LA CITTA' E IL ROMANZO

 Metropoli per principianti di Gianni Biondillo è un libro da leggere, assolutamente: per capire davvero cosa significano parole come “paesaggio urbano” e svicolare dalle dispute architettoniche ufficiali. E perchè è un gran bel libro, soprattutto. Estratto.

Perché dire che, in fondo, le periferie sono tutte uguali significa non dare loro una dignità di spazio, di territorio. Non riconoscere loro le dinamiche storicosociali che le hanno create, non restituire la diversità delle popolazioni che le abitano, che le vivono. Fosse per me sarei pronto a dire, provocatoriamente, l’esatto opposto: le periferie sono tutte diverse, l’una dall’altra, sempre. Molto più diversificate dei centri storici, tutti uguali, tutti riconoscibili come tali, tutti simbolicamente immobili. È come se volessimo negare il ‘900, è come se ci fossimo rinchiusi nel confortante panorama della Storia, colmi di nostalgia. A questo ci serve ormai il centro storico. È la quinta teatrale della rappresentazione di una identità collettiva spesso fittizia. Come tale è molto più falso degli spazi che viviamo, quotidianamente. Ma la rappresentazione identitaria ci rassicura. È l’idea di una rassicurante immutabilità del passato, rispetto alla mobilità incontenibile del presente. Inutile dire che il passato si modella, sempre, in funzione del nostro presente. Inutile dire che ogni nostro panorama (fisico e umano) è destinato alla mutevolezza, pena l’atrofia, pena la sconfitta del futuro.

Da questo punto di vista le interpretazioni banalizzanti delle tesi di Marc Augé (che un decennio fa hanno comunque dato un forte impulso allo studio degli spazi antropizzati) sono pericolosamente vive nel luogo comune, nella fascinazione nominalista di quella particella, quel non, che diventa d’uso grettamente giornalistico. Mancando la sincera capacità di decrittare un territorio (non avendolo, forse, interiorizzato e perciò, non comprendendolo), se ne parla spesso a vanvera, trasformandolo in non vero, non relazionale, non luogo. Ecco come le periferie diventano non luoghi. Tutte indistintamente identiche, anomiche. Facile. Troppo facile.

Le invenzioni linguistiche – le figure retoriche, le formule espressive – sono sempre affascinanti e pericolose. Aprono mondi di significato ma allo stesso tempo li paralizzano in immagini mentali difficili da scrostare. Teorie, anche scientifiche, hanno avuto fortuna, spesso, per la loro evocativa definizione. Penso, un esempio su tutti, alla Teoria della catastrofi di René Thom. Avrebbe avuto una diffusione extraspecialistica se si fosse più banalmente chiamata la Teoria dei mutamenti discontinui?

Da un secolo circa, per fare un esempio a me vicino, muoiono, di anno in anno, la città e il romanzo. Con cadenza inesorabile, come una tassa, non manca il grido d’allarme lanciato da qualche luminare, su saggi specialistici o su pagine di quotidiani: la città è morta, il romanzo è morto – figli tutti e due dell’Occidente, che, invariabilmente, “tramonta”. Eppure questi due prodotti dell’Occidente al tramonto (che, però, cocciutamente non tramonta mai) pare non vogliano accontentare i loro chiaroveggenti portasfortuna. Non muoiono, insomma. È perché sono prodotti contaminati, meticci. E perciò duttili, adattabili. Il romanzo muta, cambia forma, pelle, si adatta. Accetta il confronto con le nuove forme di narrazione, col cinema, la televisione, il fumetto. Le implementa, le metabolizza. Così fa la città. Che accoglie dentro di sé parti impure, prosaiche, che la mutano di segno, la riformulano. Possiamo restare ancorati alla statica nostalgia del bel romanzo che fu (e che era, in realtà già alla sua nascita, considerato un prodotto di scarto, apoetico) o della città storica esteticamente definita (dove in realtà le strade erano piene di sterco e si moriva di peste); possiamo vivere del rassicurante passato. Cercare la bella forma, la memoria, il “s’è sempre fatto così”. L’architettura consolatoria, la letteratura consolatoria. La definizione per generi, dal poetico al popolare, dal romanzo borghese al romanzo di genere, come organizzazione per classi (e di classe, cioè classista). La definizione di tipologie: dal museo (poesia) alla casa popolare (non poesia) – immutabili. La conferma del potere e dell’organigramma costituito. L’architettura del consenso, la letteratura del consenso. Chiuse alle novità barbare – non artistiche, non degne d’attenzione. Possiamo vivere nelle illusioni. Oppure possiamo decidere di aprirci alle nuove forme di socialità. Comprendere il senso autentico di spazi per noi, col nostro vecchio armamentario critico, impoetici, illogici: le stazioni ferroviarie, le fabbriche, i self-service, i centri commerciali.  Insomma, cercare di capire il nostro mutevole panorama. Cioè vivere il mondo per davvero, criticandolo senza nostalgie, progettualmente, anche per trasformare le sue storture.

