Questa storia, con cui inizia la serie di testimonianze su Lipperatura, è stata raccolta da Chiara Lalli.
Dopo avere fatto il test di gravidanza Maria va in un consultorio. Non ha ancora deciso che cosa farà.
Qualche giorno dopo Maria decide di abortire e va al Sant’Anna, dove si può scegliere tra l’aborto chirurgico e quello farmacologico, con la RU486. Bisogna certificare lo stato della gravidanza, fare gli esami e l’ecografia – come stabilito dalla legge 194. Durante l’ecografia Maria chiede di sentire il battito, ma la dottoressa le dice che è una IVG e che non è necessario. Ripensandoci adesso suona strano. Maria in quel momento lo attribuisce al carico di lavoro, alla fretta nel dover gestire i tanti pazienti. Non che avrebbe comportato tempo in più soddisfare la sua richiesta.
Questo succede durante la prima visita in ospedale. Poi inizia l’iter per interrompere la gravidanza.
Il personale medico è professionale e le infermiere molto umane, nella assoluta precarietà dei luoghi e del servizio. Il reparto è scarno, brutto, Maria si domanda se è così intenzionalmente. Le persone fanno la differenza, ma i luoghi sono sgradevoli. Com’è sgradevole passare davanti al nido. Lo stesso medico, insieme ad alcuni infermieri, segue ogni aspetto, dalle prime informazioni alla visita: la somministrazione delle pillole, l’innesto degli ovuli, la compilazione dei moduli e della cartella clinica. Tutto in una stanzetta spoglia.
Maria sceglie di non essere ricoverata per i 3 giorni previsti dalla legge, ma firma e se ne va. Preferisce stare a casa e con i suoi amici. Non ci sono ragioni mediche per il ricovero e sarebbe troppo frustrante rimanere chiusa in ospedale 3 giorni durante i quali non succede quasi nulla, stai bene e non faresti che rimuginare e pensare. Il terzo giorno, in cui inseriscono l’ovulo per l’espulsione, sei ricoverata dal mattino, di fianco alle stanze per i magazzini, la porta del bagno non funziona, i letti sembrano arrivare dagli anni ’60. È l’11 agosto.
Il 27 Maria torna per la visita di controllo. Deve fare l’ecografia e poi andare in un edificio al di là della strada, è lo stesso ospedale ma in due corpi diversi. Mentre percorre i pochi metri tra un luogo e l’altro Maria intravede delle persone. È distratta e non ci fa molto caso. Poi una donna la affianca. Da una cartelletta blu tira fuori un volantino. Maria ricorda l’immagine di un feto e delle scritte, lo prende in mano e lo restituisce immediatamente. La donna le dice che in quell’ospedale compiono atrocità e omicidi medici. Quell’ospedale è un abortificio. Maria le chiede perché e per conto di chi stava lì e la donna risponde: per il movimento per la vita.
Poco più in là ci sono altre due persone, un uomo e forse una donna. Volantinano. Camminando Maria li raggiunge mentre la donna la segue e continua a parlare di orrendi assassinii. Maria sbotta e le dice che lei è lì per quel motivo, che la deve lasciare stare e rifiuta il suo aiuto. La conversazione la sente anche l’uomo, vestito di bianco come un infermiere, mentre la mano della prima donna è sulla spalla di Maria: noi ti possiamo aiutare psicologicamente ed economicamente. La donna deve pensare che Maria non abbia ancora abortito. L’uomo comincia a urlare: le donne che abortiscono sono assassine, è un omicidio vero e proprio, le donne che non sanno affrontare la gravidanza devono essere rinchiuse. Non si rivolge a Maria, ma lei è lì a pochi metri. Maria gli dice che avrebbe dovuto tacere, e che sperava di non incontrare persone come lui nell’ospedale. Ma perché stava lì fuori?
L’uomo dice che conosce bene la materia, che ha studiato e che lui sa che è omicidio. Intanto Maria entra in ospedale, ma poco dopo deve ripassare di là per la visita. L’uomo la riconosce e ricomincia a urlare: assassine, assassine. C’è una signora che gli risponde: le ragazzine che rimangono incinte e magari non se la sentono è giusto che possano scegliere, è giusto che l’aborto sia legalmente protetto. Secondo l’uomo per le donne che non vogliono un figlio ci sono le comunità dove poter lasciare i neonati. Per le ragazzine i manicomi, devono essere rinchiuse in strutture di igiene mentale.
Assassine, assassine, ricomincia a urlare l’uomo in camicie bianco.
Maria durante il controllo incontra alcune delle donne che hanno abortito l’11 agosto e chiede loro se hanno incontrato il movimento per la vita. Entrambe rispondono che hanno raccolto il volantino, tanto poi l’hanno buttato. Maria chiede: avete reagito? Le rispondono che la loro scelta implica delle conseguenze, e che questa era una di quelle. Quanto potere ha il senso di colpa!
Maria pensa che una tale remissività presuppone un profondo senso di colpa. Non che lei ne sia immune. Ci pensa a come sarebbe oggi e a quanto sia stato difficile scegliere, ma è convinta che le conseguenze dovessero riguardare soltanto lei e nessun altro. O almeno nessuno che le urlasse in faccia di essere un’assassina.
Maria non avrebbe mai pensato di abortire eppure quell’agosto si è resa conto di non volere un figlio da sola, in quel momento la scelta più giusta per lei è interrompere quella gravidanza. Non la scelta giusta in assoluto. A volte si chiede come sarebbe stato. Si chiede anche quanto sia potente il pensiero che l’essenza di una donna sia essere madre. Quanto spesso ti ripetono che la vera e unica realizzazione di una donna sia fare figli. E si ricorda di alcuni anni fa, quando le dissero che forse non avrebbe potuto averne: il suo disorientamento, pur avendo sempre pensato di non volere un figlio in assoluto e in qualsiasi condizione, proprio come se anche lei fosse convinta dell’identificazione di vera donna e madre. Ci ha pensato anche quando ha visto alcune donne partorire: pur di farti partorire naturalmente ti fai 3 giorni con induzione del travaglio – che poi se lo induci cosa rimane di naturale? – 3 giorni di sofferenza, anche con il rischio di problemi fisici. Alcune donne supplicano di smettere di soffrire in una atmosfera in cui la denuncia della sofferenza è vista come debolezza.
