via supporto elettronico e come identificare l’acquirente. I sistemi attuali di pagamento elettronico non sono molto sicuri. Sto uscendo dal seminato, mi fermo e saluto.
    Buona giornata. Trespolo.

  9. @Marco, prendi la mia come una risposta da “non addetto”. Non credo che per aumentare i lettori sia necessario aumentare i libri. Forse si dovrebbero diminuire e mi riferisco, in particolare, alla scuola: troppi testi, costi troppo alti, grossi interessi editoriali costruiti sulle tasche di studenti e genitori. Non ha senso che un libro di testo non sia “riciclabile” per il semplice motivo che, di anno in anno, cambia qualche paginetta e, un approccio di questo genere puramente speculativo, ottiene a mio parere due effetti negativi sulla lettura: il primo aumenta i costi e lascia meno risorse per l’acquisto di altri libri non scolastici, il secondo lascia a studenti e genitori l’idea di essere “presi in giro” dalle case editrici e sfruttati.
    Non proprio una bellissima pubblicità 🙂
    Buona giornata. Trespolo.

  10. Potrei dire: se non si legge ci sarà un perché, e vorrei capirne il motivo con te stasera. Ma non ne verremmo a capo. Il libro in formato elettronico lo odio: non ce la faccio a leggere a schermo 500 pagine. E poi a me piace aver la carta, pagine da sfogliare e non pixel sullo schermo: i pixel non sono un libro. Il formato elettronico mi serve per farmi un’idea dell’autore, per decidere se mi interessa o meno, ma non per altro.
    g.i.

  11. un libro e un giornale li puoi leggere in treno, in birreria, ai giardini.
    troppa rete ci rende schiavi, quasi come i videogiochi. parlo per me: ché se devo andare via due giorni mi manca il mac e la posta elettronica e non vedo l’ora di tornare.
    non è normale, questo.
    credo.

  12. il libro digitale me lo immagino – da parecchi anni, ormai – come una cartelletta leggera, morbida, rivestita di plastica, pelle stoffa o cartone, uno schermo piatto non troppo grande (il tutto in formato 32esimo, per dire) con una luminosità che si modifica da sé in funzione della luce ambientale (oppure la carta ‘elettronica’ di cui si parla da un paio d’anni), una definizione alta e ovviamente batteria che duri parecchie ore.
    non so che effetto farebbe leggere un romanzo a letto, la sera, su un supporto così; e personalmente non sento affatto la mancanza di tale gadget. però se ci fosse potrebbe far diventare la distribuzione in file dei testi una vera alternativa per i lettori.
    (trespolo, quel libro non si trova proprio, temo; e cmq solo in francese e giapponese).

  13. @Paolo, ach ok mi darò da fare col giapponese allora…
    Sulla ‘carta elettronica’ Siemens (infineon), e non solo, sta facendo importanti investimenti. Potrebbe essere interessante e una soluzione tecnologica sicuramente arriverà. Vedo più complesso gestire i cambiamenti (editoria, distribuzione, lettore, etc…) che inevitabilmente innescherà.
    Buona giornata. Trespolo.

  14. ‘Perché i governi di destra e di sinistra in Italia sembrano accomunati da un profondo disinteresse per la diffusione della cultura (se non nella dimensione spettacolare del grande evento)?’ Basta levare il punto di domanda, e avremo al risposta al perché l’Italia resta in fondo alla classifica per numero di libri e giornali venduti (e, si suppone, letti: sarà pur vero che un testo venduto può essere letto da più persone, tuttavia non bisogna dimenticare che questa regola è universale e dunque è valida anche laddove si vendono molti più testi, perciò siamo al punto di partenza).

