E’ anche su Nazione Indiana, oltre che due post sotto. Ecco la risposta di Carla Benedetti:
Cara Loredana,
stimo molto il tuo lavoro di giornalista culturale, e perciò mi dispiace che tu ti sia sentita attaccata nel mio articolo pubblicato su Nazione Indiana.
La mia intenzione era di mettere a fuoco un nuovo meccanismo perverso che si è innestato da quando i quotidiani sono diventati editori e si trovano a recensire, sulle proprie pagine culturali, i libri che essi stessi mettono in vendita nelle edicole. Un conflitto di interessi oggettivo, che rischia di chiudere ancor più gli spazi per il giornalismo culturale. Non ho mai pensato che tu piegavi a una vile promozione del libro di Faletti. Non l’ho pensato e neppure l’ho scritto. Se vai a rileggere quel passo, ti accorgerai che nemmeno nella lettera c’era alcuna ambiguità. Dicevo:
“Un altro elemento nuovo è che i quotidiani sono diventati editori. Ristampano i classici ma anche bestseller recenti. E le pagine culturali si riempiono di recensioni di questi libri, che quindi talvolta, al di là delle buone intenzioni del giornalista, diventano oggettivamente indistinguibili da una promozione”.
Quanto al popolare, mi dispiace che tu abbia letto nel mio articolo un disprezzo per ciò che ha grande diffusione. Io non disprezzo affatto né demonizzo i libri che sono popolari. Disprezzo però il populismo, e l’ideologia del populismo, che è tutt’altra cosa. La destra ha fatto del populismo la propria bandiera pubblicitaria. La sinistra subisce questa ideologia senza avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, e fare analisi di cosa sta succedendo davvero. I libri della Fallaci sono popolari. Anche di quelli diresti che vanno accettati per questa ragione?
Ringrazio Andrea e Wu Ming per i commenti puntuali che aprono alla discussione. Anch’io credo che in Italia ci sia ottima e coraggiosa editoria di progetto, e non me la sono affatto dimenticata. Semplicemente mi interessava in quell’articolo fotografare una tendenza, isolare un virus, dire con cosa abbiamo a che fare, con quali ostacoli e forze si trovano a combattere gli editori di progetto, e noi con loro. Non sono catastrofista, ho sempre guardato con sospetto gli apocalittici, e l’articolo di cui stiamo discutendo si chiude con l’affermazione che i giochi non sono mai già tutti fatti.
Carla Benedetti
Ps. La tentazione di cedere al privilegio della padrona di casa e rispondere alla risposta c’è, ovviamente (specie sulla questione del populismo, e della sinistra, e della responsabilità della medesima sulla bandiera che ne ha fatto la destra). Ma, per ora, resisto: anche perché, altrimenti, cosa ci diciamo Carla Benedetti ed io mercoledì prossimo alle 15 su Fahrenheit? (voi però, continuate pure: una discussione così non capita tutti i giorni)
Se accetti Andrea come personal trainer ti prendi anche me. Qualcuno spieghi cosa c’entra Oriana Fallaci con Faletti, che ha scritto un giallo e non una trilogia contro il resto del mondo. populista è l’accostamento di benedetti, semmai.
la destra è populista, la sinistra anche, dove sta il problema?
e poi non parlare di editoria di progetto nel primo pezzo è molto apocalittico.
Visto che mi hai risposto su NI, riprendo il filo di qua. (In attesa di mercoledì venturo). Sui critici, ho un amico che ‘critica’ in un giornale di destra. (e fortunatamente l’ho conosciuto prima di sapere che scriveva su quella cartaccia, altrimenti sarebbe difficilmente diventato un amico). E’ vero, lui scrive senza direttive particolari. Però: 1) gli è stato assegnato un settore piuttosto definito, un orticello politicamente innocuo (il noir) 2) credo che sappia bene dove si deve fermare. L’autocensura è sempre all’opera. E non sarà che – dai oggi, dai domani – questa si incarna sempre più a fondo nel critico, ne diventa fondo oscuro e inconsapevole?
Sull’altra questione credo che ognuno ha le sue buone ragioni – ma senza dar corpo (intendo: corpo testuale) a ciò che si dice, non so quanto sia produttiva la discussione. Ed è possibile che ognuno non faccia che disporre in teoria le proprie esperienze, e dunque i propri piaceri e le proprie aspettative. Ma forse è proprio questo che bisogna fare.
