E in tutto questo, gli scrittori cosa fanno-faranno-dovrebbero fare? Nell’inchiestona sul romanzo italiano del XXI secolo intrapresa da Davide Bregola interviene Nicola Lagioia. Dicendo:
Il romanzo italiano del XXI secolo ci prenderà alle spalle. Sarà abbastanza nuovo da mandare in crisi gli allibratori fino a un secondo prima della sua nascita ma – sfogliandone le pagine – chi ha amato veramente la letteratura saprà contare i cerchi sulla sezione del tronco, e riconoscere i padri, le ascendenze, l’eredità e il sano tradimento. Un’immersione tra i gironi del Pasticciaccio prevede che, tra i cinque o sei dei virgilî disponibili, si incontrino i fantasmi di Dossi e di Lucini. Ma a leggere con l’esasperazione del filologo le Note azzurre non si capisce niente del Gadda che verrà.
Sarà più vicino a Svevo che a Sciascia, perché la società italiana è ormai talmente un nido adamantino di idiozia che per sondare l’occhio del ciclone un confronto in linea retta dà solo risultati riflettenti. Quindi non sarà lo specchio della società, ma la sua essenza, spingendosi in percorsi che la rassegna stampa dei quotidiani – o il blob televisivo – non contemplano. Del resto Todo modo non dice sull’orgia di potere tra Chiesa e Democrazia cristiana più di quanto si sarebbe potuto estrarre da un’attenta, sensibile, intelligente, disperata frequentazione con lo spirito del tempo – ma nel finale della Coscienza di Zeno è contenuto il referto di un intero secolo.
Non avrà colorazioni politiche, almeno fino a quando un chierico rosso o nero o azzurro o bianco ci metterà le mani sopra (per tutti in questo caso vale il Viaggio, di Céline, semplicemente tra i massimi romanzi del secolo scorso e poi, subito dopo la sua uscita, un libro anarchico, antimilitarista, criptomilitarista, fascista, comunista, reazionario, rivoluzionario). Non avrà niente di pedagogico, ovviamente, se non a posteriori. E, se proprio dovrà esserne costretto, utlizzerà senza nessuno scrupolo sociologia, psicologia, ecologia, massmediologia, telecrazia, tecnologia, filosofia a soli fini letterari, avendo come risultato finale non la letteratura, ma l’uomo.
Lo riconosceranno subito i lettori sensibili per le ragioni giuste e gli editori per quelle sbagliate (e questo per gli editori alla fine è un merito, perché è assurdo pretendere che un editore sappia quello che fa, l’importante è che lo faccia). A questo punto, mi rendo conto, si può chiamare in causa Robert Denoël: ma si tratta di un santo, e i santi non fanno statistica.
Non lo riconoscerà affatto invece, temo, l’attuale generazione di critici letterari. Non li ho mai visti ridere a crepapelle né infuriarsi per le ragioni giuste, né essere davvero scontenti di se stessi né conquistare la statura delle vere tirannie. Si tratta dunque di burocrati. Un libro può ancora smuovere qualcosa nella loro coscienza ma non ha più speranza di cambiargli la vita.
Un burocrate della letteratura non è comunque totalmente inservibile, la circostanza di aver abdicato alla vita può essere emendata (soltanto in parte) dalla speranza che i pallottolieri della propria scrivania vengano mossi dalle dita di una cultura solidissima. Ma la cultura dell’attuale generazione di critici letterari (per non parlare dei professori universitari) di solito fa acqua da tutte le parti. Chi si salva, è costretto ad annaspare nella palude dei colabrodo altrui.
Sopravvivrà il romanzo italiano del XXI secolo a tutto questo? Certo, come ha sempre fatto la letteratura e l’arte in generale. Otto Dix si alimentò del pantano di Weimar e dalla noia della Restaurazione francese venne fuori Il rosso e il nero.
Il CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale) e’ un’organizzazione scientifica e pedagogica fondata nel 1989 da Piero Angela e da un gruppo di studiosi e ricercatori. Tra gli altri, aderiscono al CICAP: Umberto Eco, Silvio Garattini, Margherita Hack, Rita Levi Montalcini, Tullio Regge, Carlo Rubbia.
