LA CITTA' E L'OSCENO

Bruno Proth è un sociologo francese, Emmanuel Redoutey un
urbanista. Hanno firmato per il Dizionario della pornografia una voce
particolarmente interessante, dedicata alla città. Mi sembra che riportarne
almeno qualche passo possa integrare alcune delle discussioni fatte qui, in
diverse occasioni (dal famigerato X post alla cronaca della linea B).

“…molti autori hanno cercato di compilare una cartografia
della diversità sessuale che la densità e la complessità culturale delle città
favoriscono. (…) Pat Califia, secondo il quale lo sfruttamento urbano
corrisponde sotto molti aspetti allo sfruttamento del corpo, ha preso in
prestito dai sociologi della Scuola di Chicago la nozione di area morale,
definendo delle sex zones che ricoprono al tempo stesso spazi in cui il sesso è
a pagamento e aree di raggruppamento di minoranze sessuali. “La città è una
mappa della gerarchia dei desideri, dai più valorizzati ai più stigmatizzati.
E’ divisa in aree determinate dalla maniera in cui i cittadini valorizzano o
denigrano i loro bisogni”. (…)

Prossima alla psicogeografia che definisce alla
fine degli anni Cinquanta il posto dei desideri nell’esperienza urbana – come
già in Nadja di André Breton – l’erotizzazione dell’erranza
urbana partecipa anche all’immaginario sessuale della città, che si fonda su
un’analogia con il corpo, “specchio della società”, secondo quanto afferma Mary
Douglas
.

(…)

Molte
figure paradigmatiche, le cui condizioni e situazioni sociali tendono a fare
della strada un territorio specializzato, fanno convergere la loro competenza
verso l’annessione provvisoria e a volte definitiva dello spazio pubblico. Sono
le figure della prostituta, del senzatetto, dell’adescatore, ma anche della
coppia scambista, del voyeur e dell’esibizionista. Quali che siano le logiche
sociali che spingono ad impiegare il selciato, a deviarlo dalla sua funzione di
circolazione e a modificarne il libero accesso, queste figure invitano il
passante indesiderabile a posare su di loro uno sguardo pornografico. (…)
Forzano a osservare l’inosservabile. Invitano il cittadino a vedere, suo
malgrado, la sovraesposizione dell’altro. (…) Di solito, e in modi differenti,
i luoghi della città eletti dalle minoranze sociali sono stigmatizzati. Sono
ritenuti insalubri, pericolosi, vettori potenziali di contaminazione. (…)
L’osceno è sapere che, ogni giorno, a poca distanza da casa e sempre sullo
stesso percorso, ha luogo un incontro con l’alterità.”

26 pensieri su “LA CITTA' E L'OSCENO

  1. Io in effetti ho sempre legato la città all’erotismo. Questo passaggio all’osceno mi spiazza. Osceno in che senso? Sessuale?
    Che lo sguardo sull’alterità e l'”inosservabile” debba essere pornografico può venire in mente solo a un francese.

  2. In realtà tutta la voce e buona parte del dizionario fanno riferimento all’osceno in senso etimologico, ob-scenus, qualcosa che deve essere tenuta lontano dallo sguardo.
    Ma se ci pensi bene hanno ragione: Jean-Claude Carrière, nella prefazione, usa l’aggettivo osceno parlando delle televisioni che mostrano “immagini di ostaggi acecati e dei loro assassini in passamontagna”, ma non “il gesto terribile dello sgozzamento”. Quel gesto viene infatti ritenuto osceno, non può essere guardato. E qui propone una differenza con la pornografia, viceversa fatta per essere vista e letta, ma in genere associata al concetto di oscenità.

  3. Interessante. Sarebbe anche bello ragionare su come l’istituzionalizzazione dell’osceno (nonché del desiderio), sia alla radice della città contemporanea e dei meccanismi urbani odierni. Viene alla mente la Coney Island descritta da Rem Koolhaas, ma anche – perché no – la Las Vegas di Venturi.