A qualche mese di distanza Maria è spaventata quando ripensa all’aggressione perché in quel momento non l’ha riconosciuta come tale. Ha attribuito quella reazione istintiva al momento – la perdita del compagno in quel momento difficile, la malattia e la morte del padre, l’arrivo imminente di un nipote. Ha pensato di aver reagito in modo eccessivo a causa del suo stato d’animo. Denunciare non le passa nemmeno per la testa. Nei mesi successivi, in coincidenza con la delibera Ferrero (21-807, il “Protocollo per il miglioramento del percorso assistenziale per la donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza” che prevede la presenza dei volontari del movimento per la vita negli ospedali), una giornalista le chiede di raccontare quanto ha vissuto e solo allora Maria capisce il motivo per cui ha reagito e riconosce la violenza che ha subito. C’è un fascicolo aperto in procura, Maria si sorprende che le abbiano riservato attenzione. Chissà quante aggressioni non riconosciamo. È necessario avere una consapevolezza maggiore. Anzi una consapevolezza, perché le donne e le ragazzine sono sconcertanti per difetto di consapevolezza riguardo ai propri diritti. Maria è sorpresa anche perché dopo il pezzo su la Repubblica torinese ci sono state alcune reazioni: alcuni politici, la Regione, il Movimento per la vita. Quasi nessuna reazione pubblica da parte di associazioni, o un insieme di donne, collettivi, un gruppo di amiche, insomma da parte delle donne. Anche contro. Le donne quasi non ci sono. Chissà quante donne hanno vissuto situazione peggiori e non ne hanno parlato e continuano a vivere con questo peso nel cuore e si sentono in colpa in silenzio e in solitudine.
Sembra una scena di ‘Forte movimento’ di Franzen.
La mia domanda è: perché le donne, come denunciato in fondo all’articolo, quasi non ci sono?
E perché vanno ad abortire da sole? Solo se decidono di portare a termine la gravidanza la gente gli sta vicino, altrimenti niente.
Che dire?
Siamo un paese pieno di invasati d’ogni genere e soprattutto ancora molto lontani da una vera civiltà democratica… L’Italia e’ antropologicamente ancora una società tribale, da li i clan, anche quelli d’opinione, che si manifestano spesso con violenza tipicamente tribale, senza alcun rispetto ne pudore. Ci scandalizziamo del Ruanda quando il Ruanda e’ in noi, fra noi…
Invece le donne in Piemonte ci sono state, anche se non individualmente vicine a Maria. Difatti le loro associazioni hanno la scorsa primavera presentato ricorso al TAR contro il Protocollo Ferrero, che prevedeva l’obbligo per le ASL di stipulare convenzioni solo con associazioni che avessero avuto nel loro scopo sociale la difesa della vita sin dal suo concepimento. Il tribunale amministrativo ha così dichiarato l’annullamento del Protocollo, ma il Presidente Cota ne ha promulgato un altro a distanza di soli 4 giorni dalla sentenza del TAR, perchè non la accettava. Un giornale on line del capoluogo regionale, Torino Today, ha così intitolato, lo scorso 19 luglio, la vicenda “Cota vince il 2° round”, e di certo se c’è un vincitore da una parte, dall’altra ci dovrà pur essere un vinto. Quel giorno chi ha perso? Forse è troppo semplice rispondere che hanno perso le donne e la loro libertà di non vedersi imposto per protocollo una gravidanza, ma, forse, è altrettanto troppo difficile trovare una risposta che dia il senso della sconfitta di istituzioni pubbliche che non dovrebbero essere usate per battaglie ideologiche e finanche ideali. Sconcerta pensare che il ventre femminile sia assimilato ad un ring, dove da un lato c’è a combattere Cota ed il Movimento per la vita e dall’altro il ginecologo e la donna che sceglie l’interruzione di gravidanza. Chi farà da arbitro sul quadrato del ring? Ci dovrebbe essere la legge, la 194, ed i suoi principi ispiratori, il cui rispetto è d’obbligo per chi ha il compito di farla applicare. Ma, a quanto pare, in Piemonte si punta a creare una legge “fai da te”, non riconosciuta come tale, con la conseguenza che la correlata anarchia renderà il ring un luogo ingovernabile di contesa ed il ventre della donna un luogo impraticabile per la sua scelta di divenire madre consapevolmente e coscientemente.
Condivido le riflessioni di Maddalena, mentre sul fatto che questo accade da noi perché siamo un Paese antropologicamente tribale non sono d’accordo. Il movimento antiabortista negli USA è molto violento, in modo fisico spesso e anche cruento.
E’ terribile quello che è successo a Maria. E’ terribile sia sul piano personale, sia su quello sociale. Una donna che prende una decisione del genere deve essere libera anche di decidere di andare da sola a metterla in pratica, se è questo quello che desidera, senza essere costretta a difendersi dalle aggressioni di questi fanatici universalmente tollerati. Perché la sicurezza dell’ospedale non ha fatto niente per allontanarli? Più che accompagnare le amiche ad abortire, dovremmo fare pressioni per tutelare tutte coloro che scelgono di farlo.
Per il parto, credo che tutte debbano essere libere (come succede poco qui in Italia) di farlo come desiderano: deve essere una scelta e sono d’accordo sul fatto che sono molti i fanatici del parto naturale, che, come sempre, parlano sulla pelle delle donne. Ma credo che dall’altra parte ci sia il rischio di fare del parto “medicalizzato” una bandiera che non tiene conto di tanti aspetti: l’epidurale non è immune da rischi, come anche il cesareo, che deve essere praticato, e velocemente, se necessario, ma che è un’operazione importante, la cui importanza viene spesso dimenticata, a scapito di chi lo subisce. Non è forse il caso di parlare dei condizionamenti culturali che rendono il parto un’esperienza dolorosa per le donne?
Credo che i luoghi di sostegno dovrebbero essere ancora i consultori, come luoghi neutri, quelli in cui una donna dovrebbe trovare assistenza, senza giudizio e soprattutto violenza, perchè sì di violenza si tratta. E che al movimento per la vita (quello feti-cista, perchè se ci parlate con uno degli esponenti di questo movimento vi rendete conto che l’unica loro ossessione è il feto, l’embrione, le donne non esistono nei loro discorsi, se non come assassine o come mentecatte, al più come poverette che devono autoflaggellarsi per ciò che hanno fatto o pensato di fare, pure quando l’alternativa era la morte o la nascita di un feto morto), dovrebbe essere vietato fare volantinaggio davanti agli ospedali, perchè sono luoghi sensibili e loro non sanno nemmeno dove sta di casa la sensibilità.
Anche in questo caso, però, come per i luoghi ricreativi, le associazioni giovanili, la chiesa riempie quegli spazi lasciati vuoti dalla società civile, laica. Certo è anche una questione di potere economico.
Qui c’è un piccolo esempio dei modi in cui agisce il movimento per la vita: http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2011/10/24/movimento-per-la-vita-un-pugno-nello-stomaco/
In questa come in altre storie su questo argomento a me balza agli occhi sempre e soprattutto l’assenza dell’uomo che ha concepito quel bambino insieme a quella donna che è costretta da sola ad affrontare una scelta così pesante.