Con l’arrivo del nuovo anno e’ tempo di oroscopi e previsioni [anche LETTERARIE]; ma quanto sono attendibili? Come e’ ormai tradizione Scienza & Paranormale, la rivista del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale)va a fare le pulci alle previsioni degli astrologi…”
Forse è il caso di indagare anche su quelle dei letterati:-)
ah. ‘azz il romanzo italiano sarà questo? e che è Frankestein? 🙂 e quelli che amano le insalate miste, possono dedicarsi a nuove ricette pure loro? e io che mangio cereali e robbe povere come me la cavo?
non che mi dispiaccia il giochino ‘da quì a 50 anni’, mi piace, mi piace. Però anche occuparsi della pappa presente non è male. Credo poi che qualsiasi immagine del nostro futuro (anche il letteratura) non sia altro che un’ansia o bisogno del presente. Leggendolo in questa veste mi pare proprio che siamo orfani di un bel po di cose sia letterarie che non.
Besos
OT
Lucio,
visto che vai avanti a pubblicare plurime informazioni sulle vignette cosidette ‘satiriche’ prova un pò a pubblicare pure questa, mi pare che la tanto decantata ‘libertarietà’ di stampa (nordica) ne esca con qualche livido ‘cristiano’ (fondamentalista?).
Bisognerà mobilitare i borghezi di casa nostra per invocare la pubblicazione di quelle su cristo, così, tanto perchè ormai non possono fare a meno della libertà di stampa ed è giusto che si esercitino.
http://www.guardian.co.uk/
international/story/0,,
1703501,00.html
besos
L’iniziativa di Bregola è veramente notevole. Gli interventi si leggono tutto d’un fiato e coprono (scoprono) campi di analisi e riflessione per niente “autoreferenziali”. Mi sembra una vera novità.
SCIAPO’
effeffe
Spettatrice, non capisco perché tu non usi lo spazio commenti di là da me. Mi spiace per te, ma il fantasma di Andersen mi ha suggerito di schierarmi con la DANIMARCA [anche se – magari – non con il quotidiano jutlandese], questa volta. Avercela con TUTTI I DANESI, anzi con l’Occidente intero, anziché con i responsabili dell’iniziativa è come avercela con TUTTI gli islamici anziché solo con quelle teste di cazzo… be’, facciamo fanatici, dei fondamentalisti.
P.S. E comunque il tuo articolo riporta la spiegazione del direttore: “But the Jyllands-Posten editor in question, Mr Kaiser, said that the case was “ridiculous to bring forward now. ***It has nothing to do with the Muhammad cartoons***.
“In the Muhammad drawings case, we asked the illustrators to do it. I did not ask for these cartoons. That’s the difference,” he said.
Il romanzo italiano sopravviverà!Eccome se sopravviverà!
Ale
”Il rosso e il nero” sotto la Restaurazione francese: beh, allora altri cinque anni di governo Berlusconi e sai che grandi romanzi italiani uscirebbero? quasi quasi preferisco non vengano scritti… 😉
Ma che cazzo ne può sapere Lagioia – che è un narratore modestissimo e un intellettuale da salotto?
vado sicuramente OT, ma ho da poco cambiato casa e ho il telefono fisso (e quindi accesso a internet) da poche ore. Ma visto che da queste parti si era parlato di J.T. Leroy proprio a partire da miei dubbi sulla sua esistenza, mi è permesso di dire: ve l’avevo detto. Ecco, l’ho fatto. Con buona pace di Asia Argento…
saluti, Michele Monina
Manca un punto di domanda e una parentesi -questa ” da poche ore (e quindi non so se già la Lippa ne ha parlato).”
ancora saluti, Michele
Secondo me è inutile parlare di romanzo (o di letteratura) del XXI secolo se prima non si ripristinerà il giusto spazio EDITORIALE. Se prima non tornerà il coraggio dei primi “feltrinelli”, quello di prendere per il polso uno scrittore e buttarlo giù in piscina senza sapere se starà a galla o meno.
Il mondo editoriale di oggi (e quindi quello di domani) è pieno di gente che annaspa con i braccioli in piscine dove l’acqua è comunque bassa e chiunque arriverebbe a toccare. Finché i “programmi editoriali” saranno pieni dei Faletti il romanzo del XXI secolo sarà un delicato sogno, qualcosa destinato a morire con la prima alba.
[Ste – un “allievo” minimumfaxiano di Lagioia, tra l’altro]
Ste, non per tornare a vecchi discorsi: ma sei così certo che i programmi editoriali siano pieni “soltanto” di Faletti e affini? A me, sinceramente, non sembra.
