Su Repubblica di sabato è uscito questo articolo, con chiacchierata fra Wu Ming 1 e la vostra eccetera. Posto.
Marzo, un anno fa: con tre parole, New Italian Epic, si avvia uno dei più importanti tentativi di sistematizzazione di quanto di nuovo è apparso nella narrativa italiana degli ultimi quindici anni. Quello che nasce dai Wu Ming non è in alcun modo un manifesto letterario, non somiglia alle antiche correnti o non si pone come frattura nei confronti della tradizione: non, almeno, nel senso canonico. E non nasce all’improvviso: da anni, nei siti e blog a carattere letterario si avvertivano le avvisaglie di un fenomeno che non aveva ancora un nome, ma che possedeva tratti comuni. Nascevano opere difficilmente identificabili nella struttura-romanzo. Si intensificava l’attenzione nei confronti della storia da parte di autori eterogenei. Tornavano narrazioni di ampio respiro e non concentrate esclusivamente sul quotidiano.
A raccogliere questi e altri stimoli è un memorandum pubblicato sul sito dei Wu Ming, a sua volta elaborazione dell’intervento di Wu Ming 1 ad un workshop sulla letteratura italiana presso la McGill University di Montréal. Il termine New Italian Epic viene usato per la prima volta in quella circostanza, viene ripreso nei giorni successivi in altre due università nordamericane e infine rilanciato on line. Il memorandum viene scaricato (quarantacinquemila i download complessivi al momento), commentato, arricchito di altri interventi (Carlo Lucarelli, Massimo Carlotto, Valerio Evangelisti, Giancarlo De Cataldo, Antonio Scurati, Giuseppe Genna, Giovanni Maria Bellu e moltissimi altri), approda sulle pagine di quotidiani e nelle aule di altre università italiane e straniere. Conosce postille, aggiornamenti, polemiche. Diventa, infine, libro, con il titolo New Italian Epic- Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro (Einaudi Stile Libero, pagg. 203, euro 14,50), che include anche un intervento successivo, Noi dobbiamo essere i genitori, sul rapporto fra tradizione e ri-fondazione letteraria, e La salvezza di Euridice, di Wu Ming 2, su storie, mito, filosofia pop.
Ad essere presa in esame è appunto quella “nebulosa” di opere fitte di rimandi e di affinità provenienti da autori decisamente diversi fra loro: Roberto Saviano e Andrea Camilleri, Luigi Guarnieri e Alessandro Zaccuri, Enrico Brizzi e Letizia Muratori. Caratteristica comune, sia pur variamente declinata, è quella etica: che Wu Ming identifica in un “senso di responsabilità” che porta a rifiutare, soprattutto, l’uso postmoderno dell’ironia. No, dunque, al distacco, al gelo, a quelle che Spinoza chiamava le “passioni tristi”. “L’ironia – dice Wu Ming 1- è sempre esistita, come figura retorica e atteggiamento. A volte è molto utile e persino necessaria. Il problema è un ricorso all’ironia ininterrotto e sistematico. Se ogni volta che parli segnali che la tua parola non ha peso né valore, si allarga sempre più la distanza tra quel che dici e quel che provi. Questa iper-ironia è solo un’ipocrisia più furba”. Narratori etici, dunque, ancor prima che epici: “”Epos” in greco antico significa “racconto”, “storia”, ma anche “promessa”, “parola data”, “profezia”, “messaggio divino”, “contenuto di un discorso”, “significato”. L’epica di cui parlo è fatta di narrazione, assunzione di responsabilità, visione del futuro, comunicazione con altri mondi e messaggio alla comunità”.
