IL RAGAZZO DEL CLAN

La saga del Corriere della Sera continua. Oggi Giorgio De Rienzo, lancia in resta, liquida Alessandro Piperno e Leonardo Colombati. Curioso che ci si senta in dovere di giustificare una stroncatura prendendosela con il proprio giornale (chi l’ha montata, la questione del romanzo di destra e di sinistra, Le Canard enchaîné?) e con personaggi (direttori editoriali e uffici stampa) che evidentemente fanno il proprio lavoro e basta: sarei sorpresa di sentir dire da un appartenente ad una delle due catagorie "guarda, ho qui un romanzo veramente mediocre di un tale che dovrebbe cambiare mestiere". Poi, ci sono i "piccoli clan": ho qualche sospetto su cosa intendesse De Rienzo, ma taccio. E’ tutto vostro.

"Forse occorrerebbe a tutti noi che ci occupiamo di letteratura per professione prenderci una pausa di riflessione e chiederci se non sia un po’ sciocco (e miope) deludere (se non ingannare) i lettori che non sono già tanti e proprio per ciò andrebbero rispettati. Direttori editoriali e responsabili di uffici stampa, critici e giornalisti quest’anno hanno applaudito con allegria frettolosa (magari a occhi chiusi) come capolavori i vagiti di alcuni giovani scrittori esordienti, per poi farli diventare lunghi e rumorosi, montando accese discussioni, chiedendosi se questi romanzi fossero di destra o di sinistra (quasi fosse davvero importante), piuttosto di porsi seriamente il problema se si trovassero di fronte a opere narrative più o meno valide. Si è partiti da Con le peggiori intenzioni (Mondadori) di Alessandro Piperno, per arrivare a Perceber , «romanzo eroicomico», di Leonardo Colombati (Sironi, pagine 508, 17): un libro che è un contenitore dalla scrittura torrenziale di cui è difficile persino fare un riassunto che possa stare in piedi per presentarlo al lettore. Fermiamo tutto allora. Cerchiamo prima di chiarirci se esistano (e quali siano eventualmente) le regole più semplici perché un libro possa non dico diventare un romanzo, ma avere comunque dignità di testo letterario.
La domanda banale insomma è questa: si possono stabilire punti di riferimento elementari, per quanto molto flessibili, oppure dobbiamo restare in balia del giudizio di piccoli clan che giustificano tutto e tutti? Non intendo insegnare niente a nessuno. Vorrei soltanto capire se chi legge un romanzo, prima di pubblicarlo e lanciarlo, prima di scriverne per poi montare un caso, abbia ancora chiaro che un’opera narrativa debba sviluppare una storia (o più storie intrecciate), avere una struttura (semplice o complessa) che la sorregga e insieme la forza di una scrittura che si trasformi in stile.
Non mi pare di segnare regole che neghino la libertà inventiva la quale, rimane ovviamente sacrosanta per qualsiasi scrittore in quanto connaturata all’idea stessa della letteratura. L’alternativa possibile a questo canone narrativo chiuso, che interpreta una visione del mondo, può essere certamente quello di una libertà assoluta (e anarchica) che esprima invece il caos del mondo. E’ l’alternativa però più difficile, che richiede un rigore di scrittura e una capacità inventiva eccezionale.
Uno scrittore può dunque abolire ogni regola, accumulare – come accade con Colombati – spezzoni di storie e anche magari abbandonarle al loro destino, mescolare stravaganze e variazioni di linguaggio, sovrapporre moduli espressivi, creare una struttura in cui la direttiva principale diventi quella di una continua divagazione. Ma allora perché Colombati sente il bisogno di sorreggere la sua anarchia espressiva da una «mappa» precostituita di orientamento per il lettore e da una serie di note che giustificano il caos a posteriori? La realtà è che l’autore, creato un vuoto, si sente autorizzato a vomitarvi dentro liberi pensieri sparsi, a esibire la sua cultura (cioè mettere insieme brani di canzonette e pillole di cosmologia, fatti di cronaca e scampoli del Talmud, svelte diagnosi psichiatriche e coriandoli di filosofia), con una scrittura torrenziale generalmente sciatta che finge di accettare tutti gli stili, per non saperne creare uno originale. Potrei sbagliare, ma credo onesto avvertire il lettore che questo non è un romanzo: è soltanto un contenitore zeppo di velleità e vanità pseudo culturali".

