SANGUINETI, IL ROMANZO E, PER INCISO, IL PRESTIGIO

Ogni tanto la posta elettronica
riserva delle soddisfazioni (ed è un bene, perché negli ultimi giorni, fra trepidi
inviti a votare per il libro dell’anno e la scoperta di essere stata inserita
senza saperlo in una giuria letteraria, stavo seriamente pensando di cambiare
account).

Per esempio, Lello Voce mi segnala la nascita di un
aggregatore di siti di poesia, il PoeGATOR. Visitate.

Per esempio, Francesco Longo
mi invia un suo intervento (uscito sul Riformista) che riapre
un’antica discussione (e male non fa).

Prima di lasciarvi alla
lettura, due segnalazioni:

Uno: la vostra eccetera sarà in
quel di Berlino, per cose legate alla rete e all’editoria, da domani a
mercoledì sera. Magari riesco a dare un’occhiata al blog, ma non garantisco.

Due: l’entusiasmo, stavolta, non riguarda un libro, ma un
film (da cui, però, molti narratori dovrebbero prendere esempio per la costruzione
della storia, e per le implicazioni che ha, e per le tematiche che tocca- in
ordine alfabetico, ambizione, individualità, invidia, meraviglia,
verità-e-illusione eccetera). Ovvero: andate a vedere The prestige.

E state bene, ovvio.

L’intervento di Sanguineti che proponeva
di restaurare “l’odio di classe” non mi ha stupito. Ho incontrato le idee di
Sanguineti all’università, e come tutti, credo che i suoi saggi su Pascoli, su
Gozzano o sul liberty siano imprescindibili per chi studia il Novecento. È
affascinante il suo atteggiamento radicale, la sua tensione politica, la sua
avversione verso i compromessi, e il fatto che sia simpatico: un vecchietto
ruvido ma pieno di humor. Tuttavia, negli anni, mi sono convinto che egli
odiasse la letteratura, così quando l’ho sentito parlare di odio di classe mi è
dispiaciuto, ma un po’ me lo aspettavo. Uno che ha ribadito infinite volte che
il romanzo è borghese e che bisognava far fuori il romanzo, prima o può finire
per dire quelle cose.

Se guardo allo stato attuale della
letteratura italiana, penso che le idee di Sanguineti siano state più che
profetiche, responsabili dello stato attuale del romanzo italiano. In Italia la
forma romanzo è stata mortificata da attacchi precisi della neo-avanguardia che
hanno impedito un laboratorio di alto livello. Chi poteva far crescere il romanzo
lo ha abbandonato, considerandolo un binario morto, e volgendo lo sguardo
altrove. E se oggi il romanzo è affidato a Giorgio Faletti, o a Susanna Tamaro,
o ai giallisti è colpa anche di Edoardo Sanguineti. Cercherò di spiegare il
perché.

Nell’idea di avanguardia di Sanguineti
l’unica forma possibile di narrativa non era il romanzo bensì l’anti-romanzo.
Il romanzo era una forma borghese che andava fatta esplodere perché si
trasformasse la società ingiusta che gli stava intorno. La letteratura cioè era
considerata non un fine, ma il mezzo, lo strumento per un cambiamento politico
che riguardava ciò che le era esterno. I veri intellettuali, quelli impegnati,
dovevano sovvertire il linguaggio e le strutture romanzesche. Chi non lo
faceva, era uno scrittore per femminucce. Non è un caso che una delle polemiche
di Sanguineti più note sia stata proprio quella con Giorgio Bassani che era uno
dei pochi che sapeva cosa fosse la letteratura. Infatti uno scrisse Capriccio
italiano (1963), l’altro Il
giardino dei Finzi-Contini (1962). Sanguineti
cioè dava vita ad un’opera oscura e indecifrabile, se non per una cricca di
accademici (e lo faceva in nome delle masse). L’altro scriveva un romanzo vero,
incidentalmente politico, che tutti potevano leggere. Bassani con quel romanzo
riusciva a far crescere il lettore (anche eticamente e civilmente) facendolo
tremare con le metafore. Sensibilizzò chi lo leggeva descrivendo partite a
tennis con colpi “ciechi”, in pomeriggi che diventavano di colpo senza luce. La
morte fuori scena di Micòl Finzi-Contini fa odiare i regimi più di tutta la
letteratura d’avanguardia messa insieme.