Perché ai corsi preparto ci sono i mariti e al colloquio al consultorio per l’IVG non si vedono mai? Non è che come al solito la colpa è sempre e solo delle donne?
Beh la mia esperienza con gli antiabortisti è piuttosto surreale, non voglio sembrare folle ne tanto meno “giocare” con un argomento che, come si è visto anche nei commenti lasciati all’altro post, ritengo serio e importantissimo, la racconterò quindi così come è avvenuta.
L’inverno scorso verso le 10 di sera mi telefona una mia amica dicendomi di essere rimasta bloccata con la schiena, siccome abito vicino all’ospedale mi chiede di andare a vedere se il pronto soccorso è stracolmo come al solito o se si può pensare di andarci, il mio compagno fa il turno di notte quindi esco sola, tanto devo percorrere al massimo 500/600 metri.
A metà strada vedo un suv nero parcheggiare in modo strano davanti al cancello chiuso dell’ospedale, penso che sia qualcuno che si sente male e mi affretto, poi dall’auto scendono tre persone completamente vestite di nero con tanto di guanti e passamontagna, hanno in mano qualcosa che lanciano nel cortile dell’ospedale e versano del liquido sul cancello, io rimango pietrificata senza capire ciò che sta succedendo, finché uno dei tre non si accorge della mia presenza e comincia a correre verso di me puntandomi in faccia una torcia, a quel punto in preda a vero terrore scappo via facendo appello a tutte le forze che ho e pensando le cose più orrende tipo “non voglio morire qui da sola” ricordo di aver pensato anche “Non posso morire io e il mio compagno vogliamo un bambino” proprio perché in quei giorni sentivamo quel desiderio e ne stavamo parlando. corro verso il bar più vicino e lui desiste dal rincorrermi poi dalla vetrina del locale li vedo in lontananza saltare in macchina e scappare, uno dei tre è sicuramente una donna.
quando più tardi ho scoperto che si trattava di antiabortisti che hanno lanciato bambole insanguinate e lettere minatorie ai medici e alle mamme assassini, il mio terrore si è trasformato in un rabbia furente. non voglio associare per forza quei pazzi fanatici ai movimenti per la vita, ma il loro comportamento la dice lunga sul vero rispetto che nutrono per la vita, l’assurda coincidenza tra le loro azioni folli e i miei desideri ha reso il loro gesto ancora più stupido e inutile, spesso ho pensato, e lo scrivo a malincuore, ma che donna è una che non si ferma neppure davanti al terrore vero di una donna come lei? di quanto e quale rispetto e sensibilità è capace? quanta empatia può avere con le altre donne? certo questo discorso vale anche per “l’amico con la torcia” ma sapere che complice di tutto questo è una donna come te, lascia un amaro in bocca insopportabile.
Chiaramente si trattava di pazzi che non possono essere presi seriamente eppure le motivazioni che hanno prodotto quelle azioni sono identiche a quelle dell’uomo con il camice bianco.
Questo succede quando le idee o gli ideali diventano più importanti delle persone reali che si hanno di fronte, ecco in quel momento io sento lo stesso terrore che ho sentito quella sera, quando ho capito che niente avrebbe potuto farmeli dal portare a termine il loro stupido obiettivo e che io ero solo d’intralcio.
@Laura atena saranno dei semplici pazzi? mentre leggevo i commenti mi è venuto in mente un filmato visto l’anno scorso in cui gente di casapound credo, cmq un gruppo di destra, durante una conferenza stampa urlava indicando delle donne “stupratele che tanto abortiscono”…, mi sembra tutto molto serio, anche la cosiddetta follia.
Le donne ci sono, non sui giornali però, siamo troppo poco trendy….
Qualche volta sono le donne a voler lasciare fuori da questo genere di esperienza i loro compagni. Senza voler generalizzare, ho almeno un paio di amiche che hanno scelto in questa direzione pur essendo all’interno di relazioni solide e di una decisione condivisa. Forse la Zauberei se passa di qui, può dirci qualcosa di più sul significato di un gesto volto a proteggere il partner.
voglio dire una cosa: ho letto come sempre attentissimamente gli articoli recenti della lippa e TUTTI i commenti. ho ricevuto anch’io un’educazione cattolica, e con altri membri della mia famiglia mi sono spesso trovata a polemizzare su questo discorso (dopo un po’ abbandonandolo, perchè obiettivamente chi è dogmatico spesso non è ragionevole) e di base concordo con zauberei, la quale sintetizza il suo pensiero con un: “…che l’aborto implica per cui, figghia mia che sia un diritto è vero, che se te lo eviti è tanto meglio”. spesso, su altri temi, sono d’accordo con valter, e in generale anche io ho spesso ribadito che ciò che conta è un’educazione al sentimento, e bla bla bla.
PERO’. letto la storia di maria, visto il link di femminismo a sud, mi verrebbe da dire, in particolare agli uomini che intervengono troppo liberamente (e per liberamente non intendo che non dovrebbero, ovvero che non hanno diritto di, bensì, che gli uomini sono “liberi”, ovvero sgravati da ciò che realmente la possibilità di un aborto implica nel corpo e nel cuore di una donna. l’uomo può esclusivamente a livello intellettuale, in un ambito come questo. e questo è un ambito che di intellettuale non ha troppo, secondo me) dicevo vorrei dire a loro: non ragionate come se foste ad una tavolata di amici in cui si parla di politica, di opinioni divergenti, di un argomento che divide. cercate di capire che può succedere a chiunque, e non solo a donne in-coscienti. qualsiasi donna di qualsiasi cultura, estrazione, professione, oggi, ha alle spalle almeno un episodio, tanto per fare un esempio minore, di richiesta della pillola del giorno dopo. tutto questo non ha niente a che fare con la coscienza, ad esempio. e se l’obiezione fosse (obizione che ho ricevuto più volte): vedi cara, è inutile che ti professi cosciente e responsabile, è proprio in QUEL momento che dovevi esserlo”, io voglio dire: ma vi rendete conto che pontificate su tutto, soprattutto su quello che la donna non può nascondere, come una gravidanza indesiderata, quando ognuno, ogni essere umano, compie errori, asseconda perversioni che poi di giorno stigmatizza, si lascia andare per poi pentirsi, etc. etc. mi rendo conto che non riesco a spiegarmi bene. quello che voglio dire è, in pratica, che la questione dell’aborto ha a che fare con la vita, la vita reale, e che deve essere permessa e tutelata come cosa legata alla vita reale, e non come risultato di un dibattito sulla vita, sulla morale, sul bene e il male. uno può essere moralista quanto vuole, può passare il suo tempo a discettare e speculare sul bene e sul male, così come può parlare di cinema e argomentarne e trovare nessi e farne questioni morali. tra amici intorno a un tavolo. non sulla pelle di una persona che soffre.
