Ci vorrà tempo, e non poco. Anche perché nei paesi dove questo lavoro è già cominciato il numero dei femminicidi è alto, altissimo: a dimostrazione che la strada è lunga. Ci vorrà tempo affinché i giovani uomini (e quelli meno giovani) comprendano che parlare di parità di genere non significa metterli da parte, sminuirli, sottrarre loro affetto (e perché comprendano che l’affetto non viene fornito di default), renderli bersaglio di un complotto che vuole annientarli. Ci vorrà tempo affinché le giovani donne (e quelle meno giovani) comprendano che parlare di parità di genere non significa limitarne la libertà, indottrinarle, coprire le scollature, e neanche definirle buone a prescindere e prendere, a prescindere, le loro parti. Ci vorrà tempo per attenuare gli effetti degli errori fatti, a volte in buona e a volte in pessima fede. Ma credo che notizie come quella che trovate qui sotto, raccontata stamattina da Maria Novella De Luca e Diego Longhin, portino speranza. E ne abbiamo bisogno.
Bambini a lezione di “rispetto tra i generi” per combattere omofobia, razzismo, e rifiutare sempre e comunque la violenza sulle donne. Contro il femminicidio parte dal comune di Torino il primo progetto istituzionale in Italia di “educazione alla differenza” nelle scuole. Bambini e ragazzi chiamati a capire e scoprire cosa vuole dire la parità tra i sessi. Perché di fronte alla tragedia del femminicidio, e di tutte le nuove forme di razzismo, è da loro che bisogna ricominciare. Nelle aule dei più piccoli e in quelle dei più grandi, in palestra, fuori dalle scuole, nei campetti di calcio, all’oratorio. In quell’età acerba in cui molto si scopre, molto si sperimenta, ma subito si sovrappongono giudizi, stereotipi. Così nelle scuole elementari di Torino si analizzeranno fiabe e cartoni animati, e alle medie si discuterà di Storia, ma partendo, finalmente, dal punto di vista femminile. Educazione sentimentale 2.0. Se a Torino le “lezioni di genere” salgono in cattedra, il movimento è in realtà più ampio, è fatto di genitori, insegnanti, educatori, che hanno deciso di reagire, preoccupati dalla deriva “intollerante” delle generazioni più giovani. Quelle stesse che quando arriva l’adolescenza partecipano o subiscono le campagne su Facebook, dove il sesso è un’arma, e chiunque sia differente viene emarginato, con conseguenze a volte irreparabili. Gli adolescenti suicidi, il femminicidio, l’anoressia in nome di una bellezza impossibile… Spiega Umberto Magnoni, direttore del settore formazione del Comune di Torino: «Se ho la giusta percezione della differenza, se riconosco il ruolo dell’altro sesso, so anche che quella persona non è inferiore a me».
In Francia l’hanno chiamato “Abcd de l’egalitè”, un vero e proprio programma ministeriale per le scuole primarie, in Svezia sono ripartiti dagli asili, in Inghilterra dalle campagne contro i negozi di giocattoli troppo “sessisti“, in Italia molti licei organizzano spontaneamente corsi di “educazione di genere”. Gran parte di questi corsi, seguiti negli ultimi due anni da oltre sedicimila studenti, sono organizzati da un team coordinato da Lorella Zanardo, manager, scrittrice e autrice alcuni anni fa di un fondamentale documentario “Il corpo delle donne”, visto online da 5 milioni di persone. «Dopo il successo di quel documentario, in cui mostravo come i media mercificassero il corpo delle donne, ho ricevuto centinaia di richieste da parte di professori e professoresse, che mi chiedevano di incontrare i ragazzi proprio per parlare di questi temi, consapevoli di quanto la televisione influenzi i rapporti tra i sessi». Da qui è nato un fortunato progetto, “Nuovi occhi per i media”, con cui Zanardo e il suo team stanno girando le scuole d’Italia. «Mostriamo ai ragazzi i programmi che seguono di più, e poi senza mai criticare le scelte, proviamo a far vedere come dietro una semplice ripresa ci siano mille contenuti.
Uno dei tanti quiz di prima serata ad esempio: quando entra la candidata la telecamera prima inquadra le gambe, poi risale verso il seno, si ferma sulla scollatura, e infine mostra la faccia. Quando entra il candidato uomo lo zoom è subito sul volto…».