  15. Due annotazioni veloci. Nessuno ha fatto caso a questo?
    “è interessante vedere come i paesi europei in cui si legge di più sono anche quelli in cui c’è minor corruzione percepita e maggior parità tra uomo e donna. Particolare curioso, i paesi in cui si legge di più sono anche quelli che fanno più uso di contraccettivi.”
    Io non credo che sia un dato impossibile da “leggere”…(ne ero a conoscenza)
    Riguardo il fatto che la disponibilità di una tecnologia non implichi automaticamente l’uso della tecnologia stessa, è un argomento abbastanza forte (sarebbe utile ricordarlo a quanti credono che nel futuro della specie umana vi sia una popolazione di “clonati”). Ma, per fare una previsione alla Negroponte: la carta è un substrato, ed è il concetto di “sostituzione” con un substrato alternativo ad essere sbagliato. La tecnologia si impone quasi sempre quando riesce a trasformare le abitudini, processo lento, e a volte gli “oggetti”. Si possono ipotizzare un certo numero di fasi di transizione dal foglio di carta al foglio-monitor, senza dimenticare che l’inchiostro su carta è molto meglio di qualunque schermo ad alto contrasto, in termini di leggibilità, fino a ora. Non per sempre…

  16. Ricordo benissimo quando Tatò preconizzò il passaggio all’editoria digitale: già da subito apparve una baggianata o causata da ragioni d’interesse. Per tutti i motivi che quelli che hanno scritto finora hanno ricordato e che erano facili a immaginare. Ma è un ritornello che viene suonato ad ogni novità tecnica nel campo della comunicazione o dello studio: le nuove tecnologie elettroniche si sente dire “manderanno in soffitta” i vecchi supporti e i vecchi metodi. Poi, il polverone si posa ed è tutto come prima, a parte un bel po’ di quattrini spesi male.
    L’adozione di PC doveva portare a un drastico decremento del consumo di carta, tanto, c’è lo schermo…Mai consumata tanta carta ovunque come ora, poveri alberi, le stampanti son sempre in moto.
    Per non parlare dei PC stessi, ho letto che l’unico campo in cui hanno prodotto un forte aumento di produttività è nell’industria che li produce. Non so se sia vero, magari no, ma giudicando da dove lavoro per me l’hanno addirittura abbassata, considerando anche il numero di persone addette alla loro cura.
    Nell’insegnamento avrebbero portato chissà che rivoluzione…lezioni già pronte, ipertesti mirabolanti, aggiornamento continuo. Eccoli lì, spenti o usati per qualche impiego marginale e spesso dannoso, che giustifichi la loro esistenza.
    E i supporti audiovisivi ? Basta, fine delle lavagne, avremo schermi, immagini luminose, voci, musiche, multimedialità.
    E la lavagna e il gesso rimangono il più potente ed efficace strumento di comunicazione mai inventato, solo che la nostra avveniristica tecnologia non è riuscita a scoprire un gesso che non faccia polvere, per l’insegnamento sarebbe stato più utile dei PC.

  17. @marco: sulle statistiche di vendita dei libri nulla da dire, ma per quanto riguarda i giornali, a mio parere, la situazione italiana non è confrontabile con quella di altri paesi: non abbiamo giornali scandalistici e sono quelli, anche in Inghilterra e Germania, che “fanno” i numeri.
    Sarebbe interessante ritrovare un lavoro simile realizzato per l’Italia.
    Qualcuno ne sa qualcosa?
    Buona giornata. Trespolo.

  18. il dato notato da ivan (bassa corruzione, maggior parità) è forse quello più direttamente legato alla diffusione della cultura, IMHO, tra tutti quelli elencati. immagino però che la relazione sia invertita: è la maggior diffusione della cultura a portare a quella situazione di maggior civiltà.

  19. Una nota al volo, banalissima. Ogni volta che si parla di “libri virtuali” nessuno menziona il metodo: scarico il file e me lo stampo. Io lo faccio da anni, il costo – se si usa una cartuccia riciclata – è poca cosa. Dubito sia venuto in mente solo a me 🙂

  20. un romanzo stampato con la stampante mi è capitato di doverlo leggere un paio di volte: mai più, spero.
    suppongo che il motivo per cui nessuno menziona il metodo stampa-in-casa – che TUTTI conoscono, in teoria o in pratica – sia lo stesso che fa dire a me: mai più!