e concludo: fortunatamente incontrai una donna molto in gamba che mi disse: figlia mia, non sei una ragazzina, vedi, lui sta fuori, se ne frega, e manda te sola, che hai quasi trent’anni…tutelati, proteggiti, sei una donna, libera, devi essere libera di fare quello che vuoi senza che nessuno ti crei il pericolo di venire qui…se sei single devi proteggerti e usare la contraccezione in modi che vadano a rispettarti completamente…coscienza, mi disse. per questa piccola cosa che confidai ad un mio parente stretto dovetti subire una specie di lavaggio del cervello.
ora. io penso non c’entri nulla dio, nel quale pure credo, con una cosa del genere. io non voglio un mondo in cui una donna DEBBA sentirsi colpevole e pure un po’ mignotta se le accade un episodio del genere. credo nella vita e spero non mi succeda mai di abortire, ma se dovesse succedermi PRETENDO rispetto e nessuno che mi faccia sentire nient’altro che un essere umano, che ha bisogno dell’intervento di gente preparata e onesta a svolgere il suo compito. il dolore e la coscienza non mancano/mancheranno, nè sono mancati, siatene certi.
Laura.
Che bell’intervento Laura davvero.
Non riesco a capire… perché mai quasi tutte le commentatrici ritengono che l’aborto (o la ricerca della pillola del giorno dopo, che comunque è cosa diversa dall’aborto) sia solo una cosa di cui si deve occupare la donna? Io non riesco proprio a vederla in questo modo. Se una donna è rimasta incinta o teme di esserlo, non ha mica fatto tutto da sola. Il peso lo deve portare anche il suo compagno, che sia stato compagno per una notte o “per la vita”. Non la vedo come un’ingerenza. Mi sembra che voler tenere fuori l’uomo dalla questione aborto vedendola solo come femminile, non aiuti la donna perché è un atteggiamento di difesa che però ha come effetto collaterale quello di continuare a deresponsabilizzare il maschio. Però forse mi sbaglio io… non so.
Ilaria, era quello a cui mi riferivo io con il mio commento. Perché non c’è mai un compagno ad accompagnare la donna che vuole abortire? Non pretendo mica la mamma, la nonna, i cugini e gli zii. Ma il compagno. Che non deve operarsi né assumere un farmaco solo in quanto sprovvisto di utero, ma questo non cambia le cose dal punto di vista del suo dovere di partecipare a un momento del genere.
Ilaria sono d’accordo (e poi un po’ rispondo a Barbara nel commento al post precedente)
Lei non ti ha voluto ai colloqui preliminari, non ha ceduto alle tue insistenze, niente da fare, eri preoccupato che le toccasse un medico bigotto che le facesse la morale, che acuisse i sensi di colpa, ma invece tutto e’ filato liscio. Non ha voluto nemmeno che entrassi all’ospedale, l’hai salutata all’ingresso facendoti garantire che ti avrebbe chiamato per sapere in quale reparto fosse ricoverata. L’avevo scritto, 6 piano latoB, e mentre camminavo velocemente e stramaledivo la sfiga che aveva fatto si che nonostante tutto fosse successo, pensavo a cosa le avrei detto e mi rendevo conto che non avevo parole adatte, non chiederle come stai o come va ripetevo tra me e me. Leggo e rileggo la lista delle ricoverate ma lei nonc’e fermo un infermiera e chiedo quale sia il letto, o la corsia di xy. Mi risponde che se non e’ nella lista vuol dire che non e ‘ in questo reparto, insisto, sono certo che e’ sta operata questa mattina, ed e’ in quel momento che una collega le dice, che si tratta di una della “stanzetta”. ah sa, non scriviamo i nomi per motivi di riservatezza, comunque non si preoccupi che stanno tutte bene, ma non si può entrare. La guardo incazzatissimo e dico che per fermarmi deve chiamare i carabinieri, si sposta e mi lascia entrare. La stanzetta era oltre il reparto, bisognava oltrepassare 2 porte e sembrava insonorizzata, non arrivava il vociare dei parenti in visita. Nel silenzio assoluto erano in 4, oltre a lei una ragazzina che smanettava con il cellulare e 2 donne che parevano troppo anziane per restare incinta. Le prendo la mano, la bacio in fronte e le chiedo come stai?
tutto quello che mi dice e’ cosa ci fai qui? Siamo rimasti tutto il tempo in silenzio, mano nella mano, le uniche parole che le ho sentito dire erano rivolte alla ragazzina, per lei ha avuto anche qualche sorriso, mi ha detto vai, ti chiamo quando mi dimettono che mi vieni a prendere. Me ne sono andato con addosso un senso di inutilità, lo stesso che sentivo mentre lei partoriva i nostri figli ed io come un coglione le bagnavo la fronte e guardavo l’ ostetrica preoccupato e minaccioso
Grazie Zauberei, ho letto il tuo commento nel post precedente, sono d’accordo sul rapporto che poni tra “cultura reazionaria-estromissione del maschio-sua reazione impositiva” (semplificando!). Chiara, avevo letto il tuo commento e infatti mi sento in sintonia con le tue parole.
Claudio -)
perché, comunque la metti, non è vero che l’esperienza appartiene a entrambi. Ciascuno fa la sua. E il corpo che perde un corpo è corpo di donna. Ci vuole il silenzio. Il rispetto e la responsabilità di tutti e due, ma chi mette il corpo e quel dolore che passa dal corpo e arriva ovunque è della donna.
Sono andata a fare il test di gravidanza senza aver avuto un rapporto completo. Ignoranza? no, nemmeno un po’, sfiducia, quel non poter mai lasciarsi andare perché …come fai a fidarti? e se perde il controllo? quante volte ha perso il controllo? quasi tutte. E poi, eventualmente, sono io che…
scritto bene questo post di claudio.
io di per me sono contro all’aborto, penso che sia un male da evitare, per questo credo che più che la lapidazione delle donne che si recano in ospedale, sia importante vivere ed educare a vivere la sessualità con amore rispetto e magari anche castità. certo che l’assedio pornografico cui siamo sottoposti non aiuta. tipo la roba sul sito di Repubblica o degli altri quotidiani più famosi.
però in queste testimonianze come diceva più su elena, mancano gli uomini, manca il sesso. forse si vuole esprimere con sottinteso un che la “scelta spetta solo e soltanto alla donna, di fatto è una censura che impedisce di capire e che si presta appunto a interpretazioni tendenziose o pregiudiziali
Ma esperienza diversa non vuol dire esperienza si ed esperienza no, e non ha lo stesso correlato in altre questioni spinose: per esempio la panza sarà de lei ma alla fine il genoma è fifty fifty, che ci piaccia o no. Anche io ho apprezzato moltissimo il racconto di Claudio, anche se mi viene da dire ai Claudi che girano – sia questa narrazione o autonarrazione – non è affatto inutile il compagno accanto, e non bisogna cedere all’estromissione da parte delle donne sia nelle gravidanze che nelle gravidanze interrotte. L’estromissione è un alibi psicologico molte volte involontario che crea funeste profezie che si avverano, induce le delusioni per poi dire, ah lo vedi gli uomini sono tutti uguali. Vale per un aborto, vale per una gravidanza portata a termine con difficoltà o senza. Non è affare solo delle donne, anche se le donne hanno un carico in più.
