Metropoli per principianti di Gianni Biondillo è un libro da leggere, assolutamente: per capire davvero cosa significano parole come “paesaggio urbano” e svicolare dalle dispute architettoniche ufficiali. E perchè è un gran bel libro, soprattutto. Estratto.
Perché dire che, in fondo, le periferie sono tutte uguali significa non dare loro una dignità di spazio, di territorio. Non riconoscere loro le dinamiche storicosociali che le hanno create, non restituire la diversità delle popolazioni che le abitano, che le vivono. Fosse per me sarei pronto a dire, provocatoriamente, l’esatto opposto: le periferie sono tutte diverse, l’una dall’altra, sempre. Molto più diversificate dei centri storici, tutti uguali, tutti riconoscibili come tali, tutti simbolicamente immobili. È come se volessimo negare il ‘900, è come se ci fossimo rinchiusi nel confortante panorama della Storia, colmi di nostalgia. A questo ci serve ormai il centro storico. È la quinta teatrale della rappresentazione di una identità collettiva spesso fittizia. Come tale è molto più falso degli spazi che viviamo, quotidianamente. Ma la rappresentazione identitaria ci rassicura. È l’idea di una rassicurante immutabilità del passato, rispetto alla mobilità incontenibile del presente. Inutile dire che il passato si modella, sempre, in funzione del nostro presente. Inutile dire che ogni nostro panorama (fisico e umano) è destinato alla mutevolezza, pena l’atrofia, pena la sconfitta del futuro.
Da questo punto di vista le interpretazioni banalizzanti delle tesi di Marc Augé (che un decennio fa hanno comunque dato un forte impulso allo studio degli spazi antropizzati) sono pericolosamente vive nel luogo comune, nella fascinazione nominalista di quella particella, quel non, che diventa d’uso grettamente giornalistico. Mancando la sincera capacità di decrittare un territorio (non avendolo, forse, interiorizzato e perciò, non comprendendolo), se ne parla spesso a vanvera, trasformandolo in non vero, non relazionale, non luogo. Ecco come le periferie diventano non luoghi. Tutte indistintamente identiche, anomiche. Facile. Troppo facile.
Le invenzioni linguistiche – le figure retoriche, le formule espressive – sono sempre affascinanti e pericolose. Aprono mondi di significato ma allo stesso tempo li paralizzano in immagini mentali difficili da scrostare. Teorie, anche scientifiche, hanno avuto fortuna, spesso, per la loro evocativa definizione. Penso, un esempio su tutti, alla Teoria della catastrofi di René Thom. Avrebbe avuto una diffusione extraspecialistica se si fosse più banalmente chiamata la Teoria dei mutamenti discontinui?
Da un secolo circa, per fare un esempio a me vicino, muoiono, di anno in anno, la città e il romanzo. Con cadenza inesorabile, come una tassa, non manca il grido d’allarme lanciato da qualche luminare, su saggi specialistici o su pagine di quotidiani: la città è morta, il romanzo è morto – figli tutti e due dell’Occidente, che, invariabilmente, “tramonta”. Eppure questi due prodotti dell’Occidente al tramonto (che, però, cocciutamente non tramonta mai) pare non vogliano accontentare i loro chiaroveggenti portasfortuna. Non muoiono, insomma. È perché sono prodotti contaminati, meticci. E perciò duttili, adattabili. Il romanzo muta, cambia forma, pelle, si adatta. Accetta il confronto con le nuove forme di narrazione, col cinema, la televisione, il fumetto. Le implementa, le metabolizza. Così fa la città. Che accoglie dentro di sé parti impure, prosaiche, che la mutano di segno, la riformulano. Possiamo restare ancorati alla statica nostalgia del bel romanzo che fu (e che era, in realtà già alla sua nascita, considerato un prodotto di scarto, apoetico) o della città storica esteticamente definita (dove in realtà le strade erano piene di sterco e si moriva di peste); possiamo vivere del rassicurante passato. Cercare la bella forma, la memoria, il “s’è sempre fatto così”. L’architettura consolatoria, la letteratura consolatoria. La definizione per generi, dal poetico al popolare, dal romanzo borghese al romanzo di genere, come organizzazione per classi (e di classe, cioè classista). La definizione di tipologie: dal museo (poesia) alla casa popolare (non poesia) – immutabili. La conferma del potere e dell’organigramma costituito. L’architettura del consenso, la letteratura del consenso. Chiuse alle novità barbare – non artistiche, non degne d’attenzione. Possiamo vivere nelle illusioni. Oppure possiamo decidere di aprirci alle nuove forme di socialità. Comprendere il senso autentico di spazi per noi, col nostro vecchio armamentario critico, impoetici, illogici: le stazioni ferroviarie, le fabbriche, i self-service, i centri commerciali. Insomma, cercare di capire il nostro mutevole panorama. Cioè vivere il mondo per davvero, criticandolo senza nostalgie, progettualmente, anche per trasformare le sue storture.