Io so solo che gli scrittori – bravi – sono tutti, consapevolemente o inconsapevolmente “marxisti”. Lo dico alla lettera, per spiegarmi. Perché portano dentro di sé – e scusate la mia “religiosità” nei confronti delle opere, che non é neanche così originale – indicano sempre, nelle loro opere, una “possibilità” di liberazione. E la critica, nei secoli ha fatto a gara a descriverla, questa capacità dell’artista – dello scrittore, della scrittrice come artisti – a idenitificare il meccanismo – di volta in volta l’ ha definito
psicologico, strutturale, materiale, innato, sensibile, culturale, o tutti assieme – i motivi che portano gli artisti a creare le opere. E allora che lo si immagini come un “guru”
(Ginsberg, ma anche Balzac di Louis Lambert), o come una con delle conoscenze talmente accurate della società, – dei caratteri delle persone – in cui vive da permetterle di identificare, di intravedere, ciò che verrà dopo (G. Eliot), o che lo si veda come uno con una conoscenza inconsapevole ma determinante delle “strutture produttive” (Balzac), una cosa é certa. Osservare, leggere, studiare, conoscere le opere contribuisce a migliorare la nostra “consapevolezza” e con quella la nostra “liberazione”.
In quanto ai giornali che vendono – sono “costretti”, per vendere di più, per esserci – i classici, anche questo mi fa venire in mente un pensiero di Marx. Non l’ha forse detto lui, nel suo grande romanzo – strutturalista e modernista prima del tempo – che il “sistema capitalistico sarà costretto dalle sue stesse strutture produttive a rendere liberi gli uomini”? Io credo che se ci sarà questa liberazione potrà passare solo attraverso l’immaginazione. In questo senso é facile intravedere nella battaglia per la difesa del posto di lavoro di certa sinistra istituzionale una battaglia a perdere. E’ attraverso una sempre maggiore difesa dei nostri diritti primari – e tra questi c’é anche quello a “immaginare” una vita migliore, che va garantito a tutti – che passa la nostra libertà. Attraverso la possibilità – che a ognuno deve essere garantita – di immaginarsi libero, non ricattabile, non impaurito, che passa una cultura che voglia essere al passo coi tempi. E che cosa c’é di più nutriente per l’immaginario che poter leggere (Tenera é la notte, L’Orologio, Nanà…) a due lire tutti quei romanzi? Che ci sia Faletti o no, cambia poco. Grazie, se siete arrivati fino a qui.
Io so solo che gli scrittori – bravi – sono tutti, consapevolemente o inconsapevolmente “marxisti”. Lo dico alla lettera, per spiegarmi. Perché portano dentro di sé – e scusate la mia “religiosità” nei confronti delle opere, che non é neanche così originale – indicano sempre, nelle loro opere, una “possibilità” di liberazione. E la critica, nei secoli ha fatto a gara a descriverla, questa capacità dell’artista – dello scrittore, della scrittrice come artisti – a idenitificare il meccanismo – di volta in volta l’ ha definito
psicologico, strutturale, materiale, innato, sensibile, culturale, o tutti assieme – i motivi che portano gli artisti a creare le opere. E allora che lo si immagini come un “guru”
(Ginsberg, ma anche Balzac di Louis Lambert), o come una con delle conoscenze talmente accurate della società, – dei caratteri delle persone – in cui vive da permetterle di identificare, di intravedere, ciò che verrà dopo (G. Eliot), o che lo si veda come uno con una conoscenza inconsapevole ma determinante delle “strutture produttive” (Balzac), una cosa é certa. Osservare, leggere, studiare, conoscere le opere contribuisce a migliorare la nostra “consapevolezza” e con quella la nostra “liberazione”.
In quanto ai giornali che vendono – sono “costretti”, per vendere di più, per esserci – i classici, anche questo mi fa venire in mente un pensiero di Marx. Non l’ha forse detto lui, nel suo grande romanzo – strutturalista e modernista prima del tempo – che il “sistema capitalistico sarà costretto dalle sue stesse strutture produttive a rendere liberi gli uomini”? Io credo che se ci sarà questa liberazione potrà passare solo attraverso l’immaginazione. In questo senso é facile intravedere nella battaglia per la difesa del posto di lavoro di certa sinistra istituzionale una battaglia a perdere. E’ attraverso una sempre maggiore difesa dei nostri diritti primari – e tra questi c’é anche quello a “immaginare” una vita migliore, che va garantito a tutti – che passa la nostra libertà. Attraverso la possibilità – che a ognuno deve essere garantita – di immaginarsi libero, non ricattabile, non impaurito, che passa una cultura che voglia essere al passo coi tempi. E che cosa c’é di più nutriente per l’immaginario che poter leggere (Tenera é la notte, L’Orologio, Nanà…) a due lire tutti quei romanzi? Che ci sia Faletti o no, cambia poco. Grazie, se siete arrivati fino a qui.