Loredana: no, no. Non ne sono affatto convinto. Anzi, prima lo ero; adesso ne sono uscito (grazie all’esperienza si cambia e si matura). Ho letto tantissima roba interessante ultimamente (ne sto discutendo proprio in questi minuti via blog); molta di questa è italiana, molta è straniera (tantissima è americana), ma quasi tutta è scritta da gente GIOVANE che finalmente merita il proprio posto in libreria.
Ciò non toglie che gli spazi editoriali a disposizione restino pochissimi e spesso quest’occupazione non è meritocratica. Ma pur ammettendo che i programmi editoriali sono pieni di materiale interessante (e per gran parte è così), perché allora riempire i buchi residui con il “primo romanzo di Iva Zanicchi”?
La mia è frustrazione, Loredana. Frustrazione mischiata a un entusiasmo che da solo solleva le foglie morte da terra, ma comunque frustrazione.
[Ste]
La Feltrinelli di una volta era piena non tanto di giovani scrittori, ma soprattutto di giovani lettori che sapevano discernere tra i manoscritti: Fofi, Arbasino, Tutino, lo stesso Giangiacomo, ecc. La Feltrinelli di oggi non accetta manoscritti, a priori. Il resto segue da sé, e provoca frustrazione. Però, se l’ultima generazione di autori sembra migliore dell aprecedente (è un parere di Piperno che riporto, condividendolo), vuol dire che qualcosa si muove, si è mosso, si sta muovendo. Le librerie Feltrinelli, con le loro vetrine in affitto, purtroppo crescono (quello della Inge è una forma di terrorismo culturale ben più nocivo di quello attribuito a certe pubblicazioni che la Frau Inge ha, per altro, mandato al macero), però crescono anche le piccole case editrici, le collane che praticano la ricerca, i luohi in ret in cui far circolare la scrittura, ecc.
concordo con girolamo.
OT (ultimo, mi spiego e basta)
Lucio
non credo di avere mai manifestato qualcosa del tipo: Avercela con TUTTI I DANESI, anzi con l’Occidente intero, anziché con i responsabili dell’iniziativa
se ho dato l’impressione di avere un atteggiamento del genere mi scuso, tra l’altro ho anche un amico danese (che non è detto condivida le mie idee) e non credo sia proprio il caso. Se ti riferisci a un mio post precedente ti invito a leggere il seguito, capirai che ho scritto cazzate per un motivo forse non bello, ma ai miei occhi giustificabile.
Come sai sostengo che si può pubblicare tutto, ma che si deve dichiarare che la merda è merda (e perchè) anche quando la pubblica un giornale danese (negli interventi precedenti ho spiegato le mie ragioni)o, per estensione, occidentale. Lungi da me la categoria di ‘occidente’ (o ‘Oriente’ senza distinzioni) che in questi giorni trombona in giro. Non mi associo a molti ‘occidentali’ e non lo farò neanche in caso di guerra in casa, piuttosto riparo in Papuasia. No caro Lucio, l’occidente non è monolite e non lo è neppure il cosidetto islam. Quando ci prestiamo a questa riduttiva dualità facciamo torto al nostro cervello. Qualche volta nei ’70 mi stufavo per la politicizzazione di tutto, nel vedere il deserto critico e di elaborazione attuale rimpiango anche alcuni soggetti vetero. Ho visto, vissuto, troppe strategie della tensione e opposti estremismi per non sapere che sono funzionali ai poteri e nascono da forze ben diverse dal polpettoso concetto di occidente (che mi/ci accomuna, orrore, ai borghezi, alle ori(a)ne e a tutta una serie di famiglie e istituzioni di fatto, di diritto e di mafia) per non avere tantissimi dubbi sulle buone fedi dei giornali, dei vignettisti e dei fondamentalisti (sia cristiani che islamici). No, Lucio, ho una forte tendenza a disertare e fin quando potrò cercherò, con modestissimi mezzi, di non mandare il cervello all’ammasso dell’Occidente, poi varcherò frontiere che, francamente, non riconosco.
Finisco quì chè altrimenti diventa lunga e sono decisamente OT
besos
ps non scrivo nel tuo blog perchè a volte rende palesi gli IP e sono timida 🙂 (l’avevo già detto)
Spettatrice, hai frainteso: non sei tu ad avercela con TUTTI I DANESI, ma i fondamentalisti e i governi islamici che hanno deciso il boicottaggio delle merci danesi.