  21. Pensieri in disordine.
    E’ ben noto, un
    manager prospetta linee aziendali anche in assenza di dati, a volte coglie nel segno a volte ipotizza cose che non si concretizzeranno mai. Così pare sia accaduto nel caso del libro elettronico. Tuttavia, fossi un editore, andrei cauto con le conclusioni. Da sempre si afferma che in Italia si legge poco, tuttavia a me personalmente piacerebbe capire cosa si legge e in primis cosa legge la gente nei paesi che son primi in classifica. Insomma, dal punto di vista dell’editore è fondamentale (anche) il fatturato; a me piacerebbe capire se nel paese dei “leggioni” tanta lettura è l’equivalente di un alto livello culturale, per esempio! Mi piacerebbe capire se questo percorso intellettuale ha reso possibile una emancipazione dell’individuo offrendogli gli strumenti per esercitare il proprio spirito critico, per esempio! I dati puri e semplici sul numero di lettori o alchimie varie tra 1) globalmente più competitivi; 2) economicamente più creativi, 3) che danno più opportunità alle imprese e in cui si usano di più le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, 4) che investono di più in ricerca e sviluppo, 5) più paritari -o se volete – meno maschilisti e meno corrotti, non ci dicono molto, non guardano dietro le quinte. Forse sbaglio, ma nella classifica dei più “leggioni” vi sono paesi con un alto numero di morti per suicidio, ad esempio! vi son paesi che scatenano o cooperano attivamente alle guerre preventive, ad esempio! allora a pensar bene poco importa che siano i più “leggioni” al mondo.

  22. Pensieri in disordine.
    E’ ben noto, un
    manager prospetta linee aziendali anche in assenza di dati, a volte coglie nel segno a volte ipotizza cose che non si concretizzeranno mai. Così pare sia accaduto nel caso del libro elettronico. Tuttavia, fossi un editore, andrei cauto con le conclusioni. Da sempre si afferma che in Italia si legge poco, tuttavia a me personalmente piacerebbe capire cosa si legge e in primis cosa legge la gente nei paesi che son primi in classifica. Insomma, dal punto di vista dell’editore è fondamentale (anche) il fatturato; a me piacerebbe capire se nel paese dei “leggioni” tanta lettura è l’equivalente di un alto livello culturale, per esempio! Mi piacerebbe capire se questo percorso intellettuale ha reso possibile una emancipazione dell’individuo offrendogli gli strumenti per esercitare il proprio spirito critico, per esempio! I dati puri e semplici sul numero di lettori o alchimie varie tra 1) globalmente più competitivi; 2) economicamente più creativi, 3) che danno più opportunità alle imprese e in cui si usano di più le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, 4) che investono di più in ricerca e sviluppo, 5) più paritari -o se volete – meno maschilisti e meno corrotti, non ci dicono molto, non guardano dietro le quinte. Forse sbaglio, ma nella classifica dei più “leggioni” vi sono paesi con un alto numero di morti per suicidio, ad esempio! vi son paesi che scatenano o cooperano attivamente alle guerre preventive, ad esempio! allora a pensar bene poco importa che siano i più “leggioni” al mondo.

  23. Stampare 500 pagine anche con cartuccia rigenerata costa troppo. Per poi aver dei fogli svolazzanti; da metter in ordine con una rilegatura da poco anche, o ti ritrovi a star dietro al vento e ai fogli e a lanciar alte bestemmie. Alla fine, mi costa assai più stamparmelo il libro che non comprarmelo.
    Il formato elettronico serve per farmi un’idea. Serve in alcuni casi per autori che esordienti o che sperano di pubblicare poi su carta.
    Servono per della manualistica, da consultare. O che ti puoi stampare in ufficio, in quanto per uso lavoro.
    Per pubblicizzazione, in definitiva. Ma a poco altro. Più utili a chi li mette on line che non a chi se li scarica, or come ora, considerati i costi di stampa casalinga.
    Buon proseguimento.
    g.i.

