Scrive oggi Adriano Sofri su Diario di Repubblica
(tutto dedicato al ’77) che la partita
del movimento si giocò il 12 marzo a Roma, dopo l’uccisione a Bologna di Francesco
Lorusso. Dal punto di vista storico è indubbiamente vero. Da quello
personale, mantengo l’ambientazione, ma sposto la data in avanti di due mesi.
E credo che possa essere così almeno per una parte di
quella che Sofri definisce oggi, giustamente, una “comunità romantica”, che
“non aveva voglia di conquistare il potere e nemmeno di guadagnare alla propria
causa la maggioranza, ma di mettersi in proprio”. Quella parte che, come si conviene a chi flirta, giovanissimo,
con l’utopia, aveva fatto propria la pratica nonviolenta: e che, il 12
maggio di quell’anno, si rese conto non solo che la filosofia gandhiana
poco poteva contro i proiettili (non dei manifestanti, tengo a ribadire), ma
che a dispetto delle centinaia di testimonianze di giornalisti, scrittori,
politici, passanti, rese pubbliche dai quotidiani e mostrate nelle piazze,
nulla cambiava rispetto alla verità ufficiale, ribadita da Francesco Cossiga,
con sorprendente protervia, ancora due anni fa.
Bene, dal momento che il trentennale incombe e che si
moltiplicano ricordi e resoconti anche
in forma libro, aggiungo non una narrazione compiuta, ma qualche flashback di
quel pomeriggio:
– la sensazione di accerchiamento. Le centinaia di persone
che cercano una via di fuga in via dei Giubbonari. I portoni serrati.
– Gli occhi sbarrati di Silverio Corvisieri: “è un
macello”.
– Il rumore delle pallottole sulle saracinesche abbassate delle finestre, nella sede del
Partito radicale in via Torre Argentina.
– La calma apparente con cui un poliziotto spara un lacrimogeno. Mirando alle gambe.
– Adelaide Aglietta, alla finestra, di
spalle, la mattina dopo. Piange, dice “è finita”.
Il resto, se ci fosse bisogno, è qui. Qui e qui
due video sul 12 maggio 1977. Qui, per tornare ai giorni nostri e a Genova 2001,
un intervento sulla famigerata scomparsa delle molotov.
Ah. Dalla trasmissione Report del 27 aprile 2003
Senta ci dica qualche segreto che non ha mai detto a
nessuno.
FRANCESCO COSSIGA
I segreti che io mantengo, so. Ma in parte io me ne sono dimenticati.
Che è il modo migliore per mantenere un segreto, quello di
dimenticare…
FRANCESCO COSSIGA
Sì, esatto, io me ne sono quasi dimenticato del tutto; altri segreti che io
mantengo, ma non segreti di Stato, per esempio, non l’ho mai detto alle
autorità giudiziarie e non lo dirò mai, i dubbi che un magistrato e funzionari
di polizia mi insinuarono sulla morte di Giorgiana Masi: se avessi preso per
buono ciò che mi avevano detto sarebbe stata una cosa tragica.
IMMAGINI REPERTORIO SERVIZIO TG3
"17 gran brutto numero, 17 anni fa moriva Giorgiana Masi, e l’età di
Giorgiana Masi rese ancora più crudele quell’assassinio; ultimo anno di liceo
disegnava da professionista e sfilava in corteo accanto agli operai, per il
Vietnam, per Valpreda e anche, perché no, per i referendum: Giorgiana scappava,
c’erano le cariche della polizia e la polizia in borghese, qualcuno vestito da
manifestante un proiettile l’ha colpita alle spalle. Cossiga disse che si
sarebbe dimesso se avesse avuto le prove che la polizia aveva sparato. Ecco le
immagini, cambiano i tempi, è arrivato il colore, e l’assassino di Giorgiana è
ancora a piede libero, e anche i genitori di Giorgiana sono morti, di
crepacuore".
FRANCESCO COSSIGA
Ecco io quello credo che non lo dirò mai se mi dovessero chiamare davanti
all’autorità giudiziaria, perché sarebbe una cosa molto dolorosa.
Perché sono implicati i servizi?
COSSIGA
No, se no non sarebbe una cosa dolorosa.