Sottoscrivo e ci aggiungerei anche la fine della Storia (altro bel titolo di fallace teoria) e il capitalismo alla frutta.
Bene che qualcuno in Italia se ne uscisse con tematiche come queste. In Inghilterra uno come Iain Sinclair lavora da vent’anni su città e romanzo (città e letteratura, città e scrittura), con risultati eccelsi.
Anche a me sembra un libro da non perdere. Stanno uscendo delle belle cose in questo periodo.
Ieri dato che la sala di Gomorra era piena ho visto ‘Il divo, vita spettacolare di Giulio Andreotti’.
Difficile non riconoscere l’aspetto ‘epico’ del film utilizzato per raccontare un pezzo di storia d’Italia. Epica, mica fatta di sparatorie e effettacci speciali, ma lavorando sull’immagine in modo molto poetico. Per capirci pensate all’apertura di Gomorra con il container che dondola nell’aria e si apre. Ecco immagini di questo tipo, che hanno il dono di infilarsi nella testa per sempre. Per esempio bellissimo l’alternarsi del set diurno in cui il potere risulta pieno e scintillante, e i momenti girati nelle strade romane quasi all’alba, svuotate, dove troneggiano le macchine blu e le scorte, con un alone di irrealtà, inutilità, fine imminente.
Ma è anche un film che si fonda su un lavoro fine di documentazione storica, che non viene portato in scena in modo ingenuamente realistico, ma sempre simbolico.
Si esce dalla sala con questa frase appiccicata addosso “La verità è la fine del mondo”.
sembra promettere bene. molto interessante.
Ehi, grazie!
conosci cinque autori contati sui piedi..? perchè non parli di libri, ce ne sono tanti però sul tuo blog sempre gli stessi, chissà perchè.. e cancelli i commenti, non è bella la cosa.. io parlo a te e tu cancelli, perchè? voglio solo sapere.. credevo fosse un blog letterario così mi è stato detto ma vedo che così non è.. come mai? mi puoi correggere per favore, dare spiegazioni..? grazie
Jam, ma cosa ti sei fumato? 🙂
Uhm… Le affermazioni pesanti andrebbero suffragate dai fatti e dalla loro conoscenza, altrimenti sono solo affermazioni idiote, come queste di Jam, ennesimo di un’apparentemente lunga filza di presunti. Questo blog esiste da quattro anni. Loredana ha segnalato migliaia di autori e recensito centinaia di libri, opere pubblicate da editori grandi e piccoli, firmate da scrittori di ogni genere e nazionalità, noti e sconosciuti, veterani ed esordienti. Solo nell’ultimo mese, e vado a memoria, si è occupata di Licia Troisi, Carlo Lucarelli, Marco Rovelli, Vittorio Giacopini, Christopher Ross, Luisa Stagi, Susanna Moore, Caterina Serra, Vanni Santoni, Baldini & Fabbri, Alessandra Kersevan, Carlo D’Amicis, Simona Vinci, Gianni Biondillo. Moltiplicare per n. 200 mesi.
Che voglio dire con questo? Che (poniamo il caso) se, di fronte all’ennesima banale falsità scritta dall’ennesimo presunto che finge di essere appena caduto giù dal pero, Loredana decidesse di cancellarla in quanto – a questo punto – nulla più che esempio di trollaggio, farebbe più che bene. E che alla censura gridino gli imbecilli, ai quali (se la tenutaria consente) dedicherei questo:
http://tinyurl.com/4lmggp
No, Wu, ha ragione Jam. Siamo una congrega, una cosca mafiosa, una loggia, abbiamo fatto un patto di sangue fra di noi. In realtà siamo sempre i soliti tre o quattro, che scriviamo sotto vari pseudonimi.
Io infatti sono anche Licia Troisi, Carlo Lucarelli e Giancarlo De Cataldo. Tu, lo sanno tutti, sei Stephen King, Luisa Stagi, e Vanni Santoni. Girolamo è Giuseppe Genna, Simona Vinci e Gianni Biondilllo. Sì. perché i miei libri mica me li scrivo io, sono troppo occupato ad essere Lucarelli.
