NAOMI KLEIN E ISRAELE

Con attenzione, e cercando di liberare la mente, e di non reagire a caldo, io l’articolo di Naomi Klein sul boicottaggio lo leggerei. Anzi, l’ho letto su Megachip. Anzi, ve lo riporto.
È ora. Un momento che giunge dopo tanto tempo. La strategia migliore per porre fine alla sanguinosa occupazione è quella di far diventare Israele il bersaglio del tipo di movimento globale che pose fine all’apartheid in Sud Africa.
Nel luglio 2005 una grande coalizione di gruppi palestinesi delineò un piano proprio per far ciò. Si appellarono alla «gente di coscienza in tutto il mondo per imporre ampi boicottaggi e attuare iniziative di pressioni economiche contro Israele simili a quelle applicate al Sudafrica all’epoca dell’apartheid». Nasce così la campagna “Boicottaggio, ritiro degli investimenti e sanzioni” (Boycott, Divestment and Sanctions), BDS per brevità.
Ogni giorno che Israele martella Gaza spinge più persone a convertirsi alla causa BDS, e il discorso del cessate il fuoco non ce la fa a rallentarne lo slancio. Il sostegno sta emergendo persino tra gli ebrei israeliani. Proprio mentre è in corso l’assalto, circa 500 israeliani, decine dei quali artisti e studiosi rinomati, hanno inviato una lettera agli ambasciatori stranieri di stanza in Israele. La lettera chiede «l’adozione immediata di misure restrittive e sanzioni» e richiama un chiaro parallelismo con la lotta antiapartheid. «Il boicottaggio del Sud Africa fu efficace, Israele invece viene trattato con guanti di velluto…. Questo sostegno internazionale deve cessare.»
Tuttavia, molti ancora non ci riescono. Le ragioni sono complesse, emotive e comprensibili. E semplicemente non sono abbastanza buone. Le sanzioni economiche sono gli strumenti più efficaci dell’arsenale nonviolento. Arrendersi rasenta la complicità attiva. Qui di seguito le maggiori quattro obiezioni alla strategia BDS, seguita da contro-argomentazioni.
1. Le misure punitive alieneranno anziché convincere gli israeliani. Il mondo ha sperimentato quello che si chiamava “impegno costruttivo”. Ebbene, ha fallito in pieno. Dal 2006 Israele accresce costantemente la propria criminalità: l’espansione degli insediamenti, l’avvio di una scandalosa guerra contro il Libano e l’imposizione di punizioni collettive su Gaza attraverso un blocco brutale. Nonostante questa escalation, Israele non ha dovuto far fronte a misure punitive, ma anzi, al contrario: armi e 3 miliardi di dollari annui in aiuti che gli Stati Uniti inviano a Israele, tanto per cominciare. Durante questo periodo chiave, Israele ha goduto di un notevole miglioramento nelle sue relazioni diplomatiche, culturali e commerciali con moteplici altri alleati. Ad esempio, nel 2007, Israele è diventato il primo paese non latino-americano a firmare un accordo di libero scambio con il Mercosur. Nei primi nove mesi del 2008, le esportazioni israeliane verso il Canada sono aumentate del 45%. Un nuovo accordo di scambi commerciali con l’Unione europea è destinato a raddoppiare le esportazioni di Israele di preparati alimentari. E l’8 dicembre i ministri europei hanno “rafforzato” l’Accordo di Associazione UE-Israele, una ricompensa a lungo cercata da Gerusalemme.
È in questo contesto che i leader israeliani hanno iniziato la loro ultima guerra: fiduciosi di non dover affrontare costi significativi. È da rimarcare il fatto che in sette giorni di commercio durante la guerra, l’indice della Borsa di Tel Aviv è salito effettivamente del 10,7 per cento. Quando le carote non funzionano, i bastoni sono necessari.