105 pensieri su “IL RAGAZZO DEL CLAN

  1. Ma perchè non te ne vai a dormire? Ancora con queste perle di De Rienzo. Ma chissenefrega, no? Rileggiti tu Tondell,i e prega per lui, il vecchio peccatore, l’altro libertino, l’amico tuo insomma…

  2. “tutti quanti abbiamo la nostra storia triste.E la mia è anche tra le meno romantiche”
    Diamonds
    Tom Robbins
    Half Asleep In Frog Pajamas

  3. “Guida alla lettura. Come leggere un classico”
    Autore De Rienzo Giorgio
    Dati 231 p.
    Anno 2001
    Editore Bompiani
    Leggere un classico significa entrare in sintonia con un grande testo, raccoglierne pazientemente tutti i dati e gli stimoli che offre, smontarlo e poi rimontarlo per comprenderne i significati. Giorgio De Rienzo insegna con semplice praticità i metodi attraverso cui studiare un libro, con esempi tratti, fra gli altri, dalla “Divina Commedia” e dal “Decameron”, dai “Promessi sposi” e dalle “Avventure di Pinocchio.”

  4. L’INCIPIT DE “L’INDAGINE” DI GIORGIO DE RIENZO
    “Il questore Giovanni Montaldo se ne restò a contemplare il mare inargentato dalla luna davanti a lui. Accoccolato sulla sdraio ascoltava lo sciabordio dell’onda sulla battigia della spiaggia versiliana. Osservava il tremolio della marina, odorava il profumo forte di salmastro e pregustava l’incontro con i pochi e antichi amici, che aveva convocato il giorno dopo per festeggiare il proprio addio alla Polizia.
    Aveva voluto che la festa avvenisse li, sulla terrazza del vecchio stabilimento balneare del Lido di Camaiore, in cui aveva vissuto estati sempre serene. A Roma, nel chiasso di una città che non amava, dove aveva raccolto troppe delusioni nella sua carriera interrotta da un nuovo potere che usava guanti per non mostrare artigli, sarebbe stato costretto da ipocrite convenzioni a circondarsi di una folla soffocante. 11 giorno in cui pensava di consacrare la propria piena libertà si sarebbe fatto così pesante per quelle ostentazioni fastidiose di deferenza, di cui gli uomini dell’apparato statale si servono — quasi obbedendo a un riflesso condizionato — per salire qualche gradino in più nelle loro scale immaginarie del potere, o quanto meno per non scivolare giù da dove si erano abbarbicati.”

  5. Helena del mio kuore selvaggio, ovviamente non invitavo te ad andare a dormire, spero sia chiaro. (Non in quel senso, almeno:-))Cmq, io tra un mal di denti e un colpo sulle mie granitiche sfere scelgo il primo.
    A Scarpara, mi chiamo Franz, neh?:-)

  6. Oh, io essendo in fondo una donnetta riesco a piangere per la mamma di Dumbo, per Charlie Chaplin, per Molly Bloom e anche per la Giovanni Migliore. Ma una lacrimuccia è una lacrimuccia non è un argomento e io l’ho tirata fuori semplicemente sull’onda di un commento precedente.
    Detto questo, io non credo che Perceber sia una scopiazzatura di Joyce. Ma non credo che sia questo il momento (per me non è certamente l’ORA) di esporti perché lo ritengo, pur con tutti i suoi diffetti, un buon libro. Del resto, i gusti sono gusti, e le critiche sono le critiche: basta che siano motivate.
    A me premeva davvero soprattutto dire che non si può costringere il romanzo in uno schema così angusto, perché è anche di questa normalità o normalizzazione che a mio avviso molti romanzi oggi soffrono. Questo, Riccardo, ripeto, non vuole essere una presa di posizione a favore del “romanzo sperimentale” o “postmoderno”, perché davvero personalmente io non ho preferenza “di genere” intese in senso largo.
    Per Franz: se ci fossimo fraintesi, intendevo la stessa cosa. Le microstroncature sono un colpo sotto la cintola , ma non le prendi sul serio (anch’io l’ho beccata sul Magazine e l’argomento principe è che si capiva che non sapevo fare il pesto col minipimer come qualsiasi brava donnetta italiana: giuro!), quelle grandi almeno “fanno parlare”, quelle argomentate che ti procurerebbero un autentico, persistente mal di denti però non esistono più.

  7. Con il metodo adottato dall’anonimo studioso di de Rienzo si riesce a far passare chiunque per coglione. E poi sono stufa che la risposta a qualcosa di opinabile sia tirare fango a chi l’esprime. Si può fare di meglio, no?

  8. Torno adesso da un Magnum alla vaniglia;-) No, Angela, non stavo scherzando. Ne sono pieno fin qui dei libertari, di Tondelli, del tondellismo, di quelli che “oh che bei tempi quando c’era Tondelli”. Per meglio chiarire: di quelli che si riempiono la bocca di Tondelli, a 15 anni dalla dipartita. Tutto questo senza negare, assolutamente, la sua grande generosità. Da qui a dire che è stato l’inventore (o qualcosa del genere) del noir italiano, o il miglior scrittore italiano delle ultime generazioni, ce ne corre. Vien proprio voglia di andare a rileggersi Berto, si, come ha detto non mi ricordo chi in qualche commento fa. Scusa my Angel, ma a me stare nel branco mi ha sempre fatto venire le zecche (infatti sono disinfestato). Baci disinteressati d’amicizia e simpatia.
    Tuo
    Kaspar.

