NEW ITALIAN EPIC

Su Repubblica di oggi esce un intervento di Wu Ming: che è però da considerarsi una sorta di abstract di questo saggio. E’ a questo che vi rimando per capire di cosa si sta parlando e per commentare.
Riporto comunque anche l’articolo-sunto.

Nella letteratura italiana sta accadendo qualcosa. Qualcosa di importante, uno smottamento che getta in crisi ogni etichetta e cliché. Purtroppo, come spesso capita, bisogna guardare l´Italia da fuori per capire di che si tratti.
Occorre la distanza, quella che permette di sciogliere legami superficiali e trovare analogie nascoste. Da noi la visuale è angusta: l´accademia si fiuta l´alito nella mano chiusa a conchiglia, si definiscono «contemporanei» autori morti prima del lancio dello Sputnik e manca del tutto il confronto tra quel che si scrive in italiano e quanto si produce in altre letterature, ad esempio quelle «post-coloniali». Insomma, non si percepisce in che misura molti scrittori italiani stiano producendo opere nuove e sorprendenti. Se ne accorgono, invece, nel resto d´Europa e di là dall´Atlantico: Gomorra di Saviano era tra i cento libri più importanti del 2007 secondo il New York Times; nel Belpaese la notizia è stata accolta come una «curiosità», pettegolezzo editoriale, e invece avrebbe dovuto far pensare, perché Gomorra è quel che affiora, è gli occhi del coccodrillo. Sotto il pelo dell´acqua la bestia è grossa, nuota veloce e morderà a sorpresa. Dall´estero fioccano inviti agli scrittori italiani perché vadano a spiegare il loro lavoro. Tra quanti hanno drizzato le antenne c´è persino il Massachusetts Institute of Technology di Boston. Henry Jenkins, direttore del dipartimento di studi sui media, ha invitato i sottoscritti a fare rapporto su quel che succede. Insomma, serviva lo sguardo esterno per individuare il filone che in America iniziano a chiamare «nuova narrazione epica italiana» o, più breve, «New Italian Epic».
«Epica» nel senso di coralità, narrazioni ampie e a lunga gittata, che mettono in questione la memoria e il futuro, si reggono sulla tensione tra complessità e dimensione popular, sperimentano con punti di vista inconsueti, storie alternative, costruzioni di mondo, e nel farlo cercano costantemente la comunità, il dialogo coi lettori. Il «New Italian Epic» è nato dal lavoro sui «generi», dalla loro forzatura, ma non è più la vecchia «contaminazione», c´è uno scarto, si va oltre, gli autori non si pongono neppure più il problema. E non è nemmeno più il distaccato, gelidamente ironico pastiche postmodernista, parliamo di narrazioni «calde», fondate su un´autentica fiducia nella parola e sulla rivendicazione di un´etica del narrare dopo anni di cinismo e gioco forzoso. «New Italian Epic».
Se la definizione ha un merito, è quello di mettere insieme libri in apparenza diversi, ma che molto hanno in comune a un livello profondo. Negli ultimi dieci-quindici anni si è formata una densa nebulosa di narrazioni. Gli eventi del 1989-´93, dalla caduta del Muro a Tangentopoli, avevano liberato energie e ispirato a fare un uso politico dei «generi», a partire dal giallo e dal noir. Nel 2001, Genova prima e l´11 Settembre poi hanno fatto capire che ancora non bastava. Gli scrittori sono entrati nella nebulosa con le loro navicelle, giungendovi da ogni direzione, e dal centro già ripartono, volano in ordine sparso, le traiettorie divergono, s´incrociano, divergono. Questi autori non formano una generazione in senso anagrafico, hanno età diverse, ma sono una generazione letteraria, condividono segmenti di poetiche, brandelli di mappe mentali e un desiderio feroce che ogni volta li riporta agli archivi, o per strada, o dove archivi e strada coincidono, come nelle genesi di Gomorra e Romanzo criminale. C´è chi, come Camilleri, Lucarelli e Carlotto, ha lavorato sul poliziesco in modo tutto sommato «tradizionale», per poi sorprendere con romanzi storici «mutanti» (La presa di Macallè, L´ottava vibrazione e Cristiani di Allah). Altri, come Genna e De Cataldo, hanno masticato il crime novel con in testa l´epica antica e cavalleresca, per poi affrontare narrazioni maestose e indefinibili (Dies irae, Hitler) o estinguere la spy-story in un esperimento di prosa poetica (Nelle mani giuste). Nel mentre, Evangelisti ibridava in modo selvaggio i generi «canonici» della paraletteratura, al contempo producendo un ciclo epico (la serie del Metallo urlante) che è miscela di soprannaturale, romanzo storico e studio sulle origini del capitalismo. Ancora: partendo dai poli opposti del giornalismo d´inchiesta e del «teatro di poesia», Saviano e Babsi Jones hanno prodotto due «oggetti narrativi non – identificati», Gomorra e Sappiano le mie parole di sangue. E infatti si trascina da due anni il dibattito di lana caprina sullo statuto di Gomorra: romanzo o reportage? Narrativa o giornalismo? Ovviamente, solo per falsa modestia non abbiamo ancora parlato di noi stessi, che pure, fin dall´esordio con Q, siamo «New Italian Epic» dai metatarsi al telencefalo. Vengono in mente altre opere, scritte da Scurati, Guarnieri, Zaccuri, De Michele, Flavio Santi e tanti ancora, alcuni appena esordienti e laggiù, in fondo, premono i posteri. Fermiamoci qui. In quasi tutti i libri presi in esame esiste, esplicita o implicita, una premessa «ucronica», un interrogativo su «cosa sarebbe successo se». Se per anni i media non si fossero occupati solo di mafia sicula ignorando la crescita della camorra; se Leopardi non fosse morto a Napoli nel 1837; se la Banda della Magliana avesse liberato Moro. «Ipotesi controfattuali», le chiamano gli storici.
Imboccarle come rampe di lancio consente di essere spregiudicati, prendere di petto la memoria collettiva, lavare in pubblico i panni sporchi di questo Paese e non solo. Ecco, questo «non solo» ci fa passare dal tempo allo spazio, dalla storia alla geografia: gli autori del NIE sono italiani, eppure non ancorano le loro storie al fondale nostrano, si sentono liberi, liberi di navigare e narrare il mondo. Il mondo li vede passare, come Nettuno ammirò l´ombra d´Argo, e ne resta intrigato. Nella letteratura italiana sta accadendo qualcosa, l´Italia non deve far altro che accorgersene.

