LA SCUOLA DI CHI?

Giorni, anche, contrassegnati da una polemica fra Tullio De Mauro e Paola Mastrocola: a mio parere significativa di due diversissimi modi di concepire la scuola. Riporto gli articoli dal Corriere della Sera.
16 maggio: De Mauro al Salone del Libro
Sbaglia Paola Mastrocola, nel suo pamphlet Togliamo il disturbo, a criticare pesantemente la scuola pubblica, che per la verità viene attaccata anche da autorevoli ministri della Repubblica e dal presidente del Consiglio». All’incontro dedicato «Alle origini dell’identità italiana» che ieri mattina ha aperto la terza giornata di questo ventiquattresimo Salone del libro, Tullio De Mauro, storico della lingua e ministro della Pubblica istruzione nel governo Amato, non ha esitato a definire la scuola pubblica «primo baluardo» del nostro Paese. Un baluardo da difendere nonostante i limiti, perché il panorama generale è davvero desolante: «Il 5 per cento degli italiani adulti – ha detto De Mauro – ha difficoltà a riconoscere alcune lettere dell’alfabeto, un 33% le sa mettere assieme ma capisce a stento il senso delle parole, un altro 33% ha un livello di comprensione molto basso. Arriviamo a un 71%, secondo le stime più ottimistiche, di persone che hanno difficoltà a leggere e scrivere.
«Non è un caso che noi siamo il Paese con la maggiore diffusione di telefonini pro capite, perché c’è un evidente problema a misurarsi con la scrittura. E infatti soltanto il 38 per cento degli italiani naviga in Internet. Quando si parla dei limiti della scuola italiana, che pure esistono, bisogna tener presente questo dato di partenza».
De Mauro ha voluto commentare e completare così i dati riassunti da Carmela Palumbo del ministero dell’Istruzione, che si è rifatta ad alcune indagini condotte dall’Ocse Pisa («25% dei ragazzi alla fine del ciclo dell’obbligo si colloca al livello più basso di conoscenza») e dell’Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo), secondo cui uno su due dei nostri maturandi è insufficiente. Nonostante questi risultati, De Mauro ha difeso di nuovo con Luciano Canfora nel pomeriggio, durante un happening allo stand Laterza, la funzione ancora fondamentale della scuola pubblica.
Risposta sul Corriere della Sera di Paola Mastrocola
Caro Direttore,
leggo sul «Corriere della Sera» di ieri, nell’articolo di Dino Messina, che Tullio De Mauro al Salone del libro mi attacca dicendo che sbaglio a criticare, nel mio ultimo libro, la scuola pubblica, ricordando che così fanno anche Berlusconi e alcuni ministri di questo governo. Che colpo basso!
Insegno in un liceo di Stato, e ho firmato l’appello per la scuola pubblica promosso da «Repubblica» proprio contro le parole di Berlusconi; ho scritto Togliamo il disturbo proprio perché tengo alla scuola pubblica e mi fa pena vederla ridotta così: criticarla, anche duramente, mi sembra il primo onesto e doveroso passo in sua difesa, per cambiarla, visto che non funziona. Difenderla invece a oltranza e in modo astratto, difenderla soltanto in quanto pubblica e come tale meritevole di per sé mi sembra il peggior servizio che le si possa fare. Che la difendano, poi, coloro che molto hanno contribuito al degrado culturale ora in atto mi pare veramente troppo.
Ricordo che negli anni Sessanta-Settanta De Mauro, e altri linguisti e pedagogisti, hanno molto favorito, in nome di un primato del presente, una forte svalutazione della letteratura in quanto cosa del passato, nonché residuo di un crocianesimo da combattere. Oggi, poi, un’idea per me deleteria di scuola ha vinto e ci governa da una dozzina d’anni, cioè proprio dagli anni della micidiale coppia di ministri Berlinguer-De Mauro. Sono loro che, secondo me e secondo tanti docenti, hanno inferto un ulteriore colpo all’insegnamento, dando il via a un’idea di scuola utilitaristica, subordinata al mondo della produzione e del consumo, a un’idea di sapere solo strumentale e piattamente, immediatamente «spendibile» sul mercato e nella vita di tutti i giorni. Sono state queste idee (non certo il mio libro!) a svalutare e mortificare la scuola pubblica, facendo trionfare il «saper fare» sul sapere astratto e disinteressato proprio di una formazione culturale. Peccato!
Letteratura vuol dire lettura di libri, trasmissione dei grandi classici che hanno fatto la nostra storia e ci hanno per millenni arricchito delle loro idee: era lo strumento più alto che avevamo, noi insegnanti di lettere, per alzare il livello culturale dei nostri ragazzi! Era lo strumento più democratico del mondo perché, proprio arrivando a quell’altezza, potevamo con la scuola ancora dare una chance di crescita a chi veniva da famiglie senza libri e tradizione di studio. Invece De Mauro ha spazzato via la scrittura del tema, dicendoci di insegnare ai ragazzi a scrivere un verbale!
Se oggi i nostri ragazzi non sanno più leggere e scrivere, se non sanno organizzare i loro pensieri, è anche perché abbiamo creduto più ai verbali che ai grandi libri della letteratura. De Mauro è il primo che dovrebbe interrogarsi sul degrado degli ultimi dieci anni, a partire ad esempio dall’idea berlingueriana del «diritto al successo formativo»: è in nome di questa malintesa democraticità del sapere che la scuola ha abbassato così tanto l’asticella; voleva alzare i numeri degli istruiti, e così ha abbassato l’istruzione, a un livello tale che adesso moltissimi ragazzi che s’iscrivono al liceo e poi all’università sono costretti ad abbandonare gli studi perché la loro preparazione è drammaticamente inadeguata. Abbiamo oggi una dispersione post-obbligo altissima, che non è più dovuta alla povertà economica delle famiglie, ma ai danni cognitivi che noi abbiamo provocato alle menti dei giovani con una scuola dell’obbligo che non prepara più a niente, e con una scuola superiore che su quelle fragili basi è costretta a lavorare.