  4. Verificata la poca chiarezza della voce “psicogeografia” (prossima alla cancellazione) su Wikipedia, spero di contribuire utilmente rispolverando una ricerca del 2004 in cui utilizzai anche lavori dedicati all’Internazionale Situazionista da Mirella Bandini e Mario Lippolis. Chiedo preventivamente scusa ai più informati per l’eventuale pippetta e continuo a leggervi.
    Prendendo spunto da Gilles e da Kabyle che aveva proposto il termine psicogeografia per definire i fenomeni studiati con la deriva, Debord scrive nel ’55 una “Introduction à una critique de la geographie urbaine” in cui riserva alla psicogeografia “Lo studio delle leggi esatte e degli effetti specifici dell’ambiente geografico, consciamente organizzati o meno, sulle emozioni e sui comportamenti individuali”. Ivan “Gilles” Chtcheglov aveva trattato della deriva in “Formulaire pour un Urbanisme Nouveau” nel 1953, formulario che sarà pubblicato solamente nel ’58 sulla rivista dell’I.S.
    La dérive è un concetto legato all’esercizio della vita quotidiana all’interno dello spazio urbano, o più semplicemente una passeggiata senza un tragitto predeterminato, un esercizio spontaneo e ludico, alla ricerca della totale liberazione dei desideri da attuare in una nuova dimensione dell’ambiente. L’antecedente storico e diretto della deriva è la deambulazione surrealista, una delle maggiori attività del gruppo bretoniano. Nel loro programma anticulturale, (crétinisation) la flanerie, passare ore e ore in giri concentrici su tram periferici, o nella visione ripetuta di un pessimo film, o vagando per la città senza uno scopo, significava mettersi nelle condizioni di verifica di azioni inconscie, in un agglomerato urbano che simulava una foresta avventurosa in cui negozi, incroci e monumenti intrappolavano i desideri. Un gioco d’attesa e sospensione che Breton nel 1928 utilizza come traccia precaria per la narrazione del suo “Nadja” attraverso l’attrazione o la repulsione di certi luoghi che insolitamente vuole mostrare al lettore del libro attraverso delle fotografie. Nel 1962 Breton dirà che quelle foto, obbedendo ad un suo imperativo antiletterario, permettevano di eliminare qualsiasi forma di descrizione.
    E forse in questo caso un legame ancora più diretto e bretoniano può trovarsi nella poesia di Benjamin Péret, che aveva ispirato il motto segreto della Deambulazione Surrealista “Se navigherai il tuo cazzo ti farà da timone”.
    lucio

  5. Anzitutto, un grazie a Lucio per aver supplito alla voce linkata. Debolissima, in effetti.
    Poi, una piccola aggiunta: nel Dizionario si sostiene che il vero luogo dell’osceno, oggi, è la televisione, “invasa dall’imperativo dell’intimo svelato” che la percorre completamente. E non si riferisce semplicemente alla “trasparenza delle coscienze” che riguarda i reality, ma ai “talk-show volgari, ai telefilm rosa, alle pubblicità ammmiccanti”. Caratterizzati da quei dispositivi che sono a monte dell’atto sessuale: trivialità della situazione, impudicizia di chi si esibisce e indecenza dello sguardo del voyeur”.
    Parliamo di tutti quei generi televisivi, peraltro, che, chissà come mai, sono tuttora protetti dagli strali di quegli organismi che si accaniscono invece sui cartoni animati o sui telefilm di Buffy…

  6. Leggo “erotizzazione dell’erranza urbana” e mi torna in mente una vecchia bustina di Minerva di Eco, che diceva altro ma in fondo si ricollegava sempre al discorso dell’alterità:
    “Entrate in una sala cinematografica. Se per andare da A a B i protagonisti ci mettono più di quanto desiderereste, questo significa che il film è pornografico”

  7. Spinto dalla curiosità istigatami da una nota lipperinica di qualche tempo fa, acquistai d’impulso il citato Dizionario della pornografia per ritrovarmi in mano un tomo fitto di testi di analisi tautologica alla francese, dove si afferma l’ovvio “con altri mezzi”.
    Come nel brano pubblicato qui sopra, per esempio, dove si afferma in modo francese che certe zone della città sono frequentate da individui a scopo di offerta o domanda sessuale.
    Come se non lo sapessimo.
    Come se non fosse ovvio che per chi cerca determinate esperienze è comodo trovare un’offerta concentrata in determinate strade o piazze o aree urbane, specializzate, come lo è un supermercato, per un certo genere merceologico.
    La città come luogo principale di esibizione di merce e di scambio e compra-vendita non dimentica certamente il sesso.
    A che serve ribadirlo senza aggiungere specificazioni, come per esempio dati desunti da ricerche sul campo, senza cercare di capire come il fenomeno si manifesta a seconda della città, senza analizzare le invarianti strutturali dell’uso sessuale del suolo urbano, senza dirci perché certe aree, piuttosto di altre, seguono un determinato destino, senza provare a capire il legame tra sesso e degrado urbano, tra sesso e miseria, eccetera?
    Ma a voi non danno fastidio i francesi?