Una decostruzione dell’immagine insomma, che dopo le prime resistenze, i ragazzi iniziano a seguire. Perché, paradossalmente, i figli delle madri cresciute negli anni della lotta per la parità e del femminismo, stanno vivendo un salto all’indietro nel rapporto tra ragazzi e ragazze. Graziella Priulla, docente di Sociologia all’università di Catania, ha pubblicato di recente un manuale per le scuole superiori dal titolo “C’è differenza”. Un viaggio attraverso tutte quelle leggi, dal voto al divorzio all’aborto che hanno cambiato la vita delle donne. Ma un racconto anche della violenza maschile, e dello sfruttamento del corpo femminile. «Parlando con i miei studenti mi sono accorta che non sapevano nulla di tutto questo. Le ragazze cercano sempre di più di assomigliare a stereotipi tradizionali, i maschi si offendono se si chiede loro chi lava i piatti in famiglia…”.
Da una parte la sessualità sempre più esibita e precoce, dall’altra una grammatica dell’amore nutrita di simboli che si pensavano superati per sempre. «Nella mia classe ho delle studentesse brillantissime ma del tutto soggette alla volontà dei loro fidanzati coetanei», racconta Maria Monni, prof di Matematica di Cagliari. «Negli ultimi anni ho visto affievolirsi il sentimento di autonomia delle ragazze e aumentare il senso di orgoglio dei maschi in quanto maschi. Una vera regressione». Che ci sia ormai uno scarto infatti tra ciò che sono le bambine e le ragazze e la loro rappresentazione nella società è sempre più evidente. Lo sottolinea Irene Biemmi, ricercatrice di Scienza dell’Educazione all’università di Firenze, che ha analizzato decine di libri di testo delle scuole elementari, per descrivere poi il ruolo femminile che ne emerge. «Un’analisi sconfortante — ammette Biemmi — i maschi fanno almeno 50 professioni diverse, e molte prestigiose, e le donne soltanto 15, e tra queste ci sono la mamma, la fata e la strega…». E naturalmente anche la maestra, visto che l’82% del corpo docente è femminile, ma purtroppo e paradossalmente, «sono le stesse insegnanti a veicolare modelli arcaici, e infatti è proprio dalla loro formazione che si dovrebbe ricominciare».
Molto interessante! Io partirei dalla scuola dell’infanzia proponendo un grembiulino di colore neutro (verde o giallo per esempio) per evitare la prima differenziazione forzata tra maschi col grembile blu e femmine col rosa…
Sì ci vorrà tempo, e ci vorrà soprattutto che per prime le maestre credano in questo progetto.
Va benissimo quello che si sperimenta dove hanno ancora la capacità di creare dal nulla spazi si sperimentazione didattica (perché grazie alle riforme di Gelmini questi spazi sono ampi quanto lo spessore della cartavelina). Ma teniamo anche presente che la scuola italiana, su un tema complesso (ma che ha analogie con quello dell’educazione di genere) come la lotta al cosidetto bullismo, ha pecentuali inferiori alle altre nazioni, e dimostr auna capacità di recupero delle forme comportamentali bullistiche molto superiori al recupero della devianza nelle carceri e nelle comunità di recupero per tossicodipendenti. Questo dimostra che la scuola riceve dall’esterno questi comportamenti, la cui radice è nelle relazioni comportamentali, nelle dinamiche e nelle patologie della società (la società delel passioni tristi, scrive a giusta ragione qualcuno). Sarebbe un errore cadere nell’ilusione che la scuola, da sola, possa con l’educazione di genere risolvere il problema: come sempre, la scuola non (si) salva se non si cambia la società, ma la società non cambia se non si riconosce il ruolo della scuola, che lavora sempre per la prossima generazione.
La pressione deve essere enorme. Proprio in questi giorni i miei due gemelli, che non avevano mai manifestato orientamenti sessisti e anzi il contrario, con Simone che mi chiedeva perché a salvare la gattina degli Aristogatti in acqua ci va Romeo e non la mamma, da quando ha riaperto la scuola stanno facendo scattare l’allarme rosso. E stanno ancora alla materna, fra l’altro. Ieri Daniele ha detto alla mamma “mamma, sei tu il nostro capo”; salvo rettificare, non appena ha visto che ero arrivato a casa anch’io “no, adesso il capo è papà, perché sono i maschi che fanno i capi”. Simone, da parte sua, ha affermato con veemenza che ci vanno i principi a combattere i draghi, perché le principesse hanno paura. Mi devo preoccupare, mi sa. Sì.
“…il primo progetto istituzionale in Italia di “educazione alla differenza” nelle scuole.” E’ una bella notizia. In teoria dovrebbe diffondersi, giusto?
Se parte dalla scuola questa iniziativa dovrebbe raggiungere anche le famiglie allergiche a questi problemi, quelle ignare, indifferenti, ignoranti, inconsapevoli, contrarie, ipocrite, arcaiche, ecc. Cioè se io scuola ti metto di fronte a un problema, tu genitore nonché adulto (e pure parte del problema) non mi puoi ignorare e ti devi anche schierare. Spero che funzioni così.