Tullio De Mauro d’altronde pensa che l’idea classica di insegnamento – quella cioè che si fonda sull’insegnante che fa lezione e l’allievo che ascolta la lezione, prende appunti, studia a casa e poi viene interrogato – sia un mero e ignobile riversare nozioni in un imbuto: l’allievo sarebbe un imbuto, e il suo insegnante un miserabile «depositario di sapere» (così dalle parole che riserva al mio libro prendendone in esame, peraltro, una sola frase, su «Internazionale» del 29 aprile). Ma che cos’altro dovrebbe essere un insegnante se non un depositario del sapere, cioè una persona che ha studiato e umilmente ogni giorno cerca con passione, e contro tutto il mondo esterno che lo ostacola!, di passare quel che ha studiato e ama ai suoi allievi, e che molto si dispiace se questi poi non studiano? Anche ripetere la lezione, anche studiare a memoria serve, anzi, aiuterebbe a ripristinare quelle capacità di organizzazione logica che i nostri ragazzi oggi – dopo una scuola tanto democratica! – sembrano aver perso.
Mi chiedo quale scuola stia difendendo oggi il professor De Mauro. Ma di una cosa sono certa: la scuola che difende lui non è quella che voglio io, è una scuola che lascia desolatamente massa la massa, non la innalza e non la promuove (per di più dicendo, invece, di volerlo fare…). Su questo, forse sarebbe il caso che la sinistra cominciasse a riflettere.
Paola Mastrocola
17 maggio. Risposta di Tullio De Mauro sul Corriere
Negli ultimi anni c’è stato un succedersi di libri dedicati alla nostra scuola intitolati allo «sfascio», al «fallimento». E qualcuno non ha resistito alla tentazione di sferrare un attacco agli insegnanti, accusati d’essere fannulloni oppure agitprop. Degli attacchi hanno fatto le spese anche ragazze e ragazzi, autorevolmente dipinti come svogliati e peggio. È giusto un quadro del genere? Con la sua scrittura piacevole Paola Mastrocola ha il merito di spingerci a riflettere sulle possibili risposte a questa domanda.
Lei sembra non avere dubbi sulla risposta. La scuola merita di funzionare per le ragazze e i ragazzi che troviamo disponibili ad accogliere il nostro insegnamento: uno su venticinque nella sua classe. Gli altri si arrangino in canali scolastici per gli svogliati e, insomma, «tolgano il disturbo » a se stessi e a noi che vorremmo accrescere il loro sapere. Questa risposta trova consensi. E se i consensi fossero seri e dovessero persistere darebbero una mano a chi di taglio in taglio delle risorse prefigura una scuola ridotta ai minimi termini. Torniamo così a porre una domanda: possiamo fare a meno di una scuola che funzioni invece a pieno regime? Che funzioni per far venire la voglia di studiare (se davvero non ce l’hanno) anche agli altri ventiquattro alunni della professoressa Mastrocola?
Una prima risposta ci viene da un imponente lavoro fatto da Robert J. Barrow, Jong Wha Lee e altri studiosi nordamericani. Col sostegno finanziario della Banca asiatica dello sviluppo hanno analizzato il variare del reddito in rapporto al variare dei livelli di istruzione in centoventi Paesi del mondo tra 1950 e 2010. La loro conclusione dovrebbe togliere ogni dubbio: dai Paesi più poveri ai più ricchi la crescita della scolarità e dei livelli di istruzione è stata un fattore decisivo degli incrementi di reddito dei diversi Paesi. L’istruzione è una chiave dello sviluppo, anche di quello economico. Tagliare gli investimenti in istruzione significa compromettere il futuro sviluppo anche economico. Hanno dunque ragione i nostri editori che in questi giorni hanno lanciato nelle scuole e nel Paese un appello in difesa della scuola pubblica e l’hanno concluso scrivendo: «Prendiamo sul serio il nostro futuro ».
Le serie storiche costruire da Barrow e Wha Lee permettono di capire, dati alla mano, il grande debito che in Italia abbiamo verso la nostra scuola. Nel 1950 nel nostro Paese avevamo in media tre anni di scuola a testa. Già allora la media nei Paesi sviluppati viaggiava sui dieci anni. Il nostro «indice di scolarità» ci collocava tra i Paesi sottosviluppati. Nel 2010 l’indice sfiora i dodici anni di scuola a testa. Sia pure in coda, siamo oggi tra i paesi sviluppati, mentre quelli in via di sviluppo sono a sei anni di scuola a testa. È cresciuto il livello di istruzione e dal rango dei sottosviluppati siamo passati al gruppo di testa.
L’Italia della Repubblica ha conosciuto altri fenomeni di crescita. Per non andare lontani dall’istruzione, in questi sessant’anni ci siamo impadroniti al 95% della capacità di usare la nostra lingua nazionale nel parlare, ma qui hanno premuto parecchi fattori diversi: le grandi migrazioni interne, la partecipazione alla vita di sindacati e partiti, l’ascolto televisivo e, certamente, la scuola. Ma la crescita dell’istruzione la dobbiamo soltanto al fatto che il bisogno popolare di istruzione ha trovato accoglienza nelle nostre scuole. Sono le scuole, sono gli e le insegnanti che di anno in anno ci hanno fatto crescere fino a mutare di condizione. Ma la scuola non poteva e non può tutto. Ragazze e ragazzi usciti di scuola con livelli crescenti di scolarità si sono immessi in una società adulta essa sì povera di sollecitazioni culturali, di luoghi della cultura. E sono andati incontro a processi di dealfabetizzazione che le indagini internazionali hanno impietosamente rivelato: il 38% della popolazione adulta italiana in età di lavoro, si dichiari o no analfabeta, ha gravi deficit di lettura, scrittura e calcolo, e un altro 33% è schiacciato su questa condizione. La scuola ha lavorato e lavora in salita nel portare avanti i nostri figli. Si limitasse a registrare e riprodurre le condizioni degli adulti, ai test di profitto del programma PISA ci dovrebbe restituire non il 20, ma il 70% di quindicenni con difficoltà di lettura e scrittura.
Possiamo essere orgogliosi di quello che la nostra scuola ha saputo fare e sa fare, per il capitale umano e sociale che ha creato e crea. Ma i progressi non sono mai definitivi. Dobbiamo andare più avanti. Investire perché funzioni sempre meglio (ne ha certo bisogno) e affiancarle un sistema nazionale di istruzione permanente degli adulti come avviene negli altri Paesi sviluppati e come chiedono concordemente, ma per ora invano, associazioni di industriali, come TreeLLLe, grandi sindacati e qualche isolato studioso.
Tullio De Mauro
Archivi. Girolamo De Michele, 2006, Parte prima e seconda