Ebbene oui. Vanni Santoni c’est moi. Non era nemmeno difficile immaginarlo, gli indizi c’erano tutti.
Sottoscrivo quanto dice WM1, anche se frequento il blog da pochi mesi.
Il libro di Biondillo l’ho comprato mezz’ora fa, assai me ne attendo, anche se confesso di essere (per ora) più attratto dall’aspetto “urbanistico” che da quello letterario. Però mi piace (e molto) l’idea di restituire importanza al narrare e all’abitare (nel senso più ampio possibile), piuttosto che alle nostalgie per il bel romanzo (o per la bella città) che fu.
Lo sapevo! Infatti, nessuno ha mai visto Wu Ming 1 e King (-ing…) insieme.
Scusate, ma io che leggo con costanza i libri prodotti dalla cosca mafiosa degli scrittori in questione e frequento questo blog malfamato, che cosa sono… una collaborazionista?
Ma perché, Anna Luisa, tu credi di esistere? Non sei altro che uno dei tanti nickname di Biondillo. Non a caso hai le stesse iniziali di un personaggio dei suoi libri, Augusto Lanza.
No. Tu sei Neil Gaiman. Lo sappiamo tutti, qui nel giro…
Ok, facciamo che nei giorni pari sono Lanza e in quelli dispari sono Gaiman.
E comunque ci tengo a dire che Biondillo quando si veste da Simona Vinci fa la sua porca figura… per esempio ha un taglio di capelli veramente invidiabile!
Gianni, guarda che l’assegno con cui mi hai pagato le due recensioni che ti ho dedicato è scoperto, e quello di oggi non devi intestarlo a Loredana Lipperini, perché in banca non lo accettano anche se è un mio nick
non capisco lipperini, non fumo.. è un po’ scortese sa?! non mi sono mai drogata nè qualcuno aveva pensato una cosa tanto brutta prima di lei… vabbè!
leggo con tristezza che giocate per quello che ho detto.. pensavo che fossero persone serie gli scrittori però qui si ride.. vabbè rido anche io.. 😉
biondillo ha ragione se ho capito bene.. almeno uno lo dice che ‘Licia Troisi, Carlo Lucarelli e Giancarlo De Cataldo. Tu, lo sanno tutti, sei Stephen King, Luisa Stagi, e Vanni Santoni. Girolamo è Giuseppe Genna, Simona Vinci e Gianni Biondilllo..’ eccetera eccet. è quello che volevo dire io che gira e rigira parlate sempre di questi qui.. come fate non so.. mi sembrate strani.. ciao
Condivido il ribaltamento: non sono le periferie ma sono i centri delle città a essere tutti uguali.
E’ così, soprattutto perché, oltre all’uguale ciarpame turistico di massa che si trova intorno ai monumenti e alle stesse pavimentazioni e agli stessi cornetti sintetici nei bar/pasticceria dove tutti fanno finta di essere in una tea room aria belle epoque, ci sono gli stessi identici marchi in franchising che popolano una via centrale di passeggio idiota che a quel punto è solo una teoria di insegne già note
Eh sì, si parla sempre degli stessi 3.000 autori circa (15-20 al mese dala nascita del blog a oggi). Che vuoi farci, siamo monotoni.
e a dire che ti droghi non è stata la Lipperini. E’ stato Biondillo, e io son d’accordo. Ti droghi di ignoranza purissima e non tagliata.
Ragazzi, ci andate forte con l’ironia postmoderna. Bravi bravi, datetci sotto. Sputate pure nel piatto neoepico, ché tanto poi la Lipperini vi fa gli gnocchi…
sarebbe bello che in tanti riusciste a fare un libro
Saranno pure due-tremila gli autori considerati (a me a dire il vero non sembra), ma comunque alcuni che io trovo importantissimi non li vedo mai menzionati. Penso ad Aurelio Picca, Claudio Piersanti, Emanuele Trevi, Vincenzo Pardini, Mariangela Gualtieri, Valerio Magrelli, Claudio Damiani, tanto per fare dei nomi di narratori e poeti.