Sanguineti e gli intellettuali della
neoavanguardia si occupavano invece di mettere mine nel linguaggio, e nelle
forme metriche, dettando in questo modo l’identikit del perfetto intellettuale.
L’inconveniente di quella tesi era che fosse sbagliata, ma qualcuno,
consapevole o no vi ha creduto.

In Italia si è assistito così ad una
separazione. Gli intellettuali dediti alle loro labirintiche opere illeggibili
hanno lasciato il romanzo nelle mani di chi non era engagé, non aveva alle
spalle una visione forte della letteratura, né aveva alcun tipo di messaggio da
lanciare perché la società invertisse la rotta.

Una delle prove più evidenti che la tesi
dei neoavanguardisti non fosse sana, mi pare possa essere la letteratura
israeliana contemporanea. Nel novembre scorso a Tel Aviv David Grossman ha
tenuto uno dei discorsi più lucidi, forti, e d’impatto politico degli ultimi
anni, diretto anche contro il proprio governo. I tre intellettuali israeliani
che, si condivida o no le loro posizioni, sono le voci più rilevanti di chi non
fa politica di professione, sono anche tre scrittori, autori di romanzi veri:
David Grossman, Abraham Yehoshua e Amos Oz. I loro testi sono tra i migliori
romanzi della letteratura mondiale (capaci anche di sperimentare forme nuove,
rinnovare le strutture narrative, riflettere sul linguaggio) ma non sono certo
degli anti-romanzi. Eppure lì, dove la neoavanguardia non ha screditato la
narrativa, la forza politica e militante degli intellettuali è piena e
indiscutibile.

Le obiezioni possibili a questo discorso
sono molte, la più immediata è che quando parlava Sanguineti le cose in Italia
erano diverse, e che c’era bisogno di Laborintus (1956) e non del Gattopardo (1958). Personalmente non ci credo, ma di questo si
potrebbe discutere, la domanda comunque che vorrei fare a Sanguineti è questa:
crede ancora in quella sua tesi? Col tempo, si è accorto che concentrarsi sul
linguaggio e deformare la narrativa non era la strada per il cambiamento
sociale? Si è accorto che il danno prodotto dalla neoavanguardia nei confronti
della letteratura italiana è maggiore dei suoi benefici?

Apprezzo
molto la sua recente virata verso la cultura pop (alla lunga le élite sono
noiosissime). Ricordo la sua presenza al Campiello, e mi dispiace che il suo
testo sia stato escluso dall’edizione del Festival di San Remo del 2007. Le
chiederei, a questo punto, una mossa modaiola. In tempi in cui pure la chiesa
chiede scusa e i vescovi si licenziano, lei, chierico, non vuol proprio
chiedere scusa alla letteratura?

107 pensieri su “SANGUINETI, IL ROMANZO E, PER INCISO, IL PRESTIGIO

  1. Aggiungo una cosa che mi ero scordato di dire: che Fallon è un gemello, Nolan lo fa ammettere a Borden per vie traverse. In quale scena? Vediamo se ve la ricordate:
    1) Canarino scompare
    2) Bambino ne piange la morte
    3) Borden consola bambino mostrando canarino vivo 4) bambino continua a piangere e chiede: “Dov’è il suo fratellino?”
    4) Borden commenta: “E’ sveglio il ragazzo!”.

  2. @ Roberto
    tu dici: “Non è comunque il prestigio che ci aspettavamo dalla promessa fatta (e cominciamo a chiederci se ce l’aveva fatta davvero poi…). Cacchio poteva giocarsela meglio…”
    Be’, a parte che quando l’ho visto al cinema io, tutti quelli con cui ho parlato non se l’erano sgamata se non verso la fine (e comunque, come dici tu, anche capendo tutto subito vale il prezzo del biglietto), a parte questo, dicevo, la tua delusione è proprio quella tipica di chi assiste allo svelamento del trucco. In questo film lo spettatore non sta dalla parte del pubblico che subisce il trucco. In platea ci sono i personaggi (compreso Cutter)che si bevono il prestigio di Borden, mentre gli spettatori del film stanno dietro le quinte, di lato, e sono in posizione privilegiata per vedere il trucco. Chi lo vede prima, come te, soffre la piccola delusione dello svelamento. Perché il prestigio più emozionante è dovuto sempre a un trucco banale, e scoprirlo lascia un po’ l’amaro in bocca. Sappiamo tutti che la donna non viene tagliata in tre pezzi, ma quando scopriamo che si limita ad appiattirsi su una parete della cassa mentre la lama viene inserita solo un po’ più in là, rimaniamo delusi. Era tutto qui? Davvero? Non c’era nient’altro, proprio niente niente? No, niente. Vogliamo la magia, sotto sotto, anche se sappiamo razionalmente che la magia non c’è. Come Angier che si rifiuta di credere alla semplicità della soluzione del sosia subito prospettatagli da Cutter (e proprio per questa malsana ossessione si rovina). Per questo i prestigi non vanno mai svelati. Perde il mago e perde lo spettatore.