A rappresentare con forza questo significato di epica sono, per esempio, quelli che Wu Ming chiama gli UNO, Unidentified Narrative Objects. I libri che non si saprebbe se collocare sullo scaffale della narrativa o quello della saggistica. Gomorra, su tutti. E ,dopo Gomorra, le cose sono cambiate: “Tanti libri che alla loro uscita non erano romanzi, oggi sono ritenuti tali. L’idea di romanzo si evolve, è mutagena e cangiante. Nel corpus del NIE ci sono tanti “oggetti non-identificati”, dallo statuto indecidibile. Domani saranno romanzi. Chiedersi perché oggi non lo siano può svelarci molte cose. Per Gomorra è quasi fatta, è un romanzo del futuro prossimo. Forse anche I fantasmi di Portopalo”.
Curiosamente, il New Italian Epic è stato interpretato dagli oppositori non come ponte fra opere diverse (e tempi diversi), ma come un ritorno al realismo letterario (ipotesi difficile, dal momento che nei testi citati appaiono lupi magici, televisori parlanti, lemuri telepatici, gatti pensatori e anche morti ritornanti) e ad una semplificazione del linguaggio. Nel saggio, invece, si parla addirittura di “sovversione linguistica”. Nascosta, però. “Pensiamo a Profondo rosso – spiega Wu Ming 1 – , allo specchio nel corridoio. La prima volta passi di corsa e non ci fai caso, ma un barlume rimane in coda all’occhio. Passi di nuovo, e capisci: era il volto dell’assassino. Stiamo tentando una lingua fruibile, perturbante e memorabile. Finita la lettura, resta un riverbero impigliato nei nervi, poi torni alle pagine e capisci: il testo è più complesso di quel che credevi”.
Il lavoro di analisi sui testi non si ferma con la pubblicazione del saggio cartaceo: che è, semmai, un tassello ulteriore per allargare la ricezione di contenuti già noti on line. E proseguirà anche su testi del passato, a dimostrazione che il New Italian Epic non intende essere l’omicidio del vecchio, ma semmai il suo riconoscimento nel nuovo. “A Marinetti preferisco Coltrane – conclude Wu Ming 1 – Coltrane fu oltranzista e futuribile, e al tempo stesso un figlio della tradizione, anche di un passato ancestrale. Si inarcava all’indietro, prendeva antichi canti yoruba e li usava per innovazioni sbalorditive. L’avanguardia afro-americana non volle mai uccidere il chiaro di luna, e non voglio farlo nemmeno io”.
Il tuo presupposto o pregiudizio comunicativo, che già di per sé nega qualsiasi comunicazione è dirmi: stai mentendo! Parli di cose che non hai letto! Ma sorvoliamo su questo! Passo alle tue osservazioni più specifiche. Chi ti ha detto che non frequento il romanzo italiano? li ho letti tutti quelli che hai citato e proprio perché li ho letti ne posso parlare e mi rimangono dentro sopratutto quelli che ho dichiarato di cercare altrove. Questo non significa che nella letteratura contemporanea italiana non ci sia nulla da prendere, ma la ridimensionerei molto e non considero questo un periodo felice per gli scrittori italiani. Non è un argomento ovviamente il mio, che richiederebbe tanto tempo per svolgerlo. E’ il mio giudizio.
Sulla diminuizione autoriale. Questo mantra che tu dici gira da una buona decina di mesi, a mio parere, per molteplici ragioni, non mi risulta credibile, leggendo anche il libro ne ho percepito (a torto o a ragione non lo so ma è ciò che finora ne ho ricavato) solo l’evanescenza e l’illusione di chi lo proclama (magari in buona fede, preferisco per principio accordare sempre la buona fede allo scrittore, meno ai responsabili di certe collane e operazioni editoriali), dal tessuto anche espressivo del contenuto ne ho ricavato un tentativo di giustificare certe scelte – cosa di cui non ce ne sarebbe bisogno se solo si avesse un maggiore coraggio nello sguardo retrospettivo rispetto alla propria produzione e si possedesse veramente la distanza autoriale e il focus solo sulle opere. Non basta dirlo per renderlo vero!
L’arzigogolo finale su Benn come lo chiami te, è per me messo lì non a caso visto che è un autore che esprime altrimenti l’idea del narratore etico. Ma forse non lo hai letto e quindi pensi che qui è fuori luogo.