Quanto alla timidezza, suvvia! Alla nostra età
non abbiamo da perdere che le nostre catene del pudore:-)
la periodicità e la generalità della polemica sui critici aperta da Lagioia la rende indigesta a priori. E pure preoccupante, considerata la sua giovane età. sembra il classico risentimento di chi vorrebbe, ma non ce l’ha fa a diventare un “burocrate letteraio”. l’attuale scenario editoriale, per fortuna, non è un blocco, ma una stratificazione a più velocità. c’è la rete, ci sono i comitati di lettura, c’è chi come girolamo viene rifiutato dalla feltrinelli e pubblicato da einaudi, c’è il sottobosco dei piccoli editori, c’è gente che scrive, gente che rifiuta, gente che critica, la gente che si allinea e gente che “ci riesce”, nonostante tutto. ah, c’è pure gente che si lamenta dell'”attuale generazione di critici”, come sempre…
Scusate, ma qualcuno mi spiega cosa ha detto Lagioia? Non ci ho capito molto, mi sembra che abbia semplicemente fatto esercizio calligrafico intorno al concetto di “grande libro”. Dov’e’ l’italianità? Dov’e’ il XXI secolo? Cento anni fa avrebbe scritto lo stesso, con autori diversi come riferimento. O no?
p.s. per Girolamo: almeno nei saggi, Feltrinelli i manoscritti li accetta.
Un minimo di contestualizzazione, per carità. davide bregola manda una lettera a un certo numero di scrittori chiedendo loro di esprimersi su un certo argometo. Alcuni di loro lo fanno. Bregola pubblica le risposte alla sua richiesta sul suo blog, senza alcuna selezione. Loredana Lipperini ne linka uno sul suo blog. Punto. Non è che Lagioia si sia affacciato al balcone di piazza Venezia per lanciare un proclama: gli è stato chiesto un parere, lo ha dato. Che cosa ne può sapere? Chi gli ha chiesto il parere ritiene che sia persona informata dei fatti, chi lo ha linkato pure. Chi legge il parere lo ritiene discutibile? Benissimo:è democrazia, no?
@ Ricambi originali: la mia fonte è la lettera di rifiuto postata tempo fa da Angelini sul suo blog (assieme, ricordo bene?, a Baldini & Castoldi). Sono contento che almeno la saggistica funzioni diversamente: però gli autodafé dei libri scomodi la Inge li ha commissionati, eccome!
Scusate,
non pensavo che qualche minima ornatura della prosa – come direbbe Humbert Humbert – potesse causare tanta perplessità.
Su almeno due punti ha ragione “Ricambi originali”, avrei detto la stessa cosa anche tre secoli fa. Ovvero:
1) la poesia, la letteratura in generale – in quanto “meta antropologica” come direbbe Brodskij – non rischia l’estinzione fintantoché esisteranno esseri umani. A me questo sembra lapalissiano, ma siccome a ogni stagione (a ogni decennio, a ogni secolo) si parla per puro vezzo millenarista di “morte della letteratura” o di “seria minaccia di estinzione” (l’estate scorsa ho partecipato per esempio a un dibattito su Alias proprio su questo argomento), mi sembrava giusto ribadirlo.
2) il “nuovo romanzo” si avvarrà di un coefficiente lettarario imprevedibile fino al suo apparire, ma allo stesso tempo pagherà il giusto debito nei confronti dei propri ascendenti, della tradizione insomma. Pure questo mi sembra pacifico, ma ho voluto sottolinearlo perché di tanto in tanto salta fuori qualche travisatore di Tristan Tzara o di Debord convinto che il nihil ex nihilo sia una formula applicabile alla letteratura.
A ben vedere, l’unica scommessa che ho fatto sul “romanzo italiano del XXI secolo” (un azzardo, è ovvio, ma il “gioco” proposto da Davide Bregola lo richiedeva, e per giocare d’azzardo non bisogna per forza passare dal Cicap) era quella che riguardava l’auspicio di una maggiore vicinanza agli Svevo piuttosto che ai Sciascia. Cerco di spiegarlo meglio con un altro esempio: per raccontare i grandi disordini degli anni 60/70 la prospettiva di “Pastorale americana” mi sembra molto più interessante e pregnante rispetto a quella di “Vogliamo tutto”.