2. Israele non è il Sud Africa. Naturalmente non lo è. La rilevanza del modello sudafricano è che dimostra che tattiche BDS possono essere efficaci quando le misure più deboli (le proteste, le petizioni, pressioni di corridoio) hanno fallito. Ed infatti permangono reminiscenze dell’apartheid profondamente desolanti: documenti di odentità con codici colorati e permessi di viaggio, case rase al suolo dai bulldozer e sfollamenti forzati, strade per soli coloni. Ronnie Kasrils, eminente uomo politico sudafricano, ha detto che l’architettura della segregazione da lui vista in Cisgiordania e a Gaza nel 2007 è  “infinitamente peggiore dell’apartheid”.
3. Perché mettere all’indice solo Israele, quando Stati Uniti, Gran Bretagna e altri paesi occidentali fanno le stesse cose in Iraq e in Afghanistan? Il boicottaggio non è un dogma, è una tattica. La ragione per cui la strategia BDS dovrebbe essere tentata contro Israele è pratica: in un paese così piccolo e così dipendente dal commercio potrebbe effettivamente funzionare.
4. Il boicottaggio allontana la comunicazione, c’è bisogno di più dialogo, non di meno. A questa obiezione risponderò con una mia storia personale. Per otto anni i miei libri sono stati pubblicati in Israele da una casa editrice commerciale chiamata Babel. Ma quando ho pubblicato “Shock Economy” ho voluto rispettare il boicottaggio. Su consiglio degli attivisti BDS, ho contattato un piccolo editore chiamato Andalus. Andalus è una casa editrice attivista, profondamente coinvolta nel movimento anti-occupazione ed è l’unico editore israeliano dedicato esclusivamente alla traduzione in ebraico di testi scritti in arabo. Abbiamo redatto un contratto che garantisce che tutti i proventi vadano al lavoro di Andalus, e nessuno per me. In altre parole, io sto boicottando l’economia di Israele, ma non gli israeliani.
Mettere in piedi questo programma ha comportato decine di telefonate, e-mail e messaggi istantanei, da Tel Aviv a Ramallah, a Parigi, a Toronto, a Gaza City. A mio avviso non appena si dà vita ad una strategia di boicottaggio il dialogo aumenta tremendamente. D’altronde, perché non dovrebbe? Costruire un movimento richiede infinite comunicazioni, come molti nella lotta antiapartheid ricordano bene. L’argomento secondo il quale sostenendo i boicottaggi ci taglieremo fuori l’un l’altro è particolarmente specioso data la gamma di tecnologie a basso costo alla portata delle nostre dita. Siamo sommersi dalla gamma di  modi di comunicare l’uno con l’altro oltre i confini nazionali. Nessun boicottaggio ci può fermare.
Proprio riguardo ad ora, parecchi orgogliosi sionisti si stanno preparando per un punto a loro favore: forse io non so che parecchi di quei giocattoli molto high-tech provengono da parchi di ricerca israeliani, leader mondiali nell’Infotech? Abbastanza vero, ma mica tutti. Alcuni giorni dopo l’assalto di Israele a Gaza, Richard Ramsey, direttore di una società britannica di telecomunicazioni, ha inviato una e-mail alla ditta israeliana di tecnologia MobileMax. «A causa dell’azione del governo israeliano degli ultimi giorni non saremo più in grado di prendere in considerazione fare affari con voi né con qualsiasi altra società israeliana.»
Quando è stato interpellato da The Nation, Ramsey ha affermato che la sua decisione non è stata politica. «Non possiamo permetterci di perdere neppure uno dei nostri clienti: è stata pura logica difensiva commerciale.»
È stato questo tipo di freddo calcolo che ha portato molte aziende a tirarsi fuori dal Sud Africa due decenni fa. Ed è proprio questo tipo di calcolo la nostra più realistica speranza di portare giustizia, così a lungo negata, alla Palestina.
Traduzione di Manlio Caciopo per Megachip
Articolo orginale: http://www.thenation.com/doc/20090126/klein?rel=hp_currently