  9. scusa, Franz, torno adesso dal gelatino e rilleggendo i post:
    “rileggiti tu tondelli. e prega per lui, il vecchio peccatore, l’altro libertino, l’amico tuo insomma”. ho capito che ti aveva fatto un po’ incazzare la derienzomania, però scusa, il post di oggi è sul rispetto che “si dovrebbe agli scrittori” in generale.
    e quello di ieri sul fatto che superata una certa mentalità – a suo modo anche tondelliana – guarda in che bel merdone ci troviamo 🙂
    per giunta tondelli è stata persona molto generosa e davvero libertaria. mi va di pensare che tu stessi scherzando 🙂
    (se sono OT scusate, ma non mi va di fare mail nelle caselle private)

  10. La posizione di De Rienzo, legittima ovviamente, somiglia in realtà a quella di qualche lettore che, aperto il libro di Colombati, ad un certo punto non se la sente di seguire l’autore in quella specie di labirinto che è Perceber. In realtà, se si osasse dedicargli un po’ più di tempo e di attenzione, ci accorgeremmo che proprio lì sta il suo fascino, e l’interesse del lettore sarebbe avvinto dal desiderio di scoprire il filo di Arianna che lo aiuti a compiere lo straordinario e avvincente percorso. Qui sta il “gioco” – non allegro, ma ricco di riflessioni anche amare – in cui ci irretisce Colombati. Qui sta la giustificazione di quell’ “eroicomico”.
    Di solito i critici di professione, di fronte ad un romanzo, cercano di trovare la sua collocazione attraverso i canoni consolidat,i ed è quasi sempre un’operazione fuorviante, che oscura in realtà il valore intrinseco del libro, il quale deve essere invece letto per se stesso. Immergersi, ossia, nella scrittura, attraverso di essa percorrerne la struttura, trovare i contatti, e dunque, infine, il filo di Arianna. Lungo questo percorso (che è sempre interessante per ogni romanzo; poi ci sarà quello più interessante e quello meno interessante) non sarà difficile subire la suggestione (che sempre c’è) di altre letture di altri autori, e il loro richiamo non farà altro che sollecitare in noi il pensiero di una magnifica, potente unità della letteratura universale; ossia ogni autore, inconsciamente o meno, aggiunge la sua particolare voce alle voci che sono state impresse e che continuano a sussurrare nel mondo favoloso, fantastico della letteratura.
    Nel momento che si inizia una lettura, si deve stabilire, a mio avviso, un solo rapporto: quello con il libro. Ci penserà il libro a stimolare la nostra sensibilità, la nostra memoria, il nostro pensiero, i nostri sentimenti. Noi dobbiamo solo raccogliere e, se vogliamo, ricordare, scrivendone, tutto ciò che ci ha dato.
    Ogni lettore si arricchisce in modo diverso, quasi certamente, ma sempre grazie a quel libro e grazie al contatto che esso mantiene con i milioni (miliardi?) di libri già scritti.
    Per tornare a Colombati, nel suo labirinto affascinante, si trovano molte idee e molte suggestioni, e se ne potrebbero trovare di più se ci assistesse – per quanto mi riguarda – una cultura maggiore, di cui il libro è cosparsa.
    Una di queste è il valore che vi assume la parola, grande modificatrice della realtà.
    La mia (lunga) recensione (non è un caso che io chiamo le mie recensioni: letture) si concclude con queste parole:
    “Non v’è dubbio che Colombati aspira a ricondurre ad una sola le numerose personalità (quindi, non solo quelle dei personaggi principali) che compaiono nel romanzo, come se provenissero da uno stesso pensiero che si interpreta, si analizza, si confessa, e con ciò ritrova in se stesso, dentro una specie di agorafobia indotta da una temporalità e da una spazialità che tendono all’infinito, le ragioni del proprio esistere, e il desiderio del proprio annientamento.
    La ricerca che lo zio di Migliore, il Professor Bologna, fa sui libri antichi, intorno ad un probabile segreto che sta racchiuso nell’Universo e che i sapienti hanno tramandato nascosto tra le parole, non fa che dare al romanzo il segno di un viaggio inscritto nelle ragioni stesse della Creazione, e, pertanto, intriso di quel mistero che sposta sempre più in avanti l’orizzonte del suo compimento. Un viaggio che non ha fine, dunque, una rinascita che è solo possibile, forse, attraversando il Nulla.”
    Scusatemi se sono stato lungo, ma il libro di Colombati non è un libro qualunque. Un capolavoro? Questo è difficile a dirsi. Il capolavoro, più che parlare a noi, deve parlare ai posteri, durare nel tempo, svolgere nel tempo i suoi molteplici significati.
    Ma è un libro nuovo, e impegnativo. Perciò, può e non può piacere – come succede a tante cose -, ma è degno di una migliore attenzione.
    Bart

  11. Helena, confermo: abbiamo sensibilità diverse. Quanto alla forma del romanzo, sono pienamente d’accordo con te. Ma tutto dipende dal risultato: se usi una forma già inventata devi dire qualcosa di valido, se vuoi inventare una forma nuova non devi rifare l’Ulisse. Almeno, così sembra a me.

