MIMOSE E MANDARINI

Bene, ci siamo. La vostra eccetera annuncia che durante le
feste di Natale non leggerà volumi freschi di stampa: non per snobismo, ma per
studio. Dal 1 gennaio, infatti, comincia l’avventura della “cosa”, che richiede il ricorso simultaneo a vecchi
studi e nuovissime consuetudini che non si trovano – solo – su carta.
Ma nel frattempo, gli auguri. Mi è complice Francesco
Longo
, che oggi ha firmato su Il Riformista l’articolo che vi posto
qui. Come al solito, e stavolta canonicamente, pacem in terris.

Leopardi a letto con i geloni ai piedi, Rilke a Tunisi,
d’Annunzio a scrivere per tutta la notte. Più gli scrittori ignorano il Natale,
più il Natale li travolge. La vita privata dei grandi autori è sempre eccezionale,
tranne durante i periodi di festa, quando i loro gesti tornano domestici:
regali da scartare, biglietti d’auguri da spedire. Champagne e panettoni.
   
Per venticinque anni consecutivi Rilke scrive lettere di
Natale alla madre. Ogni vigilia promette che la penserà alle sei in punto del
pomeriggio e le chiede di fare altrettanto: così avverrà il loro incontro
spirituale. Nel 1902 si trova a Parigi e si lamenta per la totale assenza di
atmosfera natalizia: “qui non fanno l’albero di Natale e tutta la gran festa
consiste nel mangiare oche gigantesche…”. Anche a Capri, dove Rilke passerà il Natale
qualche anno dopo, soffre per la stessa mancanza di un adeguato clima natalizio.
Fioriscono le rose, maturano le arance e l’isola è inondata del profumo dei
fiori e dalla bonaccia, e soprattutto: “abeti non se ne trovano”. Così decide
di addobbare un pino con delle rose e delle lucine. Il Natale sull’isola non è
però del tutto perduto. Si aggrapperà alle prove dei canti natalizi della
servitù, e agli zampognari che suonano antiche melodie. In poesia, non si scrivono
le taumaturgiche Elegie duinesi, se
non si amano gli alberi addobbati. E non si diventa un ‘guaritore d’anime’, se
prima non si regalano a figlia e madre macchine da cucire, e annuari di Lourdes.
E lui gliene fece dono.

D’Annunzio, habitué di party esclusivi, approfitta invece della
notte di Natale per lavorare. Il 24 dicembre del 1909 scrive al suo editore
Emilio Treves: “Buon Natale alla signora, a te, a tutti. Pensate a me che mi
rimetto al tavolino e ci resto fino alle dieci di domattina”. I Treves gli
hanno spedito un panettone “squisitissimo”, ma Gabriele resta alzato tutta la
notte per scrivere. Al mattino, prima di coricarsi si abbandona invece ai
piaceri del regalo: “Ne ho mangiata una enorme fetta, or ora, su la cartella
ancor calda…o fresca”.

Panettoni, Motta, ne riceve anche Pirandello. Solitario,
lontano dalla famiglia e decisamente disperato, nel 1930 trascorre un
amarissimo Natale a Parigi. Beve Champagne, sì, ma gli unici amici che conosce lì
sono ebrei e non festeggiano il Natale. Descrive così, a Marta Abba, la sua
vigilia: “la notte di Natale, la passerò qui solo, coi due ospiti inseparabili
della mia mensa, la tristezza e il silenzio”. L’unica speranza sembra essere
proprio Marta, a cui Pirandello, come faceva Rilke con la madre, richiede una
promessa. Marta dovrà pensare a lui, e se lo farà, anche solo un momento, lui
percepirà un sollievo: “Mi basterà questo, per essere contento”. Il panettone,
un “magnifico monumentale panettone Motta”, Marta glielo regalerà infatti solo
anni più tardi, dopo centinaia di lettere, nel 1935. E Luigi Pirandello
finalmente festeggia.

