LA MORTE DI ENZO SICILIANO

Avevo cominciato questo post pensando a qualche appunto per un venerdì semi-piovoso, che includeva, per integrare la lettura del testo di Valerio Evangelisti, il link a Termidoro di Tommaso de Lorenzis (correva il dicembre 2005).

Poi, però, e con ritardo (in terre sabaude sono alquanto meno connessa all’universo mondo) leggo della morte di Enzo Siciliano.
Allora, vi riporto un’intervista, apparsa in quello stesso dicembre sul Corriere della Sera, che Siciliano rilasciò a Paolo Di Stefano. Mi sembra – magari sbaglio – la cosa giusta.

L’impegno? «Per la mia generazione è stato imprescindibile». La generazione di Enzo Siciliano è quella che si affacciava alle patrie lettere tra gli anni 50 e i 60. Con un apparente paradosso: «C’era un naturale rapporto con il mondo in cui si viveva. Però alla fine sono d’accordo con Sciascia quando dice che lo scrittore è impegnato soprattutto con se stesso, cioè con la propria coscienza, con i propri strumenti conoscitivi e stilistici. Se vuole dare indicazioni di comportamento o di scelta etico-politica, allora sbaglia bersaglio. Insomma, un’opera letteraria non nasce mai da un sistema deduttivo di idee, perché di buoni propositi è lastricato anche l’inferno letterario».
L’inferno letterario, un tempo, era per Siciliano la neoavanguardia: un progetto «esibito in modo clamoroso». Sono passati oltre quarant’anni dai primi contrasti, e i toni sembrano essersi parecchio attenuati: «Quello con la neoavanguardia è stato un dibattito feroce ma anche molto bello. Credo che vi spendemmo il meglio del nostro cervello. Fu un momento di grande fervore in cui volarono parole grosse ma che rappresentò un acquisto di consapevolezza». Consapevolezza per i due fronti contrapposti? «C’era un elemento che ci accomunava: l’idea di letteratura come atto conoscitivo». Resta il fatto che si trattava di due opposte visioni: da una parte la fiducia in una narrazione realistica, dall’altra la contestazione di quella fiducia, lo stravolgimento, lo sfregio. Siciliano stava dalla parte di Giorgio Bassani. Per lui, Bassani, bandiera del primo schieramento, è stato un maestro: «Lo conobbi, quando avevo 22 anni; avevo alle spalle esperienze lontane dalla sua, amavo poco la letteratura italiana contemporanea e molto quella inglese e quella americana. Mi propose di tradurre Wyndham Lewis per Feltrinelli: era un maestro per il controllo analitico sul testo ma anche per la forte disponibilità verso tutto ciò che era diverso da lui. Non dimentichiamo che Bassani aveva scelto di pubblicare autori come Borges». L’impegno di Bassani, anche come dirigente Feltrinelli? «Quel che davvero gli interessava era la valenza espressiva della letteratura. Il suo impegno come editor fu come quello di Niccolò Gallo in Mondadori. Oggi gente così non se ne incontra più…».
In quegli anni Siciliano si era appena laureato in filosofia con una tesi su Wittgenstein. Nel ’56, quando su Nuova Corrente apparve una sua recensione alle Ceneri di Gramsci , Pasolini volle conoscerlo. Siciliano era iscritto alla Federazione dei giovani comunisti, eppure amava la poesia del «fascista» Pound: «Ero un comunista singolare. Nel ’56 restituii la tessera, fui tra i 101 firmatari dopo i fatti d’Ungheria. Eravamo in molti i comunisti atipici in Italia: se penso a gente come Giorgio Amendola… Oggi si istituiscono tribunali speciali contro il Pci, ma è tutto ridicolo. La cultura italiana aveva uno smalto europeo e se la sinistra era egemone se lo meritava». E le censure? «Non scherziamo! Anche su Nietzsche si sbaglia. Io ho letto Ecce homo nella Universale Einaudi. Se sfogliamo il catalogo Einaudi troviamo di tutto. Del resto, la casa editrice fu costruita da Cesare Pavese, che con De Martino mise su la cosiddetta collana Viola, con autori come Eliade, Jung, Kerényi».