  3. Non posso aspettare giugno, dovrò leggere anch’io il libro… concordo con l’intervento di Roberto: fosse anche “tutto qui”, la macchina messa in moto (il cervello che analizza il testo filmico) dal meccanismo del film è diabolico. Infatti, ho parlato di volano delle ipotesi e ho sottolineato punti di ambiguità, il testo filmico è volutamente reticente e al tempo stesso insinuante: unisci i puntini, che cosa apparirà? Il fatto che il disegno che compare sia diabolicamente interpretabile, una macchia di Rorschach è voluto; la nostra impressione è che il tuttto sia perfettamente controllato dal regista, dall’ingenieur dello spettacolo, e che quindi, finché resta una domanda in testa, è possibile che ci sia sfuggito un trucco. Il trucco è banale? Il trucco è diabolicamente nascosto? Chi tira davvero i fili dello spettacolo?
    La questione dello spettatore nella logica del prestigio, dell’aspettativa del lector in fabula è centrale nel film, più che la soluzione dell’intreccio.

  4. @ Guglielmo
    la mia riflessione era infatti esattamente su quello che scrivi tu.
    Solo che nessuno rimane deluso, neanche chi coglie prima.
    La grandezza del film, attualissimo secondo me, sta proprio nel calare le carte quasi subito e dimostrare che tutto continua a reggersi da solo grazie allo spettatore. Anche dopo il film.

  5. Aggiungo una considerazione di WM4, che mi ha mandato via mail.

    Aggiungerei anche un altro elemento, che riguarda la morale del film,
    ovvero: i personaggi non sono tutti moralmente equivalenti.
    Il Borden padre-di-famiglia emerge in definitiva come il buono della storia.
    Infatti è l’unico che sopravvive, perché a un certo punto frena la gara di
    disumanizzazione. Lui cerca di salvare Angier-clone dalla vasca, cerca di
    romperla. Ovvero: è disposto a tagliare le dita del gemello (o a farsi tagliare
    le dita) e a condividere con lui la stessa identità fino al parossismo, ma NON
    è disposto a uccidere. Quello che ci viene vagamente suggerito è che il Borden-
    individualista fosse il gemello cattivo, del quale il Borden-padre-di-famiglia
    deve sbarazzarsi per redimersi dai propri peccati (morte della moglie).
    Questa è una discriminante fondamentale nella storia: l’aristocratico Angier
    non si fa scrupoli, in nome dell’ossessione, di uccidere se stesso cento volte.
    Il proletario Borden si “limita” a una maniacale messa in scena, a far
    coincidere show e vita reale, fino a restarci sotto, perdere la moglie e il
    fratello. Ma queste tragedie gli restituiscono la lucidità e lo portano a
    fermarsi. Angier invece non ha alcun freno, lo spirito di vendetta lo possiede
    del tutto. Non vuole solo battere Borden, ma rubargli la vita, risarcirsi di
    quello che l’altro gli ha tolto. Infatti arriva a rubargli la figlia.
    Nulla di ciò che viene ambientato in Inghilterra (figurarsi nell’Inghilterra d’antan) è comprensibile senza tener conto della rigida distinzione tra le classi sociali che colà vige, anche e soprattutto nella cultura. WM4 ha ragione nel rimarcare la differenza di classe tra i due approcci e i due prestigi. Angier è in grado di investire un capitale, di fare viaggi all’estero, di commissionare macchinari ultrasofisticati. Non ha limiti alla propria ossessione anche perché la sua condizione altolocata gli permette di seguirla fin dove gli pare, fottendosene di tutto. Borden, invece, è un proletario anche nell’accezione letterale. Il suo unico capitale di partenza è la prole dei suoi genitori, cioè il figlio nato insieme a lui. Questo gli pone limiti severissimi, e in seguito gli consente di trovare un freno, anche se tardi.

  6. Sperando di fare cosa gradita vi segnalo che la casa editrice Miraviglia pubblicherà a fine marzo il romanzo di Christopher Priest “The Prestige”, da cui è tratto il film di Nolan.
    Un saluto a tutti!

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