42 pensieri su “NAOMI KLEIN E ISRAELE

  1. Non credo che funzionerebbe, nè credo che sia il modo giusto di dipingere la questione. Proprio perchè Israele non è il Sud Africa.
    E mi pare di insultare i sudafricani neri a paragonarli ad Hamas. Mi sembra sinceramente un modo ingenuo e di parte di trattare la questione – perchè non porta alla pace, ma incoraggia il conflitto in una zona in cui rapporti sono molto meno sbilanciati di quanto appaia da come in questo articolo sono raccontati.

  2. sintassi zoppa – perdonatemi.
    (Non volevo manco farlo questo commento, essendomi sgolata molto più diffusamente su altri blog. ma siccome sto sempre qui mi sentivo un po’vile a non dire niente)

  3. anch’io voglio rifletterci. ma quel che posso dire, è che mi sembra che non stia paragonando i sudafricani neri ad Hamas, ma ai palestinesi che vivono nella striscia di Gaza.

  4. L’identificazione palestinesi = Hamas è precisamente la trappola ideologica in cui vorrebbero farci cadere. Evitiamola, e cerchiamo di capire cosa sta dicendo Naomi Klein, e perché si sia tornati a proporre il boicottaggio (fuori da alcune nicchie di cittadinanza che lo ha sempre praticato, senza troppo clamore, fin dai tempi della prima Intifada).
    Il rafforzamento di Hamas è direttamente (e non inversamente) proporzionale alla violenza messa in campo da Israele e alle sofferenze subite dalla popolazione palestinese. Penso che l’establishment israeliano non abbia davvero interesse a debellare Hamas, perché l’esistenza di Hamas è un pretesto magnifico per scatenare l’inferno quando lo si giudica più opportuno. Del resto, la politica israeliana degli ultimi vent’anni ha fatto ogni mossa possibile per delegittimare qualunque forza laica nel campo palestinese, polarizzando le posizioni, facendo crescere Hamas.
    E infatti gli atti di guerra di Israele non debellano Hamas; fanno invece strage e strame di donne e – soprattutto – bambini. Chi resta vivo non credo se la prenda con Hamas e faccia accorti distinguo su chi ha cominciato per primo etc. Chi resta vivo se la prende con chi sta perpetrando l’eccidio, con chi sta commettendo crimini di guerra e contro l’umanità, con chi sta usando/testando (a quanto pare) armi proibite da ogni convenzione internazionale.
    L’eccidio, inoltre, viene dopo un crudele, disumanizzante blocco di Gaza, che ha fatto letteralmente morire di fame la gente, colpevole di aver liberamente votato per il partito non gradito da Israele. Perché i discorsi sulla democrazia valgono solo quando sono riferiti a Israele, mentre quando votano i suoi avversari si ricade subito nella figura retorica della “reductio ad hitlerum” (“Anche Hitler era stato votato dai tedeschi” etc.)
    Tutto questo accade prima nel silenzio complice (durante il blocco) e poi nel frastuono propagandistico di gran parte dei media europei e nordamericani.
    Ha ragione Robert Fisk: dopo questa catastrofe, torneremo a chiederci come mai “gli arabi”, “gli islamici” etc. odiano così tanto l’Occidente. E parleremo di Hamas, di quant’è forte Hamas, di che pericolo rappresenta Hamas, anziché delle angherie che subiscono ogni giorno i palestinesi. Che non soffrono meno dei neri sotto l’apartheid. E temo che a Gaza, in questi giorni, si stia ben peggio che nella Soweto di quei tempi.

  5. Ma io non credo neanche che il problema di questo conflitto sia solo Israele, e che Hamas sia sola contro Israele. Sono perplessa davanti a opinioni che sono molto unilaterali in questa vicenda e le trovo pericolose – perchè fomentano un conflitto. L’unidici settembre è soltanto qualcosa che è avvenuto per un problema preesistente, e non è che si proporrà solo adesso. E Israele è il luogo in cui l’11 di settembre cominciò nel 1948. Sono abbastanza d’accordo nel giudicare nefaste le scelte politiche di Israele degli ultimi vent’anni, ma non credo che siano gli unici responsabili.
    Penso a un’intervista preziosa che Edward Seid rilasciò nel 1999, e che lamentava per il popolo arabo e palestinese la mancanza di un’abitudine e un esercizio alla politica e alla rivendicazione dei propri diritti. Edward Seid – come devo dire molti arabi che conosco – era anche arrabbiatissimo e molto critico con la gestione del potere e delle lotte da parte di Harafat ai tempi dell’OLP: una specie di monarchia. Ora quello che temo è che se si penalizza solo Israele con un embargo, e gli si impone un negoziato con una controparte che non ha alcun interesse e logica e storia politica di negoziato, si vota non per la pace ma per un tentativo di cancellazione dello stato di Israele. Il che porta a diverse opzioni: la sua cancellazione effettiva, e sicuramente un rinnovamento esacerbato di un conflitto che travalicherebbe ancora di più quei confini.
    Proprio perchè la storia pregressa, i personaggi in gioco e gli interessi in corso (non solo USa, ma anche Siria, Libano, Egitto) diversi insomma l’esito sarebbe tutt’altro.
    Al di la del fatto che io – spero sia legittimo – ho sentimenti diversi nei confronti di ISraele, benchè rimanga tuttosommato filopalestinese – non so se sia davvero una scelta lungimirante sotto il profilo politico.
    Ma è anche vero che sono così esacerbata da questo conflitto, anche per questioni personali e di coinvolgimenti più o meno diretti – che forse oltre al cinismo e a una certa rassegnazione – non riesco ad andare. Il che naturalmente è solo problema mio.