Sono arrivata fin qui, e concordo tranne che su quel Faletti che ha il sapore di un nonostante. Alderano, una cosa contesto vivamente: l’orticello del noir, oltre a non essere tanto orticello, è tutt’altro che politicamente innocuo. Il genere non è politicamente innocuo: anzi.
Questa interazione in linea, questi scambi epistolari pubblici sono la cosa più intelligente e interessante di Internet nel 2005.
Seguo il tuo blog e quando posso ti ascolto, settimana scorsa per esempio ero nelle Marche per le Audizioni di Musicultura e ho ascoltato il tuo Round con Mirabella.
Credo proprio che questo possa essere un bell’esempio di uso intelligente e pacato del blog.
Complimenti dal tuo ammiratore in Lussemburgo!
Vittorio
Scusa Loredana, ma – sarò limitata io – il genere “squarta e incolla” a me non piace. Proprio perché é un genere però, lo rispetto, e credo sia giusto ci siano i cultori. Per questo, ho detto, che ci sia Faletti o no. Non era un nonostante. Fosse stata la Oliphant, o la Sinclair (storie di fantasmi) l’avrei difeso caldamente. Bisogna sempre credo lasciare un po’ di libertà al lettore, no? In quanto “rappresentante del genere squarcia e incolla” difendo Faletti. Io non lo leggo. Baci
Riporto di peso, senza neppure chiederglielo, il commento di Franz Krauspenhaar fatto al pezzo di Carla su NI (sempre perché io sono in pieno conflitto di interessi e non posso parlare):
“Non vedo cosa ci sia di scandaloso nel libro di letteratura popolare. Produce profitto. Le case editrici sono aziende molto particolari, come ha spiegato efficacemente Raul; ma sempre aziende sono. Faletti: credo proprio che i suoi libri se li scriva da solo. E ricordo anche che un sacco di personaggi televisivi si sono cimentati con il romanzo, negli ultimi 20 anni, e hanno fallito. Un esempio: Funari – “Famiglia svendesi”. (Primo rigo: “Era un sabato dell’era fascista…”). Faletti ha scritto un romanzo popolare con personaggi di fantasia, ha fatto un’operazione letteraria. I libri che ammazzano la letteratura sono altri, quelli dei comici, per esempio. Trascrizioni pedestri. O quelli dei cantanti che vengono spacciati per scrittori per il loro pubblico di fans in bandana pronti a tutto come la Contessa Garavaglia. Nonlibri. Antilibri. Prese dirette per il culo. Faletti è un ex comico. E ha avuto un chiaro processo evolutivo: da Drive In passando da Sanremo 94 (Minchia Signor Tenente), alle collaborazioni con Angelo Branduardi, a due o tre suoi CD che vendettero poco, a Io uccido. Un medico o un avvocato possono scrivere romanzi e perchè un ex comico no? E poi: vendere 700mila copie con queste credenziali? Solo perchè è un nome popolare? Popolare soprattutto, diciamolo, negli anni 80? Si, ci sta, ma fino ad un certo punto; non spiega tutto il fenomeno. La verità, a mio avviso, è che 700.000 copie, in Italia, oggi, si vendono anche – anzi soprattutto- perchè si è capaci di avvincere un pubblico; al di là di ciò che dice la critica. Barando? Puo’ darsi. Ma l’arte (popolare, per pochi intimi, non importa) per me è gioco di prestigio, è illusionismo. Poi va stabilito (dalla critica) chi è Houdini e chi è(con tutto il rispetto)Tony Binarelli. E ve lo dice uno che nella vita ha venduto soprattutto altro (non equivocate).
Quello che dice Ferrazzi è sacrosanto. Le Caroline Invernizio che oggi si chiamano Tamaro. E c’era (una volta) anche un certo Guy de Maupassant, che attorno al 1890 vendeva 700.000 copie a libro. Proprio come Faletti. Ma a quel tempo. E con quel genio. Perchè lo sapete tutti che Guy era un genio della letteratura popolare. E i suoi racconti e i suoi romanzi tengono ancora, e in maniera eccellente. Un artista puro. E’ nella storia. La storia, sempre quella, che si ripete continuamente.”