  12. Penso di essere un po’ fuoritema (anche perché non ho ancora letto né comprato “Perceber”: anch’io, infatti, mi sono imposto il limite, forse stupido, dei 15 euro a volume), ma poiché, se non erro, uno dei punti di riferimento di Colombati è Thomas Pynchon, e in particolare “Gravity’s Rainbow”, segnalo sul numero estivo di BookForum una lunga e ricca “lettura” di Gerald Howard, dal titolo “Pynchon From A to V”, più contributi ridotti di Don DeLillo, Jeffrey Eugenide, Lorrie Moore, Richard Powers, George Saunders, Lydia Davis e, su carta, altri scrittori:
    http://www.bookforum.com/pynchon.html
    Tra le varie cose, viene ripercorsa la storia della pubblicazione di “Gravity’s Rainbow”, la sua accoglienza immediata e la ricezione a trent’anni di distanza. Mi pare che da tutto ciò si possano attingere ottimi spunti di discussione.

  13. @ riccardo ferrazzi – forse non mi cagerai nemmeno di striscio come l’altro giorno, ma io ci provo lo stesso.
    perchè non si dovrebbe ‘rifare’ l’ulisse?
    a prescindere dalle categorie erroneamente, a mio avviso, ascritte al postmodernismo come il citazionismo o il dialogo (dichiarato) con altri testi, la ‘creazione’ dell’opera non è sempre e comunque un ‘rifare’, ‘rivisitare’? perchè l’ulisse, che sua volta era un rufacimento di un’altra opera, non dovrebbe essere toccato?
    lo chiedo senza vena polemica, e senza nessuna convinzione di poter arrivare ad una decisione definitiva, ma solo per curiosità intellettuale.

  14. Sì, d’accordo su tutto. Ho amato sia Piperno che Colombati. Di sicuro De Rienzo non ha letto un tubo, e su Perceber parla per sentito dire. E però in questi giorni ho letto anche lo strepitoso “La Macinatrice”, che continua a macinarmi dentro e mi ha sconvolta, e del quale si è fatto un gran parlare a vuoto. E’ talmente tutto lavoro degli uffici stampa che sarebbe come se Loredana ignorasse un romanzo di questa portata perché non è Stile Libero o perché l’autore, da quanto ho capito, ha molto nemici.

  15. Ok,tagliamo la testa al toro:”V. è un’entità misteriosa, forse è il principio stesso della femminilità; V. assume molteplici aspeti e sembianze, e sfugge a ogni precisa identificazione. V. è di volta in volta la dea Venere e il pianeta Venere, la Vergine, la città della Valletta a Malta, il Venezuela, l’immaginaria terra di Vheissu. E V. è molte donne: Vittoria, Veronica, Violet… V. è un enciclopedico, labirintico, ambizioso, infinito e corrosivo gioco di specchi: una grande prova d’autore”
    Questo è un capolavoro(e scusate se sono responsabile della regressione di un percorso dialettico sotto il profilo qualitativo.Spesso i miei interventi sono quello che in altri campi viene definito “prova riflessi”;impossibile addormentarsi in un Odeion senza uscirne moralmente deteriorati)

  16. andrea: non ho nessuna puzza sotto il naso. Semplicemente rispondo quando credo di avere da dire qualcosa che non ho già detto. Perché non rifare l’Ulisse ? Perché è già stato fatto, è lì e basta leggerlo. Quindi: o lo rifai meglio di come l’ha fatto Joyce, o fai un’altra cosa, o lasci stare. Perceber non inventa niente di nuovo dal punto di vista della tecnica narrativa, narra molto poco, dichiara grandi aspirazioni letterarie, filosofiche, esoteriche e sapienziali, ma, a mio parere, non riesce a mantenerle. Tutto qui.