96 pensieri su “NEW ITALIAN EPIC

  1. Che bello! Finalmente, in tutti i casi di incertezza (tipo il dibattito sullo statuto di Gomorra: romanzo o reportage? Narrativa o giornalismo?), abbiamo una comoda via d’uscita: appiccichiamo una bella etichetta con scritto “New Epic” e morta là:- )
    P.S. Sì, sì, lo so che alla lunga rischio di risultare odioso, ma che ‘cce posso fa’ se me viene da tifà post-post-post-new-epic?

  2. Lucio, non si tratta di essere odiosi o meno. In questo specifico caso, ho invitato a commentare possibilmente dopo aver letto il saggio nella sua interezza. Ma sono sicura che tu lo abbia fatto, naturalmente.

  3. Loredana, come sai considero Roberto Bui una mente geniale. Ma ho un’avversione innata per l’aggettivo “epico”, con o senza prefissi, soprattutto se applicato all’oggi. La connotazione per me più automatica, in questa fase, è purtroppo quella di “trombonesco”, dato l’imperante DISINCANTO. Non c’è New Epic come la Old Epic, in sostanza, e la sola idea che qualcuno abbia tutta questa fretta di autoinserirsi in un preteso siffatto filone mi dà l’orticaria. Lo so che l’intento di Roberto non è affatto quello di appiccicarsi addosso etichette nobilitanti, ma l’idiosincrasia permane. Chiedo scusa a tutti. Ignoratemi.

  4. Ti ignorerò fra un istante.
    Devo però prima dedurre che l’aggettivo “epico” ti disgusta talmente dall’impedirti la lettura del documento, e devo dunque pensare che i tuoi commenti vengono scritti a priori, senza aver letto in dettaglio quel che si intende con l’aggettivo medesimo.
    Mi basta questo. Chiudo.