Franz Krauspenhaar
Mi associo a Gianni (ma prima o poi parlerai, sì?) e sempre senza chiederlo riporto un intervento di Mario Bianco dai commenti al post su Nazione Indiana. E lancio un appello affinchè un piccolo editore di passaggio dica la sua: è vero, manca un intervento in questo senso:
“Questo dibattito è stato ed è interessante tuttavia è monco perché privo di contributi forse più utili per comprendere il problema posto sull’editoria italiana:
1. Manca qualsiasi intervento di un pur piccolo editore che potrebbe darci maggiori lumi sulla situazione reale italiana ed eventualmente europea e ancora darci elementi di giudizio sulla vita di un editore come imprenditore e non solo romanticamente diffusore, promotore di cultura.
2. L’esempio ricordato da Benedetti sul libro di Riffin pubblicato da Boll.Boringhieri evoca il compianto Salsano che fu ottima persona ma poté svolgere il suo lavoro di scelta in condizioni più uniche che rare lavorando per Romilda Bollati di Saint Pierre che può permettersi ,(essendo ricchissima), con la sua editrice, un passivo anche di un milione di euro all’anno.
3. Un esempio inquietante non citato è che diverse case editrici anche abbastanza note e con discreti cataloghi chiedono ora contributi agli scrittori il che, come si sa, provoca una selezione di base per censo del tutto negativa, e non invoglia il l’editore, già cautelatosi nelle spese, ad una promozione/distribuzione efficace.
4. Non capisco francamente la boutade al massacro della Benedetti: ” Mi verrebbe anche voglia di lanciare una campagna che dice “Leggete di meno!”. Mi da un poco di fastidio anche perché proprio noi che qui scriviamo passiamo molto meno tempo di una volta davanti ad un testo cartaceo, non fosse altro per svagarci o per passatempo; noi e moltissimi italiani sostiamo davanti al pc ore nella lettura sul web, ormai, e non induciamo certo alla stampa di nuovi libri.
5. Altro esempio fastidioso è la editoria assistita dal denaro pubblico in regioni a statuto speciale che a volte ha permesso la pubblicazione di ottimi libri ma pure è servita a produrre tanta robetta clientelare o familista e ,anche in questo caso, non favorisce una politica di distribuzione efficace”.
Non mi sta simpatico Faletti, anzi proprio per niente, ma gli riconosco che ha scritto delle gran belle cose insieme a Branduardi e “Minchia signor Tenente” è un gran pezzo, molto à la Pasolini. Pur non essendo un suo simpatizzante, gli si deve riconoscere che scrive e bene: se vende 700.000 copie e gli altri no, allora che c’è di male? Si fa un mazzo come pochi per promuoversi e farsi promuovere: alla gente piace, e se il suo è romanzo popolare, allora niente di male c’è. Ha fatto il comico, il cantante, il presentatore, il regista, ecc. ecc. Adesso scrive. Bene, niente di strano. Lo fanno in tanti e con risultati penosi in tutti i sensi: il problema vero è che si pubblicano libri che non hanno valore alcuno solo perché portano firma di uno conosciuto. Ecco il problema dell’editoria. I libri dei cantautori dico che in molti casi sono superiori a quelli di tanti che si dicono scrittori: a me quelli di Guccini e Vecchioni piacciono, ma Guccini scrive molto bene, fa Letteratura omerica. Magari vende di meno rispetto a Faletti, ma chi se ne frega. Se fossi un editore, pure io pubblicherei Faletti pur non piacendomi perché abbastanza ambiguo dopo tanti mestieri che ha fatto.
In quanto alla piccola editoria, quella invisibile, quella la cui distribuzione manco c’è: non abbiamo dati su cui poter formulare un giudizio sereno, ma è vero che, spesse volte, ho trovato ottimi romanzi editi da piccoli editori. Invece mi spaventa un altro fenomeno che si sta pian pianino affermando: per darsi visibilità, i piccoli editori hanno cominciato a pubblicare lavori minori di scrittori che sono firme. Italiani, più eccezioni che regole…
Cari saluti,
Iannox
E allorra, ecco un punto cara Loredana (ecco perchè mi sei così simpatica, perchè con te prima o poi ai “punti”, ci si arriva sempre). L’editoria finanziata dal denaro pubblico. Se non ci fossero i “corrotti” – che si intascano i soldi per farsi una casa (brutta), che li usano, i soldi, per far pubblicare l’amica/o, l’amante, la sorella, il fratello) non dico che ci sarebbero “paesi interi” di scrittori nuovi, ma quanto meno qualcuno di buona volontà – editor, editore senza soldi, studente preparato e a spasso, precario a spasso appassionato di letteratura – potrebbe lavorare tranquillamente a cercarne. Adesso che abbiamo trovato un punto però il problema è un altro. Chi di mestiere fa lo scrittore(ice), se gli capita davanti un “corruttone”, che fa? Zola è finito gasato (in casa sua) per aver denunciato l’affare Dreyfus. Wilde ha denunciato qualcuno che si occupava dei suoi affari sessuali. Da noi? Perchè gli scrittori non parlano – e non solo come trame di romanzo – di questa roba? Oltretutto, mi chiedo, uno che nella vita non si prenda mai la “responsabilità” di dire a qualche corrotto, “Tu sei un corrotto, un cretino! Forse io finitò male, ma te lo dico!”, dove troverà la forza per fare un mestiere – lo scrittore – di per sè così pesante, se non condito da queste sofisticherie, questi lussi? O no? Forse sono ossessionata io, dalle battaglie. Chissà. Baci.