Autori che hanno un rapporto fragile con la modernità, che parlano un’altra lingua, che sono indifferenti ai temi che di solito qui girano. Colpa loro, dirà qualcuno. Può darsi, ma certo non si può dire che in questa casa e in quelle limitrofe abbiano un posticino nella stanza degli ospiti, o almeno una branda in corridoio. Altri invece hanno saloni e mense imbandite, per loro il brindisi s’alza di continuo. E’ un dato di fatto, c’è poco da discutere. Chi rimbalza nella rete salta sempre più in alto, chi ignora la rete ne è ignorato. Un caro saluto, Marco Lodoli
@ Lodoli: “Autori che hanno un rapporto fragile con la modernità, che parlano un’altra lingua, che sono indifferenti ai temi che di solito qui girano”. Ora, se questi autori da lei citati non si interessano ai temi solitamente trattati in questo blog, perché il blog dovrebbe parlarne? Non si tratta certo di una colpa, se si interessano ad altro, ma pretendere di essere citati là dove si parla di cose che a loro non interessano mi sembra quanto meno contradditorio. Se io compro un libro di cucina italiana non posso certo lamentarmi se non trovo la ricetta del fó tiào qiáng…
Ma la Lipperini dovrebbe parlare di questo o quell’autore perché “deve” farlo o perché vuole? Perché uno/a che ha un blog dovrebbe scrivere di ciò che desiderano gli altri in base a non so bene quale imperativo? E’ normale che non parli di autori che non le interessano. Non ho detto “piacciono”, attenzione: ho detto “interessano”. Questo è un blog tenuto da una singola persona, che valuta di cosa parlare a seconda di cosa la stimola, positivamente o negativamente. E’ un suo pieno diritto, come altri hanno diritto di parlare d’altro, altrove. Pretendere che un blogger, in un suo spazio che è più un suo “diario di lettura” che una testata giornalistica (anzi, una testata giornalistica non lo è proprio per niente) applichi regole di “rappresentatività”, equivalenti delle “quote rosa” per il mondo della letteratura, è del tutto fuori luogo. Che poi chi ignori la rete venga a sua volta ignorato da essa mi sembra del tutto normale. Non è ripicca, è normale. Chi non va in tv perché la tv è il diavolo non deve poi lamentarsi che il diavolo non parli di lui. Idem per la rete.
Diciamo che si interessano di letteratura, a modo loro e da tutta una vita. Un tema che non è proprio lontanissimo da quanto qui si tratta. O mi sbaglio?
Lodoli, anche lei probabilmente sarà disinteressato a certi tipi di letteratura e, di conseguenza, a certi autori. Lei scrive sui giornali, ma non ricordo di averle mai visto recensire Valerio Evangelisti o Alan D. Altieri o Stefano Di Marino. E’ un suo pieno diritto, non ci si può interessare a tutto, ma allora perché questo diritto che vale per lei non dovrebbe valere per gli altri?
D’accordo, caro Antonio Mercante, ma allora bisogna riconoscere che Jam non ha tutti i torti. la rete accoglie certi pesci e se ne fa sfuggire altri. Alcuni nomi sono ripetuti fino all’ossessione – Genna, Wu Ming, Evangelisti, Biondillo – altri sono perennemente assenti. La Lipperini non affatto colpevole, lei segue i suoi gusti e le sue passioni, ma noto che anche chi interviene è perfettamente in linea con queste propensioni. Io ho la sensazione, invece, che straordinari autori restino sempre fuori dal recinto. Come mai?
ma l’errore non è proprio pensare per “recinti”, non è pensare cose come “la rete accoglie certi pesci e se ne fa sfuggire altri”? la rete è molto più grande di un blog, c’è spazio per tutti, perché non apre lei un blog in cui parlare di Piersanti o Magrelli, anziché pretendere che ne parli chi ha altri interessi e predilezioni?
Scusate, ma Antonio Mercante è l’ufficio stampa della Lipperini (a sua volta accusata spesso di essere l’ufficio stampa di un preciso gruppo di autori)? Vuoi mai che dietro il nick Antonio Mercante si celi il più donchisciottesco di questi?
Lusingato se mi dai del Don Chisciotte, ma a dirla tutta della Lipperini non mi importa tanto, qui ci passo ma di solito intervengo su altri blog e forum – Tocqueville e Il Mucchio quelli dove scrivo più spesso – e con altre firme, Antonio Mercante è il nome che usavo quando facevo teatro, mille anni fa. Ogni tanto do un’occhiata e c’è sempre qualcuno che si lamenta perché non vede il nome del suo amico o di suo zio, stavolta avevo voglia di farlo notare.
