IL CAOTICO MOVIMENTO DELLA LINGUA. PASOLINI DELEUZE GUATTARI

Gran pezzo di Girolamo De Michele in preparazione di un’iniziativa abruzzese, "Omaggio a Pier Paolo Pasolini", in corso fino al 16 novembre fra Pescara e Chieti. Uscirà sulla rivista Skyline. Godetevelo.

Gilles Deleuze (del quale, sotto silenzio in Italia, ricorre il decennale della morte) e Félix Guattari hanno lavorato molto, e con profitto, su Empirismo eretico. Lo leggono, lo comprendono; soprattutto, com’è loro costume, non si accontentano di spiegarne i concetti: li prolungano, esplicitano il non detto, ne aumentano portata e potenza. Empirismo eretico diventa così, su scala europea, uno dei testi filosofici più rilevanti del secondo Novecento italiano. Qual è il problema che porta i due filosofi a Pasolini (attraverso una rete di amici-mediatori da Laura Betti a Bifo)? È una questione linguistica e politica: la critica al postulato che vuole il linguaggio essere informativo e comunicativo. Il linguaggio sarebbe una sorta di staffettista che informa, cioè passa i contenuti da un parlante a un ascoltatore. Il linguaggio fa anche questo, intendiamoci: ma non è questa la sua essenza. È proprio Pasolini a fornire gli argomenti decisivi nelle sue analisi su Dante, dove dimostra come l’emergere del discorso indiretto libero presuppone un doppio livello linguistico, "alto" (teologale e trascendente) e "basso" (borghese e immanente) rispetto ai quali la lingua si differenzia in due serie divergenti, e di conseguenza in un doppio soggetto d’enunciazione, paragonabile allo sdoppiamento del soggetto empirico. Alle orecchie dell’Accademia (ufficiale e anti-) quest’uso dell’indiretto suona eretico: i discorsi, nella Commedia, non sono forse virgolettati? Certo – ma quale Dante parla? Perché ci sono due Dante: l’autore e il personaggio. E tra i due c’è un’oscillazione, un va-e-vieni dello spirito: se i personaggi appartengono alla stessa classe sociale, alla stessa élite intellettuale, alla stessa generazione di Dante, il discorso del Dante-personaggio non si differenzia da quello del Dante-autore. «Se invece i personaggi appartengono ad altra classe sociale, ad altro mondo culturale, ad altra epoca che quelli di Dante, allora il loro "parlato" è caratterizzato anche linguisticamente; dal caso estremo in cui un poeta provenzale parla per un intero endecasillabo nella sua lingua, ai mille casi in cui si colgono, tra le virgolette del diretto, dei segni specifici di lingue speciali.» Il Dante-personaggio parla una lingua "alla moda", d’evasione nell’episodio di Paolo e Francesca; parla per generi, per citazioni. O addirittura, con Vanni Fucci, prima Dante parla «la lingua comica, ossia naturalistica, del suo personaggio»; poi passa all’uso di «una lingua media comune a Dante e al personaggio»; per concludere con «l’attribuzione al personaggio di modi tipicamente danteschi, di alto e altissimo tono, e, in quanto tali, inconcepibili in bocche di parlanti non poeti». In questa mimesis linguistica si mostra la vera radice del linguaggio: l’esistenza di «una lingua X, che non è altro che la lingua A nell’atto di diventare realmente una lingua B. È cioè la nostra stessa lingua in evoluzione, attraverso fasi drammatiche e difficilmente analizzabili; e che, essendo in un momento acuto di tale sua evoluzione, è in caotico movimento, e sfugge quindi a ogni possibile osservazione.» Dunque il linguaggio non va da un percepito a un detto, ma da un dire a un dire. Le enunciazioni linguistiche non hanno natura individuale, ma sono dei concatenamenti collettivi d’enunciazione che rivelano il carattere sociale dell’enunciazione. Ciò che passa attraverso il linguaggio non è tanto la comunicazione di (un segno come) un’informazione, quanto l’assegnazione nell’ordine del discorso di ordini e posizioni, che vengono rafforzati per ridondanza.