Il che però non ci deve distrarre dalla questione per cui: solo in un paese civile dove l’aborto è garantito si puà parlare del resto. Perchè la garanzia dell’aborto da un punto di vista di psicologia maschile collettiva e sociale, implica l’accettazione di un dato di fatto cioè che la gravidanza è nel corpo di lei e questo fatto ha delle ricadute concrete, come l’allattamento come la cura della prole. Se il maschile accetta questo vuol dire che è pronto anche a stare con la donna nella nascita e nella divisione dei ruoli nella cura dei piccoli, se il maschile non accetta l’aborto allora tutto è solo della donna e la donna deve essere dominata e resa meno libera (e anche l’uomo naturalmente ma chi se ne accorge)
Dire che l’aborto è affare anche di uomini non è una novità ed è anche ciò che è venuto avanti/tornato in questi ultimi venti anni. Che gli uomini tornino ad essere i padroni dei nostri corpi, però è la vera novità: glieli avevamo tolti e corrispondevano ad altrettanti diritti ma a forza di credere di ripartire i compiti e le responsabilità, si è aperta la strada a un altro bello sdoganamento: l’aggiramento della 194 mediante l’obiezione di coscienza e l’ingresso dei volontari nei luoghi che le donne si erano faticosamente conquistati a tutela della loro salute ed autodeterminazione. Quando si dice che i diritti conquistati da chi ci ha precedute andavano presidiati, si dice, evidentemente, anche questo. Una volta rotto l’argine, hai voglia a ragionare: gli sono stati consegnati gli strumenti, quelli del ragionamento sì, ma non soltanto, per occupare le nostre vite, attraverso i nostri corpi gravati sempre di più di angosce profondissime e relativi sensi di insicurezza e di colpa. Ne risultano coscienze dilaniate, come anche quelle di molte commentatrici qui, che non riescono a tenere insieme il diritto all’obiezione di coscienza con quello dell’autodeterminazione. Ma è perché non è affar nostro tenere insieme un diritto vero con uno inventato per garantire profitti ai disonesti che fingono di avere una coscienza.
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E comunque gli uomini non abortiscono. Mai. Non è indifferente al ragionamento. Non li esclude dalle responsabilità, ma dal diritto di interferire, anche slealmente come fanno con l’obiezione di coscienza, sì.
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E non si vengano a portare argomenti scorrettissimi come quello delle “obiettrici”: come se fosse una novità che ci sono donne asservite al patriarcato!
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Figlie mie, io sono in menopausa e non ho figlie femmine, non è dunque per me che scrivo quel che scrivo e che non avrei mai immaginato di dover scrivere…
Fate qualcosa per questa signora qui sopra, che spaventa i bambini.
Ma non l’ha ancora capito che è per quelle come lei che il femminismo diventa una barzelletta?
Non credo di seguirti Brutto Dubbio e faccio fatica a relazionarmi a te con toni pacati perchè ha ragione Valter, sono atteggiamenti come il tuo ad aver creato al femminismo i problemi che ha avuto, e ad averlo condotto al fallimento. A prescindere dalla contraddizione che avverto tra avere responsabilità e non poter interferire. Una semplificazione del problema che rende molto vulnerabili nella gestione del problema e che fa il gioco degli antiabortisti.
Non credo neanche che la crescita dell’obbiezione di coscienza abbia una minima relazione con l’apertura critica insieme all’universo maschile sui temi della gestione dei ruoli, del sesso e di tutto ciò che è caro al femminismo storico: quell’apertura ha portato a cose buone, e sempre più porterà a cosa buone tanto più sarà diffuso: perchè i figli sono di entrambi, le famiglie sono di entrambi, la cura della prole è un bene per entrambi e un dovere per entrambi e via discorrendo. Invece la riflessione femminista è retrocessa per lungo periodo su tutto l’arco di espressione e ha lasciato il banco al qualunquismo e a non etiche diverse. Quando non si è arroccato in castelletti dove stavano alcune signore arrabbiate e in età, che si parlavano tra di loro e che perdevano la chance di tramandare un sapere non solo ai figli delle nuove generazioni ma alle figlie.
Ecco, Zauberei ha espresso esattamente quello che avrei voluto rispondere a Brutto Dubbio, compresa la difficoltà a essere pacata. Scusa, Brutto dubbio, il tuo linguaggio per me è qualcosa di veramente disturbante e anche fuori dalla realtà attuale. Magari andava bene quarantanni fa, non so. Non siamo in guerra contro gli uomini… e la realtà è fatta anche di uomini e padri attenti, consapevoli e solleciti. Non puoi escludere un intero genere da discussioni (non mi riferisco solo all’aborto) che riguardano tutti e tutte insieme.
Invece io sostengo pienamente Brutto dubbio, e spero che tante persone come lei smascherino chi davvero è una barzelletta ambulante.
Mi sembra che Zauberei non intenda il senso della parola “interferire”: interferire vuol dire comprimere il diritto.
Per me è difficile interloquire sia con le posizioni di brutto dubbio sia con quelle di Walter. Non penso ci siano questioni inerenti a un solo genere e contraccezione, gestione della procreazione investono sia gli uomini sia le donne. Così come un’interruzione di gravidanza è, in primo luogo, una questione di coppia – se una coppia esiste. Le posizioni di Walter – cui riconosco una sostanziale buona fede e un sincero interesse per queste vicende – mi vanno strette perché tende a confondere i piani: quello del diritto e quello privato/pubblico. La legge non può obbligare le persone ad avere una vita di coppia felice o tenere conto solo di chi ha relazioni sentimentali sane ed equilibrate. E mi sembra eludere, sul piano pratico, un problema oggettivo: chi – donna sola, coppia – decide di interrompere una gravidanza deve percorrere un percorso ad ostacoli (poi dipende molto da regione a regione). Gli ostacoli maggiori sono gli obiettori. Aborro le società col bollino ma al momento non vedo altra soluzione – e questo mi procura un enorme tristezza.