54 pensieri su “LA SCUOLA DI CHI?

  1. Il terzo articolo di De Mauro è per me un monumento.
    Glissa sulle illazioni personali, storicamente inesatte e insultanti.
    Riporta al centro del dibattito la questione: l’uguaglianza. Sì o no, Mastrocola?
    Cita dati invece che impressioni personali.
    Un maestro in tutti i sensi.
    Parte dell’amore che ho per la letteratura l’ho imparato da lui.
    Parte dell’odio che ho per le persone lo sto formando a partire da intellettuali come Paola Mastrocola.

  2. Ho insegnato anch’io, anche se non per molto tempo, e mi è rimasto un grande interesse per questo tema.
    Penso che la società, le società in generale si possano salvare solo con la cultura e la bellezza.
    Sono perfettamente d’accordo con Paola Mastrocola quando delinea la sua idea di insegnamento, ossia cosa si dovrebbe insegnare; sono anche d’accordo con i suoi giudizi sui danni fatti all’istruzione dal ministro Berlinguer.
    Quello che non mi piace e su cui non sono d’accordo è dire: studi solo quell’unico ragazzo su 25 che ha voglia di farlo. No, penso che qui siamo noi a dover fare qualcosa, dobbiamo ben preparare e ben pagare gli insegnanti, restituirgli credibilità e anche strumenti di deterrenza in classe: chi non vuole stare attento stia zitto e si immerga nei suoi pensieri, ma non disturbi gli altri. Dobbiamo restituire entusiasmo agli insegnanti e far capire agli studenti che solo la cultura rende capaci di vivere pienamente la vita, di scoprire cosa ci piace, e di renderci meno soggetti ai condizionamenti politici e culturali.
    Come raggiungere questo obiettivo? In tanti modi diversi, che non riguardano solo il Ministero della Pubblica Istruzione.

  3. Tina, posso farmi cogliere da qualche brivido quando leggo “chi non vuole stare attento stia zitto e non disturbi gli altri”? Da antica utopista, penso che la scuola dovrebbe essere il luogo dove il coinvolgimento prevale sulla deterrenza. Altrimenti si dà tristemente ragione alla Mastrocola: chi non ascolta “me”, che si perda. Insomma, a me sembra che molto spesso si insegua la gratificazione della “bella classetta”, piuttosto che la formazione di “tutte” le giovani persone.

  4. “l’idea berlingueriana del «diritto al successo formativo»: è in nome di questa malintesa democraticità del sapere che la scuola ha abbassato così tanto l’asticella”
    Trovo spaventosa la logica dietro questa implicazione. I motivi per cui la scuola ha abbassato l’asticella, se vogliamo dirla così, sono tanti (e in questo le responsabilità degli insegnanti sono grandi perché il lavoro necessario per garantire a tutti il successo formativo è enormemente aumentato nell’ultimo decennio, e in molti hanno alzato le mani – e chi potrebbe dar loro torto?). Ma da qui a concludere che allora è meglio che la scuola (quella vera, secondo Mastrocola, che sarebbe poi quella dove si fa la Letteratura) sia solo per i pochi che non danno fastidio, oddio, il salto è lungo. E pericoloso. Ma qui se non si sveglia tutto “il Paese” mi sa che non se ne esce.

  5. Probabilmente mi sono espressa male, però non bisogna essere troppo idealisti, nel senso di non tenere conto della realtà contingente.
    Penso che l’intenzione di base di un insegnante debba essere quella di motivare tutti gli studenti a partecipare alle lezioni, cercando di usare ogni possibile occasione per coinvolgerli e portarli a ragionare insieme.
    Nel breve periodo in cui ho insegnato Filosofia nei licei, sono rimasta stravolta e orripilata: gli studenti non erano più abituati a discutere con gli insegnanti.
    Quello che intendevo dire con quella frase, era che ai miei tempi, se non si aveva proprio voglia di seguire, e ogni tanto poteva capitare, uno si raccoglieva in se stesso e pensava ai fatti suoi.
    Senza far caciara e indurre i compagni a fare altrettanto, rendendo impossibile lavorare agli altri. Questo non va bene. Un po’ di regole ci vogliono perché la scuola e la cultura sono troppo importanti per sprecarle.

  6. Insegno filosofia al liceo, e vari studenti bravi e le famiglie vogliono esattamente quello che chiedono Mastrocola e Saccomanno: metta delle note, professore, li faccia stare zitti, li cacci dalla classe. Faccia delle belle lezioni con quelli che prendono appunti, che sono capaci di stare in classe, e di non far perdere tempo agli altri. Sarebbe facile. Lo è. Molti fanno così. Sul breve periodo non si ottiene niente. E ti viene solo la bile.
    Sul lungo periodo, però, le cose cambiano. Ci si mette in discussione, come insegnanti, come studenti, come famiglie. Qualcuno trova dopo continui tentativi modo di motivarsi, e come accade per dei ragazzi, da uno studente scarso diventa uno studente da otto. Bulimico di cultura e di stimoli. Dialettico. Qualcun altro si responsabilizza. Si forma uno spirito di gruppo in classe. E non tre quattro livelli di preparazione separati. Occorre formazione, certo. Tina Saccomanno, Paola Mastrocola. Occorre non solo essere molto preparati, ma essere pedagogicamente preparati. Non basta l’esperienza.
    Per me l’accento che Mastrocola mette sulla letteratura nasconde la delegittimazione della preparazione pedagogica. L’insofferenza di chi non vuole aggiornarsi in un campo necessario, per chi vuol fare l’insegnante. Chiedete ai vostri colleghi chi è Bandura, per dire. Poi è facile dire: “Cavolo, non sanno più apprezzare Leopardi!”.

  7. Mi sono chiesta diverse volte perchè il libro della Mastrocola avesse successo tra alcuni insegnanti che conosco. Forse è un sollievo, una panacea per molti che non sanno dove sbattere la testa.
    La risposta di De Mauro è veramente fantastica, mette in prospettiva la scuola e la società, accennando a quelli che sono i problemi di una intera comunità, i cui figli ‘vanno a scuola’ anche fuori, anche in famiglia, anche quando guardano la tv o usano il pc, anche quando si relazionano con l’esterno, e quando pensano al futuro. E la ‘gratificazione della “bella classetta”’ come dice Loredana, non può essere un dato di partenza né di arrivo.
    L’insegnante, e scusate se dico la mia anche se fuori da questa categoria, non può vedere solo ‘una parte’ del problema, quello che succede alla classe, e parlare di fallimento.
    Ecco, credo sia importante spostare l’attenzione su quello che intendiamo per comunità, per società, e sul lavoro che bisogna fare. In grande. A iniziare dalla formazione come dice Raimo.

  8. Paura di cosa?
    Delle regole?
    Per capire.
    Da ragazza ero parecchio svogliata, studiavo solo per le interrogazioni. L’amore per la lettura è venuto poi.
    Gli insegnanti erano prevalentemente buoni, il problema era mio. Mai e poi mi sarei sognata di rompere le *alle agli altri, durante lo svolgimento delle lezioni più indigeste.
    Il rispetto delle regole manca eccome e parte dalla scuola dell’infanzia.
    Summerhill forse rimane un’utopia. Montessori idem.
    http://www.summerhillschool.co.uk/pages/general-policy.html

  9. Miriam, saranno utopie, ma l’importante è avere un progetto dentro di sè, che può nascere nell’utopia e poi cresce nel reale, rimboccandosi le maniche, e soprattutto cambia te stessa, fino appunto, a divenire progetto.
    Nel pezzo che hai linkato viene fuori anche il problema delle scuole inglesi dove i genitori sono estremamente competitivi e vogliono che i loro figli siano altrettanto estremamente competitivi, e pagano un sacco di soldi e fanno carte false per questo.