  6. Non ho le idee chiare sulla proposta di boicottaggio, che ha i suoi pro e i suoi contro a seconda dei contesti, e comunque è una proposta, è articolata, non va liquidata in poche righe. Faccio comunque notare che l’embargo a Gaza ha trovato pochissime voci critiche, in Europa. L’opinione pubblica (questa specie di fantasma che ogni tanto si materializza e per il resto infesta vecchi edifici facendo tuttalpiù rumore di catene) se ne è stra-fottuta. E il lungo, crudele embargo all’Iraq tra le due guerre del Golfo non ha inumidito molti occhi. E l’embargo cinquantennale a Cuba etc. Se però qualcuno propone, civilmente, una pressione dal basso da parte dei cittadini, un boicottaggio dei prodotti israeliani che serva a far riflettere le élites di quel paese sul fatto che non tutti condividono le loro scelte, apriti cielo! Ho già visto in rete paragoni tra questo articolo della Klein e i cartelli appesi ai negozi del ghetto di Roma dopo le leggi razziali. Osceno, il ricorso sistematico e pavloviano alla “reductio ad holocaustum”…

  7. Ho l’impressione che nel dibattito si facciano delle approssimazioni e categorizzazioni un po’ grezze: Hamas, i plaestinesi, gli israeliani i soldati…Mi viene da chiedermi: quanti sono i plaestinesi che appoggiano l’idea di Hamas di lanciare razzi su Israele? Il 90%? Il 50? Il 10? L’1?
    Quanti israeliano sono d’accordo con l’incursione, di aria o di terra o entrambe? Non so se queste cifre sono note, ma in mancanza di tali informazioni tutti i ragionamenti su quest’argomento, soprattutto quelli politici, sono un po’ fragili. A meno che non si voglia sostenere che i palestinesi sono svantaggiati, affamati e muoiono di più e quindi hanno ragione loro, o che hanno ragione gli israeliani perchè hanno diritto di vivere in pace. Per ultimo, ad un eventuale boicottaggio ad Israele io ne aggiungerei per le stesse ragioni anche uno ai paesi che regalano i missili ad Hamas, visto che non credo se li costruiscano nella cantina di casa.

  8. Che io sappia, invece, i razzi Qassam sono proprio artigianali, auto-prodotti da Hamas. Dentro però ci va il tritolo, e quello va comprato.
    Secondo “Haaretz” (sondaggio telematico chiuso l’1 gennaio scorso) il 71% degli israeliani erano contrari a qualunque tregua. Il 19% del campione era per l’offensiva di terra, e il 52% per continuare a bombardare dal cielo.
    A Gaza, invece, dubito si sia in grado di organizzare sondaggi. Almeno non in questi giorni. Secondo molti osservatori, c’è da prevedere che il consenso per Hamas sia aumentato, e non di poco.
    Su Hamas può essere utile sentire una campana un po’ diversa dalla solita. Questo articolo ha fatto il giro della rete ma molti non lo hanno ancora visto:
    http://www.timesonline.co.uk/tol/comment/columnists/guest_contributors/article5420584.ece