Ha ragione Compagno di scuola! Io seguo non solo il blog di Loredana Lipperini, di Nazione Indiana e di La Poesia E Lo Spirito, ma anche altri e proprio su uno dei blog nominati da Mercante il suo nome ha lasciato uno strascico. Mercante ha infatti iniziato una lunga e sistematica opera di incensamento e di interpretazione fuorviante nel celebre post su Pound su Tocqueville, nei cui commenti sono intervenuto anch’io. Antonio Mercante, che si vantava di essere un collaboratore del Domenicale, è stato sbugiardato dai misurati gestori di Tocqueville, che lo hanno tollerato fino a deliri assolutamente censurabili, e infatto lo hanno censurato, con conseguente opera di minamento da parte di Mercante nei confronti dei gestori di Tocqueville.
Vorrei dire questa cosa che ho detto per avvertire Loredana Lipperini e soprattutto Marco Lodoli, stimatissimo scrittore che è oggetto del post, che Mercante è un deviante di natura, la sua INACCETTABILE interpretazione di Pound era da censura e non vorrei che la stessa cosa facesse qui nei confronti di uno scrittore come Piersanti, da me amatissimo.
In fede,
Claudio Burgio
Burgio, felice di ritrovarti anche qui, ma stai facendo confusione: io non sono quello che su Tocqueville si firmava “Mercante in fiera” e che è stato bannato dai moderatori (purtroppo dopo il crash di settembre quei thread non ci sono nemmeno più). Anzi, io in quel post su Pound davo ragione a te (e ci vuol poco, con le assurdità che diceva) e ci siamo pure scambiati un PM. Io sono “Giulivo”.
Scusami, Mercante, ma mi pare di ricordare bene, e comunque si trattava del tuo commento ai versi dei Cantos:
“L’esperienza è soltanto qualcosa
che gli altri ti attribuiscono senza conoscerla,
come la saggezza la sapienza e tutte le altre stupidaggini
inventate
per consolare
chi
invecchia”.
Ho il thread nel mio archivio di log, anche se i gestori di Tocqueville, per licenza, hanno soppresso il post, poichè la tua interpretazione era fuorviante e insultante, soprattutto nei confronti degli scrittori. Adesso vado a controllare, perché non mi risulta un “Giulivo” su Tocqueville. Come vi ho detto, si tratta di un troll deviante. Per dare ragione al signor Lodoli, vorrei che si parlasse effettivamente di Piersanti, prosatore che con la Rete ha poco a che vedere, ma che è capace di pezzi di autentica prosa come questo, e vorrei che ne discutessimo, anche con il parere di Lodoli, vista che questa è la sede e l’oggetto della discussione medesima:
“Qualcuno aveva chiuso un finestrino e l’aria era diventata ancora più irrespirabile. Doveva essere stata la vecchia in pullover e soprabito seduta proprio sotto il finestrino chiuso. Non voleva morire la vecchiaccia, neanche un raffreddore voleva beccarsi. C’erano due o tre ragazzi adesso attorno all’uomo con le valigie, di quindici, sedici anni al massimo, e li trovò presto insopportabili. Cominciava a perdere la pazienza, lo sentiva, aveva voglia di prendere a schiaffi qualcuno, i passeggeri che salivano a ogni fermata gli facevano sempre più schifo, lui stesso si faceva schifo, lucido come un preservativo e umiliato dal caldo.”
che è dall’appeso.
Adesso vado a controllare nel log se Antonio Mercante è “Giulivo”. Vi posto il risultato della ricerca da Tocqueville appena ho verificato!
Claudio Burgio
Non preoccuparti, me li ridarai con calma. Se si può aiutare un amico che ha bisogno…
Noo, scusate, chiedo scusa a tutti: avevo aperte due finestre di explorer e ho postato sul blog sbagliato!
Scusato Franzi!
Devo scusarmi con Mercante, che non è Mercante in Fiera del celebre post di Tocqueville su Pound. In effetti su Tocqueville c’è “Il Giulivo”, per cui mi scuso ma vorrei riportare la discussione al centro, cioè quello che giustamente denuncia (secondo me) Marco Lodoli, cioè l’assenza di dibattito di Piersanti (vd. la citazione da “L’appeso” che ho fornito) e di Damiani, mentre su Magrelli va detto che in “Esercizi di tiptologia” Magrelli diceva di preferire il fax.
Comunque scusate e scusa, Antonio Mercante. A questo punto non so a cosa alludesse, se non a Tocqueville, il Compagno di scuola, che invito ad assumere il vero nome, come si fa correttamente per esempio sul blog di Valter Binaghi su La Poesia E Lo Spirito o Nazione Indiana.
Franzi, non preoccuparti, una volta mi è successa una cosa molto simile, e il mio commento era molto più imbarazzante del tuo.