Torniamo allo sdoppiamento tra Dante-autore e Dante-personaggio che svela il carattere migrante del linguaggio. C’è una situazione di questo tipo: /io (Pasolini) scrivo che Dante-autore racconta che Dante-personaggio dice: «Ahi Pisa…»/. Calvino (Una pietra sopra) riproporrà lo stesso diagramma: /io (Calvino) scrivo che Omero racconta che Ulisse dice: «ho ascoltato il canto delle sirene»/. E mostrerà come ciò che chiamiamo "realtà" sia una stratificazione: Mille plateaux. A Calvino interessava il carattere plurale della realtà, a Deleuze e Guattari il potenziale anti-autoritario della scoperta del carattere pre-soggettivo (pre-autoriale, in letteratura), metamorfico d’ogni linguaggio (riabilitazione dei gerghi, delle lingue minori, ecc.). A Pasolini interessava il carattere potenzialmente indiretto del discorso: la descrizione delle condizioni di diritto dell’oggetto linguistico, per dirla col Deleuze degli studi sul cinema. Il potenziale che affiora ogni volta che della realtà si dà una descrizione costruttivistica, è un tema spesso presente in Pasolini, e sempre negletto dai pasoliniani che amano sfondare i muri a testate per poi lamentarsi nella cella accanto. Il Pasolini del 1975 è apocalittico, negativo – certo, certo… Ma è anche il Pasolini che inizia sul «Mondo» un trattatello pedagogico (Gennariello); che propone una riforma della scuola e della televisione (27 ottobre) dietro la provocazione di abolirle (18 ottobre); che difende la legalizzazione dell’aborto (contro l’aborto, ma per la sua legalizzazione); che reclama il processo ai gerarchi della DC (quelli che per Casini non hanno nulla di cui scusarsi). Insomma, dietro quel «siamo tutti in pericolo» che Pasolini disse poche ore prima di morire a Furio Colombo non c’è la provocazione fine a se stessa, la bestemmia liberatoria, l’attitudine consolatoria all’essere bastian contrario: c’è la ricerca disperata del potenziale di liberazione che si annida nel pericolo. Non c’è bisogno di rimasticare oscure frasi di un filosofo tedesco coi calzoni alla zuava per sapere che dove c’è pericolo, là c’è anche ciò che salva: basta leggere Pasolini. A condizione di farlo davvero.

25 pensieri su “IL CAOTICO MOVIMENTO DELLA LINGUA. PASOLINI DELEUZE GUATTARI

  1. Cito: “l’esistenza di «una lingua X, che non è altro che la lingua A nell’atto di diventare realmente una lingua B.”
    Insomma le cose non sono le cose, ma i sogni delle cose. Ma soprattutto, dov’è finito il simbolo “»” (che chiuda il
    “«” presente prima di “una”)?

  2. Detto che è davvero un bell’articolo, aggiungo:
    1. “Il linguaggio sarebbe una sorta di staffettista che informa, cioè passa i contenuti da un parlante a un ascoltatore”.
    Il linguaggio non è semplicemente una forma in cui passa senza che nulla gli capiti il contenuto: d’accordo.
    2. “È proprio Pasolini a fornire gli argomenti decisivi nelle sue analisi su Dante”
    Beh, questa è un po’ forte: è ‘anche’ Pasolini, magari.
    3. “il linguaggio non va da un percepito a un detto, ma da un dire a un dire”
    Questa proposizione è quella filosoficamente più impegnativa. La domanda è: c’è un percepito di qua, e c’è un detto di là? No. Non basta dire che si va da un dire a un dire, senza capire come ci si ficchi dentro il percepito. E tutto sarebbe perduto, se il percepito rimansse al di qua, e a nulla servirebbe moltiplicare i livelli linguistici. Se De Michele osserva giustamente al punto 1 che il linguaggio non si limita a passare i contenuti, qui bisogna pure che osservi che il ‘percepito’ non si limita ad essere il contenuto amorfo che il linguaggio veicola. L’impegno ‘critico’ sul linguaggio deve insomma riguardare anche quello che De Michele chiama il ‘percepito’. E infatti Pasolini interessa a Deleuze, mi permetto di aggiungere, perché i suoi segni non stanno sul piano esangue (e già irregimentato) di un codice linguistico, ma sono la realtà stessa (“la lingua della realtà”) “non linguisticamente formata […], ma semioticamente, esteticamente, pragmaticamente formata” (G. Deleuze, L’immagine-tempo).
    C’è un sistema delle immagini e dei segni “indipendentemente dal linguaggio in genere” (ibid.); c’è una semiotica più ampia della semiologia, che studia i segni senza ricondurli a determinazioni “già relative al linguaggio”. La realtà ‘parla’: e questa parola non è una parola.
    4. “Non c’è bisogno di rimasticare oscure frasi di un filosofo tedesco coi calzoni alla zuava per sapere che dove c’è pericolo, là c’è anche ciò che salva: basta leggere Pasolini”. Questa proposizione serve forse per concludere ad effetto, ma serve solo a quello.
    (la quinta considerazione l’aggiungo sul mio blog, perché non c’entra più con De Michele pasolini e Deleuze)