Signorina Valchiria, sa chi faceva letteratura pura (o quanto meno la proclamava)? Forse peraltro erano bravissimi, chissa! Certi scrittori – aihimè – ora dimenticati durante il fascismo. Lo facevano, si dice, per prendere carichi, incarichi, onori, onoreficenze, borse di studio, posti all’università, dal regime. Oltre a questi/e, di letteratura “pura” si sa poco. Ma se lei conosce, per me è sempre un piacere studiare. Anche perchè so fare poco altro.
Signorina Valchiria, non si arrabbi. Vede la “letteratura pura” è un po’ come il “giudizio oggettivo”. Se qualcuno le dice che esistono, mente, e allora lei farebbe bene a diffidare di lui, o di lei. le spiego perchè. Se io le esprimo un gidizio e poi le dico “E ‘oggettivo”, e evidente che sto dicendo una bugia. Il giudizio sono io a esprimerlo, ed è chiaro che parlerò dal mio punto di vista, per quanto in buona fede possa essere. Siccome la letteratura è un, come dire, “articolazione figurata”, o una figurazione di un giudizio, la letteratura pura non può esistere. Può esistere però l’onestà, ed è giusto che lei la pretenda. Uno/a è tanto piùonesto quanto più le dice da che parte sta. ma un bravo scrittore può anche essere un poco disonesto. E’ lei – noi, chi legge – che deve essere preparata, tanto da capirlo da sè. Mannaggia, devo lavorare.
Piccolo appunto: le valchirie benchè guerriere eran figliole mitologiche, figlie sogni oserei dire.
Piccolo appunto: molti incravattati fanno molta più guerra politica e non senza le belle armature da valchirie.
Fine puntualizzazione.
Poi….
l’avevo precisato: che molta letteratura aveva strumentalizzato diffusioni ed affermazioni.
Molta letteratura: elegantemente non avevo fatto esempi, nè di destra nè di sinistra.
Ovvio dunque che chi sia di sinistra faccia esempi di destra e viceversa.
Il fatto è: c’è un modo affinchè la gente riconosca della pura letteratura e le dia modo d’essere diffusa riconoscendola per tale e senza pregiudizio politico?
certo che la storia della letteratura pura e lontana dalla politica raccontata da una che si firma valchiria fa ben ridacchiare, eh?
Già che ci sono aggiungo una cosa di cui, mi pare, non si è parlato, nè qui nè su NI. In Italia si pubblicano TROPPI libri. E vengono sparate troppe cartucce a salve, a fronte di una domanda nettamente inferiore al’offerta. Il difetto di tutto questo sta in una mancanza di progettualità, credo, che coinvolge tutti i facitori di cultura: gli editori, la critica accademica, il giornalismo culturale. Ho l’impressione che ci sia un vizio di fondo, in Italia, del quale però non riesco a individuare le cause. Se qui da noi si pubblicano più titoli che in Germania o in Francia (dove il mercato è più grosso) diventa difficile per non dire arduo, per non dire addirittura impossibile, per il mediatore culturale, discernere il pesce vivo nella “pescheria letteratura” di oggi, nella quale i libri vengono buttati ancora vivi ma – come l’ospite- dopo 3 giorni puzzano. E sopra, a brevissimo, vagonate di altri pesci a coprire gli altri. Sarebbe interessante fare una verifica sui malfunzionamenti generali di tutta quanta la macchina. In questo affastellarsi convulso di titoli, l’impresa dei piccoli editori, poi, diventa eroica; oltretutto per i piccoli, spesso, manca la possibilità di arrivare ai banchi della “pescheria”; parlo di distribuzione parziale, spesso su base regionale. E così autentiche chicche, addirittura perle, non hanno nemmeno la possibilità di arrivare al banco. Ripeto: bisognerebbe andare, eventualmente, a smontare pezzo a pezzo il “motore letteratura” e verificare quali sono i pezzi maggiormente bisognosi di una revisione. Saluti.