Burgio, accetto le scuse, anche se preferisco chiarire: su Tocqueville siamo due diversi, “Il Giulivo” (che ha anche un blog tutto suo) e “Giulivo” (che sono io – ho anche un altro account come “Bundesländer”, ma lo uso solo in “Cultura e religione”).
Però siamo molto OT, per essere dei novizi, non so se i frequentatori abituali di questo blog stiano capendo qualcosa, Piersanti a parte.
Volevo postare una splendida poesia di Claudio Damiani, che predice dalla sua data, il lontanissimo 1987, il fatto che, diceva Lodoli giustamente, queste sono persone che hanno fatto la letteratura da decenni ed è disdicevole il comportamento tenuto dalla rete nei loro confronti. La poesia è tratta da “Fraturno” di Claudio Damiani ed è un’elegia (ok, capito Mercante: in “Cultura e religione” trovo contributi stimolanti, come quello del Circolo culturale di Lugano “Nel destino dei cristiani caldei forse c’è anche il nostro” – http://centroculturalelugano.blogspot.com/2008/05/nel-destino-dei-cristiani-caldei-forse.html).
L’elegia potete ascoltarla cliccando sul mio nome (scusate, anche Lodoli, come lui non è che mi intenda di htm e non so come fare), comunque ecco Damiani dal suo sito ufficiale:
ELEGIA
Mi dicevi: tesoro! scrivi della
gita alla stalla, scrivila, ti prego!
ché devi dire dei vitelli, devi
dire ogni cosa e, anche, il dolore.
Io non volevo, era orribile il tempo
e io troppo muto, distratto, straniero
in quella stalla. Ma poi (tu ti eri
addormentata) mi sono sdraiato
sul letto e ho scritto le cose che seguono.
Posteggiammo la macchina e corriamo
sotto la pioggia gelida. Entriamo
nella stalla moderna. Cose tristi
a vedersi, ci sembra un ospedale
immenso: qua erano bolle appese
di vetro per il latte in fila dentro
strane piscine e tubi, corridoi,
contenitori fra luci sinistre
e celle ove gli armenti erano chiusi
tra i ferri… Jörg seguivamo, il pastore
fanciullo, amico di Ola, da un mese
qui a fare pratica (Jörg sorridente
come un piccolo dio come faceva
tesoro a non soffrire? O forse era
troppo innocente? Era così? Oh, ti prego
dimmelo!), e entrammo in una stanza piccola
dov’era un toro chiuso da robusti
tubi e una mucca, vicino, sdraiata
(ci disse Jörg ch’era malata) e accanto
chiusi in gabbie di legno tanti piccoli
vitelli. Il toro era muto, impassibile
quasi, la mucca volgeva la testa
a tratti (pure sembrava assorbita
tutta nel suo dolore). I vitellini
erano chiusi e muti e solamente
sporgevano le teste (stranamente
tanto fra lor diverse!), con gli occhioni
umidi e coi capelli sulla fronte
senza ancora le corna. Se andavamo
a accarezzarli ci davano tanti
baci e piangevano e un poco (ma a tratti
solo) scalciavano forte (volevano
correre forse, pensammo). Fra loro
(erano otto) quattro erano a macchie
rosse, tre a macchie rosse e nere e uno
solo era nero. poi ce n’era uno
anche che Jörg diceva (tu tesoro
tutto mi traducevi) che era nato
appena ieri, e a me sembrava tanto
strano che fosse così grande e in grado
già di star dritto e correre e scalciare
(e tu dicevi che era come Ermes
che appena nato già corre a rubare
le vacche sacre, e altre cose faceva).
Tesoro, tu i vitellini baciavi
(ci bagnavano a noi tutti i vestiti)
e eri contenta di sembrare loro
la loro mamma. Io pensavo questo:
Forse non ci sarà storia pacifica
mai sulla terra e sulle stelle, ma
questo è davvero motivo di tante
lacrime: gli uomini parlano tanto
ora di pace, ma nulla li avverte
come la grande pace sia impossibile
coi poveri pensieri di cui nutrono
se stessi e il mondo, e ben altro davvero
che la cultura nostra tanto stupida
misera vuota e laica può aiutarli.
Mi scuso con tutti, ma è venuta fuori una scritta AUDIO+MP3 al posto del mio nome, che è Claudio Burgio nel post precedente, qui sopra (se nessuno ha commentato nel frattempo). Sono Claudio Burgio, l’mp3 è Damiani, per acconsentire alla discussione in oggetto, cioè la giusta denuncia di Marco Lodoli!