Ricordo bene una storia terribile che ha visto protagonista un ragazzino che conoscevo:
http://cerca.unita.it/ARCHIVE/xml/80000/75073.xml?key=Massimo+Burzio&first=81&orderby=1&f=fir
In molte ricordano bene quella persona al consultorio, che insultava e dava della puttana alle ragazzine che venivano a chiedere aiuto…
sono molto d’accordo con Zauberei. Mi pare che sia proprio anche per l’idea che dal concepimento in poi con tutto quanto ci sta intorno è considerato (da tanti uomini e donne) roba da donne, che è così difficile difendere e ampliare i diritti corrispondenti in un paese dove la presenza femminile nella classe dirigente è molto bassa. Certo è vero che l’inidividuo che abortisce è sempre donna, e che ha il diritto definitivo di scelta, ma mi sembra facile che dal “voi non dovete immischiarvi” si arrivi al “sono tutti cazzi vostri” (e così la cura della prole, i problemi a conciliare famiglia e lavoro ecc.) che è anche tanto più comodo.
Mi trovo molto in sintonia con Barbara, Valter poi articolerà da se la sua posizione.
Andrea, capisci però che c’è un problema?E’ un problema logico prima che psicologico: perchè nel concetto di responsabilità non c’è solo il diritto all’intervento, ma anche il dovere. Se sono responsabile l’obbligo verso la mia responsabilità e di essere fedele ad essa e seguire le conseguenze delle mie scelte, non tirarmene indietro in nome di un a volte paraculo, a volte vigliacco rispetto delle donne. I figli con padri latitanti, i figli di padri separati che non si fanno vedere e non pagano gli alimenti, sono figli di questa cultura che vede la genitorialità un fatto solo delle donne.
Questo non toglie che la maggior parte del peso della gestazione o della sua interruzione è della donna, per cui è giusto che la sua sia l’ultima parola. Ma non deve essere l’unica. Cosa che poi, da un punto di vista psicologico risulta particolarmente chiara.
“I figli con padri latitanti. I figli di padri separati che non si fanno vedere e non pagano gli alimenti, sono figli di questa cultura che vede la genitorialità solo un fatto di donne”
Da scolpire nella pietra. Non sono affatto solo fatti di donne, anzi. Lo so che gli aneddoti personali lasciano il tempo che trovano, però vorrei lasciare testimonianza dei molti, spesso giovanissimi uomini, che non sentendosi pronti a diventare genitori si fanno carico in prima persona della contraccezione. E non con metodi fallaci ma usando il preservativo. Questo atteggiamento mi sembra un segnale positivo.
Il non interferire degli uomini in ciò che tocca soltanto alle donne (e non in ciò che è possibile e doveroso condividere) è con tutta evidenza un problema per chi si è speso tanto a costruire ciò che non si riesce a creare senza che la donna ridiventi, più allegramente, oppressa. Perché non è che io ti posso opprimere poco poco, per di più su una cosa fondamentale come questa, e su tutto il resto ti rispetto.
Ma si mantenga la calma, non c’è problema se non si regge il mio ragionamento e se si finisce per questo per aderire a quello che vi vuole persuadere del contrario di ciò che penso io. Fate pure, naturalmente.
Ecco, Andrea, ho cercato di spiegare con parole molto semplici che un diritto compresso, vistoso o meno,occultato o meno, mistificato nella sua vera natura o meno è sempre e comunque un indizio di una volontà che agisce contro la libertà di un soggetto. Bisogna averla sperimentata duramente la violazione dei propri diritti per riconoscerla? O basterebbe realmente immedesimarsi con chi i propri diritti li ha visti fatti a stracci?
E quando si parla dei propri di diritti, può bastare riuscire a vederli solo nella loro superficie? Quant’è la metà di un buco? mi chiedeva il mio cuginetto preferito quando avevamo 10 anni. E la risposta era: non esiste: un buco è sempre un buco!
Non so se solo questione di apertura mentale, autentica, non simulata come accade in questo caso senza che le dirette interessate lo rilevino.
Io mi accontento di aver istillato un dubbio, brutto, bruttissimo in chi crede che la strada dei diritti sia facile e a portata di rivendicazione rapida. Ma soprattutto volevo sostenere, in qualche modo, chi si impegna per affrontare le ambiguità che qui vengono proposte.
Potremmo, pure, da non tanto vecchie femministe (ho 53 anni) aver sbagliato nel non aver tenuto alta la guardia nella difesa di diritti tanto difficilmente conquistati (legge 194), nel “non aver tramandato il sapere (aggiungo “nuovo”) alle nostre figlie, o addirittura nel “aver fatto diventare il femminismo una barzelletta”. Però, ora che l’attacco al diritto a scegliere la maternità in piena libertà e consapevolezza è più forte che mai, possiamo serenamente ragionare a come ovviare a questo vero e proprio furto alla dignità delle donne che non scelgono a cuor leggero di abortire. Oppure, le forzate divisioni tra noi,vecchie femministe, e voi, giovani femministe,devono ancora una volta produrre lacerazioni tra donne ed incrementare le finanze dei c.d. “cucchiai d’oro”? Tanto poi lo si sa noi donne, tutte, perderemo e loro, soddisfatti dei loro congrui guadagni, vinceranno a piene, anzi, pienissime mani.
maddalena certo che no, certo che ci possono essere ponti e comunioni di intenti. Molte eredità sono state raccolte per altro, e poi qui insomma non è che ci avemo tutte 18 anni:)
Zauberei scrivi:
“Andrea, capisci però che c’è un problema? E’ un problema logico prima che psicologico: perchè nel concetto di responsabilità non c’è solo il diritto all’intervento, ma anche il dovere.”
poi scrivi:
“Questo non toglie che la maggior parte del peso della gestazione o della sua interruzione è della donna, per cui è giusto che la sua sia l’ultima parola.”
Allora il problema logico lo crei tu perché con la prima frase apri alla possibilità di comprimere il diritto di autodeterminazione; con la seconda sostieni che il diritto è incomprimibile. Insomma crei un’ambiguità che colpisce il diritto.
Mentre quello che a mio parere dice Brutto dubbio è che l’autodeterminazione non si tocca, e proprio perché si attribuisce un diritto senza ambiguità che da un lato la responsabilità può essere assunta dall’individuo pienamente e produrre una valutazione corretta della situazione; dall’altro lato lo Stato deve garantire un livello di servizio, condizione indispensabile affinché possa materialmente essere esercitata quella resposabilità.
Poi il, anzi “i” pensieri femministi potranno avere pecche, come li hanno tutti gli altri del resto, ma essendo espressione di una minoranza morale che chiede dei diritti, vengono attaccati strumentalmente, e tu dovresti essere pronta a difenderli dalle critiche strumentali, illuminate magari da chissà quale dogmatismo religioso.
