LE ULTIME PAROLE FAMOSE

Articolone su Carmilla da meditare, a firma di Gregorio Magini e Vanni Santoni: merita, e il discorso sul “fanatismo” è importantissimo.
Seconda lettura: leggendo delle polemiche sulla morte di Gramsci, mi è tornato in mente un articolo che la vostra eccetera scrisse per L’Espresso, insieme a Monica Capuani, circa dieci anni fa. Non resisto, e ve lo ripropongo. E’ sulle ultime parole, appunto, dei moribondi famosi…

Chi spia coloro che, per dirla con il morente Thomas Hobbes, si accingono .a compiere il salto nel buio.? I voyeurs dell’agonia non hanno un solo volto: sono parenti zelanti che mettono mano al taccuino anziché al rosario, amici infingardi in cerca di notorietà riflessa, allievi mediocri la cui unica opera sarà una biografia del maestro. Sono coloro che si affliggono non tanto se l’Illustre muore, ma se lo fa senza preavviso, come Gabriele D’Annunzio, che non ebbe il tempo di pronunciare la Frase Storica. O se non ha voglia di compiacerli, come Karl Marx, che riuscì a sibilare: ”Andiamo, via! Le ultime parole vanno bene solo per quegli idioti che non hanno detto abbastanza!..”
Casi, tutto sommato, sporadici. Perché sulle ultime parole dei grandi uomini prospera una nutrita aneddotica, naturalmente in perenne aggiornamento. Gli stessi, del resto, non disdegnano di alimentarla, anche consapevolmente. Cartesio, per esempio, dovette pensare ai posteri, quando si congedò declamando: “Anima mia, a lungo sei stata prigioniera. È giunta l’ora di lasciare la prigione, abbandonare l’impaccio di questo corpo. Vai dunque incontro alla separazione con gioia e coraggio”.. Amen, verrebbe da aggiungere. E l’irriverenza non va temuta: perché furono irriverenti, dissacranti, golosi, petulanti, stoici, narcisi, terrorizzati, spiritosi tutti coloro che hanno fatto la storia dell’ultimo respiro. Vediamoli mentre lasciano, nei modi più diversi, questa terra.
L’ultima voglia
Ci sono uomini che non rinunciano a un piccolo, estremo piacere terreno. Così Molière chiese un pezzo di parmigiano, Baudelaire, più ardito, un po’ di senape, Anton Cechov si accomiatò con frizzante rammarico (“Non ho bevuto champagne abbastanza a lungo”.) e Alfred Jarry invocò dal suo medico uno stuzzicadenti. Quando ne ebbe un intero pacchetto, il suo volto si illuminò di gioia e, raccontò il medico, morì felice.. San Francesco d’Assisi, poi, lasciò di stucco i fraticelli chiedendo all’amica Jacopa de’ Settesoli di portargli non solo un cilicio in cui avvolgere il corpo, ma soprattutto fichi secchi e “quei dolci che eri solita darmi quando mi trovavo ammalato a Roma”.. Immanuel Kant si limitò a chiedere un po’ d’acqua e zucchero. Sfortunatamente per lui, dopo averla bevuta, commentò “è abbastanza”, e spirò. Su quell’.abbastanza. si accapigliarono non poche scuole di pensiero.
E così Kant entra di diritto nel gran numero dei travisati: coloro, cioè, che intendevano dire un’assoluta banalità e si sono ritrovati autori della Frase Storica. Capostipite della serie è però il povero Wolfgang Goethe, che sbigottì il mondo con la paradisiaca asserzione “Mehr Licht!”, più luce. Nella realtà, pare che il poeta si limitasse a dire alla serva: “Apri anche l’altra imposta per fare entrare un poco più di luce”. Questo della luce, peraltro, è un finale diffuso. Riguarda anche Giacomo Leopardi, che chiese alla sorella di Antonio Ranieri: “Aprimi quella finestra… fammi veder la luce”.
Non si equivocano soltanto le parole. I musicologi, ad esempio, si chiedono tuttora se fossero i timpani o i tromboni del “Requiem” quelli che Mozart imitava, gonfiando le gote, nel delirio. I gesti, del resto, hanno creato più di un equivoco. Secondo il medico John O’Shea, che ha analizzato in un libro le agonie dei compositori, il famoso pugno che il morente Beethoven agitò contro il cielo, ovviamente tuonante, si spiega .come un riflesso meccanico dell’irritazione cerebrale che accompagna l’insufficienza epatica..
Il travisato dei travisati è però Voltaire. In linea con l’ambiguità della sua ultima scelta (si era fatto fare a a Farney una tomba metà dentro e metà fuori di una chiesetta), rispose “Lasciatemi morire in pace” al parroco di San Sulpice che gli chiedeva di riconoscere la divinità di Gesù Cristo. Conversione in extremis o scatto d’insofferenza? I dubbi si chiarirebbero se avessimo la prova dell’altra frase che gli viene attribuita: “Gesù Cristo? In nome di Dio, monsieur, non mi parlate di quell’uomo”.
Un viatico per il paradiso
Ma qualcuno muore tranquillo, sostenuto in pieno dalla fede. E, in alcuni casi, confortato da visioni. A Padre Pio apparve la Madonna: “Ma lì chi c’è? Io vedo due mamme”, mormorò fissando la parete dove era appeso il ritratto della madre. E Giovanna D’Arco, per nulla intimorita dal rogo, alzò lo sguardo al cielo come nel film di Dreyer ed esclamò dolcemente: “Gesù!”. Furono nel segno della religione anche le ultime parole di un insospettabile Totò: “Sono cattolico apostolico romano”, mormorò al termine di quella sua ultima giornata che era iniziata con il ritrovamento della prima incisione su disco di “‘A livella”, la sua famosa poesia sulla morte. E spirò dicendo “Sono di Dio per sempre” anche la presunta avvelenatrice e libertina Lucrezia Borgia. Un po’ meno soave, suo padre Alessandro VI, uno dei papi più politici che la storia ricordi, sul letto di morte esclamò infastidito: “Va bene, va bene, arrivo. Aspettate un momento!”.