E poi pensavo conoscessi bene la storia dell’Einaudi su Benn. Niente di grave se la ignori, ma non scrivo nulla a casaccio, tanto per riempire uno spazio. Cmq non posso ora dilungarmi, ma se può solo vagamente interessarti la mia idea sulla posizione etica del narratore o scrittore ti rimando all’ultimo capitolo del libro Romanzi di Cesare De Marchi.
Probabilmente non riuscirò a leggere se non domani altre tue o altrui presenze in questi post, se hai qualcosa da spiegarmi sulle tue idee evitando di premettere in maniera pregiudiziale che non ho letto, che non è pertinente, che non si si di cosa parlo, che non capisco eccetera eccetera, ti leggerò con piacere. In fondo il tuo libro l’ho comprato e me lo sono letto tutto perchè la questione mi interessava e m’interessa e ritengo che meriterei più rispetto. Poi, fai come credi, le conversazioni si possono sempre interrompere e senza rancore o risentimento.
La vicenda editoriale di Benn c’è modo e modo di tirarla fuori, e la pertinenza dipende dal come lo si fa. La pertinenza non è un a priori, è il contesto a stabilirla. Per dirla con Greimas: l’isotopia della discussione. Buttare lì una citazione come superflua vanteria da acculturato, come strizzata d’occhio, senza darsi la pena di spiegare alcunché al “volgo” perché tanto nulla sa né nulla potrà mai capire, rende di fatto il riferimento inutilizzabile e quindi non pertinente, anzi, non pervenuto.
Brutto è, quando non si sa l’inglese, sentire di un bel giallo inglese che non è tradotto in tedesco. Ecco, o traduci a beneficio di chi ci segue, o lasci il tempo che trovi.
Che tu non abbia letto la discussione qui sopra, scusami, ma è oggettivo, altrimenti non avresti usato quel tono nel dire: gli oggetti narrativi ci sono sempre stati. Grazie, senza di te non lo avremmo mai saputo.
Ora: perché non confrontarsi senza schermi sul concreto delle opere (dato che le hai lette tutte quante e ne hai tratto conclusioni molto decise) e di come le ho comparate e se esista o meno questa “nebulosa”, oppure se esista ma non come l’ho intesa io? Perché non fare questo, stando nel merito, anziché astrarre sempre, tenersi costantemente sul generale (e quindi sul generico), fare inutile sfoggio di erudizione etc.? Io ho messo in condivisione degli appunti perché se ne potesse discutere, e infatti se ne discute.
Tu hai preso molti appunti mentre leggevi New Italian Epic. Bene, ricopiali qui. Mettili in condivisione anche tu, così possiamo capire cosa contesti, cosa non ti convince etc.
P.S. E comunque è evidente che, in cima alla scala, un secchio di letame attende tutti noi.
“Buttare lì una citazione come superflua vanteria da acculturato, come strizzata d’occhio, senza darsi la pena di spiegare alcunché al “volgo” perché tanto nulla sa né nulla potrà mai capire, rende di fatto il riferimento inutilizzabile e quindi non pertinente, anzi, non pervenuto.”
E’ quello che ho pensato leggendo il ‘geroglifico’ (per me) su Benn.
Che poi mi ritengo una persona ignorante, ma non ignorantissima, quindi figuriamoci se il geroglifico lo leggeva un ‘me’ di dieci anni di meno…
Secondo me, per costruire un’etica nostra del discorso, dovremmo porre ai primi posti la chiarezza per tutti. Da questo punto di vista lo stile di tutto il saggio è molto interessante. I testi, soprattutto quelli di wm1, come sempre sono ‘compositi’, pieni di cose incastonate, e di cui sono in primo piano le cuciture, ma risultano leggibili, comprensibili.