  8. Non ho letto il Dizionario, quindi non so dire il come e il quando (i francesi cmq, tendenzialmente non mi stanno sulle palle). Certo però è che quello che qui si chiama “osceno” può diventare una sorta di indicatore biologico del sentimento urbano contemporaneo.
    Mi torna in mente quella scena di Tutti pazzi per Mary in cui lo psicanalista parla a Ben Stiller degli autogrill quali “nuovi ritrovi per omosessuali” (poi Ben verrà arrestato proprio in un autogrill in piena retata antigay, appunto). Sul numero di Gomorra (no, non il libro di Saviano: la rivista di sociologia urbana edita da Meltemi) di ottobre 2005, dedicato al Grande Raccordo Anulare di Roma, sta un articolo a titolo “Cruising. Soggettività anulari” in cui si parla proprio di questo: gli autogrill del Gra di Roma sono i luoghi scelti dalla comunità gay per le loro “crociere sessuali”.
    Il punto ovviamente non è il cruising, il punto è il Gra: un’autostrada che, da negativo urbano, diventa una specie di corso, di arteria vissuta, di vero e proprio “centro” promiscuo: Ikea & corse clandestine, Carrefour & spaccio, Autogrill & cruising, famigliole & mignotte, ecc ecc.
    Non mi soffermerei quindi sul fatto che “certe zone della città sono frequentate da individui a scopo di offerta o domanda sessuale”, quasi si trattasse di una zonizzazione del desiderio. Lo scarto col vecchio concetto di quartiere malfamato (per dire) al momento è immenso, tantopiù che la mercificazione del sesso avviene anche attraverso altri canali che non i vetusti puttantour (vedi certi centri massaggi in centro, le prostitute indoor che “adescano” via internet e così via).
    Ma soprattutto l’osceno, nelle sue diverse gradazioni, innerva la città tutta, attraverso un rapporto voyeuristico/utilitaristico con chi ne fruisce gli spazi. Questo vale sia per quanto detto sopra a proposito dell’esempio Gra, sia per le aree di pregio come i centri storici, diventati immensi parchi a tema, secondo una linea che parte direttamente da Coney Island (un posto di freaks e battone, appunto), passa per Disneyland, si cementifica in Las Vegas, arriva alle nostrane Rome e Venezie, e si proietta nelle architetture griffate, nell’urbanistica spettacolo, nei Fuksas e nei Libeskind. L’equivalente per certi versi dei “talk-show volgari, telefilm rosa, pubblicità ammmiccanti” a cui si fa riferimento nel Dizionario.
    Se la città è da sempre il luogo del “ciò che non può essere guardato”, bisogna anche vedere come questo ob-scenus, da pericolo potenziale, ha finito per essere istituzionalizzato e perdipiù celebrato quotidianamente dalle città stesse, nel loro stesso costruirsi.

  9. @ tash
    A me i francesi non danno fastidio per niente. Mi piace il paese, mi piace il cibo, soprattutto della provincia, rillettes, boudin, andouillettes, bouillabaisse.
    Mi piace straordinariamente il paesaggio. La grande campagna.
    Poi certo, non sono più il faro e portano ancora la grande posa, ma li ho molto amati e sono ancora un paese piuttosto civile.
    Noi?

  10. Scusate l’OT, e visto che l’ho fatto ne aggiungo un altro: a tutti gli altri europei preferisco di gran lunga gli italiani.
    Siamo empatici, noi, il che non guasta.
    E anche il cibo non è male.
    @Lipperini, forse tu lo sai o puoi saperlo, cazzeggiano come noi su internet i francesi? Dubito.

  11. volevo dire che mi danno fastidio gli intellettuali francesi, così come se so’ “storicamente determinati”.
    voglio dire che non sopporto le pseudo analisi alla francese che considero quasi sempre pura “corsa sul posto”.
    ma mi rendo conto che il discorz. è compless.
    per il resto adoro la francia.

  12. un’altra cosa che non condivido è l’estensione illimitata del termine “osceno”, proprio come fa volta.
    libeskind “osceno”, ma su.
    a me non piace e manco fuksas, ma l’osceno è altro.