  10. Paura di una scuola per privilegiati, che divida, in base a un giudizio personale e non pedagogico, in buoni e cattivi. Paura di una scuola espulsiva. Paura di una scuola che vagheggia i bei tempi andati dove il sapere era di pochi, fra loro affini, e non di tutti. Basta?

  11. Continua a ronzarmi nelle orecchie una frase della Lettera a una professoressa: “Ma se si perde loro, la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati.”

  12. Quando sento Don Milani, ho le lacrime. Quando sento Mastrocola, ho i brividi.
    Tra l’altro, questa sua lettera non la trovate scritta male? Mentre l’articolo di De Mauro è un esempio di chiarezza?

  13. Io sto studiando all’Università proprio Didattica. Non so se la Mastrocola si è aggiornata nel frattempo, ma l’idea del docente “ex cathedra” è scredidata da tutti i grandi pedagogisti – sicuramente dagli anni ’70 in poi, ma anche prima.

  14. Nel libro della Mastrocola sono i prof che provocatoriamente “tolgono il disturbo”. I 24 che non seguono sono spesso giovani che hanno sbagliato scuola, ma non lo si può dire, la colpa è SEMPRE del prof.che non ha “motivato” abbastanza.
    La Mastrocola l’ho letta, io in classe ci lavoro ogni giorno. Non giudico comodamente da fuori come fanno in tanti che non entrano in un’aula da quando si usava il grembiule nero!Oggi le cose sono “leggermente” cambiate.
    L’obbligo scolastico è stato fissato a 10 anni di scuola. Indiscutibile. Anzi, dice la prof torinese, facciamola meglio, più formativa, di altissimo livello culturale, dove si imparino più cose. Dopo però le strade dovrebbero essere tutte aperte e tutte con la medesima dignità.
    Dovrebbero.
    Lo studio – ci sono diverse alternative – o percorsi di inserimento lavorativo, semplice, no?Nossignori.
    Non tutti sono nati per i libri, è una verità, ma noi non ci badiamo, facciamo di meglio.
    Imponiamo il liceo solo perchè lì ci sono le compagnie buone mentre ai tecnici, etc. l’ambiente è degradato, cosa vera, ma allora lavoriamoci su, è un vero peccato per la scuola professionale, meritevole di ben altro prestigio.
    Eppure è questo il ragionamento dopo le medie. Ho visto troppi studenti arrancare svogliati sul latino, la filosofia, stremati da pomeriggi passati a ripetizione, costretti un domani a fare l’università senza la minima voglia, con lacune abissali mentre avrebbero TANTO voluto fare dell’altro. Lo so perchè sono loro a dirmelo. Ci scandalizziamo se una mamma costringesse una figlia a fare danza classica o pianoforte per forza ma ci lascia indifferenti la quantità immane di gioventù buttata via in percorsi ambiti solo dai genitori, sordi a tutti i segnali disperati che i loro ragazzi mandano loro: quante bocciature “premeditate” così almeno ” i miei mi cambiano di scuola”!Anche parecchi atteggiamenti distruttivi e devianti sono il segnale di malesseri di questo tipo.
    Tanti avrebbero fatto alla grande il meccanico, il panettiere o l’estetista e sono finiti a fare ragioneria perchè padre, nonno, zio sono ragionieri e perchè “io, mio figlio lo mando a studiare”.
    Il lavoro manuale non ha dignità? Non è cultura anche l’arte del tessuto, del legno, la nostra artigianalità, peraltro così preziosa e richiesta?
    Stare in classe e ascoltare (almeno ogni tanto!), mi sembra il minimo, così come prendere la parola uno per volta. Si chiama rispetto per l’altro. La deterrenza è davvero un’altra cosa e per fortuna non abita più qui.

  15. Come Cristian Raimo, insegno filosofia in un Liceo e mi sento chiedere spesso quello che capita a lui, proprio dai genitori (severità, selezione ecc)
    Di solito rispondo più o meno così: “Vede, Signore/a, il problema è che io ai miei tempi sono stato un cattivo studente, e non perchè mancassi di curiosità intellettuale, ma perchè alcuni dei miei insegnanti mi annoiavano a morte. Quindi, prima di escludere chi non mi segue al primo colpo, provo sempre a chiedermi se veramente sto parlando a lui una lingua comprensibile. Cioè se parto dalla sua esperienza per mostrargli che ciò che gli insegno può aiutarlo a interpretarla. Se questo non accade, può significare anche che in ciò che gli insegno c’è qualcosa di obsoleto, ormai improponibile. Lo elimino e lo sostituisco. Nel giro di tre anni, riesco ad avere una classe non di geni, ma di alunni partecipi, ciascuno secondo le sue possibilità”
    Alla Mastrocola direi più semplicemente che la differenza tra un accademico e un insegnante è quella tra la supponenza (si suppone che la materia così come è stata appresa sia un valore in sè) e l’empatia (pedagogicamente valido è ciò che aiuta Pierino a diventare il meglio di ciò che può diventare). Poi le spedirei la “Lettera a una professoressa” di Don Milani e glielo farei mangiare visto che non è riuscita a capirlo.
    D’altro canto, devo anche dire che espressioni come “garantire a tutti il successo formativo” sono orrende, e trasformano l’incontro personale di due libertà (quella del docente e quella del discente) in qualcosa di simile all’allestimento di una mangiatoia, e resuscitano in me il profilo di uno dei più detestabili protagonisti del pensiero occidentale, vale a dire Jeremy Bentham. I libretti stupidamente reazionari della Mastrocola avrebbero meno spazio se dall’altra parte non si fossero manifestate forme di egualitarismo altrettanto grossolane, come confondere le pari opportunità con l’equivalenza obbligata dei risultati.

  16. Sono in treno, e solo per una finestra di connessione riesco a inserirmi in questa discussione. Ma tant’è, quello che avevo da dire su Mastrocola l’ho già detto, e purtroppoo a distanza di 5 anni non è cambiato nulla.
    Già che viene citato don Milani, una delle bestie nere di Mastrocola (e Israel, e Segre, e Gelmini: poi ha un bel dire che difende la scuola pubblica, con questo imbarazznte codazzo di consensi), propongo a chi ha stomaco per leggere (o aver letto) Togliamo il disturbo (o gli articoli mastrocoliani contro don Milani sul Corriere) un esperimento. Legga dunque Mastrocola versus don Milani, e poi rintracci nella Lettera a una professoressa i luoghi citati: e verifichi, questo lettore, la scorrettezza delle citazioni deformate, ritagliate, selezionate a proprio gusto. E verifichi anche la capacità di comprensione (si direbbe: ermeneutica, o esegetica, al liceo) di questa signora. E poi si chieda, questo lettore, se affiderebbe mai a una simile persona la responsabilità di insegnare l’italiano al proprio figlio.