Sulle mie aspirazioni a entrare nel “Castello” di Kafka. Scusami Sblook (lo so, sono le regole della Rete, ma sono sempre un po’ in ansia quando devo interloquire con nomi da cartone animato), ma tutta la mia storia nel mondo dell’editoria è stata, almeno fino ad ora, l’antitesi di un lavoro da burocrate. Semplicemente, ritengo che il lavoro della critica letteraria sia importante (credo in astratto nel confronto tra autori e critici, insomma), e quindi soffro e mi dispiaccio nel vedere certe cose. E il mio dispiacere diventa spesso dileggio. Le case editrici (pur nel caos, nella cialtronaggine, nella mancanza di professionalità) mi sembra che facciano meglio. La Feltrinelli (sono d’accordo) è chiaramente a destra di Forza Italia, eppure per esempio ha pubblicato uno come Moresco.
Spero di essere stato più chiaro e di non aver offeso nessuno.
Statevi bene
Nicola Lagioia
Cito….”La cultura dell’attuale generazione di critici letterari (per non parlare dei professori universitari) di solito fa acqua da tutte le parti. Chi si salva, è costretto ad annaspare nella palude dei colabrodo altrui”.
Più che condivisibile: vero.
Di tutta evidenza che, finchè ci sarà un androide sulla terra vorrà fermare la storia per raccontare la sua e fuggire la paura più antica.
Vero che i modi cambiano e che il mutamento non può e non deve essere univoco : finirebbe con l’essere misero e falso come un rap cantato da Pupo o un blues modulato da Mino Reitano.
Ad ogni uomo la sua lingua, la sua essenza, il suo modo di essere nella e con la storia del suo tempo.
O di un altro, che poi è la stessa cosa. E’ l’omogeneizzazione e la pretesa di avere scoperto la formula definitiva che rende tutto squallido.
Un tempo c’erano i generi al’interno del contenitore romanzo: oggi i generi superano il contenitore dilagando, esondando o, semplicemente, reinterpretando. I critici, con il loro grosso tartufo raffreddato, commentano, arricciano, storcono, pontificano. Non vogliono davvero capire, mettersi in discussione, riaffrontare l’argomento, non sono interessati all’interpretazione del valore, solo al mantenimento di una condizione, che più è stantia più è di facile governo. Il pessimismo sarebbe la logica conseguenza di tutti quesri numeri in rapida addizione. Fortunatamente la storia è storia di contraddizione, se un nuovo Proust- nuovo in ogni senso e sentimento – è appiattato in difesa in qualche angolo chiuso della nostra quotidianeità riuscirà a superare le strettoie della logica pseudoaccademica, i circoli chiusi e le asfissie generali. Con buona pace dei sapienti di nomina curiale e la loro assoluta verità .
Nicola, personalmente sono sfiduciato sul romanzo prossimo venturo. Ma tale sfiducia non prorompe dalla disistima nei confronti dell’Autore, piuttosto dal disincanto – ormai atavico – che percepisco nei confronti di chi riceve; nei confronti del Lettore.
Non riesco più a trovare importante comprendere se il romanzo andrà più verso i Scascia o verso gli Svevo, quanto capire se andrà tout-court. Ho timore del declino della capacità critica del lettore; ho timore della capacità penetrativa dei media. Ho timore di tutte le teste che si volteranno a guardare in una direzione solo perché indicata da qualche front-man televisivo fresco di lampada. Ho timore che “il bello”, “il buono”, “il ben scritto” saranno soverchiati dallo strapotere de “il carino”, “il facile”, “il cool”, “il ce l’hanno tutti” e – sia maledetto – “il costa poco”.
Il nostro bisogno di consolazione ci ha portati ad accontentarci. Non siamo più abituati a pensare con la nostra testa; il giudizio critico si è spento dentro un plastico di Bruno Vespa.
Il dramma, Nicola, è che trovo la tua riflessione straordinariamente interessante ma culturalmente fuori contesto. Non si tratterà di capire dove andrà il romanzo, nel XXI secolo, ma di capire dove saremo NOI. Se il romanzo busserà a porte di case desolatamente vuote, per esempio. Oppure no.
Tu che dici?