Franz, devi smetterla di avere sempre ragione. per me è assai imbarazzante.
😉 G.
Loredana, giusto un cenno sul noir. Per qant non sia un cultore del genere, so bene che spesso ha forti implicazioni politiche. Mi riferivo al caso specifico, però, dove non c’è libertà di scelta ma ci si limita a recensire ciò che viene passato – la scelta viene operata a monte. Perciò si può evitare di dar risalto a certi libri. Ma mi ero espresso male, per brevità.
La pura letteratura s’invola come il verso di un Omero eroe, vola si, o dovrebbe volare, molto al di sopra di quasiasi ideologia politica. La pura letteratura non si fa strumentalizzare; forse nel corso dei secoli è stata costretta a strumentalizzare: corti, papi, principi, oggi forse senatori e presidenti di consigli, ma pure esponenti delle opposizioni. La pura letteratura: sarebbe bene poter vivere facendone. Sarebbe bene poter scrivere senza per forza cercare uno strumento di sicura diffusione o peggio affermazione. La letteratura pura: spesso è quella che rimane in qualche cassetto, che ricorda di filari di mele al di là di certe finestre mai aperte e di certi baci o certi dolori struggenti, quasi inconcepibili per chi si abitua a trovar troppa letteratura impura.
E sì, Franz ha ragione: troppi libri, spesso non pensati, spesso solo per raggiungere il giusto numero di titoli in catalogo. Ma questo avviene sia presso i piccoli che presso i medi e i grandi editori, ho la sensazione. Diventa difficile scegliere per il mediatore, scrive Franz: ma qui, e non per difendere la categoria (non ci penso nemmeno), devo invitare a non sopravvalutare la funzione di chi fa cronaca o critica letteraria. Serve così tanto la recensione? Non sono così convinta. Quando facevo “Lampi”, su Radiotre, avevo la sensazione, invece, che la discussione radiofonica fosse più efficace. Serve, sicuramente, il web. Servirebbe la televisione, forse, ma qui si aprirebbe un discorso complesso che prima o poi occorrerà affrontare.
ps. non è bello che io re-incolli qui tutti i commenti che si stanno susseguendo su Nazione Indiana, quindi fateci una capatina. Andrea Raos fa un discorso interessante sugli scrittori (ma giù la pistola, per favore).
Signor Ilpostodeilibri (sorrido sinceramente perchè è stato carino il suo incipit)…non mi son per nulla arrabbiata 🙂
In ogni caso, non esiste nemmeno l’ accezione oggettiva di un aggettivo.
Perchè metterci a sottilizzare sul “pura”?
Mi sembra ovvio (e forse non è ovvio affatto) che battessi proprio sull’onestà di cui mi sta parlando.
Esiste forse per noi un’altra forma di purezza oltre quella di cui siam capaci?
Credo di no: poichè se riuscissimo a concepirne una allora saremmo in grado di attuarla.
Tutto quanto immaginiamo come perfettamente adattabile alla perfezione in fondo sconfina in un sostantivo dai contorni impalpabili: utopia.
Come mai spedisco racconti da una decina d’anni e mi si chiedono soldi anche quando mi si dice che il prodotto è buono?
E perchè mai accade che ti si dica (in qualche concorso letterario): avresti dovuto vincere ma la riga era più lunga di qualche carattere?
Spesso sono i sofismi e gli astrattismi ed i politicismi ad uccidere la letteratura, anche quella potenziale
Editori a pagamento? Oddio, Dio ancora non li ha fulminati tutti? Sono dunque sopravvvissssutiiii. Orrore e terrore del mondo. Chi sa se a un Faletti o a un Evangelisti chiederebbero: “Bello il prodotto. Ora si tratta solo di pagare. Sa, le spese di publicazione.” Italiani, più eccezioni che regole.
Saludos.
Iannox
O con la pistola o niente da fare. Sette colpi in canna, o almeno sei. O niente da fare. E’ ora che si cominci a sparare e se qualche passante rimane ferito per caso disgrazia distrazione, tanto peggio per lui.
Ah, strano è – mica strano! – che per rimpolpare i cataloghi sempre libri inutili, però dei soliti. Al solito, Italiani, più eccezioni che regole.
Ah, se volete, ho un po’ di mitopoiesi appena scongelata che potrei offrire: dovrebbe esser ancor buona, seppur al supermercato comprata.