  17. christian raimo scrive: Per me l’accento che Mastrocola mette sulla letteratura nasconde la delegittimazione della preparazione pedagogica. L’insofferenza di chi non vuole aggiornarsi in un campo necessario, per chi vuol fare l’insegnante. Chiedete ai vostri colleghi chi è Bandura, per dire. Poi è facile dire: “Cavolo, non sanno più apprezzare Leopardi!”.
    Assolutamente. Sul banco degli accusati di Mastrocola ci sono praticamente tutti – gli alunni smutandanti e teledipendenti, la coppia criminale de mauro-berlinguer, il computer, i centri commerciali, eccetera – tranne lei. Il tempo passa, le cose cambiano, gli strumenti (anche cognitivi) attraverso cui apprendiamo cambiano, ma lei no. Né lei, né il suo metodo. Esige di conservarli intatti, come il suo posto di lavoro, del resto.

  18. La scuola “espulsiva”, i buoni e i cattivi, tranquilli tutti!
    Raimo e Mastrocola insegnano nei licei, io ho più esperienza nei tecnici e in classi di 30-32 c’è di tutto: 1-2-3 dislessici, il disabile grave, stranieri, vari studenti in difficoltà varie e un casino che non vi sognate nemmeno. L’emicrania è diventata una pessima compagnia quotidiana.Torniamo agli studenti.
    Per ognuno di loro c’è una risposta che con immane fatica e quasi zero fondi cerchiamo di dare: recuperi in tutte le materie tutto l’anno a titolo completamente gratuito, ricchi compresi, agli stranieri organizziamo corsi di italiano e facciamo loro prendere la terza media, c’è il supporto psicologico e il servizio di orientamento attivo tutto l’anno, corsi di prevenzione per droga/aids, problemi alimentazione, etc.
    A carico mio e senza detrazione frequento ogni anno dopo lo stress delle ore mattutine corsi di aggiornamento vicini e lontani per affrontare disturbi del comportamento e/o apprendimento.
    Nessuno viene lasciato indietro. Resta il problema delle reali inclinazioni dei ragazzi e i problemi di cui sopra.
    @ Raimo: ma tu, al liceo, hai davvero alunni che assomigliano ai ragazzi di don Milani?Davvero nell’Italia di oggi ci sono figli di contadini bocciati perchè non conoscono l’Iliade del Monti o qualche altro autore polveroso?
    A me ne sono capitati un paio, i ragazzi di Barbiana del 2000: erano stranieri per lo più e si lamentavano di una cosa: la scuola in Italia è troppo facile e troppo poco seria: “io volevo stimoli maggiori, libri più difficili perchè voglio diventare un buon medico, avvocato, etc”.
    Ho fatto quello che potevo, li ho seguiti a parte, a casa mia, sempre gratis, ho dato loro suggerimenti per approfondire, consigli su libri e sull’università. Per loro non è previsto niente, nessun potenziamento, ore extra. Nulla.Eppure lo meriterebbero, ecccome. Dare opportunità ai deboli doveva necessarimanete essere togliere chances ai bravi “tanto ce la fanno da soli!”. Poveri bravi. Non vi si fila più nessuno!
    Oggi il problema è che indietro ci sono i ragazzi come loro, per i quali non c’è più tempo, non vanno di moda.

  19. Breve aggiunta: solo su una cosa Mastrocola ha ragione. La sinistra deve davvero fare chiarezza: se Mastrocola, e il suo consorte Ricolfi (che Mastrocola manda spesso in avanscoperta a parlare di scuola) sono sinistra, io quest’anno vinco il campionato NBA, e anche la gara delle schiacciate. Quello che è successo a Milano l’altro ieri ha un significato che va oltre l’elezione del sindaco: è non il campanello d’allarme, ma la campanella che dice che la ricreazione è finita.
    Segnalo anche che il rapporto Barrow-Lee citato da De Mauro è scaricabile dalla rete (qualche mese fa al costo di 5$), basta mettere i nomi degli autori su Gogolo (:-P).

  20. p.s. non so se Mastrocola sia di sinistra (mi sembrava di sì, e che la sinistra la amasse molto in passato almeno) o di destra. La mia obiezione è sul suo modo di posizionarsi, nella scuola e dentro la classe, con gli studenti.
    In effetti, non sono neanche sicura che una grande scuola taglia-unica possa funzionare o essere sostenibile. (John Holt pensava di no, per esempio.)
    Sicuramente, pubblica o privata che fosse la scuola, preferirei trovarci insegnanti di una pasta diversa. Immagino che Mastrocola sia in buona fede, e forse anche un’insegnante migliore di quello ceh appare nelle interviste. Il mio giudizio si limita a quello che vedo e sento di lei e da lei.

  21. All’ utopista non ho niente da dire, ma De Mauro si aggrappa anche a Barro-Lee (Barrow??).
    Il fatto è che questi studi non “controllano” i risultati con variabili come l’ assetto istituzionale ma soprattutto con l’ IQ (cosa estremamente “scorretta”).
    Ma purtroppo l’ IQ conta. Chi lo fa (qui e qui) giunge ad una rettifica sostanziale di quelle conclusioni. Al punto che la domanda diventa: perché i paesi avanzati sprecano tante risorse con l’ università di massa? 

  22. Scusate se mi cito, ma credo che qanto copio e incollo qui sotto da un discorso fatto a Erba poco tempo addietro (peraltro già citato in questo blog) sia attinente all’argomento:
    «C’è un malvezzo tra i detrattori di don Milani: quello di decontestualizzarlo, destoricizzarlo e disincarnarlo. Di farne un predicatore etereo, che come le figure di Chagal sorvola la realtà senza sfiorarla. Secondo questi detrattori (all’interno di un elenco non completo che va da Paola Mastrocola a Cesare Segre, da Sebastiano Vassalli sino a Giorgio Israel, Sergio Romano e Marcello Veneziani), don Milani sarebbe assieme a Gianni Rodari artefice o promotore, o nel minore dei casi complice, di una presunta distruzione della scuola pubblica, e dell’avvio di una catastrofe educativa che ha prodotto quell’emergenza educativa che si pretende esistere semplicemente perché tutti ne parlano – così come il flogisto non poteva non esistere, dal momento che tutti ne affermavano l’esistenza.
    Andiamo a verificarla, questa scuola che prima del 1968 funzionava così bene. Abbiamo uno strumento che può darci qualche risposta, uno strumento imprescindibile per chi voglia occuparsi con cognizione di causa della scuola: la ricerca sulle competenze alfabetiche degli italiani che, a cavallo tra secondo e terzo millennio, ha fotografato una situazione preoccupante: circa un terzo degli italiani ha competenze alfabetiche modeste, al limite dell’analfabetismo. Stiamo parlando della capacità di comprendere un articolo di giornale, di trovare l’informazione nel tabellone degli orari ferroviari, di compilare un bollettino di conto corrente. Per contro, poco meno del 10% degli italiani è in possesso di un patrimonio di competenze linguistiche e di un numero di vocaboli conosciuti medio-alti. Ebbene, se prendiamo il 1968 come discrimine, scopriamo che tra gli italiani che hanno terminato gli studi prima del ’68 la percentuale di soggetti ai limiti dell’analfabetismo, riferito alla comprensione dei testi in prosa sale al 63%, mentre quella che si colloca nelle fasce medio-alte è di appena l’1.9%. La scuola pre-Sessantotto, quella tanto cara a Gelmini, a Tremonti, a Mastrocola; quella dell’esame in quinta elementare, dei voti numerici, dei contenuti e della memorizzazione generava una società analfabeta. Ma a parlare della scuola, a suonarsela e a cantarsela tra loro, erano – e in buona parte sono – sempre gli stessi: quel 2% di istruiti che avevano superato una selezione neanche darwiniana, ma malthusiana».
    Per chi fosse interessato, continua qui.