MILENA GABANELLI
Poiché sarebbe doloroso dire chi ha ucciso Giorgiana Masi, l’uomo che più ha
invocato la pacificazione nazionale, Cossiga, dice non parlerò neanche davanti
alla magistratura. Deduciamo che la morte di una ragazzina innocente non sia
stato un incidente, ma bel altro. Forse un ordine per imporre poi le leggi
speciali? E se il segreto vale per Giorgiana Masi perché non vale più per
l’Iraq? Mercoledì scorso con una esclusiva Repubblica titola:" La guerra
segreta del Sismi. Sono stati i nostri servizi a fornire informazioni riservate
sugli obiettivi da bombardare e avrebbero trattato la resa del gota politico
militare iracheno". Questo significa che siamo stati e siamo direttamente
coinvolti nella guerra. Però ci chiediamo: i nostri servizi e chi li coordina
sanno stare abbottonatissimi, tant’è vero che in nome della sicurezza dello
Stato da 30 anni noi non riusciamo ancora a sapere chi sono i mandanti delle
stragi, e poi si fa invece trapelare una notizia come questa che rischia di
esporre lo Stato ad eventuali atti di terrorismo. E’ proprio difficile da
capire.
Cara Lippa
ho letto il pezzo di Sofri, (ma anche quelli di Bocca e di Serra) e ne leggerò chissà quanti nel trentennale del ’77, come alcuni libri usciti nell’anno appena trascorso. Come Sofri vedo molte analogie con i fatti di Genova 2001, senza dimenticare i precedenti di Napoli, ma non “una violenza dello scasso” come risposta a quella repressiva. Personalmente ho tentato di coinvolgere vecchi amici settantasettini in un amarcord collettivo per raccontare quel periodo e quel poco che crediamo di aver capito sui meccanismi con i quali il potere criminalizza il dissenzo, ma (almeno finora) non riusciamo a coagulare. Allora, come te, vorrei aggiungere un flashback alla partita del ’77 (non è brevissimo, decidi tu). E’ il mio ricordo della manifestazione del 12 marzo, che finisce quando, nel racconto di Sofri il corteo devia verso Largo Argentina. Il mio ricordo più bello dell’assalto all’armeria è rappresentato da un amico che mostra orgogliosamente “come bottino di guerra” una coloratissima canna da pesca.
flash del 12.3.’77 – MANIFESTAZIONE –
Sono stato alla manifestazione del 12 marzo ’77, una manifestazione sotto la pioggia, in cui abbiamo lanciato la bestemmia tra gli slogan, per la rabbia e per la pioggia sempre più forte.
Anche se avevo preparato lo striscione con la vignetta del compromesso storico disegnando Andreotti che impalma Berlinguer, e avevo partecipato alle riunioni del circolo del proletariato giovanile, e alle assemblee universitarie, quando è arrivato il giorno della manifestazione ero molto indeciso se partecipare. Mentre andavo al nostro punto d’incontro per la partenza, cambiavo idea ogni cento metri. Ero arrivato con l’intenzione di avvisare gli amici della mia rinuncia, c’erano già tutti e mentre spiegavo perché non volevo andarci sono regolarmente partito con loro.
Arriviamo a Piazza Esedra che è già piena di manifestanti impazienti di dare il via al corteo ma impossibilitati dalla polizia che presidia in forze l’imbocco di via Nazionale. Rimaniamo dalla parte opposta della piazza aggregandoci a un gruppo di studenti e mentre aspettiamo il via, mi guardo un po’ intorno. Vedo pochi cartelli e striscioni, poi pian piano inizio a notare delle differenze tra i vari gruppi. Vicino alla fontana c’è un gruppo con dei tamburi, sotto agli alberi di fronte a magistero ci sono dei gruppi di anarchici con le bandiere nere, sono i manifestanti più anziani, vestono quasi tutti di nero e molti di loro hanno i capelli bianchi e lunghissimi. Il corteo inizia a muoversi verso Via Cavour intorno alle 15:30, e tra i primi striscioni ce n’è uno per Francesco Lorusso, un compagno di Lotta Continua ucciso il giorno prima a Bologna. Mentre ci muoviamo anche noi, noto che i componenti di un gruppo che è molto compatto e ben schierato hanno sciarpe e caschi, catene e bastoni, e chiedo a Maurizio “Quelli a chi devono menà?”
“Quelli fanno il servizio d’ordine. Se qualcuno c’attacca je menano”
“Fanno impressione”
Proprio in via Cavour vedo quattro o cinque ragazzi che rompono le vetrine di un albergo che sta subito dopo la curva nei pressi della stazione della metro (forse l’hotel Palatino, dove si era tenuto un congresso fascista).
A via dei Fori Imperiali il corteo si ferma più volte, aumenta la pioggia e aumentiamo il volume degli slogan “Portiamo l’attacco al cuore dello Stato. Tutto il potere al chierichetto armato” Ad ogni fermata si ricorda il nome di un compagno ucciso, o di uno in galera, e a ogni fermata sembra che la pioggia aumenti. Quando lanciamo “Porcoddio. Porcoddio” urlo con tutto il fiato che mi rimane e incrociando lo sguardo di Sandro mi sembra che anche lui come me si sta liberando da tutta la rabbia contro le ingiustizie e contro la pioggia.