  5. Bell’articolo. Non sarei così severa coll’accademia italiana, che invece di letteratura postcoloniale e confronti conseguenti si occupa eccome. In realtà si fa molta ricerca proprio nelle prospettive da Wu Ming indicate – Più che altro, si constata un mancata circolazione tra la produzione scientifica nei contesti accademici e la produzione culturale nei contesti mass – mediatici. Come se la cultura viaggiasse su due strade diverse, a velocità diverse e senza manco una traversa.
    Però una capatina sulle riviste specializzate e le pubblicazioni di dipartimento ce la farei.

  6. @ Loredana. Ho già dibattuto qualche post fa direttamente con Bui proprio qui da te sulla New Epic e poi anche di là da me. Ho letto perfettamente il testo e il nuovo senso attribuito al termine “epico”. Volendo, però, chiunque può prendere un qualsiasi termine, per esempio “bicchiere”, aggiungere un “neo” davanti e decidere che da quel momento in poi per lui “neo-bicchiere” significherà “insalata”. Ma non è questo il punto. Secondo me, per raggruppare e incasellare la produzione letteraria, bisogna che passino periodi più lunghi. Non si fa storia della letteratura scandendola lustro per lustro, ma ripeto, solo secondo me. Se uno vuole, può inventare e archiviare movimenti letterari anche di settimana in settimana. Ciao.

  7. Tutto interessante, un po’ partigiano, ma visto che parteggio anch’io mi sta bene. Domanda: quando è che questa rivoluzione letteraria e di consapevolezza contagerà gli altri media, in primis la fiction televisiva? Quo vadis, baby: la serie è o non è NIE? Boris non lo è, per quanto non manchi di meriti…
    Ho altre considerazioni in testa, ma questa è la prima…

  8. P.S. A proposito di pregiudizi (nei miei confronti, stavolta): “Devo dunque pensare che i tuoi commenti vengono scritti a priori, senza aver letto in dettaglio quel che si intende con l’aggettivo medesimo”. Davvero una poor opinion su di me:- (

  9. Condivido tutto.
    Anche l’osservazione di zauberei sulla mancanza di comunicazione fra produzione accademica e “resto del mondo”: la sperimento e subisco tutti i giorni all’interno delle università italiane, e mi causa quotidiani (quasi) mal di pancia.

  10. Lucio, francamente non capisco il tuo puntiglio. A parte l’etichetta “epica” (ma quando si identifica un oggetto bisogna pur dargli un nome: se lo chiamavano romanzo-Filippa suonava meglio o peggio?), Wu Ming identifica almeno (nel senso che potrebbero essercene altre che al momento a loro non appaiono) caratteristiche che permettono di parlare di un insieme narrativo. Io francamente preferisco studiare i crateri lunari, piuttosto che occuparmi della manicure del dito che li indica. Magari, guardando bene, ne scopro uno che ai WM è sfuggito, o scopro che uno dei loro è solo un’ombra e li riduco a sette. In ogni caso meglio che a studiare la Luna sia qualcuno sveglio e onesto, sennò la lasciamo in mano ai Giacobbo, non credi?

  11. @Girolamo. Se le caratteristiche sono del tipo “che cosa sarebbe accaduto se…”, ho già scritto nel mio blog che esiste da molto prima dei wuming il detto “Se mia nonna avesse avuto le ruote, sarebbe stata una carriola”. Ciao.

  12. Valter, guarda che nel saggio è precisato molto bene che l’elenco fatto è parziale, e che molti altri autori stanno più o meno consapevolmente seguendo questa stessa strada. Non si tratta di “scelte”, non nel senso “tu sei dentro e tu sei fuori”. Mi sembrava abbastanza chiaro.

  13. Illuminazione! Illuminazione! Illumninazione!
    Ho capito tutto ripensando a Luther Blisset:
    “In Italia, tra il 1994 e il 1999, il cosiddetto Luther Blissett Project (un network più organizzato all’interno della comunità che adotta l’identità “Luther Blissett”) diviene un fenomeno molto popolare e riesce a diffondere una leggenda, la reputazione di un eroe folk.
    Questo Robin Hood dell’era dell’informazione ingaggia una guerriglia dentro/contro un’industria culturale in via di radicale trasformazione (siamo ai primordi del web), organizza eterodosse campagne di solidarietà a vittime della censura o della repressione, e – soprattutto – ***orchestra elaborate beffe mediatiche come forma d’arte, rivendicandole sempre e spiegando quali difetti del sistema ha sfruttato per far pubblicare o trasmettere notizie false.***
    Blissett è attivo anche in altri paesi, soprattutto in Spagna, Germania e Regno Unito. ” [da http://www.wumingfoundation.com/italiano/biografia.htm#1 ]
    Solo che, stavolta, nella BEFFA mediatica della new epic è caduta persino la Lippa:-/