  24. Paolo, hai quasi sicuramente ragione…
    La nota di Babsi è corretta. La tecnologia non è indipendente dal manifestarsi delle esigenze: come primo passo non ci vuole molto ad immaginare, ad esempio, una stampante che rileghi direttamente il libro. Quali che siano “le tappe”, i supporti cartacei non possono durare all’infinito, così come sono, anche per eseigenze di spazio. Alcune mutazioni potrebbero interferire con le nostre abitudini (ad esempio, alla biblioteca nazionale di Roma sono presenti milioni di volumi: è impensabile che, dovendo gestire anche i contenuti internet, si decida di mandare in stampa tutto in formato cartaceo, magari con tanto di rilegatura: non si saprebbe neppure come organizzare una tale enciclopedia).
    @ Maddalena: l’alto numero di suicidi non è affatto un indice di scarso livello culturale, gli uomini di suicidano spesso nel pieno delle loro facoltà mentali, e dopo adeguata ponderazione dell’atto. Se ci fosse solo una moralità, se quella moralità fosse di stampo cattolico o comunque religioso, allora ci si dovrebbe chiedere come mai i “leggioni” non ne siano venuti a conoscenza, ma non è così. Se apri “il mito di Sisifo” la prima frase non afferma che il problema filosofico per eccellenza è la domanda sull’esistenza di Lucifero, sono semplicemente cambiati i tempi, e la riflessione sulla possibilità di “non-essere” è un “fatto culturale” abbastanza noto.
    Stesso discorso per le guerre preventive: Michael Walzer, left-liberal, parla da anni di guerre giuste e di guerre ingiuste, e per l’intervento in Kosovo (per lui necessario e doveroso) si è scomodato San Tommaso, che non era un fesso. Non ho intenzione di suicidarmi dopo questo messaggio, né di partecipare a un’offensiva contro un paese civile, sono su posizioni diversissime rispetto a quelle di Walzer, ma non c’è dubbio che non è la mancanza di cultura a provocare atti che qualcuno può giudicare moralmente riprovevoli: la morale non è “UNA”…

  25. A fine di archiviazione e rapida consultazione di testi il formato elettronico è strumento ottimo. Ma non credo sia ottimo per il comune lettore, quello di oggi.
    Spero che questa notarella serva ad evitar equivoci.
    ‘Notte
    g.i.

  26. Per le biblioteche scolastiche, il cui stato Laterza definisce “miserevole”, posso portare una testimonianza, avendo assistito a nascita, apogeo, declino e morte di una di esse.
    La dotazione libraria era buona, l’aggiornamento continuo, i locali accoglienti. Il punto critico si è dimostrato il personale: condizione sine qua non per il buon funzionamento di una biblioteca scolastica è la presenza di un bravo bibliotecario che metta passione nel suo lavoro. Finchè questa condizione si è verificata, questa biblioteca funzionava bene. Poi è intervenuto lo stato, che destina insegnanti non più atti all’insegnamento a fare da bibliotecari. Il guaio è che spesso non sono atti nemmeno a quello, da cui è seguito il declino e l’attuale stato di coma di una biblioteca scolastica che era arrivata a dare in prestito più di 2000 volumi all’anno.
    Sento comunque proprio stamani che la Moratti prevede di chiudere entro 5 anni queste biblioteche, per cui, se fosse vero e ammenochè non vinca il csx, il problema troverà soluzione definitiva.
    Quel che però è più indicativo per la questione “interesse alla lettura” è che, problemi di personale a parte (decisivi) si poteva già notare, a cominciare dalla fine degli anni ’90, un lento ma progressivo disinteresse dei ragazzi per la narrativa: i libri prestati sono diventati per lo più inerenti alle materie di studio o, se di narrativa, classici chiaramente “consigliati” dagli insegnanti, cioè letture più obbligate che di libera scelta. Attualmente i pochi libri richiesti son di fantasy.
    Quale può essere la causa di questa disaffezione sviluppatasi in così pochi anni ?
    Personalmente ipotizzo la diffusione dei PC: videogame, internet, chat, file-sharing e masterizzazioni hanno eroso drammaticamente il tempo che i ragazzi potevano dedicare alla lettura.
    Rimedi ? Zero. Mi pare.

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