Per non andare OT: chi volesse (in privato) una spiegazione (o almeno una minima contestualizzazione) dei riferimenti a Gottfried Benn e all’Einaudi fatti – a mio avviso immotivatamente – in questo thread, può mandarmi una mail e io risponderò allegando un po’ di materiale: wuming1 AT gmail PUNTO com
Gentile Wu Ming 1, il volgo – fortunamente per noi ridotto quantitativamente – credo che si sia convinto che sei un gran teorico di letteratura. Buon per te che parli di focus sulle opere. Goditi l’istante. In quanto ai modi e modi di tirare fuori le cose, parlando di isotopia, dal tuo primo intervento che hai fatto in termini pregiudiziali nei miei confronti non vedo contesto perché ti interessi veramente ascoltare un’approfondimento critico. Del resto come si è neutralizzato Chiaberge? con una banalità! Non l’ha neanche letto il libro di Wu Ming!. E non è questo che è stato detto prima anche a me? Ora, adesso, invece sei interessato ai miei appunti! Ma guarda un po’ che cambiamento repentino! Grazie, ma non mi faccio governare! Invece di sprecare il mio tempo per riscrivere i miei appunti – che riservo per un mio lavoro, segnalo quello che ho già segnalato indicando un testo di Cesare De Marchi che senza fare chiasso, con chiarezza chiude il discorso sul bla bla bla sul New Italian Epic – senza neanche pensarlo o citarlo, probabilmente neanche sa che esiste. Non occorrono contorcimenti per capire dove va da sempre la letteratura. Se non sei interessato agli autori ma al focus sulle opere, leggiti il libro “Romanzi” invece di aspettare…luminamenti. Sposta il focus!
Luminamenti: spero che tu non ci metta tutti quei punti esclamativi nel lavoro che stai preparando!!!!! (vanno bene 5 o sono pochi?)
Noi saremmo molto felici di avere UN’ approfondimento anche non critico (se le vuoi le schede di rinforzo te le passo volentieri eh? non farti problemi).
Il discorso sul bla bla bla sono contorcimenti tuoi, non si capisce nulla di quello che scrivi.
Dove va da sempre la letteratura? Mha, quando stiamo andando su questa tera, qua la gente non sa più… quando stiamo facento su questa tera! Non si sa.
Facci avere il tuo saggio che magari spostiamo il focus.
Sì, in effetti è meglio per chi volesse una spiegazione sull’immotivatamente citato Benn ricevere spiegazioni in privato.
Ma quale saggio?????? Non capisci nulla di quello che scrivo? e allora di che ti preoccupi? l’importante non è che hai capito Wu Ming? E goditela questa comprensione! Invece del saggio mi accontento di un piccolo gruppo di persone con cui c’è una consolidata stima su come analizzare i problemi e come parlarne e come diffonderli senza fare schioppi e veramente senza focus sugli autori (non credo che capirai neanche quest’ultima annotazione e soprattutto l’ultima parola).
Caro batman redivivo Chiaberge dice in sostanza – ma il suo stile non è superfluo e inessenziale – che c’è da mettersi le mani nei capelli, che ti rizzano i capelli se una pensa di dover elaborare un critica.
Rileggetevi per favore il post di Ekerot… cito:
“… si sta parlando di un lavoro, saggistico peraltro, che riunisce gli sforzi di uno scrittore di aiutarsi\ci a capire cos’è successo a parte della letteratura italiana negli ultimi 10-15 anni…
Come ci si fa ad incazzare per un saggio, condotto comunque con intelligenza (non si tratta di negare la Shoah), questo sfugge ai miei limitati confini mentali.
Uno può non essere d’accordo e tacere.
Uno può non essere d’accordo e criticare, aggiungere commenti, proposte (non sempre si è in disaccordo al 100%), capire l’assoluto “buon fine” di questo lavoro e dare una mano…”
Augh
“Uno può non essere d’accordo e criticare, aggiungere commenti, proposte (non sempre si è in disaccordo al 100%), capire l’assoluto “buon fine” di questo lavoro e dare una mano…”
Perfettamente d’accordo, soprattutto su quel “dare una mano”.
Tra l’altro, io sarei pure interessata a quello che dice De Marchi (ovviamente una breve sintesi) nell’ultimo capitolo del libro in questione (testo che non ho letto). Se ho capito si parla di etica del romanziere.