  3. Detto che è davvero un bell’articolo, aggiungo:
    1. “Il linguaggio sarebbe una sorta di staffettista che informa, cioè passa i contenuti da un parlante a un ascoltatore”.
    Il linguaggio non è semplicemente una forma in cui passa senza che nulla gli capiti il contenuto: d’accordo.
    2. “È proprio Pasolini a fornire gli argomenti decisivi nelle sue analisi su Dante”
    Beh, questa è un po’ forte: è ‘anche’ Pasolini, magari.
    3. “il linguaggio non va da un percepito a un detto, ma da un dire a un dire”
    Questa proposizione è quella filosoficamente più impegnativa. La domanda è: c’è un percepito di qua, e c’è un detto di là? No. Non basta dire che si va da un dire a un dire, senza capire come ci si ficchi dentro il percepito. E tutto sarebbe perduto, se il percepito rimansse al di qua, e a nulla servirebbe moltiplicare i livelli linguistici. Se De Michele osserva giustamente al punto 1 che il linguaggio non si limita a passare i contenuti, qui bisogna pure che osservi che il ‘percepito’ non si limita ad essere il contenuto amorfo che il linguaggio veicola. L’impegno ‘critico’ sul linguaggio deve insomma riguardare anche quello che De Michele chiama il ‘percepito’. E infatti Pasolini interessa a Deleuze, mi permetto di aggiungere, perché i suoi segni non stanno sul piano esangue (e già irregimentato) di un codice linguistico, ma sono la realtà stessa (“la lingua della realtà”) “non linguisticamente formata […], ma semioticamente, esteticamente, pragmaticamente formata” (G. Deleuze, L’immagine-tempo).
    C’è un sistema delle immagini e dei segni “indipendentemente dal linguaggio in genere” (ibid.); c’è una semiotica più ampia della semiologia, che studia i segni senza ricondurli a determinazioni “già relative al linguaggio”. La realtà ‘parla’: e questa parola non è una parola.
    4. “Non c’è bisogno di rimasticare oscure frasi di un filosofo tedesco coi calzoni alla zuava per sapere che dove c’è pericolo, là c’è anche ciò che salva: basta leggere Pasolini”. Questa proposizione serve forse per concludere ad effetto, ma serve solo a quello.
    (la quinta considerazione l’aggiungo sul mio blog, perché non c’entra più con De Michele pasolini e Deleuze)

  4. @angelini
    il segno “»” è più avanti, dopo “osservazione”: è una citazione piuttosto lunga, ma la frase che dà il titolo è proprio di PPP.
    @ massimo
    1. hai ragione su quasi tutto, purtroppo (o per fortuna) la destinazione e il limite di battute sono un inevitabile steccato, oltre il quale si vede quello che indichi tu.
    2. sulla conclusione: non è una battuta ad effetto, ma l’indicazione di una linea intellettuale alternativa a quella che parte da Heidegger. O almeno, questo è quello che volevo si capisse.

  5. Non vorrei apparire molesto, ma mi fa una certa impressione leggere di ‘Dante autore e personaggio’ senza incontrare una sola citazione del buon G. Contini che delle categorie critiche suddette fu l’inventore in un celebre saggio. Che D&G lo ignorino (ma non ho letto lo scritto a cui si fa riferimento, dunque non so) ci può pure stare. Pasolini ne era certamente cosciente ed esplicitamente debitore, che Girolamo De Michele sorvoli, invece… insomma…
    Mi viene da sottolineare poi che il discorso indiretto libero è una roba ben chiara di cui, a mio modesto parere, non c’è traccia nella Commedia. Non è problema di accademia, è problema di intendersi quando si parla.
    A quanto mi risulta – ma posso corbellare – la divisione continiana si riferiva a due soggettività nettamente separate sia sul piano dell’enunciazione che su quello dei valori etici, addirittura degli orizzonti di riferimento. La Commedia è una ‘visone’, è bene non dimenticarlo. Ovviamente tutto ciò nulla toglie all’interesse delle tesi di D&G e di Pasolini, né all’interesse del saggio