  23. De Mauro, da vero gentiluomo, definisce “piacevole” la scrittura della professoressa Mastrocola.
    Io non m’intendo molto di scuola, ma dubito che chi usa “loro” al posto di “propri” e semina segni d’interpunzione in libertà abbia contribuito molto ad alzare il livello dell’istruzione pubblica nel nostro paese.
    Lo so sono cattiva. Ero la disperazione delle prof come la Mastrocola perché, invece di ascoltarle, leggevo Delitto e Castigo con il libro nascosto sotto il banco.

  24. Mi preme precisare, tra una connessione e l’altra, che il riferimento a Luca Ricolfi non era per mero gossip coniugale: il liberismo senza regole che Ricolfi predica (sostenendo, in buona sostanza, che Brunetta e Sacconi hanno ragione, e la sinistra sbaglia nel non far proprie le idee ultraliberiste) è lo sfondo strutturale sul quale acquista senso la proposta pedagogica di Mastrocola, così come la pedagogia mastrocoliana (che continua a insegnare l’Iliade di Monti, e suppongo anche a bocciare di questa) è il viatico al liberismo di chi pensa che l’unico modo che la sinistra ha per vincere sia quello di fare cose di destra meglio della destra (come il rigore di Palombella Rossa). Ma lo stesso deve valere per don Milani (e Rodari, e De Mauro): non basta difendere le loro idee, bisogna costruire una proposta politica, sociale ed economica all’altezza della loro battaglia per la scuola per tutti e di tutti (non solo di e per quelli che hanno un elevato QI, cioè un elevato valore del nulla pneumatico spacciato per “dato oggettivo”).

  25. Trovo il commento di V Binaghi corretto ed esaustivo. Credo che in percentuali variabili siano vere ambo le posizioni. Se però desideriamo comprendere appieno il problema bisogna analizzare la situazione in toto e capire che forse la questione sta a monte. E, gira che ti rigira, i finanziamenti fanno la differenza. Fare fotocopie da altri libri costa troppo; partecipare con i ragazzi a serate culturali (teatrali?!) è impossibile; è obbligatorio rispettare scadenze burocratiche inutili; non si possono praticamente organizzare corsi di recupero seri; etc.
    La stessa formazione del docente è diventata un lusso. Chiuse le siss, il sistema di oggi è questo: un neolaureato che vuole lavorare sbarca al nord (ricevendo la disistima di molti che pensano che stia rubando il posto ad un padano purosangue), lontano dal proprio mondo, vive praticamente solo per il lavoro, è impreparato all’impatto con i teenagers, e spesso non ha nemmeno l'”arma” della nota o del brutto voto, perché tanto il bullo di turno ha deciso che a 16 anni andrà a lavorare. Si fa presto a parlare di licei, di dati percentuali sull’istruzione e di questioni tecniche, ma il PROBLEMA è veramente strutturale.

  26. Corpo 10, a volte l’impreparazione dei docenti, dal punto di vista pedagogico, diventa drammatica (e mi fermo qui). Pensare di risolverla salvando l’unico studente voglioso e sommergendo tutti gli altri a me sembra aberrante. Soprattutto se viene messa nero su bianco.

  27. non colgo il nesso tra liberismo e Iliade di Monti. Comunque, se Mastrocola insegnasse in una scuola privata di una società liberista, se cioè fosse sul libero mercato delle insegnanti e delle scuole, a giocarsela tutti i giorni, le direi: brava! In bocca al lupo, a te e al tuo metodo, e vinca il migliore (tra tutti i metodi in corsa)!
    Ma è nella scuola pubblica, seduta sulla sua cattedra ad aeternum (latino mio, maccheronico). In questo ci vedo poco di libero o liberista, soprattutto per chi se la ritrova in classe.

  28. Facciamo un gioco: riportiamo la Mastrocola sulla Terra.
    Mandiamola in una scuola media di una qualsiasi grande città, neanche troppo in periferia. Poi vediamo che libri scrive.

  29. «Osannato dal pedagogo più amato dal partito dell’amore Giorgio Israel e confortato da un immediato successo di vendite – che conferma ancora una volta come in Italia si continui a leggere poco e soprattutto malamente – è in libreria Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare. Più che un saggio pare un romanzetto. La protagonista, una matura professoressa di un liceo torinese, vagheggia una specie di scuola a tre teste come il mitologico Cerbero: una per i futuri manovali, un’altra per la massa digitalizzata piuttosto rincoglionita e un’altra per i pochissimi che oggi vogliono studiare e domani comandare.
    Sette anni dopo La scuola raccontata al mio cane, la prof Mastrocola torna dunque a dimenarsi sui problemi della scuola italiana. Del povero Perry Bau, l’uditore canino di quel primo libro, non si ha notizia. Il tapino dev’essere stato annientato dall’ingrata fatica di far da cavia a quel groviglio inestricabile di parole stampate. Il nuovo titolo promette meglio. Non sottopone a prove crudeli il migliore amico dell’uomo e alimenta nel lettore una speranza: quella di non leggere più un libro simile il cui unico effetto è aggiungere confusione e noia a una situazione già caotica, penosa e soprattutto tragica come quella della scuola nell’era Tremonti-Gelmini.»
    Continua qui