Allora vediamo se si può essere daccordo su questo:
1) La matrice è fatta per generare, non per soffocare = la natura esiste
Una donna non è una matrice = la cultura esiste
Mettere in conflitto natura e cultura non è la cosa migliore, ma nel caso dell’aborto procurato ci possono essere motivi inderogabili, quanto meno per la donna che in questo caso è il luogo della contraddizione.
2) Ma lo è veramente?
Esiste una sessualità irresponsabile nel senso letterale del termine, che per infantilismo, ignoranza, indisponibilità fisica o psicologica non è in grado di assumersi le conseguenze procreative dell’atto sessuale.
Questa contraddizione, però, è condivisa da chiunque, maschi, femmine e altri generi (sennò Barbieri insorge)
3) Gli effetti di questo comportamento sono effettivamente di responsabilità di una coppia o, nel caso di una violenza, di uno solo, ma la decisione deve essere comunque condivisa dalla donna perchè è nel suo corpo che questo si compie. L’eventuale legislazione in materia deve comprendere la donna come soggetto, mai come oggetto (ciò di cui si parla e su cui si decide). Questo è diverso dal farne la padrona assoluta di ciò in cui lei si compie. In ogni modo, ogni concepito è figlio di una comunità, potrebbe essere per essa una speranza di salvezza.
Eppure la donna è un singolo, non un membro di una specie, e questo impedisce che la sua singolare decisione sulla gravidanza sia l’elemento di una casistica, o il caso particolare dell’applicazione di una legge.
4) A sua volta, anche il medico è un singolo. E l’interruzione di gravidanza non può avvenire se non sotto la sua assunzione di responsabilità. Anche lui, però non può essere oggetto di obbligo, perchè dare la morte è altrettanto definitivo che dare la vita, non si può decidere una volta per tutte ma ogni volta è qui, adesso.
Tutto ciò, come si vede in questi ultimi thread, porta a galla pulsioni contrastanti che non riescono a giungere al linguaggio o categorizzazioni rigide ed esclusioni perentorie, che non convincono.
5) E se fosse veramente un problema di linguaggio?
Se la questione femminile avesse portato per la prima volta nella storia una questione che NON è una questione di genere, ma di persona?
Se fosse il nostro linguaggio giuridico e politica ad essere sistematicamente incapace di dar conto della categoria del SINGOLO, se non pervertendola in quella dell’INDIVIDUO che è esattamente il suo contrario? Il primo indica l’irripetibilità della persona e dei suoi atti (nessuno è mai stato Me prima di Me) il secondo la sua mera appartenenza a una specia (sono un uomo, come gli altri, così come Fido è un cane come gli altri).
6) Se avessi ragione, il problema è tutt’altro che separare le donne dal resto del genere umano conferendogli quella che sembra troppo una proprietà privata dell’impresa uterina, ma anzi che esse impongano un’identità sociale propria che finisce per costringere l’intero corpo sociale a evolvere. Ma qui sta il punto: le donne devono offrire un’immagine di sè, del femminile e del materno che esprima insieme la loro soddisfazione ma anche l’integrabilità comunitaria di essa, cioè le condizioni per cui tutti questi singoli possono continuare a dire NOI.
Altre cose hanno spaventato e spaventano le donne, molte delle quali rifiutano l’idea che l’identità femminile sia qualcosa che si pone CONTRO quella del maschio, inteso sistematicamente come controparte. Ma certo, in mezzo a questo c’è chi col patriarcato borghese ci marcia bene e va in Consiglio Regionale a botte di culo.
7) Col linguaggio teologico si deve fare i conti, anche se non si è nè cattolici nè anti-cattolici, perchè resta l’elemento strutturante dell’immaginario collettivo. La Murgia con “Ave Mary” ha fatto un lavoro a metà: dice cosa nell’immaginario cattolico umilia il sesso femminile. Ma non mi dà il senso che per lei è autentico del femminile di Maria, e allora dov’è il contributo positivo per i cattolici che (io e lei) diciamo di essere? Era questo il quesito che le ho posto, in modo inutilmente pungente, ne è nato uno scazzo in Rete di cui mi spiace anche perchè forse avremmo delle cose importanti da dirci in materia.
Io prendo spesso a cazzotti l’immaginario cattolico, in nome di Gesù Cristo, e altrettanto spesso difendo il messaggio di Cristo in chi lo trasforma in un mezzo per escludere o arruolare. Detto questo, ritengo fermissimamente che quello che qui ho chiamato SINGOLO è stato rivelato al mondo da Cristo (se si crede alla sua natura soprannaturale) o dalla cultura cristiana (se si ha una minima cognizione dell’evoluzione delle istituzioni occidentali). In entrambi i casi, è sempre lì che si ritorna. Anche qui sono per una logica inclusiva: la laicità e la confessione religiosa devono definirsi reciprocamente e riconoscersi, legittimarsi, proprio per arrivare a distinguersi.
Il coinvolgimento del maschile nelle fasi di gestazione dei figli in comune e dell’eventuale interruzione sono possibili dove c’è accordo e rispetto, dove il rispetto manca non sono possibili, perchè la parte più forte prenderà il sopravvento, è una banalità lo so, ma è così. Quel è la parte più forte oggi? Mi sembra che ancora la parte più forte non sia quella femminile, nella acquisizione del diritto all’autodeterminzione intendo. Così ci troviamo di fronte a donne che non vorrebbero abortire ma lo fanno ugualmente perchè lasciate sole, donne che lo vorrebbero fare ma non possono perchè ostacolate, vuoi nel pubblico, vuoi nel privato.
Ovviamente ci sono anche le esperienze positive, a quelle guardiamo quando vogliamo immaginare un progresso.
Ma la vicinanza e il coinvolgimento nelle questioni che riguardano me, le devo per forza modulare, come dire, adattare, al tipo di relazione che ho. Per dire Zauberei che mollare un po’ di “potere” sulla questione, è necessario per condividere i pesi, è giusto, sono pienamente d’accordo. Ma se corro ancora il rischio di perdere tutto, me stessa, me ne guardo bene.
in chi = da chi
Senza polemica Walter, solo per interloquire. Sarà pure che l’immaginario cattolico (o post cattolico) informi tutti, anche chi cattolico non è – sarà pure dato a una parte – non so quanto consistente della popolazione italiana – di rifarsi a immaginari religiosi altri all’interno dei monoteismi? E di rivendicare il diritto di non essere interessato (anche se a titolo personale io lo sono) delle beghe interne dei seguaci di Cristo? Per quanto mi riguarda la scoperta dell’individuo è assai precedente alla nascita di Cristo – alla cui natura soprannaturale non credo e dubito fortemente vi credesse anche lui medesimo. Le istituzioni occidentali in cui viviamo sono, per fortuna, molto più figlie della Rivoluzione francese che dell’eredità cristiana, anch’essa variamente articolata.