  13. @tash
    eppure io ho colto nel commento di volta alcune cose che mi hai insegnato tu, per esempio che
    “il Gra: un’autostrada che, da negativo urbano, diventa una specie di corso, di arteria vissuta, di vero e proprio “centro” promiscuo: Ikea & corse clandestine, Carrefour & spaccio, Autogrill & cruising, famigliole & mignotte, ecc ecc.”
    Se il dizionario come ha precisato la Lipperini fa riferimento all’osceno
    “in senso etimologico, ob-scenus, qualcosa che deve essere tenuta lontano dallo sguardo”, allora volta non estende illimitatamente.
    Sui francesi vorrei aggiungere che hanno avuto e hanno ancora una società intellettuale appositamente allevata e socialmente riconosciuta, licei che preparano ai concorsi, Fondation Thiers, Ecole normale, Collège de F.
    Essere intellettuale in Francia è come essere chirurgo da noi.
    Prova a dire al tuo barista sono chirurgo, e prova a dirgli sono un intellettuale.
    Che poi, quando non sei più un grande paese culturalmente egemone, anche nei tuoi intellettuali si senta una certa angoscia da prestazione e un certo disagio per questa centrifugazione verso i confini dell’impero, questo è un altro discorso, e c’è il rischio di fare la corsa sul posto.
    Comunque hanno ancora una grande provincia, grazie a dio, e un grande paesaggio, e non se lo sono bevuto come noi ci siamo bevuto il nostro che era anche più bello. Anche solo per questo sono un paese di civiltà superiore alla nostra

  14. tash, mi rendo conto che mai come in questo caso occorrerebbero precisazioni etimologiche, distinzioni sui termini ecc (d’altronde, anche sopra si sottolineava la radice ob-scenus). Però su, come si dice a Roma, “famo a capisse”.
    L’accenno a Libeskind si riferisce al fatto che la sua è un’architettura intimamente pornografica, tutto qui. Se vogliamo restringere il campo, l’ostentazione libidinosa che sottende gran parte dell’architettura contemporanea mi pare un dato di fatto, tanto più che gli stessi autori la rivendicano, appoggiandosi a precisi trascorsi tanto estetici quanto ideologici.
    Naturalmente, anche questa si può declinare in mille modi. C’è chi sulla libido della città ha costruito percorsi critici (penso a Koolhaas, a Tschumi, che proprio su “ciò che deve essere tenuto lontano dallo sguardo” ha plasmato la sua idea di in between, o allo stesso Venturi), e chi la riduce a sfoggio esibizionistico (di nuovo, Libeskind).
    Il mio non è un giudizio di merito, né una critica per partito preso a certa architettura-spettacolo. La Hadid o Gehry, che sono forse il massimo della spettacolarità e del “venghino gente”, per dirti mi piacciono pure. La mia era solo una constatazione di come l’immaginario sessuale della città ne stia condizionando gli sviluppi, e prendevo certe interpretazioni architettoniche – oramai considerate maggioritarie – come mero esempio.
    Se ci pensi, non è un caso che gran parte delle star dell’architettura mondiale provengano da esperienze si sarebbe detto “d’avanguardia” come quelli narrate sopra: la psicogeografia, la città del desiderio, l’erotizzazione dell’erranza urbana, nonché il bellissimo “se navigherai il tuo cazzo ti farà da timone”.

  15. Aggiungo un paio di note: c’è, nel dizionario, una voce dedicata al “campo”, inteso come luogo di reclusione. L’autore, che in questo caso è Philippe Boisnard, azzarda un ulteriore paragone della città come versione contemporanea del campo, “allo stesso tempo posto trincerato e luogo della libertà delle pulsioni” che mi sembra interessante. Incluse le sue reinterpretazioni di Ballard e di Houellebecq.

  16. non contesto le note critiche di Volta, anche perché mi ci vorrebbero 18 cartelle e la capacità di scriverle.
    contesto l’uso estensivo che fa della parola “osceno”.
    credo che le parole per descrivere il mondo debbano essere scelte col criterio della ristrettezza del significato e non il contrario, come fanno i francesi.
    il linguaggio naturale è già troppo impreciso di per sé.
    sul resto concordo.
    per me la pornografia nasconde un mistero, ma non dico qual è.

  17. buonasera sono una studentessa universitaria che sta svolgendo una tesi sul surrealismo e in particolare sulla concezione di città come corpo in Aragon e in Breton.Potreste indicarmi della bilbiografia al riguardo??vi ringrazio!!!!!vi lascio la mia mail rispondete li …..grazie ancora
    alessiamilone@hotmail.com

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