  9. La reductio ad Holocaustum è una stronzata nei confronti di tutti, Olocausto di vì e arabi di la. E non mi pare proiprio il caso della Klein considerando lo stile e la misura con cui è scritta la proposta. Non tiriamola fuori perchè almeno fino adesso mi pare nessun commento ne ha posto la necessità.
    Quando un ebreo sente nell’atteggiamento filopalestinese una nota antisemita, a meno che non sia un invasato (anche se in effetti ce n’è) non lo fa per via dell’opinione tout court, ma per certi segnali allarmanti che arrrivano nel modo e nei livori con cui questa opinione è espressa. Parlarne ci porterebbe lontano – qui non ne leggo e mi rincuora. (vabbè so ebrea forse se sapeva, ma ho anche tanti contatti col mondo arabo e palestinese). Certo è che oltre alla conoscenza della proposta di Klein mi sembra importante una attenta analisi delle condizioni politiche della posta ingioco degli esiti che si vogliono raggiungere. In questa direzione trovo l’intervento di Andrea utile.

  10. Pare in realtà che farsi da sé il tritolo sia abbastanza semplice, basta procurarsi del toluene (idrocarburo aromatico molto presente nelle nostre vite, normalmente usato come solvente e presente pure nella benzina) e una miscela di acido nitrico e solforico. Insomma, farsi un razzo Qassam è quasi un gioco da ragazzi se uno ha il know-how. Roba da “Piccolo chimico”. Bisognerebbe quindi boicottare chi vende a un palestinese toluene, acido nitrico e acido solforico. Mi sa che è un casino.

  11. Scusa Wu Ming1, ma la mia formazione scientifica mi impedisce di credere che Hamas si faccia anche il tritolo (anche sui razzi avrei i miei dubbi, ma forse non sono bene informato).
    Un conto è poter fare qualcosa, un altro e farla veramente e in quantità adatte agli scopi. E’ un po’ la stessa storia delle armi batteriologiche: in principio per far crescere in coltura colera, peste o quant’altro non ci vuole molto, ma nella realtà non è affatto così semplice.

  12. Sempre peggio. La solfa è la stessa: Israele scaraventato nelle peggiori categorie del male e i poveri palestinesi elevati a martiri vittime della barbarie. Non citate i bambini per dimostrare le vostre infondate tesi. Lasciate stare quelle povere creature. Di loro si sta facendo un uso davvero criminale. E’ vomitevole, miserevole, vedere in foto propagandistiche le loro faccie tristi, i loro volti tragicamente coinvolti. Basta con la pigrizia intellettuale che sa solo produrre scoloriti slogans, occorre un pò più di impegno intellettuale per analizzare meglio la situazione, nell’interesse soprattutto di coloro che sono immersi nel dramma. Su Hamas che altro dobbiamo sapere. E’ chiaramente un’organizzazione che fonda la sua politica su tesi radicalmente opposte e inconciliabili con l’idea di una convivenza pacifica tra palestinesi e israeliani. Razzi o non razzi questo è il vero problema. La storia degli ultimi anni ci ha ampiamente dimostrato che il nodo da sciogliere è interno al mondo palestinese, condizionato fortemente da Stati come la Siria, l’Iran che hanno come priorità l’eliminazione dello stato di Israele.

  13. “Basta con la pigrizia intellettuale!”
    “Su Hamas che altro dobbiamo sapere”

    Ecco, forse la prima cosa da fare sarebbe abbandonare l’uso di due pesi e due misure. Se da entrambi i lati si accusano gli altri di ragionare in maniera unilaterale, e poi non si è coerenti, questo tipo di accuse diventano solo profezie autoavveranti.
    Ma il guaio, secondo me, è che troppe volte si pensa che ragionare in maniera equilibrata vuol dire equiparare i diritti, i doveri, gli errori e i meriti di entrambe le parti, dimenticando che in Medio Oriente c’è una situazione di squilibrio di potere, a tutti i livelli. E’ chiaro che i metodi terroristici di Hamas non sono più accettabili di quelli dell’esercito israeliano, o che la negazione del diritto di Israele a esistere fa il paio con l’occupazione di territori di diritto palestinesi. Ma questo non deve far dimenticare che i metodi di Hamas hanno fatto, negli ultimi anni, meno morti di quanti ne ha fatti Israele in un mese di offensiva; che Hamas rappresenta una fazione dei palestinesi, che il governo israeliano, proprio perché democraticamente eletto, è rappresentativo di tutta la nazione Israele; che la negazione di Israele da parte di Hamas è una dichiarazione politica, poco suscettibile di tramutarsi in realtà, mentre l’occupazione dei territori palestinesi è un dato di fatto. Detto in una frase, Israele è in una posizione di maggior potere, e di maggior violazione del diritto internazionale, dei palestinesi, e ha più strumenti di azione (visto che l’ANP è collassata, oltre che per la propria corruzione interna, anche per essere stata totalmente delegittimata da Sharon PRIMA che Hamas vincesse le elezioni); quindi oggi, secondo me, i doveri che Israele deve assumersi nel processo di pace sono ben maggiori di quelli della controparte.