@pdg personalmente non sono per nulla incazzato per il saggio sul new italian epic né si vuole negare intelligenza e talento a Wu Ming a cui auguro di poter portare avanti quello in cui crede. Infatti lo leggo.
Io però non ci credo, specie quando teorizza sul romanzo.
Gentile Anna Luisa (finalmente un’anima dai modi pii), dato il modo come lo chiede domani farò il possibile per sintetizzare brevemente cosa dice De Marchi sull’etica del romanziere. Non che sia in possesso della verità, ma è quello che mi ha convinto (da tempo).
Ora è tardi, è ora di dormire.
ps. Caro Wu Ming 1 stasera Antonio Tabucchi ha detto da Santoro che tutto c’entra con tutto e che è male pensare che qualcosa non c’entri niente.
Infatti tu c’entri benissimo con l’arroganza e la saccenza. Volevi che invece di altro si parlasse di te, eccoti accontentato. ma che tristezza….
Questa discussione ha svaccato, purtroppo. Ci saranno altre occasioni. Ad ogni modo, c’è un po’ troppo astio – astio sospetto – intorno a questa tematica, a questo libro, a questo dibattito, a questi tentativi. E c’è fin dall’inizio. Vabbe’. Gli ambiti – fisici e telematici – per confrontarsi non mancano né mancheranno.
ciao, cosa ne pensate di questo contributo?
http://www.ilriformista.it/stories/Culture/50712/
scusate è partito l’invio. mi sembra una riflessione con degli spunti interessanti.
@wonder woman manchi di elementare logica. Dato che in questo post i soliti quattro hanno parlato sì di me (in senso molto lato, te lo voglio concedere, sebbene non ci sia nessuna mia biografia presente) ma male, mi sembra altamente improbabile che possa aver voluto far parlare di me per farmi del male. Allora, sarebbe stato molto più astuto scrivere cose fantasticamente elogiative di un testo per essere accontentato come tu dici.
Infatti, è noto, che molti fanno così su Internet a altrove, poi alle spalle…
ps. stasera spero di avere il tempo di scrivere due righe come ho detto a una persona che si è mostrata serena.
Vorrei fare un esempio di come anche una persona che non ha la minima simpatia per il lavoro che faccio/facciamo – e scrive su un organo di stampa politicamente e culturalmente lontanissimo da noi – possa essere consapevole che “liquidare la pratica NIE” sarebbe una pavida scorciatoia. Costui ha scritto un articolo che tenta di discernere, una recensione pensata e articolata. Distanza e antipatia rimangono, rimane la mutua disapprovazione su mosse e scelte di fondo, ma riconosco lo sforzo di concretezza e comprensibilità, la volontà di non risolvere la questione con frecciate e giudizi sbrigativi. Per la prima volta, noto in quest’uomo un certo rispetto per i miei/nostri tentativi. Sia da esempio ai detrattori.
http://www.ilriformista.it/stories/Culture/50712/
Andrea, ci siamo sovrapposti!
boh.
succedono cose incomprensibili
Sig. Luminamenti, ma li ha presi o no ‘sti appunti?