[Ste]
Ste, intanto, se vuoi, ti dico come la vedo io: che forse posso essere tacciata (e lo sono) di ottimismo ingenuo (nella migliore delle ipotesi), ma resto convinta che non è che si sia abbassato il livello di approfondimento. Semmai si allargato il numero di persone che hanno accesso alla comunicazione, ed è probabilmente questo a dare la sensazione che ci sia un immiserimento generale. Non è alzando i paletti fra il lettore buono e quello cattivo o rimpiangendo i bei tempi che si creeranno nuove possibilità per libri, film, musiche di qualità elevata. Semplicemente, occorre rimboccarsi le maniche e fare. A dispetto sia dei lampadati sia dei manichei 🙂
Brava Loredana, sono d’accordo totalmente sul rimboccarsi le maniche. E vorrei aggiungere una precisazione (prima di andare a lavorare che qui a forza di temi interessanti non si produce più!): io non rimpiango affatto i “bei tempi”. Io sono fermamente convinto che l’arte migliore sia quella moderna; in particolare mi riferisco alla letteratura, al cinema, alla recitazione e a un certo tipo di comunicazione. Fermo restando i capisaldi della letteratura di sempre – e che quelli saranno nei secula seculorum – trovo oggigiorno una grande freschezza in autori straordinari (sono uno di quelli che dice basta crogiolarsi con Fellini: in America dicono tutti grazie a Fellini e intanto però fanno film dieci volte superiori). Il panorama è fresco, scattante e interessante: ma NON PASSA. Bisogna andare a ravanare, perché sugli scaffali ad altezza di occhio umano mettono l’ultimo della Zanicchi, il penultimo di Faletti, i libri di Zelig.
Tu sei ottimista.
Io sono, come dire, agnostico? Non mi piace la gente, non te lo nascondo. La amo a livello antropologico, mi intriga, mi piace guardarla, mi piace parlarci, voglio condividere momenti con miei simili. Ma intellettualmente vedo una deforestazione preoccupante. Ignoranza? Non credo: l’ignoranza non ha mai prodotto perfetti imbecilli. Percepisco addormentamento in questo bellissimo mondo. Ed è un peccato.
[Ste]
ok, nicola, d’accordo con tutto quanto dici e scusa per l’illazione castellana gratuita. l’unica cosa che però ancora non mi si è schiarita (forse perchè generalizzi, forse perchè contrapponi due blocchi eterogenei – la critica, l’editoria – come se fossero due arene omogenee; ma forse questo è un po’ anche lo spirito del gioco di bregola)è: quali sono queste cose di cui soffri – ti dispiaci, quando le vedi? se lo spieghi magari siamo tutti daccordo con te… se no, resta puro dileggio
Caro “Noantri”,
ti ringrazio per il post.
La tua è la stessa obiezione che mi opponevano Scurati e Cordelli in occasione dell’incontro per “Alias” di cui dicevo nel precedente commento. Spero non abbia fondamento, perché vorrebbe dire che siamo finiti.
Da una parte, è vero, alfabetizzazione prima, scuola dell’obbligo poi, analfabetismo televisivo di ritorno infine, non credo abbiano alzato il livello culturale medio di questo paese dai tempi di Porta Pia. Di contro, una minoranza (un’élite più che mai trasversale oggi, che salta le differenze di classe) per cui la letteratura è stato un incontro decisivo si è sempre misteriosamente rigenerata da un decennio all’altro – a dispetto di Andreotti, di Togliatti, di Berlusconi, di Bill Gates. Non penso insomma che oggi Kafka abbia più lettori di trenta anni fa, ma neanche di meno però. Se alla letteratura di domani non dovesse essere spalancato neanche un uscio, ripeto, saremmo finiti: perché la letteratura non ha mai impedito che un uomo sollevasse la mano contro un suo simile, ma è sempre stata capace di restituire (anche tragicamente) un senso all’esistenza.
Credo fermamente nel rovesciamento della formula di Adorno su Auschwitz (dopo Auschwitz non si può più fare poesia), perché l’arte è una delle poche cosa capaci di rimetterci in contatto con noi stessi all’indomani dei nostri più gravi crimini. Non credo, ripeto, che siamo talmente immiseriti da rinunciare alla preziosità di una simile bussola.