Claudio Burgio
Mi venisse un… ma che ci fate da questa parte della rete a quest’ora di notte? su Tocqueville v’anno linkato, ci stiamo facendo quattro risate….
http://www.tocque-ville.it/forum/forum_topics.asp?FID=33
Facendo una breve ricerca ecco citati nei post in questo blog alcuni autori che Lodoli invece non vede:
Trevi:
http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/?s=emanuele+trevi
Pardini:
http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/?s=Vincenzo+Pardini
Piersanti:
http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2006/05/10/breaking-news/
Magrelli:
http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/index.php?s=Valerio+Magrelli
Ovviamente uno nel suo blog scrive di quello che gli pare, mica deve giustificarsi col vicino vegetariano se a casa sua si mangiano le bistecche.
Eppure tutti gli autori che cita Lodoli, per fare un esempio, sono presenti su Nazione Indiana, chi più chi meno (abbiamo un archivio di oltre 3500 post, qualcosa sfugge anche all’occhio più attento a quanto pare). Io stesso ho postato pezzi di Lodoli stesso.
Quindi: di che stiamo parlando VERAMENTE?
@ Biondillo: per quel che vedo, stiamo parlando del continuo tentativo del duo di spostare la discussione dall’argomento dei post a questioni non attinenti. Non dovrei essere io a dirlo, visto che ho pur risposto a loro, ma forse sarebbe meglio applicare la sacrosanta regola “Don’t feed the trolls”
Ho trovato una foto di Aurelio Picca
Anghelos, chiedo scusa per l’OT, l’ho già detto, forse ho sbagliato ad abboccare all’amo di Marco Lodoli, ma non intendevo assolutamente fare il troll, che tu ci creda o no ero intervenuto per tutt’altra esigenza.
Ma infatti io non mi riferivo a te, Mercante! Mi riferivo all’utente che con parecchi nomi continua da giorni questa polemica e a chi gli dà ragione. Se considerassi te un troll allora dovrei mettermi anche io nel novero 😉
Forse sono un po’ naif, pensavo che “Marco Lodoli” fosse davvero lo scrittore romano, non immaginavo fosse uno di tanti nicknames.
Mi state facendo passare la febbre, grazie al cielo 🙂
Ps. Marco? Su questo blog esiste la funzione cerca. Chi dice che non ho mai parlato di Pardini, o di Piersanti, mente.
Scusate: come Marco Lodoli è un nickname di comodo? Su Tocqueville non è mai intervenuto e dire che Pound è uno dei suoi poeti preferiti! E allora la splendida Elegia di Claudio Damiani (che si può sentire nel suddetto mp3) cosa l’ho messa a fare? E’ per discutere con Lodoli, ma non se Lodoli è falso. Certo che ha ragione chi dice che troll e OT sono i guai della Rete, perché nemmeno di fronte alla VERA poesia o a una citazione da Piersanti (non sia confuso con Umberto Piersanti, d’altronde anch’egli vero poeta) si ha una discussione, ma si viene accusati di deviare la discussione in oggetto nel post. Ai tempi in cui la Rete non esisteva e c’era la rivista “Prato Pagano” queste cose non accadevano e si leggevano fior di poeti come Beppe Salvia o Marotta, mentre su “Lengua” appariva un genio come Camajoni, di cui adesso nessuno parla più, nonostante siano tutti voci fondamentali. Gli è che gli anni Ottanta sembrano la fin de siècle del secolo precedente alo scorso (cioè l’Ottocento) e ci si balocca con oggetti letterari inutili contemporanei. Chi parla di Fiori? Il poeta, intendo, ma anche i “Fiori” di Marco Lodoli? Di tutte e due i Fiori, insomma. Non importa cercare negli archivi di un’enciclopedia casuale da 3.500 pagine, la discussione centrale è un’altra cosa, quindi vero o falso che sia per me ha ragione Lodoli.
A proposito di Aurelio Picca, che aveva un apprezzatore esimio e purtroppo ormai estinto ma che rimane a me caro, Siciliano, vorrei leggere dai tanti scrittori di oggi due autointerviste come quelle che pubblico qui, per alimentare il dibattito di lodoli, che però vedo non sta intervenendo, nonostante sia l’oggetto del post in questione, la sua discussione:
“Aurelio Picca ci racconta il suo ESAME DI MATURITA’…
ma senza una sola traccia autobiografica.
Questo romanzo l’ho scritto tra il ’93 e il ’94. E della giovinezza non ne ho fatto un mito.