Anni dopo, nel ’63, Bassani sarebbe stato accusato di rifiutare Fratelli d’Italia di Arbasino perché conteneva giudizi poco riguardosi nei confronti di Moravia, Elsa Morante, Montale… Fu anche sospettato di spionaggio editoriale. Ne seguì un processo tra quella che fu definita l’«avanguardia in vagone letto» e la Feltrinelli da un lato e dall’altro l’autore del Giardino dei Finzi Contini . Il Gruppo 63, con i giovani leoni Balestrini, Filippini e Valerio Riva, perse in tribunale, ma si impose nella scena culturale. Oggi, Siciliano liquida quella storia antica come un «contrasto editoriale, un contrasto che non aveva niente a che vedere con i valori letterari». E infatti, Siciliano apprezza lo sperimentalismo non estremista, che si sottrae al «rifiuto dell’espressione» sbandierato dal Gruppo 63. È quello di Del Buono, Roversi, Volponi, La Capria, Pagliarani, Arbasino. Uno sperimentalismo «buono», per così dire. Contro quello «duro e puro» di Sanguineti e Balestrini: «Sanguineti rimane troppo blindato nelle proprie idee: la deduttività in letteratura mi ha sempre imbarazzato». Giorgio Manganelli? «È un altro discorso, la sua superfetazione letteraria diventa un tratto visionario di notevole forza espressiva».
Tutti discorsi che oggi sembrano archeologia. Archeologia, soprattutto, è quel rapporto stretto tra le generazioni: la generosità dei «vecchi» rispetto ai giovani. «Oggi il rapporto che si è venuto a creare tra stampa, case editrici e scrittori è viziato da logiche che non hanno nulla a che vedere con la letteratura. Nel ’91 Moravia scrisse che la letteratura non contava più niente, non aveva più senso. Sono passati 15 anni e la situazione è degenerata: il dato espressivo non viene sentito più come vitale». La tanto disprezzata critica militante non è che un ricordo: «C’è stata una grande critica. Cecchi, De Robertis… erano uomini che scrivevano per i giornali con una voglia tenace di verificare sui libri la loro intelligenza critica straordinaria. I giornali non sono più la cinghia di trasmissione di esperienze culturali. Il modello dilagante è quello televisivo». Siciliano ha avuto a che fare con la Rai prima come funzionario, poi, tra il ’96 e il ’97, come presidente. Risultati? «Mi spendo sempre molto, poi mi tocca ritirarmi con le pive nel sacco. Abbiamo fatto un sacco di cose, con l’aiuto geniale di gente come Freccero e Guglielmi. Ma presto si esaurì la libertà, la politica entrò in modo massiccio e fu un inferno. Oggi la tv è un campo perduto».
Per fortuna rimangono piccole postazioni di resistenza. Come la rivista Nuovi Argomenti , che Siciliano continua a dirigere: «La forza della rivista è che ti arriva una busta gialla e ci trovi dentro le poesie di Dario Bellezza o di Magrelli. Io ho ancora fiducia in certe apparizioni. Il libro di Piperno è venuto fuori così. Nuovi Argomenti è rimasta l’ultima rivista di letteratura creativa in circolazione». E che cosa c’è di nuovo sotto il sole? «Una voglia di narrazioni fondate sull’esperienza, un bisogno di testimonianza. Leggo tanti ragazzi tra i 20 e i 30 anni che scrivono di esperienze vissute con un occhio allo stile e con una notevole forza espressiva e inventiva. Il filone è quello che Guglielmi avrebbe definito dei franchi narratori, non secondo uno schema neorealistico, cioè epico-lirico, ma più testimoniale, con una voglia di presa diretta sulla realtà». Con qualche facile moda. Per esempio l’ossessione del giallo: «Mi sembrano un giochino, una malattia infantile della letteratura italiana, un tipo di impacchettamento kitsch e un po’ provinciale rispetto alla grande tradizione americana. Una scimmiottatura». Veniamo ai nomi. I nati con la rivista: Affinati, Albinati e Picca. Di Piperno si è detto: «Un vero narratore anche quando scrive di critica: è il suo talento, leggendolo avverti una specie di musica, senti che le note cadono giuste sul pentagramma». Altri: i giovani Leonardo Colombati e Mario Desiati. Una delusione per l’ultimo romanzo di Sandro Veronesi: «Non mi convince, lo sento diminuito nell’estro ironico, un po’ troppo fabbricato rispetto al talento delle Cronache italiane o degli Sfiorati ». Poca fiducia in Alessandro Baricco: «È un manierista di se stesso, in cui sento il vezzeggiamento stilistico, un lavoro di uncinetto fine a se stesso». Un ex-pulp come Ammaniti? «A me interessano i narratori veri e lui lo è. Sento nei suoi racconti un’ampia disponibilità di conoscenza nei confronti della vita e del mondo. Io non ho paura è un’esplosione di novità».