Dunque, secondo me Mastrantonio compie uno sforzo notevole se confrontato con quello che abbiamo letto finora. Se non altro si interroga sul termine in maniera critica, offre la sua lettura sulla base di nozioni scolastiche che vanno benissimo (non si chiede a nessuno di avere una specializzazione in epica, per carità), però è proprio per questo che urge un chiarimento. La nozione contemporanea di epica si basa su due tradizioni: 1) l’epica classica studiata sui banchi di scuola, di cui nessuno ricorda veramente nulla anche se è rimasta una memoria degli episodi tradotti, della nozione di “ampio respiro”, che “l’epica antica racconta e inventa rifondando con un mito la sua civiltà”, e altre nozioni generiche. 2) il poema cavalleresco, a cui si attribuiscono un sacco di cose anche giuste, ma che andrebbero problematizzate per capirne veramente la funzione nello sviluppo del romanzo borghese. Ci sono poi le letture classiche che accompagnano queste nozioni, Bachtin su tutti, epos vs romanzo, società antica vs società borghese ecc. Nozioni che un commentatore culturale DEVE avere, e che per quanto generiche sono ormai metabolizzate quanto la paratassi di Cesare e la retorica di Cicerone. Fra l’altro è importante e non sminuirei il fatto che in Italia usiamo i manuali, perché l’assenza del manuale nella scuola superiore anglosassone produce effetti devastanti sul quadro generale, ma questa questione è annosa e qui non c’entra se non per sottolineare il fatto che la cultura manualistica, se da un lato garantisce l’effetto tranquillizzante del solido quadro generale, dall’altro produce anche la scarsa attitudine alla lettura degli studi monografici, articoli specializzati, alla ricerca di biblioteca insomma, a cui invece gli studenti anglosassoni sono abituati proprio perché non gli viene somministrato l’oppio-manuale (si potrebbe anche aprire una parentesi su quanto speculano le case editrici italiane sulla produzione di manualistica, invece di pubblicare più studi monografici). Comunque, per riassumere, il risultato è questo. Epica: consultiamo il manuale. Dopodiché tutto quello che implica il termine andrebbe guardato molto più in dettaglio, soprattutto per quanto riguarda l’origine della cultura letteraria italiana, in cui lo scopo dell’appropriazione dell’epica altrui è ben lontano dall’elaborazione mitopoietica di una propria coscienza identitaria (penso che Mastrantonio volesse dire questo anche se si è espresso male), cosa che fanno i francesi ma non gli italiani, e anche la riscrittura in chiave cristiana dell’epica antica che in Europa ha la funzione fondamentale di introdurre l’individuo. Siccome di opere italiane stiamo parlando, si sta vedendo ora come il registro epico presente nella paratassi del NIE recupera la modalità narrativa come attività arcaica e spontanea che recupera il senso della storia non come divenire, bensì in senso sincronico, sia in quanto problematizzazione dell’evento narrato che come apertura quasi metafisica all’io, come sostiene a grande ragione Genna: io chi sono?
L’impazienza interpretativa di formalismo e strutturalismo è da giudicarsi negativamente nel “dopo parola”, epoca in cui si è frantumato o meglio emerso dal sottosuolo il patto tra linguaggio e mondo. Recensori e critici, figure del discorso infinito della mediazione, risultano inaccettabili nell’epoca del “dopo parola”, iniziata nel 1870 con la riflessione di Mallarmé sulla non referenzialità della parola. “La verità della parola è l’assenza del Mondo” o nella forma di Houellebecq: “non potete amare la verità e il mondo. Ma avete già scelto”. Correggerei: dovrebbero sapere “cosa” gli scrittori hanno scelto. Per Schaeffer del resto il punto di vista morfologico, inaugurato peraltro da Aristotile, ha dominato il Novecento sin dagli anni venti, quando Thomas S. Eliot sostenne che in ogni periodo la letteratura europea ha un’esistenza simultanea e compone un ordine simultaneo alterato solo dai grandi scrittori (ne stiamo cercando ansiosamente qualcuno in Italia ma non c’è da disperarsi perché dopo il tramonto risale anche il Sole).