  17. Viola, ma che noia con questa storia di Stile Libero e del “rifate-i-conti-di-quante-recensioni-di-Stile-Libero-trovate-in-giro-a-mia-firma!”
    🙂
    Quando alla Macinatrice di Massimiliano Parente (Pequod), lo sto leggendo. Noto, con non poca sorpresa, che la recensione apparsa giorni fa sull’Unità traccia un parallelo fra Parente e Wu Ming (fin qui non sono riuscita a trovarlo, ma sono a a metà e non dispero). Comunque, se non si fosse capito, sono in arretrato con le letture…

  18. sono venuto fin qui perchè sinceramente desideravo migliorarmi.Confesso di non provare nessun disagio nello stare in mezzo a dotti e sapienti(forte della certezza che ho visto almeno il triplo delle cose di chiunque,prima di fare professione di modestia).Prendo atto del fatto che la contingenza sfavorevole che mi ha impedito di acquistare libri pubblicati negli ultimi cinque anni mi taglia fuori dai discorsi alti.Constato che questo posto arieggia la fattispecie della sala d’attesa di un ambulatorio neurologico,e finalmente capisco di essere nel posto giusto(ma al momento sbagliato.Ciao,”ve li do io i tropici”)
    p.s. 1 -e se Perceber fosse la galassia web riveduta su carta?
    p.s. 2 -non forate troppi palloni quest’estate

  19. @ riccardo – forse mi hai frainteso, non è di puzza sotto il naso che ti accuso, mea culpa, capisco che le mie parole potevano essere fraintese. semmai, e, dopo questo tuo post, sicuramente, posso dichiararmi insoddisfatto delle tue risposte, le trovo un po troppo sbrigative, categoriche e semplicistiche.
    non parlo di perceber, come ho già detto, non l’ho letto. non mi pare, infatti, di essere entrato nel merito, potrebbe essere benissimo peggio dell’ulisse, ma non mi interessa, e secondo me è anche fuori luogo, il paragone qualitativo.
    mi interessava piuttosto l’idea del ‘rifacimento’, del processo creativo.
    magari sono solo uno che si tira le pippe meta-testuali-linguistiche-storiche-stilistiche, però non puoi liquidare la questione dicendomi l’ulisse è lì, vattelo a leggere se ne hai voglia, sinceramente non mi basta.
    ‘psycho’ di gus van sant ha ‘copiato’ l’omonimo di hitchcock inqudratura per inquadratura, johm coltrane ha suonato ‘my favourite things’ centinaia di volte, di ‘gialli’ ce ne sono centinaia di migliaia, di romanzi di formazione pure, che differenza c’è fra ‘moby dick’ di melville e ‘lo squalo’ di spielberg? e ‘lo squalo’ ha senso di esistere solo perchè è meglio di ‘moby dick’?
    al di là delle considerazioni più ‘filosofiche’ sul concetto di ripetizione, di autoreferenzialità di ogni forma d’arte e di espressione in generale, al di là dei concetti di genere, di modello, scrivere non è sempre ri-scrivere qualcosa di già scritto? e l’adottare un modello o una struttura ‘inventata’ da un grande capolavoro potrebbe semplicemente essere più visibile rispetto a modelli già completamente introiettati e canonizzati.

  20. Mi assento,(ultime incombenze dell’anno scolastico, uno scrittore deve pur lavorare, primo per campa’, secondo per restare in mezzo alla gente reale) torno e trovo questa bella polemica. Io credo che il romanzo di Piperno sia da 7 (però tutti si scatenano verso polarità opposte: o dicono che è un capolavoro o che fa schifo, boh…), e penso, avendolo quasi letto in libreria, la stessa cosa di Percebar (tutti ancora: capolavoro o schifezza, ma la gente non ama mai le vie di mezzo? Com’è che poi alle urne sono tutti moderati?).
    Per quanto riguarda la stroncatura in poche righe del romanzo di Franz non la condivido affatto, nel merito e nella forma, essendo “Cattivo sangue” un grande romanzo di cui magari mi piacerebbe parlare meglio in seguito…
    Ora, però, torno ai miei registri: registro della commissione handicap, registro di classe, registro della programmazione…
    Beati voi…

  21. Mi assento,(ultime incombenze dell’anno scolastico, uno scrittore deve pur lavorare, primo per campa’, secondo per restare in mezzo alla gente reale) torno e trovo questa bella polemica. Io credo che il romanzo di Piperno sia da 7 (però tutti si scatenano verso polarità opposte: o dicono che è un capolavoro o che fa schifo, boh…), e penso, avendolo quasi letto in libreria, la stessa cosa di Percebar (tutti ancora: capolavoro o schifezza, ma la gente non ama mai le vie di mezzo? Com’è che poi alle urne sono tutti moderati?).
    Per quanto riguarda la stroncatura in poche righe del romanzo di Franz non la condivido affatto, nel merito e nella forma, essendo “Cattivo sangue” un grande romanzo di cui magari mi piacerebbe parlare meglio in seguito…
    Ora, però, torno ai miei registri: registro della commissione handicap, registro di classe, registro della programmazione…
    Beati voi…