Per Maurizio, non penso che devi preoccuparti, i tuoi bambini hanno un papà molto attento che riuscirà a contrastare gli stereotipi dei media e purtroppo anche della scuola.
Però l’intervento della scuola è invece fondamentale per tutte quelle famiglie in cui si continuano a proporre modelli sbagliati, in cui ci sono mamme vittime, papà che prevaricano, in cui si educano i bambini in modo diverso a seconda del sesso, e ben vengano tutti questi progetti di importanza fondamentale per sopperire alle mancanze di famiglia e scuola e alle stupidate dei media.
Domenica scorsa ho partecipato al compleanno di un ragazzino di 12 anni. Lo hanno fatto in campagna e siccome il programma includeva una partita di calcio all’aperto, nessuna compagna di classe è stata invitata. L’unica bambina presente, figlia di amici dei genitori, è stata ignorata da tutti, nessuno le ha chiesto di unirsi. Ovviamente a preparare tutto c’erano la nonna e la mamma del festeggiato, e altre donne ad aiutare. Bimbi maschi a giocare solo fra loro, maschi adulti comodamente seduti, donne al servizio generale. Ditemi poi voi come si può sperare che nel futuro cambi qualcosa.
@Donatella: grazie! @ALe: una cosa quasi uguale l’ho vista anni fa in occasione di un matrimonio. Può sembrare incredibile, ma passavamo di lì, io e l’allora mia fidanzata e ora mia moglie, e fummo invitati a unirci ai festeggiamenti. Finì con me in mezzo agli uomini, Giulia con le donne, che oltre a festeggiare si davano da fare e sfacchinavano. L’anno era il 2001. Il posto lo Yemen del nord.
Condividiamo in pieno, ancora una volta. Occorre partire dal basso, dal concreto e dal quotidiano e utilizzare la scuola come momento altamente formativo.
Quindi apprezziamo il progetto del Comune di Torino e speriamo si diffonda a gran velocità anche nelle altre regioni, perché la violenza, che ci riguarda tutti (donne & uomini, bambine e bambini) non aspetta, e i fatti purtroppo lo dimostrano.
a presto.
Marta & Sara di Mammechefatica
Tutto molto bello, ed educare al rispetto delle diversità sarebbe importante davvero. Ma dietro queste buone intenzioni sbandierate ci può stare anche la malafede di chi le diversità le vuole abolire per decreto. Mi permetto allora di suggerire che la strada, oltre ad essere lunga ( e parecchio) può essere anche altrettanto sbagliata. Se infatti si scrive che “nei paesi dove questo lavoro ( sulla parità di genere) è già cominciato, il numero dei femminicidi è alto, altissimo”, spesso, aggiungo io, più alto che in Italia , allora sarebbe lecito averlo qualche dubbio sul fatto che la ricetta funzioni. Si ok,Immagino , che gli statistici ci assicureranno che in un percorso ci possono essere delle curve di assestamento etc., ci può stare… E allora proviamo a percorrerla questa strada, lunga lunghissima che prima o poi ci permetterà di debellare il femminicidio.
Iniziamo da domani a investire in educazione scolastica alla parità di genere, e come scrive elena elle, i bambini invece che in azzurro e rosa, mandiamoli a scuola con grembiulini colore misto verde giallo, tipo mimetiche i militari, e poi senza ironia fiabe rovesciate in cui le donzelle salvano il cavaliere, mischiamo parrucche smalto per unghie insieme ad elmi e spade rossetto e barbe finte, indistinte.. Lavoriamo seriamente.
Ecco non pensiamo che dal prossimo anno i femminicidi diminuiscano, anzi la strada, lo ricordiamo è lunga,
Nei paesi del nord si diceva, hanno iniziato questo lavoro venti anni fa e ancora stanno peggio di noi, per cui se vogliamo attendere dei risultati, calcolando i ricambi generazionali, dovremo aspettare almeno dieci, trenta.. quaranta anni? o chissà anche di più. Ma non ci scoraggiamo.
Va be’, ma allora seriamente vi domando, ma voi credete che nel mondo di oggi si fanno campagne mediatiche di questo tipo, per abolire le diversità di genere, con pressioni politiche volte per es a togliere per decreto il nome del padre e della madre dai documenti…. tutto ciò perchè tra quarant’anni i femminicidi, invece di essere cencinquanta l’anno diventino centodiciotto??? Non sarà invece che quel qualcuno o qualcosa, che sta spendendo tutte queste risorse, vuole avere dei riscontri immediati, dal prossimo semestre, perché vuole allargare il suo raggio di azione?