  14. “la mia formazione scientifica mi impedisce di credere che Hamas si faccia anche il tritolo (anche sui razzi avrei i miei dubbi, ma forse non sono bene informato)”
    http://en.wikipedia.org/wiki/Qassam_rocket
    Cito solo un passaggio:
    “The aim of the Qassam rocket design appears to be ease and speed of manufacture, using common tools and components. To this end, the rockets are propelled by a solid mixture of sugar and a widely available fertilizer, potassium nitrate. The warhead is filled with smuggled or scavenged TNT and another common fertilizer, urea nitrate.
    The rocket consists of a steel cylinder, containing a rectangular block of the propellant. A steel plate which forms and supports the nozzles is spot-welded to the base of the cylinder. The warhead consists of a simple metal shell surrounding the explosives, and is triggered by a fuze constructed using a simple firearm cartridge, a spring and a nail.”
    Questa ricerchina su google l’ho fatta io, ma potevi ben farla anche te, soccmel. Cos’è, una forma di delega? :-I

  15. “Stati come la Siria, l’Iran che hanno come priorità l’eliminazione dello stato di Israele”
    Premetto che il regime al potere in Iran mi causa sincero ribrezzo, come mi causa ribrezzo qualunque regime teocratico o comunque confessionale (da Teheran a capitali mooolto più vicine a noi).
    Detto questo, leggo:
    “Stati come la Siria, l’Iran che hanno come priorità l’eliminazione dello stato di Israele”
    Immagino che, nel dare per scontata questa fantomatica priorità iraniana, tu ti basi sul famoso discorso di Ahmadinejad etc. etc. etc. blah blah blah.
    Peccato che quella sia stata un’operazione di distorsione dell’informazione basata su una frase tradotta ad usum dei bellicisti occidentali.
    Cito da un articolo di Jonathan Steele apparso su “The Guardian” il 6 giugno 2006.
    —inizio citazione—
    Now we face a […] propaganda distortion of remarks by Iran’s president. Ask anyone in Washington, London or Tel Aviv if they can cite any phrase uttered by Mahmoud Ahmadinejad and the chances are high they will say he wants Israel “wiped off the map”.
    […]The remarks are not out of context. They are wrong, pure and simple. Ahmadinejad never said them. Farsi speakers have pointed out that he was mistranslated. The Iranian president was quoting an ancient statement by Iran’s first Islamist leader, the late Ayatollah Khomeini, that “this regime occupying Jerusalem must vanish from the page of time” just as the Shah’s regime in Iran had vanished.
    He was not making a military threat. He was calling for an end to the occupation of Jerusalem at some point in the future. The “page of time” phrase suggests he did not expect it to happen soon. There was no implication that either Khomeini, when he first made the statement, or Ahmadinejad, in repeating it, felt it was imminent, or that Iran would be involved in bringing it about.
    But the propaganda damage was done, and western hawks bracket the Iranian president with Hitler as though he wants to exterminate Jews. At the recent annual convention of the American Israel Public Affairs Committee, a powerful lobby group, huge screens switched between pictures of Ahmadinejad making the false “wiping off the map” statement and a ranting Hitler.
    —fine citazione—
    “Questo regime che occupa Gerusalemme deve svanire dalla pagina del tempo” non ha per niente lo stesso significato di “Lo stato di Israele deve scomparire dalla mappa”.

  16. Grazie per la citazione, pensavo l’avessi sotto mano, visto che l’avevi scritto, non volevo farti faticare su google 🙂
    Cmq anche dopo la lettura mi rimane il dubbio sull’origine del TNT.

