NEL FRATTEMPO

Bisognerebbe saperlo fare. Bisognerebbe superare tutti i discorsi inutili, i personalismi, i narcisismi, il desiderio di dire tutto e subito, senza aspettare di capire davvero. Bisognerebbe trovare il modo di camminare insieme. Bisognerebbe saper dimenticare e ricominciare. Bisognerebbe saper ascoltare, capire, incontrarsi. Prendersi tempo, darlo agli altri.
Da ieri sera penso a Carmela che esce dalla scuola dove fa la supplente, alla fotografia che sul giornale di oggi la mostra davanti a una torta di compleanno bianca, rossa e verde. Compie 46 anni, in quella foto, e non ci saranno altre torte, altri coprispalle color lilla che le stanno così bene, altri trucchi leggeri per il suo bel viso. Non ci saranno colazioni con i figli, non ci saranno ammonimenti ad alzarsi, calzini appallottolati da raccogliere negli angoli della stanza, perché gli adolescenti sono tutti così, seminano pezzetti di sé ovunque. Non ci saranno raffreddori da curare, cioccolate calde da mescolare per non far venire i grumi, non ci saranno sveglie che suonano e fuori piove e come sarebbe bello restare altri dieci minuti raggomitolate sotto il plaid, perché ha cominciato a fare freddo. Non ci saranno feste di Halloween e inviti a non fare troppo tardi per favore. Non ci saranno regali di Natale. Non ci saranno pomeriggi con le amiche. Aperitivi. Telefonate. Libri sul comodino. Film che ti fanno fare le ore piccole anche se devi lavorare. Una musica che ti blocca mentre pieghi i panni asciutti e ti fa ricordare com’eri da ragazza, quando ogni passo futuro si srotolava davanti a te come un tappeto luminoso. Non ci saranno doloretti alle ossa. Un ombretto nuovo. Un fazzolettino di carta dimenticato nella tasca.
Carmela è stata ammazzata con due colpi, uno al petto, uno alla testa, dal marito che non accettava la separazione.
Non conta neanche più il numero, femminicidio numero nonsocosa, non importa, perché poi si ricomincia con il presunto fact checking, e quelli che dicono ma allora gli uomini che muoiono, e quelle che dicono dannate femministe moraliste vittimarie è colpa pure vostra, e quelle che usano femminicidio come una battuta simpatica, che poi si vien retwittate, e quelle e quelli che hanno la risposta pronta per tutto, l’analisi perfetta, mai un dubbio, mai un capello fuori posto.
Nel frattempo, mentre noi si discute su appelli e manifestazioni, mentre noi si firma o non si firma e si viene sollecitate a dire la propria su tutto, le mestruazioni e i corsi sull’identità di genere, i talebani anti-gender e le discriminazioni delle donne nel mondo, nell’arte, nella matematica, su Plutone. Mentre si tenta di ascoltare tutte senza accontentare nessuna. Mentre avviene tutto questo, nessuna di noi che scriviamo appelli e organizziamo manifestazioni e progettiamo libri, ha potuto far nulla. Carmela ha fatto tre passi, e al quarto ha incontrato la canna di una pistola.
E domani, mentre nella sua casa ci sarà ancora il suo odore, per poco, prima di svanire per sempre, penseremo a un altro post, un altro status, un altro appello, un altro libro.
Quale forza dovremmo avere, perché non accada ancora? Quali sono stati i nostri errori, perché è accaduto di nuovo?

7 pensieri su “NEL FRATTEMPO

  1. Addio mia quasi coetanea collega. Oggi leggeró in classe questa lettera di Loredana che mi ha fatto piangere come un vitello e tremare come una foglia.

  2. E’ che noi donne continuiamo a farci domande, mentre per gli uomini, anche i nostri, anche quelli non violenti, la violenza di genere resta qualcosa di privato di cui non parlare né tra uomini né in pubblico.
    Nessuna indignazione di massa, nessun senso di responsabilità su larga scala, nessuna urgenza educativa condivisa pubblicamente se non in rari casi. Pietosa indifferenza.

  3. Il più delle volte la scelta coraggiosa di una donna non è riconosciuta come valore di dignità ma stuzzica atroci vendette anche negli uomini civili solo in facciata, razionali solo per calcolare più a fondo il modo più sicuro per lasciare il segno. Molto bella la passione con cui hai scritto questa lettera alla quale mi associo. Mirka

  4. Il pronto soccorso di un grande ospedale è un luogo sporco di vita, di preoccupazioni, certo, nessuno si diverte al pronto soccorso di un grande ospedale, si sopporta, si stringono i denti, si brontola, si discute, si telefona o altro che io non so, qualcuno si addormenta; due ragazzi, lei con la caviglia gonfia, ridono piano e si soffiano parole, hanno occhi e mani d’ansia, hanno il mare; auguro loro un giorno, quando la vita li avrà passati al setaccio, di ricordare questo pomeriggio al pronto soccorso. Felici, perché no? Il pronto soccorso di un grande ospedale è un luogo ricolmo di vita, forse per questo, il posto occupato con uno straccio rosso mi coglie alla sprovvista. Due donne della mia città, ieri non hanno avuto la grazia di passare di qua le hanno portate di sotto dove c’è il silenzio, dove c’è il freddo, dove c’è pulizia, dove c’è il bianco, dove c’è la morte. E piango. Piango come un uomo, piango come una donna, perché il dolore questo è. E a volte vorrei chiedere scusa di esserlo: uomo; ecco anche oggi è una di quelle volte. grazie e scusa.

  5. Non c’è bisogno che ti dica come mi sento quando non c’è una casa dove andare perché una donna possa separarsi sentendosi – o meglio cercando di mettersi – al sicuro, o quando devo sottolineare che non voglio mettere paura, ma, insomma, i segnali possono indicare un grosso rischio, augurandomi che quella donna davanti a me non sia la prossima a finire su un giornale. Per una che muore così ce ne sono migliaia che rischiano ogni giorno. Addolora il fatto che la strada per uscirne è nota, ma vediamo ogni giorno con che accanimento la si ostacola.

  6. Ho visto , ahimè , nelle mie famiglie uomini violenti. Ho ascoltato i racconti di mia mamma . Quando non é stata fisica , quando non si sono alzate le mani sono stati lo sguardo, le parole come coltelli . Non posso pensare ad errori , se non in una natura aggressiva che fa urlare ancora la mia rabbia.

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