  14. “Se per anni i media non si fossero occupati solo di mafia sicula ignorando la crescita della camorra”
    Quando i media si sono occupati di mafia sicula? Quando parlavano della ricotta e dei decaloghi? Non mi sembra che la natura della mafia sia stata non dico colta ma almeno sfiorata dai media. E nemmeno dalla letteratura. La mafia come istituzione, come metodo non c’è mai. E anche Saviano liquida la cosa sostenendo che la camorra ha più affiliati ergo è più pericolosa della mafia… Come se la mafia coincidesse con gli affiliati.
    Per il resto sono abbastanza d’accordo.

  15. Trovo un po’ irritante tutta questa attenzione a questioni marginalmente trattate nel saggio: e chi sta dentro chi fuori, e la mafia sicula è ignorata dai media, e l’aggettivo epico è fastidioso.
    Nessuno ha nulla da dire sull’affermazione che parte della narrativa italiana stia puntando a romanzi di più ampio respiro?

  16. carino il saggio (quello lungo). nie è un’etichetta come un’altra, ma tra gli esempi/modelli non metteresti i canti del caos? (se citi genna!)

  17. Condivido l’irritazione per l’atteggiamento denigratorio e personalistico con cui molti commentano qui e in altri siti il saggio (scherzandoci su, certo… Ma potrebbero non scherzarci su?).
    L’idea più profonda in New Italian Epic, secondo me, rimane inespressa, ma emerge con la forza dell’invettiva finale contro l’antropocentrismo, e lega in un’unica trama l’intero discorso: ironizzare (postmodernironizzare) diventa un bieco passatempo dal momento in cui la catastrofe della nostra civiltà appare vicina, ed è resa lampante dall’epifania dell’11 settembre (incidentalmente, ho ascoltato di recente una lezione di Oliviero Toscani qui a Firenze, il quale sosteneva una cosa simile nell’ambito delle arti visive). La narrativa del prossimo futuro deve perciò prendere sul serio l’umanità cessando di prendere sul serio la retorica della civiltà.
    O qualcosa del genere. Sono stato retoricamente antiretorico. Difficile liberarsi dall’ironia.

  18. Sono d’accordo con ferrigno.
    Ho letto il saggio nella sua interezza, ed è veramente interessante, e soprattutto incoraggiante, che un filo comune sia stato osservato dipanarsi in alcuni romanzi italiani di autori ed argomenti completamente diversi.
    Non trovo niente di strano che il filo comune sia stato appellato new italian epic. Nè che nel saggio siano stati citati alcuni autori, e ne siano rimasti fuori altri.
    Non mi sembra invece che sia pieno il mondo di italiani che vanno a relazionare e a tenere conferenze sulla letteratura italiana nelle università estere.
    Abbiamo serbatoi preziosi di iniziative culturali, e dovremmo apprezzarle e pubblicizzarle maggiormente, invece che sottovalutarle. Come appare qui da alcuni commenti.

  19. Curiosamente ho fatto clic sul link di Angelini.
    Molto interessanti e dalle solide basi le tesi esposte che attaccano il lavoro letterario portato avanti da anni dal collettivo Wu Ming, smontandolo pezzo per pezzo.
    Costoro sembravano solo dei militanti buoni a nulla, e invece… per aver beffato la titolare del post, l’intera redazione di repubblica e addirittura un’università americana, millantando di aver a lungo studiato sodo e vantandosi di aver scovato un nuovo genere letterario, devono essere proprio dei geni.
    Sembra che Henry Jenkins e il Massachusetts Institute of Technology di Boston si siano accorti dell’inganno – lalipperini e la redazione di repubblica ancora no, ahi!ahi! – grazie ai post ed ai commenti di Lucio Angelini, e sono ancora sotto shock…

  20. ma questo Angelini scrive qualcosa ? Apparte pezzi che sminuiscono il lavoro altrui per della semplice autopromozione del suo blog ?