120 pensieri su “LA CITTA' E IL ROMANZO

  1. Eccone un altro.
    Scusa Boa, ma mettere le sante manine sulla tastierina del computerino? Di Veronesi ho straparlato in questo blog, tanto per fare un solo nome.
    Marco, una cosa. Io potrei prendere le tue parole e rivoltarle pari pari. “quelli che meglio hanno saputo “invadere” la carta, i premi letterari e i salottini recitano un ruolo da padreterni, posizione tra l’altro non nuova in Italia, anche in politica direi”.
    Forza, su. La polemica carta versus rete è insensata. Mi sembra più onesto dire una cosa che sappiamo benissimo entrambi: in Italia si pubblica una marea di libri. Se ne pubblicano TROPPI. Non esiste la possibilità materiale, neanche in un blog, di dar conto di tutti. Ovviamente, lo scrivente (su qualsiasi mezzo scriva) fa una selezione che corrisponde, volente e no, ai propri gusti e alle proprie affinità intellettuali. Nessuno al mondo potrebbe recensire tutti gli autori che gli capitano sulla scrivania.

  2. a Boa:
    veramente di Franchini se ne è parlato alcuni mesi fa, nei commenti a un post su Mishima. Non solo, di recente qui su Lipperatura è apparso un altro post in cui la padrona di casa invitava a leggere il libro (uscita recentissima) *LA STORIA SIAMO NOI*, un’antologia che contiene, ma guarda un po’, anche un racconto di Antonio Franchini!
    Quindi…mmh… com’è che si dice già dalle parti di Biondillo?… Ah sì ecco… ma va’ a ciapà i ratt!!

  3. Apprendo che Veronesi è un trascurato. Non me n’ero accorto, non ci ho pensato. Forse ero troppo occupato a leggerne da tutte le parti, a vederlo vincere il premio strega, scalare la classifica, partecipare alla prima del film di successo con Nanni Moretti tratto dal suo libro. Per questo non ho capito che, aldilà delle apparenze, in realtà è un trascurato. Tutto buon per lui, anzi, cento di questi anni, ma di chi dice certe stupidaggini che si deve penza’?

  4. Ma pure dando per ammesso che la Lippa dia più spazio ad alcuni rispetto ad altri, forse è il caso di far notare che questo è un blog. Un blog letterario ma pur sempre blog, ossia uno spazio personale gestito coram populo, con in più la possibilità dell’interattività grazie ai commenti aperti. Ciò comporta che il titolare del blog, si spera entro i limiti della buona educazione, ha il pieno diritto di parlare di quello che gli pare. Così come a me sta benissimo che un frequentatore del blog medesimo (purché lo faccia col garbo che mi sembra Lodoli abbia mostrato) proponga un tema che gli sta a cuore. La piega presa dal dibattito però a mio avviso focalizza un’altra questione, ossia la presa di coscienza di un ricambio generazionale grazie al quale nuovi autori/intellettuali a loro agio con l’utilizzo di internet riescono a occupare in rete maggior spazio di quello che in passato era loro concesso sulle pagine culturali dei giornali. Con la conseguenza che gli autori/intellettuali meno abituati al web si vedono meno di prima. Perché Lodoli e altri non si fanno un blog loro? Forse non lo sanno fare, o meglio non desiderano perderci tempo perché è uno strumento che li interessa poco. Certo è che se non lo apprezzano, di rimando difficilmente ne verranno apprezzati. Chi invece si sforza di coltivare con amore il proprio orticello virtuale, promuovendo iniziative e sollecitando la crescità di comunità attorno ai propri temi di interesse (e ovviamente alle proprie opere), di solito qualche risultato lo coglie. Aggiungo: accadeva la stessa cosa in passato coi giornali. Chi riusciva a starci dentro dettava legge più di chi ne stava fuori. Con la differenza che niente e nessuno, tranne la personale indolenza, vieta a chicchessia l’accesso e la fruizione della rete, mentre mettere il proprio nome sotto un articolo non dipende solo dalla volontà dell’autore dell’articolo.