Saludos.
Iannox
Non mi turba nessuna delle tre ipotesi, Charlie.
Dei commenti in NI trovo acuto GiusCo, noi stessi qui su Lipperatura mi chiedo cosa siamo, se moda, mestiere o letteratura.
Non è vero che si pubblicano troppi libri in Italia, i francesi pubblicano e traducono MOLTO ma MOLTO più di noi: in Italia si pubblicano – e qui sì, più che negli altri paesi – troppi esordienti. O meglio: si pubblicano troppi PRIMI LIBRI, lo scrittore inedito viene pompato col primo testo, che magari fa il botto; e poi lasciato alla deriva, scornato dallo stesso editore che l’aveva lanciato (brizzi? sì, brizzi, per es.). Risultato: quasi l’80% dei libri pubblicati da noi ogni anno (circa 55 mila volumi) non vende più di tre, e sottolineo tre, copie.
Provo a mettere altra carne al fuoco (come se la brace non fosse già intasatissima di suo): come si inserisce in questo assai complesso quadro la decisione di Feltrinelli di avocare a sé le decisioni sui libri da tenere nelle librerie della catena, svuotando di fatto il ruolo e l’importanza dei librai e dei promotori? Questi sono i veri mediatori culturali, altro che i critici e i giornalisti…
Infatti Piero io parlo sempre sia dei critici che delle librerie, e delle librerie dico che:
1. non si trova una mazza salvo le novità;
2. sono rimaste solo le grandi catene che giorno dopo giorno diventano sempre più cialtronesche;
3. i commessi sono sottopagati, assunti con contratti in frode alla legge, e la conoscenza del prodotto che vendono è l’ultimo criterio di selezione del personale (ultimamente ho visto che va abbastanza il criterio “tettegrosse”);
Oggi sono passato dalla feltrinelli di Bologna (dopo aver comprato due fumetti straordinari: “Bacchus” ma, soprattutto, “Flood!”). Ora le feltrinelli hanno eretto dei monoliti sacri che chiamano LA CLASSIFICA, sono delle nicchie contrassegnate con grandi numeri, da uno a dieci. Dentro la nicchia ci sono copie del libro che occupa la corrispondente posizione in classifica. Se non ci fossero stati i commessi a guardare avrei rivoluzionato un po’ le cose…
Piero, e se pure si pubblicano più libri in Francia – ma a me non risulta – che in Italia? Tu dici che gli esordienti che fanno il botto vengono lasciati alla deriva al secondo libro. E’ mai possibile che questa sia diventata una regola generale? Mi sembra poco probabile. Ritorno a pensare in termini di proporzioni: se l’editore X esce con 300 titoli l’anno, dovrà scegliere su chi puntare di più in termini di promozione, perchè non è possibile puntare su tutti allo stesso modo. Cartucce sparate a salve, le chiamavo. Massa critica. Il discorso è che si punta sui cavalli sicuri, in media. O si scommette forte- come tu fai giustamente notare – sugli esordienti potenzialmente “cool”. Ma, ripeto, se un esordiente fa il botto, perchè dovrebbe essere lasciato alla deriva al secondo colpo? Questo, a mio parere, ( e pure a rigor di logica) equivale a un controsenso anche per il più folle degli editori.
Franz, quello sui troppi libri pubblicati è un discorso che spesso sento fare come unica risposta all’ “unde malum?” dell’editoria italiana. Io non penso, ecco, che il numero dei libri pubblicati, in sé, sia un male, anche se fosse superiore al resto della media europea (cosa che non è: in Italia, ogni mille abitanti si pubblicano 0,95 volumi; in Francia 0,97; in Germania 1,1; in Svezia 1,45; in Spagna 1,60). Sono d’accordo con l’idea delle “cartucce sparate a salve”, ma qui ritorniamo al nodo centrale di tutta la discussione: gli editori “da best sellers” puntano su 20 titoli su una produzione totale di…boh, 100; l’editore “di progetto” fa 10 libri all’anno e punta su tutti e dieci, curando il testo, la carta, la copertina, la traduzione…
Quanto agli esordienti: sì, a me pare che gli editori concedano un libro di tempo. Poi ciccia. Pensa a un autore come Covacich (non un esordiente, ovviamente, ma uno che il suo pubblico ce l’ha eccome). Mondadori avrebbe dovuto metterselo sottochiave a doppia mandata, e invece…
(poi, certo, se l’esordiente fa DAVVERO il botto – vedi Melissa P., Camilleri, Faletti – l’editore magari fa pure i debiti per tenerselo, ma davvero mi sembra un caso ogni diecimila!)