  21. Dal momento che Lucio insiste – come sempre – nel voler monopolizzare la discussione su di lui, invito almeno gli altri commentatori ad attenersi al tema. E’ una battaglia persa. Grazie.

  22. Trovo il trattato, se così lo vogliam chiamare, di WM 1, fondamentale che creare riflessioni sullo stato della letteratura italiana. Mi dichiaro (esclusivamente per Lucio Angelini: un perfetto sconosciuto di tutti quelli citati nel saggio) quindi parlo per opinione chiara, soggettiva, disinteressata e personale. Ho letto 3 volte il saggio ma non mi bastano per chiarirne tutti i fattori, anche perchè molte delle opere citate ancora non le conosco così bene come WM1, mentre altre non le conosco affatto. E non mi bastano neanche gli opposti proclama di presunti smascheramenti del saggio. Non credo nemmeno che WM1 volesse per forza catalogare ermeticamente le opere (perchè stiamo parlando di quelle “non di autori”) sotto una definizione comune. Ci sono tratti significativi, determinanti, ci sono contaminazioni intersecanti. Penso che WM1 abbia lanciato l’esca e che questo potrebbe creare, anche in futuro, un dibattito su questo argomento, un dibattito che prenda piena coscienza di tutti gli elementi, delle opere, e che non si attacchi per forza all’aggettivo maiscolo o ai new-post. Scrivere e pubblicare e render note delle riflessioni non credo possa portare a “cascarci” o meno. Voglio dire. Non credo fosse nelle intenzioni di WM1 “giocare di gambe” per dirla alla Bukowski. E poi se si fa chiamare Wu Ming 1 ci sarà un motivo no? Perchè ci si ostina a chiamarlo con il nome personale? Credo sia più rispettoso usare il “non-nome” che per diversi motivi si è adottato.

  23. Lucio,
    mi stai simpatico e difendo il tuo diritto a pigliare per i fondelli chiunque, nonchè a delirare quanto e come vuoi. Sinora ho ascoltato solo l’intervento di WM1 in inglese. Non mi è sufficiente per avere un’dea precisa di quello che intende dire. Difendo anche il suo diritto a inquadrare lo scenario letterario italiano come preferisce e a battezzarlo come gli pare. A me interessano i libri e solo marginalmente le inquadrature. A volte seguo i dibattiti e mi piace leggere critiche e disamine mirate e intelligenti. Questa è una di quelle volte.
    So che hai una preparazione ottima e che oltre alla versione di pierino che ti offre la realtà sei anche in grado i fare utili sintesi e dare versioni non scontate delle cose letterarie e non.
    Quindi ti chiedo, cortesemente, di provare a smontare la teoria di Roberto Bui a prescindere dall’attributo ‘epico’(o dal fatto che tu la interpreti come bufala), semplicemente per quello che dice.
    una cosina dialettica che ci arrichirebbe tutti.
    thanks

  24. @ Spettatrice. Tesoro, devo preparare lo zaino per la ferrata di domani. In fretta: 1) Se ne parla Roberto Bui, Loredana applaude allo “sguardo obliquo” sulle cose. Se sono io a rivolgere uno sguardo obliquo al saggio di Roberto Bui, lei si incazza come una iena e mi guarda in obliquo (o di traverso, che è lo stesso). Ti sembra giusto???
    2) Riguardo alla storia del NIE: non esisteva NESSUNA CORRENTE NEO-EPICA finché non se l’è inventata Roberto Bui mettendoci dentro i cuginetti che più gli stavano simpatici. Perfetto. Ma detto fra noi: che c’entra Gomorra con Federico Moccia? Cosa? Dici che Moccia non è stato inserito tra i paladini della nuova armata abbrancaleoni?… Perfetto. Epperò una certa neo-epicità, se si getta uno sguardo veramente obliquo al lampione con i Lucchetti dell’Amore, la si rinviene comunque… Sono sicuro che se mettessi a confronto due autori presi assolutamente a caso (che ne so? Sveva Casati Modignani con il “povero” Luca di Meo… – sì, quello che mi chiama sempre “il povero Angelini”- :- ) ) alla lunga qualche elemento comune lo troverei. Sotto il Molteplice c’è pur sempre l’Uno, no?, diceva quel tale. Ma l’invenzione più spettacolare del saggio di Bui è senz’altro quella dell’allegoritmo: tirata fuori apposta per spaventare i letterati in genere deboli in matematica. Che ci posso fare se io non mi spavento nemmeno se qualcuno mi traccia sotto il naso la derivata della relativa ottenuta estraendo la radice quadrata del minimo comune multiplo innalzato tra i cateti dell’ipotenusa?
    Mio scetticismo a parte, se a te l’idea che nelle Librerie Feltrinelli da oggi in poi si provvederà a creare degli appositi reparti con le novità della Neoepica italiana belle allineate una accanto all’altra è di qualche conforto, ne sono contento per te. Per me è tutto come prima.
    3) Sono davvero convinto che quella del NIE sia una provocazione mediatica in stile Luther Blissett prima maniera. Ho troppo stima di Roberto Bui per supporre che creda davvero ai propri esercizi di fumisteria.