13 pensieri su “LA MORTE DI ENZO SICILIANO

  1. Mi dispiace, per Enzo Siciliano. L’avevo visto più volte. Gli era piaciuto il mio unico pezzo pubblicato su Nuovi Argomenti. Mi sembrava una persona onesta.
    Un saluto

  2. dispiace anche a me, nonostante non gli possa “perdonare” quel che scrisse su Horcynus Orca…
    in questa intervista, per esempio, dice molte cose giuste – secondo me – e ragionevoli.
    Anche sulla letteratura e sulla televisione. Questi grandi vecchi (penso a Siciliano, Luperini, Ferroni, di questi ultimi tempi) non si fanno mai troppi problemi a tagliare con l’accetta… ma alla fine hanno ragione. Siamo noi che ci spacchiamo le meningi e ci scontriamo per cercare (invano) di dar loro torto, di parlare di vitalità e nuove espressioni, di superamento dei generi…
    La verità è che il paragone tra i due stati del dibattito intellettuale, quello di 40 anni fa e quello di oggi, è sconfortante: “I giornali non sono più la cinghia di trasmissione di esperienze culturali” (..) “Oggi il rapporto che si è venuto a creare tra stampa, case editrici e scrittori è viziato da logiche che non hanno nulla a che vedere con la letteratura. Nel ’91 Moravia scrisse che la letteratura non contava più niente, non aveva più senso. Sono passati 15 anni e la situazione è degenerata” (..)”Oggi la tv è un campo perduto”. Sarebbe il caso di mettersi sulle spalle di costoro che ci lasciano per provare a guardare un po’ più in là invece che calarsi le brache.
    E non parlo di nessuno in particolare, eh.. per carità! Intendo generalmente.

  3. C’è qualcosa di indefinibile nella voce di una persona che sappiamo di non poter più ascoltare.
    E’ qualcosa che ci fa tenere le orecchie aperte, gli occhi svegli e i sensi tutti protesi verso quelle idee che a suo tempo avevamo fatto finta di ascoltare e che invece avevamo cercato inutilmente di scalfire con il nostro ego…
    Ora sì posso dire che Enzo Siciliano mi mancherà…
    …ora che è già troppo tardi.

  4. No, aspetta, Marco V., non confondiamo. Io sono dispiaciuto per la morte di Siciliano (per questioni anche mie personali, non sai quanto, ma non ho voglia di spiegartelo in questa sede) ma non facciamo l’errore di santificare sempre e comunque il morto ancora caldo. Ero d’accordo con lui su un sacco di cose e in disaccordo su molte altre. Tipo: “Nel ’91 Moravia scrisse che la letteratura non contava più niente, non aveva più senso. Sono passati 15 anni e la situazione è degenerata”.
    Per come la vedo io sono passati 15 anni ed è Moravia a non avere più senso. la sua sparizione nel mondo delle lettere patrie (ti rammenti la sua posizione dominante?) è stata di una repentinità folgorante!

  5. vero verissimo, caro biondillo, sulla sparizione di Moravia (il Tempo è Galantuomo..lo dico sempre: Moravia era un uomo molto intelligente e influente. Fosse stato anche un grande scrittore sarebbe stato perfetto) non c’è nulla da dire. Se è per questo è pure sbagliata la data: Moravia non può aver detto quello che Siciliano gli fa dire nel ’91: era morto l’anno prima.
    Nessuna intenzione beatificatoria (e poi, l’ho anche detto: non gli posso perdonare il “fritto misto” col quale disse che si sarebbe mangiato l’Orca di D’Arrigo..), volevo soltanto far notare come dalle sue parole, come da quelle di altri vecchietti, vengano una serie di critiche che possono sembrare irritanti, da guardiani del Tempio, ma credo che alla fine dovremo ammettere che avevano ragione.
    Io alla crisi del dibattito intellettuale italiano credo, mi pare sotto gli occhi di tutti.. e sia chiaro che non mi basta leggere qualche grande libro ogni tanto… perché questo è accaduto sempre e sempre accadrà (ha a che vedere con le facoltà ricombinanti del Dna, penso) il problema è più radicato e radicale, sconfortante, inquietante.. antropologico.
    Siamo in caduta libera, e solo un ingenuo può credere che tutto questo non influisca in qualche modo anche sulla posizione della letteratura. Due anni fa, in merito alla diatriba Benedetti-Luperini sull’Unità, Siciliano diede il suo contributo con un articolo che aveva un incipit fulminante: “Sono per l’assenza”.
    Dopo una vita di impegno – anche “padrinista”, per dirla con Tiziano Scarpa – non se la sentiva più di appoggiare l’impegno dello scrittore nella società. Lapalissiano: per impegnarsi nella società, ce ne deve essere una.