  22. Una cosa che mi sono sempre chiesto è perché Giulio Mozzi, che si è sempre definito scrittore di ***racconti*** (il racconto, come è noto, è una forma bonsai di romanzo, ovvero un romanzo di poche pagine), come editor si lasci impressionare soprattutto dagli scrittori-fiume, rutilanti e roboanti, dalle cinquecento pagine in su a opera, per intenderci (Avoledo, Colombati ecc.).
    Insomma lui ce l’ha piccolo (il fiato narrativo), ma dagli altri lo vuole grosso:-/

  23. Andrea C, hai ragione. Non c’è romanzo, tutto sommato, che non possa riassumersi nella consolidata formula: “Qualcuno fa qualcosa da qualche parte per qualche motivo in un qualche momento” (Who, What, Where, Why, When):-/

  24. non posso che dissociarmi da qualsiasi divisione tra forma e sostanza. se la necessità è quella di ridurre preferisco le categorie strutturaliste o quelle del mito. e, semmai, anche se non me la sento di essere così riduttivo, non è di saggio che parlerei, ma di empatia.
    tuttavia, se parliamo di forme canonizzate allora dovremmo stabilire come avviene il processo di canonizzazione. e, di seguito, dovremmo definire il concetto di contemporaneo e di avangurdia (la monalisa coi baffi di duchamp).
    ma io preferisco andare a investigare l’ibridazione piuttosto che il genere.
    preferisco ‘giro di vite’ un giallo? una ghost story? un romanzo psicologico?
    non mi interessa.
    a prescindere dalla sua godibilità (caratteristica imprescindibile) il romanzo di james frantuma in maniera meravigliosa ogni tentativo di essere riconoscibile al canone, con l’esistenza del canone, con la consapevolezza del canone.

  25. andrea, mi dispiace che il mio comment non ti abbia soddisfatto. Evidentemente non sono all’altezza. Però forse posso consigliarti due letture (o riletture): un qualunque testo di letteratura latina dove si tratti la questione della “contaminatio”, e una ficciòn di Borges: quella intitolata (mi pare) “Pierre Menard, l’autore del Quijote”.

  26. a riccà, un poco permaloso lo sei.
    io non intendo fare muro contro muro, ma dialogare. quindi anche io mi sento di consigliare ‘l’infinito intrattenimento’ di blanchot e l’amleto di carmel bene.

  27. De Rienzo, belle parole, vedremo i fatti. Ingeneroso peraltro sparare su Piperno e Colombati, il fenomeno è globale: i pacchi non se li compra più nessuno. Posti di lavoro a rischio, come in altri settori, se non si punta sulla qualità reale. Più campanello d’allarme di così, non so. Chi non si sveglila è perduto.

  28. @ Andrea c
    Ma ho parlato forse di ‘genere’?
    E non ho lasciato, forse, trapelare la mia viscerale ammirazione per l’Ulisse di Joyce (con lacrime), la cui grandezza sta anche nell’aver distrutto **ricostruendo**, senza lasciarsi dietro le macerie di un perfetto nulla sparso per centinaia e centinaia di pagine?
    Come invece spesso succede, con la pretesa al diritto all’esistenza di qualsiasi moto dell’animo nostro, fino all’eccesso del cosiddetto ‘vomito’. Per carità, non voglio mettere in discussione alcun diritto. Ma non etichettiamo tutto come romanzo, però, solo perché il lettore vuole le storie lunghe ed il resto non si vende.
    Mi piace la narrativa, nel senso lato del mio precedente commento: pensavo di aver fugato ogni possibile accusa di riduzionismo, ma basta nominare la “forma”, o meglio il “canone”, che tutti strillano al lupo al lupo, all’ingabbiamento.
    Francamente, odio ciucciarmi i ‘blob’ letterari. Se è un limite, sicuramente è mio (o magari chissà, di chi non riesce a catturarmi con le sue logorree).
    In quanto all’empatia, come la intendi, preferisco di gran lunga provarla per i saggi che parlano -davvero- dell’evoluzione e del respiro dell’Universo.
    Ed al mare mi porto Cechov.

  29. Gli scrittori si appoggiano a dei modelli di altri scrittori, grandi e amati maestri, per imparare a camminare con le proprie gambe, è giusto e normale.
    Perché la linea di discendenza Cechov-Carver-e, dalle nostre parti, anche Tondelli va per la maggiore e va benissimo e Joyce no? Perché possono esistere persino in Italia (Vitaliano Trevisan) stimati autori che si ispirano all’impianto retorico e allo stile di Thomas Bernhard, cioè a qualcosa di molto più pervasivo in un opera, mentre appoggiarsi al modello strutturale dell’Ulisse vi appare illeggittimo?
    Se, per gentilezza, me lo spiegherete, mi prenderò il tempo per illustrarvi le ragione per cui secondo me Perceber è qualcosa di più di un saccente esercizio epigonale. E guardate che non intendo convertire nessuno, perché capisco bene che anche il lettore più aperto e appassionato ha le sue zone soggettive di sordità, ma perché a questo punto mi sembra troppo comodo non farlo.