In tutti i casi il dopo parola riduce al silenzio il discorso infinito dei critici (solo il lettore popolare irretito da una teoria dell’interpretazione soggettiva e centrifuga – che ha la sua genesi nella teoria performativa della comunicazione come retorica della persuasione, che ha bisogno di sfruttare la logica dell’argomentazione – non se ne può accorgere) che scadono (ma vincono nell’agone della performance della rete linguistica mass-mediale) sul terreno che a partire dagli anni 90 ha preferito il codice creativo a quello scientifico. Da qui il tentativo di scivolare su un canone illusorio che guarda al testo come solidarietà relazionale. Per la pragmatica infatti ogni enunciazione è illocutoria, ciò che esprime non è solo un ovvio contenuto, ma pre-tende e vuole costruire la percezione del lettore attraverso un modo di comunicare che deve essere riconosciuto dal destinatario. Nella sostanza: distorcere il lettore dalla ospitalità gratuita che questo offre al testo. Che questo processo è una naturale conseguenza involutiva il cui seme infetto è nella teoria della comunicazione e nell’industrializzazione dell’alfabetizzazione era già statomagistralmente annunciato profeticamente da Adorno. D’altra parte una società del consumo alfabetico non può abdicare a fronte di una possibile e imprevedibile ospitalità del lettore. Di qui l’interesse post-moderno e delle neoavanguardie per la retorica, gli atti di enunciazione, il contesto o meglio il co-testo del messaggio, la geografia della letteratura e la biografia dell’autore in quanto realizzazioni di un contratto internazionale. Così anche gli scrittori intelligenti sempre più spesso sono vittime inconsapevoli e molti anche in buona fede di “comunicare” qualcosa.
Scusate:
ma poi si arriva in cima, o da qualsiasi altra parte??
Ehm… Capito un cazzo! :-O Che c’azzecca? Di chi è?
Per capire cos’è questa benedetta ‘epica’ non è più semplice tornare indietro nel tempo, ripensare a quando da bambini certe storie in cui accadeva di tutto, tra mirabilia vari, ci incantavano?
Invece di sprofondare nella teoria della letteratura, proviamo a spostare lo sguardo. Riprendiamo il punto di vista di quando eravamo lettori che non sapevano niente, ricettivi proprio verso quel tipo di narrazioni.
Cos’è che in fondo ci dice il saggio, anche con una certa passione? Che quelle forme sono ancora utili, che ci si possono colare tanti aspetti della realtà e della vita, per scrivere cose cose buone.
Sempre a proposito di quel che scriveva Claudia (l’epica, cos’è l’epica, come si rifonda un’epica), segnalo Antonio Scurati a tutta pagina su Tuttolibri di oggi (PDF):
http://www.wumingfoundation.com/italiano/scurati_sul_NIE.pdf
Alcuni aspetti di questo articolo mi lasciano perplesso, ma l’idea di fondo è condivisibile e condivisa fin dal prime battute della discussione: l’epica come risposta degli scrittori alla meschinità schifosa del presente (e mai come in questi giorni, con l’Italietta in salò-pette che entra nella sua fase necro-clerico-“bukkake”) proviamo un senso di grande schifo.
refuso, la parentesi va chiusa a fine commento, non dopo “bukkake”.
Ah, per chi non sapesse cos’è il bukkake:
http://it.wikipedia.org/wiki/Bukkake
@Luminamenti:apprezzo lo sforzo di sintesi, ma anche per me come per altri, il tuo intervento risulta ostico. Appoggio l’invito di Andrea a “non sprofondare nella teoria della letteratura”.
Sorry.
@anna luisa. Perché, il mio intervento era un’intervento di teoria di letteratura? A me proprio la teoria della letteratura non interessa. Il perché l’ho detto infatti nel mio precedente intervento. Non sono io che ho scritto Il New Italian Epic.
In quanto all’invito di Andrea, se quello che ha scritto nel suo ultimo intervento fosse esatto, sarebbe tutto soavemente pacifico (e proprio il tuo ultimo intervento anna luisa e l’ultimo intervento di andrea sono contenuto nel mio ultimo intervento prima di questo proprio come fatto di cui stvo dicendo).
Le persone, ancor più quando non c’è convivenza tra di loro, perchè sappiamo che la convivenza è difficile, non si alzano la mattina impazzite per dire che giorno è notte e che la notte è giorno. Non fanno di ciò che è pacifico e innocuo un fuoco eracliteo
Luminamenti, se mangi come scrivi, non voglio pensare al tuo alito.
Bene Aldo. Un lettore in meno. Non è che prima di questa comunicazione mi hai dato motivi per sedurti. Un separazione pacifica.
ma forse se provavi con il listerine…….