  30. Leggo questo passaggio della lettera di Mastrocola e basisco: “è in nome di questa malintesa democraticità del sapere che la scuola ha abbassato così tanto l’asticella; voleva alzare i numeri degli istruiti, e così ha abbassato l’istruzione, a un livello tale che adesso moltissimi ragazzi che s’iscrivono al liceo e poi all’università sono costretti ad abbandonare gli studi perché la loro preparazione è drammaticamente inadeguata. Abbiamo oggi una dispersione post-obbligo altissima, che non è più dovuta alla povertà economica delle famiglie, ma ai danni cognitivi che noi abbiamo provocato alle menti dei giovani con una scuola dell’obbligo che non prepara più a niente, e con una scuola superiore che su quelle fragili basi è costretta a lavorare”.
    Quando mi sono iscritta alle scuole superiori (nel 1997), l’abbandono scolastico dopo i 14 anni era del 40% (fatto del tutto legale, al tempo). La popolazione di laureati italiani era inferiore al 10% del totale (7%, mi pare di ricordare). Perché continuare a contrabbandare l’idea di un “crollo” verticale nell’istruzione e nella scolarità, allora? A chi giova questa palese malafede? Certo, prendersi cura di tutti i ragazzi, anche quelli che 10 o 15 anni fa sarebbero andati in officina a 15 anni, comporta uno sforzo maggiore di quello che comporterebbe limitarsi a leggere Omero, magari nella traduzione del Monti, con una scelta accolita di eletti, figli di ingegneri, primari, avvocati e professori universitari.
    @ Robi. Sull’assenza del potenziamento per gli alunni eccezionalmente motivati, penso tu abbia ragione. E’ un fatto che accade nella scuola a tutti i livelli. L’alunno troppo ‘precoce’ è una “grana” almeno quanto quello ‘troppo lento’. In alcuni casi, poi, forse ciò dipende da uno speciale pregiudizio nei confronti degli alunni stranieri, spesso considerati in partenza più fragili e indirizzati a percorsi professionali anche quando avrebbero ambizioni diverse. Parlo per esperienza diretta: alcuni dei ragazzi più intelligenti e dotati che ho conosciuto stavano in un CFP, ma se arrivi a 16 anni dalla Somalia è difficile che qualcuno investa su di te e ti metta in un percorso (anche tecnico-professionale) che ti garantisca in futuro l’accesso all’università.

  31. @Ekerot
    Vero che il discorso di Murray si focalizza sul BA, ma lo citavo alla fine solo per paradosso. Più pertinenti al tema in oggetto i lavori linkati e direttamente rivolti alle serie di Barro/Lee. Jones/Schneider, per esempio, si propongono di “controllare” l’ incidenza di variabili come il “primary school enrollments” sulla crescita giungendo alla conclusione che se il “capitale umano” conta, allora lo “school enrollments” non lo misura adeguatamente (cosa che De Mauro dà per scontata), almeno rispetto all’ IQ medio. Sulla stessa linea anche Weede/Kampf che, oltre all’ IQ, introducono variabili relative all’ assetto istituzionale.
    Allora, coltivare l’ utopia (in questo caso dell’ eguaglianza) è lecito finché non si infastidisce troppo il prossimo. Ognuno ha le sue. Ma quando si vira sul pragmatismo per dare un tocco di modernità alla propria battaglia, le cose si complicano e le soluzione “élitiste”, almeno in questo campo, sembrano più credibili.

  32. Tutte le volte che capito nel Blog Lipperatura mi spuntano le ali alle mani e mi nascono idee: che bellezza! Piaggerìa? No, affidamento, forse persino incosciente ma fecondo d’ebbrezza, alla maieutica – che subito ci porta dentro al cuore di questa discussione.
    1. Intanto aveva ragione Dante quando, fazioso lui stesso, ragion per cui il tragitto oltremondano fu poeticamente intrapreso: per purificarsene, gridava allo scandalo di una Italia incline alla faziosità – battuta!: e infatti tutti guardiamo Fazio sabato e domenica … ahahah! (provavo a alleggerire…) … sta di fatto che subito sul tema della scuola innescato dal libro della Mastrocola e dal rimbecco del Prof De Mauro si sono costruiti due schieramenti rigorosamente opposti: la scuola secondo Mastrocola NO, la scuola secondo De Mauro e il suo rimbrotto a Mastrocola SI’. Il bipolarismo dell’intelletto è l’esautorazione più subdola e devastante operata su noi già poveri individui da decenni di movimentismo libert(in)ario (per non dire berlusconismo …): che avvilimento.
    2. … e, intanto, apprendo che Christian Raimo è un insegnante di filosofia al liceo: che bello! … non lo sapevo, devo dire che saperlo ora accresce la mia simpatia per lui (per quello che può importarvene, e importare a lui).
    3. Sto leggendo il libro di Mastrocola, Togliamo Il Disturbo. Ammetto che è una scrittrice molto letteraria, benché si sforzi di non esserlo: a un certo punto, anche in altri suoi libri, percepisci che un velo letterario copre tutto, anzi avvolge tutto e lambisce e ghermisce anche noi, sicuramente in nome di idee credute e quindi determinanti nel senso e nel verso che le cose prendono. Cioè nella sua letteratura com’è legittimo c’è anche un piano idealistico, o meglio, forse, ideale, che forse rischia di moralizzare o cosmetizzare la materia, ma di certo è l’impronta caratteristica di questa autor-a.
    4. Ciò che Mastrocola sostiene nel suo libro sulla scuola è sostenuto intanto da una lunga esperienza di insegnante, di Lettere, che intanto leverebbe la pelle a chiunque (lo vogliamo dire questo?). Lo sappiamo, le insegnanti di Lettere (le donne, eh) sono sempre anche un po’ madri, ma onestamente, anche perché quando si cresce anagraficamente (s’invecchia?) si ha proprio l’età per covare gli studenti come figli.
    5. Mastrocòla sostiene che l’orizzantalizzazione del diritto allo studio, poiché non organizzata anche una strutturazione seria e in una strumentazione adeguata della scuola (mancata cioè ogni riforma sensata, concreta, realistica – quella sì) della macchina-scuola, si è trasformata da una garanzia in una sciagura inarginabile come lo sversamento dell’olio, come la tracimazione di un fiume non contenuto adeguatamente da un sistema razionale di dighe. Si può negare questo?
    6. Suggerire a chi ci sta incastrato dentro da studente frustrato di tirarsene fuori è una provocazione. Del resto io dico lo stesso per i libri e la lettura!, che molto, anzi moltissimo, mi stanno a cuore. Si può leggere, si può leggere a lungo, si può leggere tutto, ma si può anche NON LEGGERE (parafrasando Mauro Melani, che in realtà si riferiva alla grandiosa e donchisciottesca macchina-cinema).
    7. Chi sta a scuola, come ci sto io – pure, sa che gli studenti, specialmente in scuole meno centrali e meno prestigiose che non siano i licei di città, hanno perso da generazioni il senso della scuola come istituzione, e sempre più, per farglielo almeno venire in mente come fantasma del passato, bisogna (forse confusamente, forse sbagliando, forse precipitando le situazioni e alla fine drammatizzandole oltre misura) perlomeno agitare i fantasmi, più che delle punizioni e della severità autoritaria, della sensatezza e del ribadimento, sistematico, ripetuto, dei termini anche istituzionali dentro i quali ci si debba muovere per fare scuola.
    8. Chi sta a scuola come me sa che la fame e la sete dei nostri studenti è la stessa, cieca e sensata, del neonato che cerca la fonte del latte materno come veicolo essenziale di sussistenza a tutti i livelli. Ecco, in questo vorrei proporre una ‘pars construens’ un po’ più robusta. Mentre dobbiamo cullare gli studenti che invocano nutrimento e sono resi pazzi dalla nostra incapacità di metterli in contatto con la sorgente del sapere e del coltivarsi perché non sappiamo come si avvita la tettarella al biberon, quindi li lasciamo lì a strillare e noi sempre più confusi falliamo in quella semplice eppure al momento impossibile azione procedurale, proviamo a restare lucidi e a predisporre strumenti strutture metodi e contenuti che rinnovino la scuola e aggiungano forza alla nostra azione didattica se riusremo a svolgerla in una macchina-scuola meglio organizzata.
    9. Rispetto al correre di questo tempo, la scuola è lenta nel mettersi in pari sul piano degli strumenti di veicolazione del sapere. Ci sono processi che DEVONO essere snelliti, e deve mutare una mentalità, dinosauro mai estinto: proprio quell’irrigidirsi autoritario che è reazione frontale ai disagi di chi apprende e si sente non adeguatamente curato – una reazione talmente istintiva che bisognerebbe fidarsene, invece di liquidarla rintuzzandola. Del resto se il punto della presente questione è scoraggiare e invitare ad accomodarsi fuori gli studenti che sono pesci fuor d’acqua, in realtà l’abbandono scolastico, forzato o spontaneo, non solo è contenibile ma è a conti fatti contenuto. Invece il livello di istruzione, che è punto dolente, e quella sproporzione per cui due o tre su 25 alunni in una classe possiedono l’istruzione sufficiente per avviarsi con strumentazione adeguata a lavorare alle superiori, bè qui si apre il punto 10.
    10. Da un lato ciò che noi chiediamo oggi agli alunni è diverso sia da ciò che essi possono dare che da ciò che realmente è necessario loro chiedere. I contenuti dell’istruzione si sono modificati, e io credo che la nostra pretesa di trattenere gli studenti a un certo grado di istruzione, su certi strumenti e su certi contenuti, sia un nostro spietato e autocompiaciuto egoismo di volerli soggetti, deboli o forti, destinati comunque a non reggere l’urto del mondo attuale. Dall’altro lato noi forse non siamo adeguati, non riusciamo bene a evolvere, e la scuola che proponiamo è troppo indietro.
    Quando ero al liceo, la prof di Greco diceva che noi eravamo cretini. CRETINI! No, eravamo resistenti passivi. Meditate, gente. Meditate.