  5. Wu Ming; vedo che hai chiuso il commento con un pezzo in greco (ecchecc…).Ok, imparo un po’ di balinese (anche se non credo mi basteranno 3 settimane) e poi commenterò in lingua 😉
    GiusCo: per vedere Youtube da qui ho dovuto fare un giro assurdo e passare da una connessione in Italia, ma con scarsi risultati, non mi arriva una cippa. Rimedierò al ritorno.
    Vi lascio alla vostra discussione e, rincoglionito dal viaggio, vado a gustarmi la prima cena balinese in buona compagnia.
    Blackjack.

  6. Toh, stamane c’era un turbillon di insulti anti-WM e commenti neofascisti, e ora non ci sono più. La tenutaria deve aver fatto pulizia semantica e visiva!
    @ Blackjack, traduco, ma solo perché sei tu.
    Cometa, cuci / la bocca ai poeti.
    Cioè: irrompa la realtà e travolga i μαλάκες.

  7. Bui, la tua Cometa e’ caduta da un pezzo, non te ne sei accorto… 😀 … eppoi erano profeti, non poeti!!! 😀 … E fai sempre grande confusione, oltre che essere filologicamente debole come al solito… allora chiudiamo questa sceneggiata riproponendo in mondovisione dal blog della sig.ra Lippa l’inno che meglio ti rappresenta, oggi piu’ che mai. Buon proseguimento!
    http://www.youtube.com/watch?v=BqlJwMFtMCs

  8. Qui ti voglio, e non altrove. Poietès. Cercarlo sul Rocci o sul Liddell-Scott. “II. Creatore di un poema, poeta, Hdt., ecc. | compositore di musica, Plat.” Come fonte, è più affidabile e filologica dell’anastatica di una copertina di LP. Ben conscio che bisognerebbe cucire le labbra anche a certi profeti, pongo il problema che quel verso ha una portata più ampia.
    Poi, ovviamente, “poiesis” indica anche il fare. Ma non è a chi fa che la cometa, nell’invocazione del pastore, dovrebbe cucire la bocca, ma a chi separa le parole dall’esperienza. Se qualcuno si sente chiamato in causa, si risenta. Altrimenti no, è piuttosto semplice.
    Comunque: Troppi filmati. Forse rivela che si è deboli a parole. Troppi sorrisi. Forse non si è sicuri di quel che si dice. Troppi link. Forse si vuol disperdere il discorso. E poi c’è la vecchia questione della volpe e del grappolo. Wumingum nolo acerbum sumere, o qualcosa del genere.
    Mi fermo. Ciao.

  9. Una curiosità, quasi per gioco.
    In un commento di lunedi, Marco Lodoli, così stigmatizza gli -scrittori da schermo: “trovo che […] quelli che meglio hanno saputo –invadere- gli schermi e le menti recitino un ruolo da padreterni, posizione tra l’altro non nuova in Italia, anche in politica direi”.
    Visto: la piega presa dai commenti; qualche dubbio sull’identità del Lodoli; e 24 h dopo quel commento, Lodoli parlare del suo libro con la Littizzetto nel nuovo programma televisivo “Gargantua” (segnalato a suo tempo, anche qui, proprio da Loredana);
    vorrei gentilmente sapere se lo schermo di RAI 3 rientra o no tra gli shermi invasi da chi recita ruoli da padreterni. Ciao e grazie.
    lucio