Chi sarà che può avere questo interesse? Quali forze economiche industriali possono trarne vantaggio?
Ciao,k.
K., però allora spieghiamoci come mai nei paesi in cui da vent’anni si fa educazione “ai generi” poi la società è in testa alle classifiche per il minor gender gap, mentre l’Italia perde ancora posizioni.
Non è tutto “femminicidio”. Ci sono anche altre direzioni, oltre al femminicidio.
E comunque ho letto in giro che il miglior luogo al mondo dove vivere se nasci donna è il Canada. Ci ho vissuto quasi un anno, e ti assicuro che sull’educazione ci hanno spinto moltissimo.
Solo coincidenze, come direbbe Kazzenger?
Ti faccio un appunto da commentatore a commentatore. Spero non ti disturbi. E’ un po’ che ci si incrocia qui, direi diversi anni. Ecco mi pare che su diversi temi tu abbia la prassi di ronzare e ronzare senza che io riesca mai a capire che cosa pensi.
Vuoi omaggiare il “tafano” Socrate per scalfire le certezze altrui, o non ti va di svelare il tuo pensiero?
O, tertium datur, sono io che non lo capisco?
Vorrei riprendere il commento di K.: l’obiettivo è promuovere l’identità di genere, non la parità di genere. Non si possono livellare le differenze, ma promuoverle in modo sano però tenendo ferma l’uguaglianza dei diritti, su tutti il diritto/dovere al rispetto.
La parità attiene ai diritti.
Parità di diritti, ma rispetto dell’identità di genere. Questo vuol dire rispettare e promuovere ogni diversità di genere, uomo, donna, gay, lesbiche.
Sono temi complessissimi e difficilmente identificabili, o limitabili ma l’importante è che si metta in campo tale complessità, senza liquidarla banalmente in stereotipi che diventino gabbie, nella cornice generale del rispetto e della parità dei diritti.
Marito di una maestra elementare, in questi anni ne ho sentite di cotte e di crude. La scuola come “istituzione” e come (tristemente) surrogato genitoriale, deve essere rasa al suolo e ripensata. Il famoso 2.0, ci vuole: anche qui. Sono cambiati i tempi, le risposte devono essere adeguate. Il problema è l’inerzia. Sono pienamente concorde con il commento di Mila Spicola, ma sono tante, tantissime, gli ambiti di questo “reset”. Da anni combatto una battaglia nelle scuole della mia zona perché venga insegnata una letteratura più alla portata dei “ragazzi” che non li allontani dalla letteratura ma li “avvicini”. L’approccio multietnico, multiculturale, multigender, andrebbe insegnato per icone e immagini, attraverso il rispetto e l’uguaglianza sì, ma con una prassi in grado di coinvolgere e non annoiare. Puoi educare, sì, al rispetto e all’esaltazione delle differenze, ma devi farlo tramite strumenti adeguati e un approccio pedagogico coinvolgente e adeguato ai tempi.
Ekerot fatto sta che anche il Canada c’è un numero di femminicidi molto ( alto) simile a quello italiano per cui mi sembra di poter ribadire che, mischiare l’ emotività legata alle morti violente, con altre problematiche “di genere”, è Si, un sistema semplice per attirare l’attenzione, però destinato a generare errori e fraintendimenti. Il decreto varato dal governo, sarebbe un es.,
ma pensa anche se il Tg titolasse. “ Femminicidio: il Governo impone il grembiulino verde mimetico per maschi e femminucce in tutti gli asili!”. La “gente non ti capirebbe certo, ma forse anche qualche giornalista illuminata, dell’Unità o della Stampa non ci arriverebbe alla prima.
A parte il femmincidio, personalmente ritengo che i gender gap esistono, fanno parte della realtà, i maschietti degli asili per es. per quanto tu li faccia preventivamente giocare con biberon e bambolotti, non potranno mai partorire ne allattare un figlio. Per cui certe iniziative educative, seppur mosse da nobili propositi, mi lasciano molto perplesso.
Comunque ti ringrazio per l’attenzione, mi dispiace che non capisci i miei messaggi, ci metto anche molto impegno a scriverli, ma capisco che la mia scarsa istruzione unita al fatto che spesso quando mi metto davanti al pc sono già stracco morto di mio, fanno si che ci si capisca poco.. Comunque se alla fine l’ effetto è maieutico, mi sta bene. Prendiamo quello.
Ciao,k.
Insomma, come dice K., i maschi hanno sempre ammazzato le donne quindi facciamocene una ragione. In compenso i maschi come K. spesso guidano ubriachi e muoiono in incidenti d’auto. E’ così e non ci si può fare niente, proprio come il femminicidio.