  17. Sull’Iran e Ahmadinejad: all’inizio del nuovo secolo, all’interno della società politica iraniana, era in corso un braccio di ferro tra i cosiddetti “riformatori”, espressione della borghesia e degli studenti universitari, propensi a relazioni più amichevoli verso l’occidente, e i cosiddetti “integralisti”, espressione della parte meno benestante del paese, propensi a relazioni più ostili verso l’occidente. (So di star tagliando le categorie col machete, ma passatemelo, non è un pezzo per “Limes”). Il dogma di una lungimirante politica occidentale (sto guardando le cose dal punto di vista dei governi) sarebbe dovuto essere la creazione di un clima favorevole al successo elettorale dei “riformatori”; senza una fondata ragione, sarebbe stato saggio posticipare qualsivoglia azione ostile nei confronti dei paesi confinanti con l’Iran. Era ovvio che l’invasione dell’Irak alla vigilia delle elezioni iraniane avrebbe favorito la vittoria di Ahmadinejad. Il quale, per inciso, è molto abile a tenere alto il consenso con dichiarazioni ad effetto (alla Borghezio o alla Calderli, quando occorre), alle quali non seguono fatti concreti. Così non è stato: l’Irak è stato invaso e la crisi mondiale è stata posticipata di un lustro, al prezzo che è oggi sotto gli occhi di tutti.
    Morale della storia, parafrasando il subcomandante Marcos: domani nessuno si domanderà chi raccoglie cosa ha seminato. Ma anche se nessuno se lo domanderà, accadrà lo stesso. Questa guerra di sterminio provocherà altri morti, altre reazioni, oltre a buoni bilanci per l’industria bellica israeliana e voti per gli attuali governanti alle prossime elezioni. Tra cinque anni qualcuno si lamenterà delle nuove bombe sugli autobus, della nuova guerra, dell’instabilità del quadro mediorientale. Io non credo che i governanti e i militari di Israele siano così miopi da non saperlo: hanno evidentemente messo in conto che lo stato di guerra permanente può servire da collante per un governo che, come tutti gli altri, non ha alcuno strumento utile per affrontare le ripercussioni interne della crisi globale, tema che sarebbe all’ordine del giorno se venisse stipulato un accordo orientato al ritorno delle parti sulle posizioni del 1967 (accordo che avrebbe il consenso dei paesi arabi, e che Hamas stesso aveva dichiarato di essere disponibile a firmare). Così facendo, Israele lancia un pericoloso segnale all’intero occidente su quale strategia potrebbe essere attivata per far fronte alla crisi.

  18. Le guerre sante le vogliono coloro che ad ogni argomento geopolitico riguardante l’area medio-orientale premettono rumorosamente e confusamente le colpe degli occidentali. La guerra permanente la vogliono coloro che considerano Israele uno Stato poggiato su di un territorio usurpato ai palestinesi. La guerra la vogliono coloro che non hanno la forza culturale di mettere in discussione vecchi e usurati schemi di interpretazione di tutte le vicende del mondo. Ecco, un ottimo anti-depressivo è tentare di evitare d’imbattersi in ragionamenti ammuffiti, in tesi che la storia ha declassato a propaganda e demagogia politica.

  19. @ WM1
    Majal, se lo foste!
    @ dinosauro
    Mi sono perso qualcosa, colpa delle mie tesi storiche declassate a propaganda e demagogia politica: dove sono poi finite le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein?

  20. di quanto se ne parlerà ancora di queste cose? fra quanti anni si sarà a dire le stesse cose? ormai la letteratura è un’appendice. Rispetto Loredana ma mi sto sto stufando un pò di queste cose e anche a ruota di Carmilla, lo so prchè questo serve la gogna, la verità è che me ne sbatto e perchè adoro la gogna, almeno è inattuale non è storia condita dalla storiam non è tutto quello che ripetitivamente si ripete, sì mi si ignorerà, tutti ignorano tuttim queste sono assoli travestiti da discussioni, “e allora perchè non te ne vai”? boh

  21. @ william dollace
    libero di stufarti e leggere altro, ci mancherebbe: ma tutto quello che di “letterario” viene postato su Carmilla è politico, e tutto quello di “politico” è letterario. Senza separé, senza ma e senza se.
    @ gianni biondillo
    In effetti almeno una è stata trovata, era nascosta in quell’Ops, I made a mistake pronunciato da G.W. Bush pochi giorni fa: l’imbecillità. la peggiore delle armi di distruzione di massa.