  25. Angelini. io non mi “incazzo come una iena”, o vipera, come hai avuto la bontà di definirmi sul tuo blog, perchè tu stai criticando il saggio.
    Ti faccio semplicemente notare che tutti i tuoi interventi sono pretestuosi, vanagloriosi, volti esclusivamente ad attirare l’attenzione su di te.
    E con questo commento intendo chiudere la questione. Se qualcuno ha qualcosa da dire sul saggio, lo faccia pure. Se qualcuno ha intenzione di commentare le teorie di Angelini, il pensiero di Angelini, il risentimento di Angelini, lo faccia, cortesemente, sul blog di Angelini, non qui.

  26. Magari è vero, magari la nueva hola è l’epica, però non dimentichiamoci che il più bel romanzo italiano dell’anno, il più profondo e imprevedibile, è “La solitudine dei numeri primi”, tutto centrato sullo sgomento della vita, su un’interiorità sofferta, su due esistenze malinconicamente separate dal mondo. Insomma, la letteratura crea tensioni generali, spinte collettive, scuole e etichette, però poi arriva un ragazzo di venticinque anni che va per conto suo e scrive un capolavoro. Un caro saluto agli epici e ai lirici, Marco Lodoli

  27. @ marco
    premesso che non posso esprimermi sul libro di Giordano perché non l’ho letto (sì, sono uno all’antica, uno che i libri non li annusa, li legge: mica sparo cazzate per radio, io), ti faccio notare che il saggio di WM1 parla di “romanzo epico”, non di “epica”. Non è una sfumatura dovuta all’ambiguità del termine “epic”, mi sembra: alcuni dei topic provvisoriamente proposti – il prendere sul serio le parole, lo sguardo non postmoderno sul mondo, il tentativo di creare un legame col lettore – non escludono quella dimensione che, parafrasando la critica cinematografica sugli ultimi italiani, é stata definita “western dell’anima”, indipendentemente dal fatto che i Wu Ming frequentino meno questa dimensione. Il punto, mi pare, è la dimensione del narrare: non “cosa” si narra, ma neanche un narrare per narrare fine a se stesso. Piuttosto, sarebbe interessante provare a tracciare un allegoritmo provvisorio di questa dimensione, cercando di tenere insieme la dimensione scritta e quella filmica, per poi vedere se si tratta di un’area distinta da quella del NIE o no. Ad esempio, credo che il cinema di Sorrentino o di Rubini non sia una cosa “altra” rispetto al NIE.