Il concetto di comunità mi lascia molto diffidente – la comunità non è la società ma un suo sotto insieme. Se vogliamo dire Noi dobbiamo allargare le maglie a un minimo comun denominatore. Magari però è un problema mio col termine comunità.
Tu continui a parlare di sessualità responsabile e io concordo tuttavia individuo un punto di rottura: per me avere una sessualità responsabile non significa essere aperti a ogni nascita. Per me significa sapere – in quel momento della vita – se la mia coppia o me da sola è disponibile o no a desiderare un figlio. Chi non lo desidera e ha comunque una lunga vita riproduttiva non è che possa votarsi alla castità per obbligo. Principio valevole sia per i maschietti sia per le femminucce.
Andrea, ma è esattamente questo il problema, la successione di eventi è questa: si fa l’amore in due, si concepisce in due, ma poi il bambino lo fa lei. C’è prima il due poi c’è lei. Non l’ho inventato io è come vanno le cose. E questo andare delle cose crea complicazioni e situazioni problematiche. Dopo di che proporrei una distinzione.
Quando parlo di responsabilizzazione del maschile, non mi riferisco allo Stato, perchè diversamente da certi modi di intendere femminismo genere e politica non edo nello stato e nella cultura come esiti del maschile in quanto pensiero, ma esiti dei generi e degli individui che per suo tramite si esprimono. Quindi quando mi riferisco alla responsabilità mi riferisco al fatto che quando una donna va per una gravidanza dal medico, sia per portarla avanti che per interromperla ci deve andare con il padre, a costo di portarcelo con la corda al collo. Perchè il bambino lo ha fatto come lei e i cazzi amari sono di entrambi. Non posso istituire l’obbligo per i tanti casi di uomini latitanti, ma mi piacerebbe che questa cosa fosse incentivata.
la logica discriminatoria e sessista che pervade la norma, o meglio che oggi pervade l’elusione della norma tramite l’alibi dell’obbiezione, non è questione di maschi, è questione di stato. e’ lo stato che limita la donna ma anche la coppia nella libertà delle proprie azioni. E’ lo stato che lascia che un diritto dei due generanti sia calpestato. E inoltre mentre lo stato non interviene come è giusto che sia nel momento dell’azione dei due, si trova chiamato in causa quando il problema riguarda lei, e quindi è lo stato a non avere riguardo per il corpo di lei.
Infine. detesto considerando che sto dentro al femminismo da un quantitativo discreto di anni, anche in modo piuttosto operativo, che mi si ricatti dicendo che non dovrei per il bene del movimento esprimere critiche dall’interno perchè queste possono essere utilizzate dai detrattori del medesimo. detesto il ricatto della parrocchia per cui bisogna per forza essere d’accordo tra tutti. Non è il mio modo di stare moralmente e onestamente in un contesto politico – sia esso il femminismo sia esso facciamo conto il partito per cui voto.
Piuttosto capisco Serbilla, ma spero che il mio commento sia una risposta anche a lei.
Binaghi, salto il discorso su nature e nurture perché se faccio molta fatica io, tu proprio non disponi degli strumenti intellettuali per affrontarlo.
Parliamo invece di questa sciocchezza: “maschi, femmine e altri generi (sennò Barbieri insorge)”.
Per esempio, una settimana leggevo qualche testimonianza sul sito dell’Aisia (si tratta di un diverso percorso di differenziazione sessuale chiamato tecnicamente sindrome di Morris). Quelle testimonianze di dignità negate non solo mi feriscono profondamente, ma mi chiamano anche in correità perché anch’io negli anni, come quasi tutti, non ho fatto nulla contro il genderismo (che non ha niente da invidiare per esempio al razzismo). Evidentemente ho più sensibilità di altri, più empatia, più interesse per l’umano, ma non credo che quella frase ironica – che io insorgerei – possa essermi rivolta da un cattolico, perché sicuramente non posso avere più sensibilità del suo creatore, che dunque insorgerà prima di me.
No Zauberei, io ho parlato di difendere i femminismi da critiche palesemente “strumentali”, lo spazio per critiche serie esiste, ma è altra cosa (e mi sembra soprattutto finora interno).
Sull’autodeterminazione non so che dirti. E’ un diritto continuamente aggredito su tanti fronti, tutti caratterizzati dalla volontà di controllare il corpo altrui. Se non si è disposti a difenderlo, retrocederà a qualcosa d’altro. I tuoi discorsi confusi sulla responsabilità a mio parere danno una mano. Ma non sono io a doverlo dire, devono essere le femmine ad arrabbiarsi.
La donna secondo binaghi:
– il luogo della contraddizione fra natura e cultura;
– padrona assoluta di ciò che in lei si compie.
– un singolo in alternativa all’individuo, secondo Gesù Cristo (secondo binaghi).
Inoltre :
Proprietà privata dell’impresa uterina.
E poi vi sentite invitate a far parte di parrocchie? E detestate coloro che VOI presupponete vi stiano invitando a far parte di parrocchie? Ah!
Andrea ma chi ti dice che non sono disposta a difenderlo? In base a coda desumi che io non lo abbia già fatto? sai che un mio vecchio post sull’aborto fu la prima cosa che Lipperini linkò da far leggere? Sai che con quel post sono andata a litigare con degli psicoanalisti – purtroppo – filoabortisti? Confuso sarà il mio ragionamento per te, ma ti assicuro che per le persone che ci passano è tanto tanto chiaro. Semplicemente conoscendo per bene di cosa stiamo parlando, ritengo importante difedere il diritto all’aborto contestualizzandolo in maniera più articolata.
@Barbieri
Gli strumenti intellettuali miei e tuoi sono quelli che usiamo scrivendo, chi legge giudicherà.
Invece le reazioni emotive sono singolari e impalpabili: tu, chissà perchè, mi sembri monomaniaco e mi risulti noioso.
@Brutto dubbio
Di tutto quello che ho scritto due slogan poù altri due.
Certo a te la categoria del Singolo non ti tange, rispondi sistematicamente con il bigino della Walkiria
Scusate, io non capisco bene la querelle tra zaub e barbieri, forse mi mancano le basi. Quando si parla di autodeterminazione, ci si riferisce all’individuo (cioè il diritto della singola persona a decidere sul proprio corpo, nel caso a decidere se portare avanti o meno una gravidanza) oppure a qualcosa di collettivo, cioè detta grezzamente, che solo le donne possono avere voce in capitolo su quello che riguarda le donne?
@Barbara
Singolo, mia cara, non individuo. E’ di questo che si tratta.
Quanto a Comunità non significa famiglia o tribù, ma luogo di concreta convivenza, tipo un paese. Società è pura registrazione di un elenco, tipo una guida telefonica.