Quando scrivevo il diario sentivo che essa era un delirio, come la vita. Né più né meno. E siccome per far recitare il delirio. Non avevo bisogno del teatro, ma di una palestra, ho pensato che sarebbe stato meglio esibirlo a scuola.
Così il delirio si è trasferito nei giorni e nei mesi che regolano un anno scolastico, fino al fatidico esame di maturità, che oggi si chiama con un altro nome.
In un anno scolastico mi sono assunto la responsabilità di cucire insieme Annalisa, Pontormo, Dolce e Gabbana, Cuore, Cocaina, i bamboli che ho partorito io stesso, Francesco d’Assisi, cento scopate, il manto azzurro della Madonna, l’Africa, i tori, Foscolo, i Roxy Music, i coatti, e i prof che non ce la fanno più a resistere. E poi l’Italia, sempre l’Italia.
Insomma ho preso a calci e esaltato la scuola, sputando sui muri della sua palestra. Dunque mi ci sono allenato dentro anch’io. L’ho amata. Mi ci sono fatto male e ne ho goduto: perché era ed è la giovinezza. Me sono fregato di fare l’antipatico, perché vi giuro che nel romanzo non c’è traccia autobiografica.
È accaduto tutto di più. Ho preteso di strappare la maschera dell’ipocrisia, ma la verità era uno scherzo: il delirio era già senza maschere.
SACROCUORE è l’ultimo romanzo di Aurelio Picca: un’intervista.
Una madre operata al cuore, un intervento dagli esiti imprevedibili. Un figlio che gioca d’azzardo. Un cumulo di debiti, gli usurai che si scatenano tra luci e ombre di una cittadina ligure che fa da sfondo alla tragedia.
Sacrocuore è un romanzo spietato e colmo di pietà, tragico fino all’ultima parola, ma non triste. Ricostruisce i rapporti di una famiglia “insistente”, in una Rapallo dal golfo come una testa di cobra, o un garofano. La madre, Edda, giganteggia per generosità e crudeltà sui tre figli, frutto di due matrimoni. Uno di loro tradisce costringendo gli altri a salire su una giostra di usurai, gioco d’azzardo, debiti.
Sacrocrocuore si discosta dai tuoi libri precedenti, ha le atmosfere del noir, è avvincente e si legge d’un fiato come un giallo…
Mi hanno sempre definito uno scrittore visionario. Ma la “cifra” visionaria è un ingrediente fondamentale del noir e in fondo ho sempre scritto delle cose che celavano un intrigo, un congegno da svelare. Questa volta l’intrigo è più manifesto, necessario.
Anche i temi sfiorano il noir. Temi forti: l’usura, la malattia, la disperazione senza via di scampo…
Cupo no, se mai capace di affrontare senza sovrastrutture e verità di comodo i lati più bui e difficili delle relazioni fra le persone, le relazioni famigliari ma anche quella fra medici e pazienti.
E il cuore del titolo?
E’ un’immagine mitica, tenebrosa, che mescola diverse tradizioni, quasi un’incona pop. C’è l’iconografia naif, quella cattolica, si passa dal cuore dell’infanzia al biopump, il cuore chirurgico che tiene in vita la madre.
Uno sguardo impietoso sui rapporti umani?
é il vertice più alto della pietà. Uno sguardo leale, scevro da sentimentalismi ma carico di pietà, di forza primitiva, che cerca di raccontare la qualità di chi sa guardare e affrontare il dolore senza filtri nè infingimenti; la qualità di chi sa usare le minime attenzioni, i minimi gesti nel rapporto con gli altri. Ci si può leggere tutto un mondo che va cercando un contatto diretto, materiale, con le cose. I personaggi di Sacrocuore sono capaciSacrocuore di aprirsi a tutte le esperienze. Sono dei dannati, ma dotati di una forza primitiva.
Non è uno sguardo un po’ cattolico?
No. Se vogliamo esprime la forza di un cristianesimo preistorico, una religiosità che ricorda quella dell’infanzia.
Perchè l’hai ambientato a Rapallo, una città poco frequentata dalla letteratura?
Per via della luce, credo, la luce verticale che taglia questi budelli di gole di montagne che si affacciano sul mare. Lo scenario giusto, sospeso tra realtà e irrealtà, perchè si compia il destino dei protagonisti. Più ombre che luci. Il giusto luogo della tragedia.”
NB: è la polemica fatta da Roberto Parpaglioni, questa, ai suoi tempi: come si vede, la storia si ripete.
Claudio Burgio