  28. Vorrei spiegare a Sassicaia perché Canti del caos è un lavoro molto diverso da quello di cui si parla nel saggio, solo occorre un discorso un po’ intricato.
    Scarpa nella scheda di lettura degli Esordi (che è un libro che si salda a Canti del Caos) parlava di scrittura di fatti ‘materico-immaginali’, ‘abrasione da qualsiasi deriva psicologica che non sia quella animale, creaturale, fisica della percezione degli eventi’, ancora diceva ‘Moresco dà conto soltanto del guscio di sensazioni del protagonista’… e così via
    La pagina degli Esordi, come quella di Canti del caos, è piena di immagini, di simboli che hanno sicuramente anche un valore epico, ma la Storia, che nella descrizione di WM1 non è solo sfondo, è anche figura, pervade la narrazione, in Moresco è come dire ‘trascesa’, perché la Storia è già un prodotto psicologico, ci sono già dentro i rapporti di potere, è oltre quello stadio ‘creaturale’ che è ciò che Moresco vuole toccare con la scrittura e che per lui è la ‘controspinta’ alla realtà.
    Poi ci sono opere di Moresco in cui la vocazione che WM1 descrive è invece pienamente presente, direi soprattutto ‘Zio demostene, vita di randagi’, come anche altre cose che sta scrivendo ora, penso per esempio a ‘Zingari di merda’.
    Scusate se il discorso che ho fatto sopra risulta poco chiaro, forse è scritto troppo in fretta. Ma come si fa, si scrive quando si può e se non si fa in fretta i topic affondano e spariscono…
    Vorrei anche dire che si possono separare due aspetti del saggio di WM1. La giustificazione teorica è discutibile (tutte lo sono). La parte invece in cui porta esempi è molto meno discutibile. In particolare verso il lavoro di Lucarelli e Evangelisti (tolgo Saviano, che per me fa altro) non si può non avere un atteggiamento di ammirazione per quello che portano alla letteratura italiana. Così come ‘Q’ di LB, direi.
    Dobbiamo anche abituarci al fatto che esistono molte voci, molti modi di produrre cose buone. Sopra ho parlato di ‘lavoro’ più che di singoli romanzi, perché ci sono autori che continuano a muoversi nella stessa onda di pensiero, con la stessa forza, sia che facciano narrativa, saggistica, televisione, teatro.

  29. Ma perché, il romanzo di Giordano è “un narrare per narrare fine a se stesso”? A me non pare affatto. Anzi, a volte ho l’impressione che siano i romanzi epici a girare lontano dall’autenticità, dal rischio, dalla vertigine e invece molto vicino alle biblioteche, ai bloc notes, alle fotocopiatrice. Mi paiono lavori corretti, precisi, ma un po’ pedanti, ecco. L’unico davvero potente è Gomorra, ovviamente, ma forse lo è perché Saviano è entrato in prima persona in quel magma rovente. Insomma, tutto va bene, ognuno scriva ciò che sente giusto, ma in fondo preferisco ancora gli scrittori che non possono scegliere. Cari saluti a tutti quanti e uno in più a Loredana. Marco Lodoli

  30. Ciao Marco, ricambio subito il saluto. Ma cosa intendi per “scrittori che non possono scegliere”?
    Io ho letto “La solitudine dei numeri primi” e mi è piaciuto molto: ma, come diceva Girolamo poco sopra, rientra per alcuni punti nell’analisi fatta da Wu Ming.
    Che io leggo, peraltro, anche come un importantissimo passo per cercare di ripensare anche una certa idea di prassi critica…

  31. Be’ Saviano non va nelle biblioteche (cioè non ci va per Gomorra, ci va per leggere le tonnellate narrativa e poesia), però frequenta aule di tribunale e carte processuali, anche lui ha il bloc notes in mano…
    Non è nella documentazione il problema, è appunto nel mettere la propria umanità in quello che si scrive. Secondo me questo lo fa Saviano, come altri che non fanno letteratura testimoniale.
    Poi è evidente, la letteratura di Saviano può modificare le cose in un modo diverso e molto più diretto rispetto a un libro di ‘immaginazione’.

  32. @ marco
    può darsi che mi sia spiegato male: posto che NON PARLO del romanzo di Giordano perché non l’ho letto, io ho posto, rispetto al terreno del “lirico” (lo dico facendo riferimento ai termini usati, penso ironicamente, da te: epici e lirici), una questione generale. C’è, sia a livello di scrittura letteraria che di scrittura filmica (da dove ho tratto esempi) uno scrivere fine a se stesso, e c’è un narrare che pratica la sincerità e la relazione: e che, proprio per questo, può non solo aprire all'”epico”, ma (soprattutto, dico io) costituire un modello di scrittura che può slittare nell’altro campo (penso ai film “epici” di Ang Lee, in particolare a “Cavalcando col diavolo”), così come il narrare “epico” può diventare un modello in grado di esprimere un'”epica dell’anima”: “I ponti di Madison County”, ad esempio. E, di nuovo, mi scuso se uso solo esempi filmici.