  22. è la politica che non è letteratura, guarda che non sono venuto a rompere i co…oni, non sono della fazione dei no e dei sì, sto dicendo delle cose che probabilmente nemmeno so, e che sono talmente “così” ma anche “no” che potremmo essere o proiettarci nell’aeroSpago e parlarne fino ad oggi, detto questo ci mancherebbe tu non scrivessi tutto quello che ti pare, ci mancherebbe proprio, ma visto che i commenti sono aperti ho detto qualcosa, stronzate probabilmente? può darsi, insomma, lascio la parola a commenti ben più ponderati. Con comunque rispetto. w.
    insomma mi sembrava che se qui non mi andasse una cosa si potesse dirla, certo con più garbo. scusa

  23. La letteratura è SEMPRE politica, altrimenti non esisterebbe. La letteratura viene scritta nella pòlis, nella città/civiltà/comunità. Viene scritta da qualcuno che vive nella pòlis affinché, sempre nella pòlis, qualcun altro la legga (se non vuoi che nessuno legga allora non scrivi, chi afferma di “scrivere per se stesso” mente), così si stabilisca o rafforzi un legame (non a caso “leggere” e “legare” in origine sono lo stesso verbo), o magari per *rompere* quel legame al fine di crearne uno completamente nuovo. In ogni caso è un’azione politica (politico = inerente alla vita della pòlis).

  24. non volendo cadere nella cazzo di “reductio ad holocaustum” che tanto spaventa sta ming mi/vi pongo un quesito. Ma perchè quando israele bombarda (ed io per chiarirci e semplificare la questione sono per i palestinesi), dalle fogne intelletuali e non solo saltano fuori, nazisti dichiarati, negazionisti, cattolici utranzisti, sinistri confusi e altre schifezze? A me la compagnia di certa gente da sinceramente fastidio.

  25. la letteratura è sempre politica e anche l’arte: quindi in italia si dovrebbe scrivere solo fantascienza? 🙂 il problema della letteratura è di non essere ‘pensiero unico’, sia di destra sia di sinistra, sempre che in italia esiste questa distinzione. non so. faranno anche le tessere per la lettura? esiste anche l’arte come momento ludico, oppure anche qui è tutto ingabbiato e precostituito?

  26. Bimodale, sinceramente mi fa un po’ specie che, associando la lettura alla politica, tu chieda “faranno anche le tessere per la lettura”. Qua siamo al solito equivoco tra politica e partiti, come se la prima fosse possibile solo nei secondi, quando invece i partiti sono un prodotto (uno dei tanti esistenti e degli infiniti possibili) dell’attività politica. Senza contare poi che con il termine partito indichiamo molte cose, a meno di non voler pensare che a livello strutturale non ci sia differenza tra democratici Usa e democratici italiani, e tra questi e il vecchio Pci, o tra i partiti occidentali e quelli orientali, e via dicendo.
    Dire che tutto è politico non vuol dire inquadrare le espressioni culturali in questo o in quel partito o corrente, ma analizzarli nell’ambito di un contesto sociale più ampio. Almeno, così la vedo io, anche se mi pare che nessuno di quelli che in questo commenti ha sostenuto la politicità dell’arte sia iscritto o propagandista di qualche partito, semmai sostenitore di determinate idee, a conferma di quanto ho detto prima

  27. Sì, certo, tutto è politico, questo è l’ABC. Persino il rifiuto della politica è politico. Commenti come i tuoi, ad esempio, sono politici, si incalano in quella vasta corrente ideologica a volte chiamata “qualunquismo”. Ogni scelta che ci mette a contatto con gli altri in un certo modo anziché in un altro è una scelta politica. “Politico” è tutto ciò che ha a che fare con la vita associata nella pòlis. Poi c’è la “politica politicata”, quella che intendi tu, che è forse meno dell’1% di quella che intende chi ha scritto sopra.

  28. grazie wu e anghelos, era una piccola provocazione qualunque, in realtà proprio nei miei reading faccio intermezzi politici, e molto scrissi, quando pensavo di essere un buon lettore, contro la fantapolitica dello spilungone di arcore. semo animali sociali e poli-etici.
    p.s.
    ma tu sei wu ming quello vero? 🙂

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