  6. @lello voce
    vale quanto ho risposto a massimo: se ho 5000 battute (e ne ho in realtà strappate 750 in più) devo decidere cosa tagliare e cosa no. so bene che le analisi di Pasolini si appoggiano sul lavoro di Contini, così come la tua critica fu fatta propria da Segre: ma qui dentro proprio non riuscivo a farci stare tutto questo. però, se l’articolo funziona, forse il lettore andrà a riprendere “Empirismo eretico”, e troverà (giustamente) Contini, e la risposta di PPP a Segre.
    Con l’occasione: sono 4 anni che volelo dirti grazie per il testo/filmato sull’assassinio di Carlo Giuliani, adesso lo faccio.

  7. Caro Girolamo,
    capisco bene, i problemi di spazio, ma la cosa salta all’occhio. Comunque sia – come scrivevo – ho trovato il saggio davvero interessante.
    Per quanto riguarda Carlo, grazie a voi tutti, da noi tutti che ancora non ci rassegniamo e cerchiamo giustizia (la verità ormai la conosciamo ed è peggio di quanto potessimo immaginare), grazie per non dimenticare
    Un abbraccio
    Lello

  8. @ lello voce
    a questo punto dovrei mandarti una mail privatamente, ma la questione NON è privata: non per chi ha calpestato le strade di Genova, e neanche per chi non c’era.
    A Siracusa (lo racconta Heidi Giuliani) un compagno è riuscito ad infiltrarsi in una manifestazione di AN e ha chiesto a Fini: perché è stato 12 ore nel comando dei carabinieri, quel 20 luglio?
    – Per portare solidarietà alle forze dell’ordine.
    – E perché non ha sentito il dovere di portare solidarietà anche ai manifestanti pestati dalle forze dell’ordine?
    – Perché ve ne abbiamo date ancora troppo poche: la prossima volta ve ne daremo di più.

  9. @ lello voce
    a questo punto dovrei mandarti una mail privatamente, ma la questione NON è privata: non per chi ha calpestato le strade di Genova, e neanche per chi non c’era.
    A Siracusa (lo racconta Heidi Giuliani) un compagno è riuscito ad infiltrarsi in una manifestazione di AN e ha chiesto a Fini: perché è stato 12 ore nel comando dei carabinieri, quel 20 luglio?
    – Per portare solidarietà alle forze dell’ordine.
    – E perché non ha sentito il dovere di portare solidarietà anche ai manifestanti pestati dalle forze dell’ordine?
    – Perché ve ne abbiamo date ancora troppo poche: la prossima volta ve ne daremo di più.

  10. OT @ Ivan: visto e fatto. torno appena da Palermo
    @Girolamo: non è privata no. Te ne dico un’altra, magari piccola ma che da una certa idea di una certa situazione: tu sai niente del violento sgombero del Liceo Democrito a ROMA dove pare abbiano pestato duro, e con metodi ‘genovesi’? Silenzio su tutta la linea, dappertutto, a destra e amche a certa sinistra che è più sinistra che ‘di’ sinistra. Ma è un discorso aperto…
    Lello