Non sempre i potenti della Terra si dimostrarono all’altezza della situazione. L’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe esclamò con disappunto: “Dio salvi l’imperatore!”, mentre Elisabetta I, tutt’altro che rassegnata all’idea di andarsene, fece il verso al “Riccardo III” di Shakespeare: “Tutto ciò che possiedo per un istante di vita”. Ma la morte, si sa, non guarda in faccia nessuno, teste coronate incluse. Se ne stupì Luisa di Prussia, che sul letto di morte sussurrò stupefatta: “Sono una regina, ma non posso più muovere le braccia”. Altrettanto meravigliato, Cesare Borgia che, trafitto da una lancia durante l’assedio al castello di Viana nel 1507, gridò: “Muoio impreparato”. Arrogante anche sulla soglia dell’eternità Faruk, ex re d’Egitto, che asserì: “Dopo di me resteranno soltanto cinque re, quello d’Inghilterra, quello di spade, di coppe, di bastoni, di denari”.. Sibillino e parimenti narciso Alessandro Magno, che esclamò: “Al più forte”.. Interpretato dai posteri come una sfida, alla pari, con Dio. Ma la più regale di tutte fu la principessa di Ligne. Un vescovo venne a farle visita sul letto di morte e, con gesto maldestro e inappropriato, le cadde sopra, stroncato da un colpo apoplettico. Prima di spirare a sua volta, la principessa urlò: “Toglietemi questo vescovo di torno!”.
Ironia involontaria, quella della sfortunata nobildonna. Cosciente e voluta, invece, quella di un congruo numero di morituri, capeggiati da un ancor strepitoso Oscar Wilde che, agonizzante in uno squallido albergo parigino, volse lo sguardo intorno e mormorò: “O se ne va quella carta da parati o me ne vado io”.. Folgorante l’ultima frase del commediografo Eugène-Marin Labiche. Al figlio vedovo, che lo aveva pregato, in lacrime, di salutare per lui la sua defunta moglie, rispose: “Perché non fai tu la commissione?”. C’è poi un folto gruppo che se la cava meglio di un team di entertainers. Secco Massimo D’Azeglio, che vedendo la moglie esclamò: “Al solito, quando arrivi tu, me ne vado io”. Blasfemo Pietro Aretino, sorpreso a borbottare dopo l’estrema unzione: “Guardatemi dai sorci or che son unto”. Caustica Bette Davis, che prenotando il lotto in cui sarebbe stata sepolta a Forest Lawn commentò: “Sarà il mio ultimo scherzo. Dalla mia tomba, potrò guardare giù sulla Warner Brothers, e sputarci sopra!”. Lapalissiano lo scrittore Heinrich Heine: “Dio mi perdonerà, è il suo mestiere”.. Epicureo Joseph Conrad, che così si rivolse alla consorte: “Ehi, Jess. Mi sento meglio stamattina. Posso sempre farcela a stuzzicarti un po’”.
A eterna memoria
Ma ci sono alcuni che hanno effettivamente lasciato in eredità una frase memorabile. Spesso vera, talvolta abbellita, in qualche caso – si sospetta – inventata. André Gide avrà realmente detto: “Come sempre è la lotta fra ciò che è ragionevole e ciò che non lo è”? Teresa di Lisieux avrà davvero pronunciato la frase, agghiacciante per una mistica: “Il cielo è vuoto”? E Victor Hugo sarà stato abbagliato da .”una luce nera”? .”Partire! Agire! Copritemi”, chiese invece Eleonora Duse. E “Dottore, questo si chiama morire”, spiegò Pirandello al suo medico. Di Emily Dickinson si ricorda il lirismo: “Devo andare, la nebbia sta salendo2. Di Gertrude Stein l’altero scetticismo: “Qual è la Risposta? E nel caso, qual è la Domanda?”. Di Mahler la frustrazione. Pronunciò una sola parola: “Mozart!”.
Di Evita Peron fu spettacolare soprattutto il post-mortem (funerali e peregrinazioni della mummia). Ma la primadonna che aveva sempre incespicato nella grammatica, spirò con una sottigliezza da enigmista, “Eva se va2 (in italiano, Eva se ne va, ma non rende l’idea). Un’altra morte assai coreografica fu quella di Rodolfo Valentino: che non riuscì a dimenticare un articolo al curaro intitolato “Piumini rosa”, con cui gli veniva attribuita la femminilizzazione del maschio americano. Così, sopportando senza un lamento una terribile agonia, chiese ai medici: “E allora, mi comporto come un piumino rosa?”.
Chi si comportò malissimo (o benissimo), fu Rabelais. Dopo aver pronunciato non una, ma due frasi storiche: “Io vado a cercare un grande Forse” e “Tirate il sipario, la farsa è finita”, si fece rivestire di un domino. Perché? Per adeguarsi alle parole delle sacre scritture, laddove recitano: Beati mortui qui in Domino moriuntur.
Ovvero, l’importante è conformare l’epilogo al resto della propria vita. Così, le ultime parole di Giuseppe Di Vittorio, colto da infarto durante un comizio del 1957, furono: “Buon lavoro, compagni”.. Cavour, soddisfatto, disse: “L’Italia è fatta…Tutto è a posto.” Winston Churchill non tradì lo humour britannico: “Sono pronto a incontrare il Creatore. Se lui è pronto all’ardua prova che lo attende quando m’incontrerà, questa è un’altra questione”. Alcuni non dimenticarono fino all’ultimo impegni e manie. Si rammaricò Honoré de Balzac: “Otto giorni di febbre! Avrei avuto il tempo di scrivere ancora un libro”. È il trionfo del chiodo fisso: Paolina Bonaparte afferma: “Sono sempre stata bella!”, Dorothy Parker chiede a un’amica: “Dimmi la verità: piacevo davvero a Hemingway?”. Silvio Pellico esulta: “Le mie prigioni scompaiono, le cose terrene si dileguano”. Humprey Bogart saluta Lauren Bacall: “Addio baby”,  Marcel Proust chiama “Mamma”, Albert Einstein, infine, sentenzia: “Solo un monomaniaco ottiene ciò che noi chiamiamo dei risultati”.
Frasi lapidarie, scaramantiche, devote, sarcastiche, indecifrabili. Frasi che testimoniano però una presenza, un ascolto. Chi le ha pronunciate ha avuto almeno la consolazione di avere qualcuno che le raccogliesse. E la fortuna di non morire solo.