Continui a leggermi, ma sei proprio masochista allora
basta che non mi parli in faccia.
Wu Ming 1. Ah, sì, l’epica della vostra conquista del Mercato Americano. E chi vi crede più?
Beh, per fare un esempio, loro:
http://tinyurl.com/c32kzt
come siete tutti telegrafici…
Se non fosse in inglese varrebbe la pena comprarlo, è in supersaldo col 34% di sconto!
Non ho capito la critica, c’è qualcosa di male se traducono i Wu Ming all’estero?
Strana critica, in effetti
Ci hanno sempre tradotti, da dieci anni a questa parte. Fosse stato quello l’obiettivo, era già conseguito da un pezzo, pure Manituana è stato venduto all’estero prima del memorandum sul NIE, mica c’era bisogno di stare a sbattersi e studiare e discutere per produrre un discorso sulla letteratura italiana degli ultimi anni. Oh ben, si vede che ‘sta roba sul NIE ha proprio dato un gran rosicamento di retto, molto molto molto bene!
Bisognerebbe far leggere il NIE a Silvio Berlusconi: potrebbe maturare anche in Lui una sindrome compulsivo-paranoide nei confronti dei Wu Ming, con la conseguente concentrazione di tutte le sue fobie ossessive, che sarebbero dirottate da Eluana Englaro, Napolitano, i Comunisti, i Giudici, l’Italia e indirizzate su un unico Grande Fallo Simbolico. Così l’anonimo polidentitario in saor si troverebbe meno solo!
Comunque il cosmo ha un suo equilibrio, c’è l’anonimo ossessionato NIEfobo cazzeggiletterari ma poi c’è FREAK ANTONI totalmente NIEfilo, guardate i libri della sua libreria su anobii…
http://www.anobii.com/01253ead1ed0d7841e/books
“Q” ha 10 anni e ancora se ne parla. 10 anni fa un sacco di immortali scrittori oggi sono già dimenticati. Attenzione a lavore in prospettiva. Se non si conoscono i punti di fuga tutta l’immagine distorce.
ok, senza più il commento precedente non si capisce il senso di questo mio sopra. Ma forse è meglio così.
Gianni, lo so.
Ma io sono stufa di dover ribadire che non sono sgradite le critiche. E’ sgradita la paranoia di quell’unico e solo che spamma qui da anni. Tanto non capirà.
Mi scuso con gli altri lettori
Hai ragione, Lippa, e io forse ho sbagliato a rispondere a una provocazione.
Scusate, ma amo le cifre tonde (parlo dei commenti).
Intervengo tardi, ma sono venuto a conoscenza del NIE soltanto sabato scorso alla “festa del libro e della cultura italiana”, a Parigi, dove ho assistito all’incontro con Massimo Carlotto, Valerio Evangelisti e Serge Quadruppani. Una discussione molto interessante, sopratutto per un autoestradato come me, che ormai non si incazza neanche più delle porcate che succedono quotidianamente in Italia tanto mi sembrano normali in un contesto politico come quello. Tornato a casa ho setacciato il web alla ricerca di testi e discussioni sull’argomento NIE, ed eccomi qui.
Difficile aggiungere il mio granello di sabbia dopo lo sfoggio di cotanta erudizione da parte dei vari interlocutori. Vorrei solo dire che su di me il memorandum dei Wu Ming ha avuto l’effetto di un’elettroshock. Quella lettura mi ha risvegliato un sentimento di combattività che tenevo soffocato dentro da troppo tempo (per rassegnazione) e che probabilmente aspettava solo l’occasione giusta per rispuntare fuori. Gomorra mi aveva scombussolato e lasciato senza parole. Il memurandum mi ha riordinato le idee e mi ha restituito quel barlume di speranza necessaria a risvegliare in me la voglia di alzare il culo dalla sedia e darmi da fare.
Allora vorrei solo ringraziare i WuMing per avermi offerto una nuova occasione.
A buon rendere