  30. Un motivo può essere, Helena, che la linea macaronica cui aderisce (o da cui discende) Perceber è poco frequentata in Italia. Qui non c’è mai stato un Rabelais, mai uno Swift, men che meno un Dickens o un Victor Hugo – e quando pure ci son stati, rimasero eccezioni e, in quanto tali, confermarono la regola. Colombati discende bensì da Tassoni, ma appunto anche da Folengo e dai novellieri toscani del Quattrocento, per dire. Roba che nessuno legge più e che, magari, a De Rienzo nemmeno piace.

  31. @ gianna – scusami, ma non puoi usare le parole ‘forma’ e ‘sostanza’ e allo stesso tempo pensare che io prenda 2000 anni di storia e li butti nel cesso. se dici forma non posso fare a meno di pensare alla storia di questa parola, se dici sostanza idem, se le dici insieme, poi che ti aspetti?
    in più, non capisco perchè sia ‘comunque svantaggioso’ fare riferimento all’ulisse. esistono forse opere che si prestano meglio all’essere presi come riferimento?
    infine, lascia stare i “saggi che parlano -davvero- dell’evoluzione e del respiro dell’Universo”, per come la vedo io, non ce ne sono in giro, e quelli che vengono spacciati per tali causano solo danni…tipo quella U maiuscola che hai messo davanti alla parola universo.

  32. sono daccordo con helena. magari la richiesta gentile di una donna potrà avere più successo delle mie suppliche. anche se, ho i miei dubbi, mi pare che joyce sia intoccabile. sordo accademismo? timore reverenziale?
    ah, saperlo!
    per ora si è smosso solo giovanni che tira in ballo una regola, con tanto di eccezioni che la confermano, che io non conoscevo e che sicuramente avrà forti ripercussioni.

  33. Andrea, per carità: sono per scelta anormativo. Osservavo soltanto certe persistenze nella storia della letteratura italiana, e certe corrispettive assenze.
    Se ho parlato di regola, e quindi, per improprio traslato, di norma, è a causa della mai rimossa formazione tecnica, di che mi scuso.

  34. Helena, appoggiarsi al modello strutturale dell’Ulisse non è illegittimo: è rischioso, e se si capitombola ci si fa male. Io credo che Perceber sia un capitombolo, ma non vedo l’ora di ascoltare un parere diverso e competente come il tuo. Dài, trova un’ora di tempo libero e conta sù.

  35. Gianni, su De Rienzo circolano chiacchiere ben più pesanti. Il c.d. mondo dell’editoria è, come ognun sa, paragonabile a un mercato del pesce, con la differenza che almeno lì si compra roba da mangiare. Le pagelline non sono ciò per cui De Rienzo sarà studiato negli anni a venire. Le concordanze dei Promessi Sposi, che con altri ha curato e altrove ho già citato, sì. E’ sufficiente un lavoro del genere per prenderlo sul serio? Mi parrebbe che sì. E poi, il pezzo dell’altro giorno su Perceber, non era gran che, ma quel numero del Corriere io, come forse altri, l’abbiamo già buttato nella differenziata.

  36. @ Helena
    Mettetetevi nei panni di un lettore, già razza strana, e poi indossate gli altri panni di lettore che anziché guardare la televisione legge e naviga su Internet. Ad occhio e croce dovrebbe essere il più difficile da abbindolare. Se questo lettore ha già fondate sensazioni di essere tirato per la giacca ancor prima della pubblicazione, e legge da Colombati che Ulisse è un contenitore dove può essere messo di tutto, forse si fa venire il dubbio che l’afflato del romanzo (Perceber) sia talmente fuggevole e così disperatamente ambizioso, da necessitare di essere imbrigliato in una struttura spiegata da mappe e schemi, e che la cultura enciclopedica aiuti a richiamare un mondo e dei significati già confezionati da altri.
    Non ritengo che non si possa rifare l’Ulisse di Joyce, ma semplicemente che per rifare (nel senso di prendere lo spunto) l’Ulisse di Joyce ci vogliono degli attributi dei quali Colombati mi sembra sprovvisto, perché gli stralci di Perceber che ho letto mi sono sembrate evoluzioni di fumo, e perché mi sono fidata delle argomentazioni di De Rienzo, che ha peraltro agitato il mio personale spauracchio del ‘vomito’ letterario.
    Anch’io, comunque, attendo di leggere il tuo commento ragionato su Perceber.
    @ Andrea c
    Lo svantaggio del prendere a riferimento l’Ulisse, poteva mai essere riferito all’opera anziché all’imitazione temeraria e mal riuscita che alcuno non all’altezza ne faccia? Se hai capito questo, o se mi sono lasciata fraintendere, spero di essermi spiegata adesso.
    ‘Forma’ e ‘sostanza’ le ho usate perché suscettibili di essere stemperate da un sano, personale buon senso, che speravo di aver ampiamente trasmesso. Non mi fanno paura le parole, ma l’uso improprio o assolutista che se ne può fare.
    Infine, senza polemica, sull’uso delle maiuscole non accetto consigli da nessuno.