Lo scrittore più snob nella vita privata, e insieme, il
più mondano in letteratura, Proust fa di ogni rito un’epica. Se ogni minimo
evento contiene un universo, ogni tradizione è per lui una liturgia. La sua
sensibilità nei confronti del Natale è infatti quella di un teologo della
memoria. “Se fossimo creature solo razionali – scrive Proust nel 1898 – non
crederemmo agli anniversari, alle feste, alle reliquie, alle tombe. Ma siccome
siamo fatti anche un po’ di materia, ci piace credere ch’essa rappresenti
qualcosa anche nella realtà”. Secondo Proust già allora il Natale stava
perdendo di consistenza e tuttavia i ricordi, che negli anni si accumulano rendono
questa festa un’esperienza sempre più intensa. Alcuni elementi, i più classici,
partecipano a creare la magia unica del Natale: “il lume delle candele, il
malinconico ostacolo frapposto dalla neve e qualche desiderato arrivo, l’odore
dei suoi mandarini che impregna il tepore delle stanze, l’allegria del freddo e
del caminetto, i profumi del tè e delle mimose”. Presenze che evocano il Natale
tanto da fargli battere il cuore.

Non amava le feste natalizie invece Thomas Mann che non
capiva che gusto ci fosse nel ritrovarsi coi parenti. Tra le due guerre scrive
una lettera all’amico Ernst Bertram: “Quelle quattro o cinque mangiate che si
fanno in famiglia durante le feste, standosene poi seduti senza saper che fare,
sono un vero spavento”. Thomas Mann è ancora troppo preso dalle vicende di Hans
Castorp, dimentica anche di spedire gli auguri di Natale

Altro intellettuale, altri mondi letterari. Uno degli anni
in cui Hemingway non era a Parigi né sciava sulle Alpi, decise di trascorre il
Natale in Kenya. Tra elefanti e distese di mais che crescono con la pioggia, la
notte della vigilia di Natale una leonessa partorisce i suoi cuccioli. È il
1954. Ernest Hemingway si è fidanzato con una ragazza del luogo durante una
caccia al leopardo e non sembra soffrire affatto la mancanza dell’atmosfera
natalizia. La notte si alza dal letto e si fa un giro con la lancia in pugno, e
spia i leoni che uccidono le vacche. Hemingway è insomma l’esatto contrario di Rilke.
Anche a Rainer Maria Rilke, infatti, capitò di passare un Natale in Africa. E si
comportò in modo opposto. In Tunisia tentò, come poté, di ricreare l’ambiente adatto
per passare la festività. Provò a ricostruire un po’ d’atmosfera e ci riuscì.
Acquistò un pino, lo agghindò. Il pino irradiava tanta festa da sembrargli addirittura
grigio, grazie alla luce che emanava. Rilke quel giorno scrisse alla madre alcune
parole che sembrano di buon auspicio anche per il Natale 2006. “Qui ci sono
moschee, templi di un’altra fede, ma dello stesso Dio, lo si sente dal fervore
con cui la vita dei musulmani è scandita dalla religione. È un paese dalla fede
grande e appassionata, e non dobbiamo dimenticare come proprio in questa terra
il primo cristianesimo mise le sue forti radici”. Chiaro, no? Mai augurio di
Natale è sembrato più vicino al nostro del 2006. Curioso, tra l’altro, che fu
proprio a Tunisi che Rilke scoprì qual era uno dei tratti essenziali del Natale:
“Questo è il Natale: avvertire dentro di sé, una volta l’anno, questa
aspettativa, sentire che in fondo i nostri più grandi desideri, se solo apriamo
loro il nostro cuore, non possono non essere esauditi”. 

7 pensieri su “MIMOSE E MANDARINI

  1. più che col natale, rilke aveva problemi con la madre, ovvero, a distaccarsene. Credo. Almeno questo traspare dai suoi scritti, e dalla sua bruciatura nel fuoco della lettera alla madre conclusiva

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