  33. Eh, una volta c’era il ‘noir’. Dopo un po’ La divina commedia è diventata un noir, l’Iliade un noir, la Bibbia un noir, Agota Kristof, Kafka, i tragici greci, gli storici greci inesorabilmente dei noir! Si salvarono solo i poeti lirici… 🙂

  34. Cara Loredana, mi sembra evidente che i veri scrittori non possono scegliere. L’uomo di talento fa ciò che vuole, il genio fa ciò che può – diceva con il suo amore per il paradosso Carmelo Bene. Ma il concetto mi è sempre parso chiaro. L’artista autentico non può scegliere la materia narrativa, lo stile, i modi: può solo obbedire a se stesso, al compito che senza volere si è dato. Per questo non credo tanto alle correnti e ai generi. Lo scrittore fa quel che può, cioè dà forma al suo destino. Se cambiasse argomento e stile ogni cinque anni, seguendo le migliori idee del tempo, sarebbe solo un parassita di poco conto. Così non credo di poter seguire le indicazioni di Wu Ming, e non credo che lui sarebbe felice se io le seguissi. Continuerò a scrivere quello che sento, che mi fa male e bene, senza preoccuparmi troppo dello spirito del tempo. D’altronde l’artista è sempre inattuale, diceva quello lì. Non è così? Un caro saluto a tutti, Marco Lodoli

  35. Mah, a casa ho una serie televisiva splendida The kingdom, un horror, di Lars Von Trier, che ha fatto anche film tragici, musical e comici.
    Igort fa storie noir e storie ‘bianche’. Storie lunghe, lunghissime, e racconti. Taniguchi hard boiled e storie intime e minimaliste, ma anche grandi affreschi storici.
    Gadda non ne parliamo.
    Kurosawa ha girato di tutto, sempre con un talento immenso.
    I geni sembrano esattamente il contrario, sono quelli che possono scegliere, o quelli che non sono tanto seduti da non scegliere 🙂

  36. Sottoscrivo Barbieri. Non esiste un film di Kubrick che non sia un film “di genere” (e il suo “fondarlo” e “sfondarlo”). E Kubrick “è” il cinema.
    Marco, “dare forma al proprio destino” è una frase bellissima. Ma ha la vaquità di molte pillole heideggeriane, tanto poetiche così come tanto interpretabili come più ci pare. Roba da oroscopo della domenica.

  37. Ho cominciato a pubblicare in un’epoca in cui andava molto di moda il minimalismo americano. Poi c’è stato il postmoderno, l’avantpop, il romanzo storico, il noir, ora la nuova epica. Poi verrà altro, è il lavoro del mondo produrre forme nuove. Non credo però di essere in grado di adeguarmi a ogni nuova folata. Credo invece di poter continuare, con molta fatica e purtroppo con modesti risultati, a dare forma a certe vaghe intuizioni sulla vita che mi accompagnano o mi perseguitano fin da quando ero adolescente. Tutto qui. Kubrick non è il mio regista preferito. Mi sono sempre sentito più in sintonia con Fellini o con Bergman. Comunque chi è bravo a raccontare l’epica attuale lo faccia senza alcuna esitazione e senza preoccuparsi di chi bravo non è. Io lo leggerò con molto interesse. Un saluto da Marco Lodoli

  38. Marco, credo che nessuno ti chieda di “adeguarti” a chissacché, sarebbe demenziale, no? Se qualcuno davvero lo fa, se davvero qualcuno di volta in volta muta scrittura in funzione di ciò che più tira ha già perduto, anche perché WM1 fotografa una situazione, non dà “consigli per lo scrittore imberbe”. E come ogni fotografia quello che conta è l’inquadratura e la decisione di cosa inquadrare e perciò di cosa escludere dalla cornice. Questo non significa affatto che fuori dai bordi il mondo non continui ad esistere.
    Ti saluto anch’io e vado a pranzare. Nel mondo. 😉

  39. Le pillole heideggeriane come l’oroscopo della domenica? Mitico!
    Gianni, dovrò dedicare un taccuino alle tue battute che mi annoto.
    Magari faccio come suggeriva Benjamin: scrivo un romanzo interamente composto di citazioni.
    Tue.

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