  37. La bellezza di Perceber sta anche nei suoi difetti, nella sua irresolutezza, nella sua mostruosità dichiarata.
    Altre tipologie di romanzi non potrebbero permettersi tanta boria e tanti errori narrativi. Ma questa forma, questo “coso” (così come Petrolio, ad es.), sì.
    Anch’io non penso sia “un capolavoro” (ma reputo che si un libro “importante”, ma ora non ho tempo).
    Da qui a sputarci sopra però, o a parlare di vomito…
    Ma dato che è De Rienzo, be’… dai… un critico che dà i voti, fa le pagelline, come fai a prenderlo sul serio?
    Vi dico solo che vado orgogliosissimo del suo “5” che mi propinò qualche mese fa.
    Mi dispiace solo delle cattiverie che continuo a sentire su di lui da parte di importanti addetti ai lavori. Brutte cose, che reputo veramente sconveniente raccontre in giro. Tipo che le più grandi case editrici gli hanno rifiutato, ormai, dai 4 ai 6 romanzi, e lui si sta vendicando, livoroso.
    Che brutte cose mi tocca sentire, quali bassezze, ma come si fa a diffondere queste maldicenze?

  38. @ gianna – ma guarda che qui non si tratta di uso ‘assolutista’ o ‘improprio’ delle parole, non si stemperano due termini come ‘forma’ e ‘sostanza’, si chiamano da sole un sacco di cose, nessuna delle quali definitive o assolute, ma che sono quantomeno un sostrato.
    io non è che ti fraintendo, è che prorpio non sono daccordo. per me l’ulisse può essere preso come riferimento come topolino.
    io, come ho già scritto all’inizio, non ho letto perceber, proprio come te, e non ne parlo, al contrario di quello che fai tu. però non sono daccordo con de rienzo, non mi fido, perchè la penso diversamente. magari perceber è una cagata, chi lo sa, ma se pure così fosse, non ha a che vedere, seconndo me, col fatto che abbia scelto il riferimento sbagliato.
    se la pensi diversamente, non penso si possa andare avanti.
    sulle maiuscole, al contrario, si potrebbe andare avanti per giorni.

  39. @ Andrea c
    Ed infatti, salvavo il – seppur sfiorato – sostrato. Le nostre posizioni sono due rette parallele.
    In quanto poi alla discussione che stiamo tutti facendo intorno a Perceber, credo che alcune considerazioni non siano né offensive né inopportune. Colombati s’é calato nella fossa da solo, quando ha cominciato o autorizzato il battage che lo ha dipinto come la massima autorità letteraria del decennio. La gravità di una discussione portata avanti senza lettura, è pari a quella di una superbia che sfida il giudizio dei lettori. La pretesa di declassare Joyce (il “contenitore”), per elevarsi nel confronto, può tranquillamente diventare motivo di accanimento. Ed infine, come ho già detto, io mi fido di De Rienzo (ma attendo il commento di Helena).
    Siamo praticamente concordi su tutto. 🙂

  40. beh, allora se uno il giorno dopo va a finire nella differenziata è autorizzato a scrivere cose che non sono un granchè?

  41. Io in Perceber ho trovato cose che chiamerei per comodità “autentiche”. Una straordinaria capacità di raccontare situazioni di lutto e di perdita (madre, finanzata, padre e fratello di Migliore, genitori di Dodo, moglie di Baldini), di vuoto d’affetto sostanzialmente, affrontate dai personaggi con diverse strategie di rimozione dal nevrotico allo psicotico, origine della loro erranza, salvazione o rovina tragicomica.
    Credo, in sostanza,che Perceber sia un libro”vero” e sentito sul senso di perpetua minaccia del nulla che incombe sulle nostre vite, sull’horror vacui che innerva la cultura (in senso lato, antropologico più che altro) italiana e soprattutto romana. Mica per niente, nonostante Pynchon,Joyce ecc. viene fuori un libro italianissimo e barocco. Infatti credo che tutta la farcitura di modelli e citazioni abbia più o meno lo stesso senso dell’iperornamentazione di certe chiese laddove fra i putti dorati e le madonne spuntano teschi e ossa: il troppo pieno che rimanda al vuoto come un racconto scarno ed essenziale non potrebbe mai.
    Per questo mi sembra un’opera coerente e giustificata, non velleitaria.
    E’questo, in estrema sintesi, il nocciolo di quel che conta per me, la ragione vera per cui il libro mi è piaciuto, e parecchio.

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