Boh, Andrea… la Feltrinelli di piazza dei martiri a Napoli ha fatto un buon acquisto, di recente, solo prendendosi come commessa Valeria Parrella, che almeno sa “di cosa parliamo quando parliamo di libri” 🙂
Un piccolo esempio: il manager francese legge circa 50 libri l’anno. Quello spagnolo non meno di 26. Il manager italiano 7. La maggior parte “tecnici”.
Ecco perché in Europa si pubblica di più. Perché si legge di più!
In questa pagina del blog di Franz Krauspenhaar, si trova una bellissima intervista di Piero Sorrentino a Emanuele Trevi:
http://www.uffenwanken.splinder.com/post/3875487#comment
Aggiungo che sono particolarmente fiero di aver scritto correttamente il cognome di Franz senza sbirciare il dorso del sue “Le cose come stanno”.
Sei splendido, Titonco. Tu nella letteratura ci credi davvero. E pure io. Comunque l’intervista a Trevi presente sul mio blog è dell’amico Piero Sorrentino ed è stata pubblicata per la prima volta da Stilos.
Msg per Piero: mi arrendo ai numeri che citi con evidente cognizione di causa, è chiaro. Però c’è sempre in ballo il nocciolo della questione, che è sempre quello: l’offerta editoriale supera la domanda di gran lunga, Gianni ha fatto a questo proposito l’esempio dei manager francesi e di quelli italiani. In proporzione, dunque, qui da noi si pubblica troppo. Non è un male in sè, intendiamoci: stiamo attorno alle quantità di titoli pubblicati in paesi come Francia e Germania che hanno, però, un pubblico di lettori molto più alto. Su questo siamo d’accordo, credo. E allora, e questo lo chiedo direttamente anche alla padrona di casa Loredana, secondo voi cosa c’è che non va? Grazie. Queste discussioni a mio parere devono servire come confronto e per capirci di più. Siamo tutti nella stessa barca. Un bel fine settimana a tutti ( se non ci leggiamo prima…;-)
Vostro affezionatissimo,
Si, è sabato… Sono un po’ così. Così come ? Boh? Cmq l’avevi già detto tu, Andrea, che l’intervista a Trevi è di Piero. Scusassero;-)
Rischio la retorica, ma lo dico lo stesso: avercene, di discussioni così. Quanto alle risposte, Franz, temo appunto che occorra usare il plurale, perchè le cause di quel che non va sono più d’una.
Qui io ho insistito su un mio vecchio pallino, che è quello della sottovalutazione del popolare, che fatalmente crea una distanza con un “grande pubblico” che difficilmente si avvicina alla lettura nel momento in cui gliela si continua a presentare come predominio di un gruppo eletto.
Ma parto dalla scuola, chiedendo nuovamente venia per la banalità del discorso: se ad un bambino, poi preadolescente, si continua a parlare di “obbligo” e non di “piacere” del libro, toccherà affidarsi al caso, alla predisposizione individuale, a guru vaganti, a quel che vi pare, affinchè quel bambino diventi un lettore. E’ uno dei discorsi possibili, decisamente il meno tecnico, sicuramente il meno nuovo. Ritorniamoci, però.
D’accordo Franz, magari è anche meglio non ragionare solo sui numeri nudi e crudi, in un discorso pieno di rivoli come questo. Abbiamo contribuito con decine e decine di spunti, ora dovremmo tirare una bella riga e scrivere il totale: ma io non ne sono capace! 🙂 Mercoledì ascolterò con attenzione Loredana su radio 3. Intanto ringrazio Andrea per aver segnalato l’intervista su uffenwanken.splinder.com.
Come ho scritto più sopra, sto cercando di sintetizzare tutta la discussione per punti: non tanto in vista di mercoledì (nonostante la buona volontà di tutti, dubito che in trenta minuti si riuscirà ad essere risolutivi) ma per dare più visibilità ad una discussione importante. Ancora grazie a tutti.
Un caro saluto a Loredana e un aneddoto per chiudere (per ora) con un sorriso, su un tema che è stato accennato in alcuni dei commenti postati.
Dell’aneddoto, avvenuto alcuni mesi fa, è stato testimone Tiziano Scarpa, che me l’ha raccontato nello spazio di un sms, quasi in tempo reale.
In una Feltrinelli – non diciamo quale – un ragazzino si avvicina a una commessa e le chiede “quel libro (sic) di Shakespeare dove c’è uno dentro un castello con un teschio in mano”. La commessa gli porge l’Otello.