  10. Una veloce osservazione per GiusCo in riferimento al suo commento dell’1 giugno. A prescindere dal legame che la nostra letteratura ha con la lingua e la letteratura americana (e, magari, anche dal legame che quella americana ha con la nostra), mi sembra che questi rigurgiti di autarchia siano perfettamente in sintonia con i tempi. Nella speranza che GiusCo si rechi almeno ogni tanto, non so, in Svizzera, un cordiale saluto

  11. Scrive WM1:
    “Ad esempio, Antonio Moresco l’ho preso in considerazione grazie a Loredana, *l’unica* a non parlare di lui con toni assurdamente enfatici, e dopo attento rimuginare recensirò un suo libro sul prossimo Nandropausa.”
    Questo è vero, a parte pochi casi, per esempio Evangelisti, chi aveva uno spazio istituzionale per le proprie parole ha utilizzato l’enfasi su Moresco. E’ stata quasi sempre enfasi per negare valore a ciò che scriveva. L’unico enfatico ‘positivo’ che io ricordi fu Genna, in una vecchia recensione, che in quanto enfatica diceva davvero poco sul libro (era Canti del Caos II).
    Ho una teoria su questo, non so se è bislacca. Allora, a un certo punto i rapporti tra scrittori italiani contemporanei sono diventati conflittuali e per così dire ‘territoriali’ (territori espressivi ovviamente).
    Perché è successo questo, quando invece prima c’era mi pare più attenzione e collaborazione e anche amicizia? Penso che un po’ dipendesse dal fatto che qualcosa cambiava nel paese, che arrivavano certi umori in tutti gli ambienti, compresi quelli avanzati, culturali. Per fare un esempio ricordo ancora un pezzo di Lodoli pubblicato su NI circa
    gli islamici (si intitolava ‘Il tassello mancante’ o qualcosa del genere, se volete lo ritrovo…). Sia chiaro è un esempio, probabilmente oggi Lodoli non lo scriverebbe più, però a me è comodo perché è qualcosa di scritto che può essere riletto, mentre tante altre parole, pesantissime, sono volate via per sempre.
    Poi stava succedendo un’altra cosa, un stretta terribile del mercato.
    Oggi tutte e due le cose sono esplose con così tanta forza, da invertire la spinta precedente: dalla disgregazione a una nuova attenzione. WM1 legge e recensisce Moresco, io son già due volte che mi dico che leggerò Stella del mattino, e brancolo sul sito dei WM per cercare. Con questo non voglio dire che il peso tra noi è uguale, resto un semplicissimo lettore, ma è comunque significativo che lettori e scrittori cambino e aprano.
    E poi diciamocelo, i tempi sono così di merda che c’è bisogno della parola, della letteratura come non mai. Moresco al TPO di Bologna, insieme a Evangelisti, ha detto una cosa molto interessante. Vel al riassumo. La letteratura non ha bisogno di ‘autorizzazione’ come altri saperi. Lo scrittore fonda da sé lo spazio da cui prendere la parola. E inoltre il controllo sulla letteratura non è così stringente come negli altri campi. Si pensa che la parola più di tanto non possa. Allora quello è proprio il terreno buono per tentare di qualcosa.
    E’ incredibile, ma se ci pensate è proprio quello che è successo con Gomorra, chi si aspettava che un libro partito con poche migliaia di copie potesse far dilagare una visione tanto potentemente civile?

  12. Scusate, naturalmente a Evangelisti vanno aggiunti quegli scrittori che sostennero Moresco all’inizio: Voltolini, Scarpa, Benedetti….
    Che mappazza che ho scritto… 🙂

  13. arrivo a questo blog dopo aver letto l’ ultimo libro di gianni biondillo ” metropoli per principianti “. L’ho comprato cosi’ per curiosita’, ancora attratto dal fascino del girare per ore in libreria senza la benchè minima idea di cosa voler leggere ed acquistare . Devo dire che mi ha sono rimasto colpito….. gran bel libro, scritto bene, col cuore e molto sincero.
    Poichè per giunta sono napoletano ed Architetto il paragrafo Campania Infelix mi ha, da un lato devastato emotivamente, dall’altro mi ha ridato una carica combattiva che credevo ormai smarrita. Bene davvero, mi piacerebbe parlare all’autore e forse melanconicamente scambiare delle impressioni su questa mia terra cosi’………….ancora piena di vita.

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