  6. Come mai Siciliano, uomo e scrittore di fine intelligenza, non cita neanche una donna in questo pezzo? Tu sai, Loredana, a chi andavano le sue preferenze al riguardo (se ne aveva?). Grazie, Max

  7. Un caro saluto a Enzo, gentiluomo in un mondo poco gentile. Un abbraccio a tutte le persone che gli volevamo bene. Michele

  8. Lapalissiano: per impegnarsi nella società, ce ne deve essere una.
    Altrettanto lapalissiano è che nessuno vive in un bozzolo galleggiante nello spazio e nel tempo e che se anche, da domani, questa in cui viviamo la chiamiamo merda dovremmo sempre aggiungere alla fine società. Società di merda, ma società. E come siamo circondati di un’arietta sempre meno respirabile così siamo anche immersi nelle società, che lo si voglia o no, che le si ami o meno. Dichiararsi fuori dalla società ha l’aria di un non senso e sembra l’indice di qualche disagio mentale. Anche se non vogliamo esserci o siamo critici o siamo veramente e sinceramente incazzati nessuna soluzione e di nessun tipo passa attraverso le ‘società di una volta’ o gli scrittori ‘di una volta’. Questo è l’equivalente di ‘quando i mulini e le cattedrali erano Bianchi’. L’equivalente nostalgico di tempi idealizzati e quindi in buona parte falsi (o almeno non esattamente corrispondenti alle macine che tritano il grano e al fattore sorridente che porta i covoni sotto l’ascella). Purtroppo non è con questo tipo di nostalgie che possiamo comprendere e abbracciare il nostro presente, ma forse (e ripeto: forse) con la consapevolezza delle nostalgie e dei loro perchè o almeno degli interrogativi che dobbiamo porci in merito.
    Può darsi che sbagli, ma vorrei proprio sapere dove dovrebbe, potrebbe, portarci il mantra sul tempo dei mulini e dei merletti e delle lotte e dei lottatori e delle rivoluzioni e dei rivoluzionari ecc..
    Siamo quì, oggi, vogliamo che questa saudade (che non condanno in assoluto come memoria, possibilità di analisi, confronto ecc..) ci affoghi ancora di più e in una sostanza organica non propriamente amabile?
    E pensare che noi siamo quì ed è quì che dobbiamo esistere e senza possibilmente dover compensare i continui rimbrotti di un passato (che può anche fregarsene delle nostre esistenze) con kili di prozac? e vivere rispettando ciò che la letteratura è stata (non nell’equivalente dei ‘bei tempi’, ma nella realtà dei tempi) cercando di fare qualcosa al presente, qualsiasi cosa, ma oggi e forse anche domani?
    Non mi piace fare troppe domande, ma oltre a essere stufa di commissari buone forchette (di cibi de ‘na vorta, guardacaso) e di macchiette letterarie varie sono stufa di questa partita che mai si potrà giocare tra la grandezza del passato (quanto immaginato e perchè?) e la miseria del presente (quanto miseria e perchè?).
    Se vogliamo liberarci (passare oltre) di questa tirannia del passato (sia recente che trapassato) letterario non è negandene la grandezza o la miseria che possiamo farlo, ma cercando serenamente di comprendere perchè abbiamo questo bisogno di delegittimare (a torto, ragione o parità) il presente.
    Nei post di ieri su Delate facevo il paragone tra il mondo dei mulini e quello della letteratura/critica ‘de na vorta’ e delle ragioni annidate nelle nostre insicurezze e sradicamenti. Ce provo a capì, darmi delle ragioni, anche se ho pochi e poveri strumenti, ma molti di voi non sono bischeri qualsiasi, perchè non provate un attimo a osservare questo che ci accade come un fenomeno da capire piuttosto che come una consolazione cui abbandonarsi?
    besos

  9. All’annuncio della morte di Siciliano dato in it.cultura.libri da Paolo Beneforti, il postatore Max Man ha commentato: “Gli avevo da poco spedito un mio racconto. Mi sento in colpa”. Magari è solo un concorso di colpa… :-/

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