  11. @lello voce
    Ho capito alludevi ai fatti di ottobre, beh quelli li conoscevamo già tutti. io pensavo fosse successo qualcosa di nuovo ieri. Ad ogni modo io non farei paragoni con cofferati (come qualcuno fa qui n altro post) e come fai ache tu nel tuo blog. Non i farei, anche se a qualcuno fa comodo farli, perchè è un autoritarismo molto diverso quello dell’ex sindacalista, non dico che a me piaccia, ma tanto meno mi piacciono questi paragoni alla io boja.
    La polizia, non capisco come mai, ma molto democratica non siamo mai riusciti a renderla in Italia (anche se per un breve periodo è sembrato quasi che ce la avessimo fatta a democratizzarla un pochetto) ad ogni modo una cosa è il metodo “poliziesco” dei periodi democratici e altra quando la democrazia incomincia a vacillare, o addirittura a scomparire, come negli ultimi anni.
    Oggi non viene messa solo in atto la forza e qualche scappellotto, ma, prima di tutto entra in ballo la totale NON TRASPARENZA (e la conseguenza immediata è che ogni cosa che poi dici e denunci ti accusano di complottismo deridendoti) e poi entra in ballo, abbinato al dolore fisico inflitto, il dolore indelebile psicologico: lo schock & awe*: l’umiliazione dell’essere umano ormai impotente e ridotto in totale potere di un altro. Umiliare per ridurre un libero cittadino a chiedere non diritti, ma pietà, renderlo un oggetto che dirà tutto quello che gli viene ordinato. Soprattutto un “oggetto” che non avrà il coraggio di tentare nuovamente di far valere i propri diritti, metodo tra l’altro efficacissimo e che è il motivo per cui non si riesce ad eliminare la tortura dal mondo, un torturato, non solo fornisce informazioni utili, ma difficilmente riuscirà a ridiventare un cittadino normale che lotta per i suoi diritti umani e civili.
    Beh da quando Fini va a dare la sua solidarietà nelle caserme il sistema è questo: sia che si tratti di delinquenti da interrogare, che migranti nei ctp, che studenti sognatori o birichini (lasciamo perdere i così detti terroristi internazionali perché lì siamo addirittura nella patologia sado-disumana dove l’impunità scatena la peggior bestialità umana) .
    Ormai anche in Italia, da Genova in poi la polizia ti picchia come sempre, ma, oltre alla novità dei manganelli Tonfa, c’è quella che ti umilia con nuovi sofisticati metodi marziali. Per ora non puo’ torturati fisicamente (deve portarti all’estero per poterlo fare) ma … per quanto ancora?
    Bella la poesia, volevo chiederti una cosa con “carpiare” alludi alla posizione del tuffatore?
    Si sogna tuffandosi a gambe tese?
    georgia
    * SHOCK & AWE
    “vale a dire, un trauma immediato con conseguenze debilitanti e
    paralizzanti (shock), che dà esito a uno strascico psicologico profondo e
    persistente alla cui base è un atteggiamento misto di paura, soggezione e senso d’impotenza (awe)”.
    cfr. peacelink
    Choc e Sgomento” è il titolo di un libro “Shock & Awe – Achieving Rapid Dominance” (“Choc e sgomento – Come ottenere rapidamente il predominio“): così si chiama il volume scritto da Harlan K. Ullman e James P. Wade, pubblicato nel 1996 dalla National Defense University Press (si poteva consultare su Internet all’indirizzo http://www.dodccrp.org/shockIndex.html non so se sia ancora valido).
    “La tesi degli autori, che dichiarano d’ispirarsi al cinese Sun Tzu (V secolo a.C.), è questa: ‘Disarmare l’avversario prima della battaglia è il più grande successo che un comandante possa ottenere’. Come sappiamo, ‘Choc & Sgomento’ è il motivo dei bombardamenti di Bagdad: distruggere psicologicamente il nemico, togliendogli la forza e la voglia di combattere” (dal Corriere nel marzo 2003)
    Anche se sembra che nella Battaglia di Bagdad sia addirittura stata sperimenta una nuova arma (riusata a Falluja) di cui ancora si sa molto poco.
    georgia

  12. Scrive Georgia:
    «urca!
    qui, ora si che si ragiona e si danno notizie»
    Beh, su un blog lo si può ancora fare: se lo fai in un romanzo ti dicono che sei “consolatorio” 🙁

  13. beh … scusa ma cosa c’entra un romanzo?
    Il romanzo è qualcosa di più e di meno (dipende da chi lo scrive) dell’informazione nel presente che deve essere immediata ed efficace.
    Io per “informarmi” sul presente leggo i giornali e i blog, per informarmi sul passato i libri di storia, e per “capire” come ci si informa, capire come si resiste, per apprendere vitamine che mi creino anticorpi … leggo romanzi, poesie, racconti ecc ecc. ;-).
    Poi alle volte capita di fare tutto questo pure divertendosi e allora è quasi come stare in … paradiso:-).
    Il termine “Consolatorio” non è altro che un eufemismo per dire che una cosa è una cagata pazzesca (a volte è vero, a volte è solo un errore del critico denigratorio).

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