8 pensieri su “LE ULTIME PAROLE FAMOSE

  1. Ah… ricolleghiamo la questione gramsciana a quella del fandom passando per l’evento che ha portato alla ribalta l’episodio: si trattava di carte collezionabili!!! La storiella è stata “riportata alla luce oggi durante una conferenza stampa convocata alla Radio Vaticana per presentare il primo catalogo di santini e immagini sacre per collezionisti”…

  2. Notevole pure l’addio di Kafka, che vedendo il medico allontanarsi gli disse “Non se ne vada”, lui rispose “no, non me ne vado”, e Kafka replicò: “ma me ne vado io”. Oppure l’ateo Federico II, che disse “Post mortem nihil” (en passant, splendido l’annuncio della sua morte da parte del figlio Manfredi: “Il sole del mondo si è spento”). Sicramente conosci “Art de mourir”, di Paul Morand, che è un elenco di morti spiritose. La mia preferita, forse perché mi ci immedesimo, è quella di Madame de Soubise, che esala l’ultimo respiro sospirando:”Mi compiango” 🙂

  3. Io, se la memoria non mi inganna, ricordo l’ultima frase di O.Wilde:”Uno dei due deve andarsene” rivolta all’orribile carta da parati che tappezzava la stanza dell’albergo (non proprio di prima categoria) in cui è morto.

  4. Non dimentichiamoci il capostipite, Socrate che morì ricordando ai discepoli di saldare il debito con Asclepio (mi pare fosse questo il nome del creditore). Frase che oggi qualcuno userebbe per dire “In punto di morte Socrate si convertì al capitalismo”…

  5. Ooopss… durante la lettura ho saltato di pacca tutto il passaggio che va dalla principessa di Ligne a Oscar Wilde!
    Questo è uno degli errori in cui talvolta incappavano i monaci medioevali nella ricopiatura dei testi antichi. Interi stralci andati perduti e molto lavoro per i filologi che curano le edizioni critiche.
    Sorry…

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