Tra 150.000 persone incontro un amico che non vedo da due anni, Gianni Sandro, mi trovo vicino a lui quando il corteo si ferma all’ingresso di Piazza Venezia. Piove ancora di più, quelli davanti si voltano a guardare dietro, noi ci voltiamo senza sapere cosa dovremmo vedere. Vogliamo andare avanti e chiediamo perché stiamo fermi, quelli davanti ci chiedono di tornare indietro. Quando uno grida che i carabinieri stanno caricando ognuno propone una soluzione diversa, “torniamo indietro”, “rimaniamo fermi qui”, “entriamo in piazza”, “dividiamoci”. La confusione finisce solo quando Sandro e altri due vicino a lui gridano “calma compagni, stiamo calmi”. Ma è solo un momento, quelli dietro a noi vogliono avanzare perché spinti dagli altri ancora più indietro, e quelli davanti dicono che è impossibile entrare in piazza e conviene deviare sotto al Campidoglio. Non possiamo avanzare ma neanche tornare indietro, torna la confusione, Dopo un minuto non si capisce più niente. Si sente sparare, e mentre cresce la tensione arriva il fumo acre dei lacrimogeni che per un po’ avvolge tutto e tutti. Per un attimo chiudo gli occhi perché mi bruciano e quando il vento allontana il fumo sembra allontanare anche tutti quelli che stavano davanti. Il corteo devia verso il Campidoglio, nella piazza rimane solo un gruppo addossato al palazzo del Duce e due file di celerini schierati a protezione dell’imbocco di via del Corso che sparano lacrimogeni. Metà della piazza è avvolta dal fumo, io e Gianni avanziamo sempre più indecisi e per un momento ci troviamo quasi fermi al centro. Due lacrimogeni ci arrivano vicinissimi, Gianni ne raccoglie uno fumante a mani nude e lo rilancia ai celerini. Mentre stiamo decidendo di andarcene vedo che dal gruppo di manifestanti che sta sotto al balcone tristemente famoso, si sganciano due tipi che corrono al di là della strada e si appiattiscono sulla facciata del palazzo a sinistra del Corso, e li indico a Gianni
“Guarda quei due! Quelli so matti! Vanno in braccio ai poliziotti”
Indossano delle giacchette che mi ricordano Handy Cap, il personaggio di una striscia comica. Piove ancora più forte, ci spostiamo sempre più lentamente per seguire quei due.
poi verso Campo dei Fiori, e finalmente arriviamo alla pensione il Sole dove nella sua camera ci possiamo asciugare.
buon flash buoni flashs
Per dirla con Garcia Marquez: “Il guaio per tutti noi è che compare sempre un guastafeste a ricordarci quello che cerchiamo tutti di dimenticare”. Che esistette Silverio Corvisieri, per dire… 🙂
Nove anni prima in Polonia accaddero i fatti del marzo. Le somiglianze con ciò che avvenne altrove sono dolorose, perché in un regime di democrazia popolare certi comportamenti sono inscritti nella logica di sopravvivenza del partito, ma che lo stesso meccanismo segreto e taciuto manovri e guidi ciò che sembra nascere nelle strade forse rammarica, per l’ingenuità degli attori orchestrati.
Quel marzo polacco poi si concluse con una campagna antisemita che cacciò dal paese tra venti e trentamila persone. E in Italia quasi nessuno ne parlò.
Colgo l’occasione per chiarire che il “Lucio” del primo commento non è il Lucio Angelini che generalmente imperversa qui dalla Lippa, ma un oscuro Lucio Balducci:- ) (ho ricevuto telefonate a proposito della “mia”- ??? – sortita a Roma nel ’77)
Problemi tecnici di trasmissione.
Scusa Lippa, sono Lucio non Angelini, seguo il tuo blog ma non sono un buon blogger e tantomeno un informatico. Addirittura non so neanche come si decodifica l’ip, e posso farne a meno, però ti chiedo, gentilmente, di farmi sapere come poter continuare ad utilizzare il mio nome negli eventuali prossimi post, senza creare ulteriori fastidi ad altri Luci, Angelini o Balducci che siano. Nel frattempo mi arrangio ribadendo che questo è scritto da lucio non Angelini. Ciao e grazie.
lucio, continua pure a firmarti così: il Lucio Angelini resta inconfondibile XD
Sofri oltre un decennio fa ha stigmatizzato il comportamento abituale del servizio d’ordine LC di impedire assemblee “altrui”. Se valesse anche per la reciproca CL, si dovrebbero rifare i conti, con o senza tisane.
Approfitto per salutare Angelini e dargli tutto il mio appoggio sulla faccenda dell’omosessualità di Hans: non si faccia intimidire dai bacchettoni!
Lucio Angeloni