  33. Gianni,
    non è perverso. E’ solo un sogno. Piuttosto si manda al patibolo da sola.
    Mangia una pasticca di cianuro. Ma un dibattito con girolamo no.
    L.

  34. Quoto Luca.
    Una giornata di treno, notte in cuccetta o in albergo, sonno e lavoro arretrato da recuperare… e per cosa? Per poter dire: ho battuto Mastrocola?
    No, grazie: la vita è altrove.
    Mastrocola si sconfigge sconfiggendo Gelmini e la sua corte dei miracoli. E Moratti e i suoi miracolati di corte.

  35. Grande giro. grazie.
    Azzardo una cosa, e spero di non pentirmi.
    moratti sarà travolta a milano. insieme a quell’altro. Pisapia prenderà una valanga di voti, supererà il 60%.
    Ci sarebbe da organizzare le brigate di volontari da tutta italia verso milano, per questi dieci giorni. solo per dare una mano, attaccare un manifesto, distibuire un volantino.
    L.

  36. @luca chiaramente quoto e riquoto le tue previsioni ma per scaramanzia preferirei non dare percentuali!!!qui la speranza è tanta ma non si sa mai^-^!!!!

  37. @ Luca
    Letizia Moratti è il simbolo dell’attacco alla scuola pubblica (e anche alla RAI come servizio pubblico, e anche simbolo di quell’altra lobby in Romagna la cui location mi sfugge), non poter fare qualcosa per scompigliarle l’acconciatura e il sorrisetto mi fa prudere le mani…

  38. @ Elena: ma io non ho capito la battuta!
    @ Lipperini: non vorrei essere frainteso, perché non credo di aver detto quelle cose (visto che non le penso); ho solo detto che tra le decine di problemi che ci sono nella scuola, va migliorato anche il sistema di formazione dei docenti; parlo per esperienza personale e vedo che differenza c’è tra la mia impreparazione e la disinvoltura di mia madre ormai vicina alla pensione.
    Ad ogni modo buon lavoro a tutti.
    Milano e Napoli saranno due belle sorprese!

  39. Fa male ciò che registra Paola Mastrocola sulla scuola, tanto male, per chi la vive da dentro, che t’afferra una rabbia animalesca o scatta, come esigenza di difesa, la tentazione di negare, che no, non può essere così come dice lei.
    Ahimé è vero.
    Sicuramente è discutibile il presupposto da cui parte, ossia un bellettrismo anacronistico poco incisivo.
    Tolto il filtro pedantemente umanistico, la Mastrocola dice la verità.
    A scuola si fa di tutto e di più.

  40. Sul tema scuola, segnalo questo articolo agghiacciante, sperando di non andare troppo OT:
    http://www.corriere.it/cultura/11_maggio_19/jacomella-scegliere-scuola-formula_751879e8-822e-11e0-817d-481efd73d610.shtml
    In un bel documentario prodotto nel 2007 dalla BBC e intitolato “The Trap: What Happened to Our Dream of Freedom” il giornalista Adam Curtis ha mostrato come questa infatuazione per “agenti impersonali” (il mercato, il calcolatore, il sistema in equilibrio ecc.) in grado di risparmiarci la responsabilità e l’onere della scelta, sia stata una delle colonne portanti della svolta privatistica e neoliberale nella gestione del servizio sanitario e della pubblica amministrazione in Gran Bretagna e negli USA.
    La scuola è stato un altro dei terreni di sperimentazione preferiti di questa utopia perversa. Che certe teorie, però, riscuotano ancora tanta attenzione, nonostante l’ormai storico fallimento dell’utopia neoliberale, suona quanto meno inquietante.

  41. don cave: qual è l’aspetto agghiacciante, nello specifico dell’articolo linkato? Perché non aspettare di vedere se funziona?

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