Nicola Lagioia
L’arte è morta, o se preferite la letteratura è morta. Non so perché ma mi sembra il ritornello di una canzone – forse quella di Guccini/Nomadi che parafrasavano un aforisma nietzschiano. Anch’io non credo che ci siamo immiseriti (come dice Nicola), e credo che non ci immiseriremo mai – e non lo dico perché ottimista, ma per il semplice motivo (antropologico?) che creare è qualcosa connaturato all’uomo. Forse a causa del pollice opponibile.
Potremmo riprendere vecchie discussioni portate avanti nei giorni scorsi dal saggio di Spinazzola su Piperno. E torniamo al mercato, ai libri sugli scaffali e ai gotha del marketing. Non saprei, non è il mio mestiere l’analista di mercato, ma credo che alla loro uscita molti di quelli che oggi definiamo dei “classici” non furono considerati tali. Ricordo Baudelaire, la perdita dell’aura, la museificazione dell’arte e il suo prostituirsi, l’urlo che stava morendo. Sono passati 250 anni, credo ci sia stata ancora arte e letteratura.
Ciao Sblook,
allora. Sulla critica. Ecco soltanto alcune delle cose che mi fanno girare le scatole. Vado davvero a caso. Mi fanno incazzare:
1) I professori universitari di letteratura italiana contemporanea che non sanno che cosa è successo nella letteratura di questo paese negli ultimi trent’anni. Non sono contro le gerarchie a priori, mi sembra giusto che persone competenti occupino posti di potere ma Cristo, parlare con la maggior parte dei nostri accademici è un’esperienza frustrante. Dalla fine dei settanta in poi, spesso (non saprei come altro dirlo) non sanno un cazzo. Non pervenuto. Smarrito. Niet.
2) Il lentissimo ricambio generazionale. L’Italia (non solo per ciò che riguarda gli intellettuali, naturalmente) ha il più lento ricambio generazionale del continente. Fatemi i nomi di dieci critici letterari sotto i trentacinque anni che scrivono regolarmente di letteratura sui quotidiani italiani nazionali. Fatemi i nomi di due capiservizio, cazzo!
3) I caposervizio cultura dei suddetti quotidiani. Veniamo anche a loro. Nella maggior parte dei casi non vengono dalla letteratura, o comunque non hanno scritto saggi importanti sull’argomento e non hanno nemmeno avuto meriti come “agitatori culturali”. Hanno, nel loro passato, fondato riviste letterarie? Fatto i critici militanti? Tradotto libri fondamentali? L’assegnazione del posto spesso è demenziale come quella dei nostri misistri (un cardiologo al ministero dell’agricoltura, un pasticcere a quello della salute, un minotauro monolingue a quello degli esteri e così via).
4) La quasi totale mancanza di ambizione nella scrittura di libri importanti. Ma porca puttana, di tanto in tanto qualche scrittore italiano ci prova a scrivere un libro importante. Nel peggiore dei casi fallirà e sarà un Gadda mancato, un Flaubert mancato, un Faulkner mancato e così via. Però adesso dimmi, quanti critici letterari italiani hanno perlomeno tentanto negli ultimi vent’anni di scrivere il loro “Canone occidentale”, il loro “Menzogna romantica e verità romanzesca”, il loro “Miti d’oggi”, il loro “Idiota della famiglia” eccetera eccetera.
5) La scandalosa pressapochezza di una percentuale non trascurabile di recensioni (titoli sbagliati, prosa sciatta, approfondimento nullo, quarte di copertina scopiazzate malamente, scarsa capacità di legare il libro recensito al panorama culturale in cui si inscrive).
Posso andare avanti. Accetto istigazioni e provocazioni. E ripeto: non godo di questo sfacelo, al contrario, vorrei un confronto serio, adulto, maturo. Così si cresce insieme. Altrimenti la situazione è desolante.
voster semper voster
Nicola Lagioia
Un problema di ricambio generazionale, sono d’accordo. Il dramma è che in Italia non esiste un ricambio generazionale in quasi nessun campo. Sbaglio o siamo l’unico paese “occidentale” e “moderno” in cui fra due mesi si sfideranno per il premierato (che brutta parola, per inciso) gli stessi due che si sfidavano nella primavera del 1996? (Cazzo 10, dico 10 anni fa.)
Nicola, grazie per avermi dato ragione 🙂
Cio’ che comunque non capisco è proprio il punto di partenza di un’inchiesta del genere. Che è un po’ come chiedere: “cosa vorresti mangiare oggi a pranzo?” Qualcuno risponderà con il menu del Gambero Rosso, qualcuno con la pasta all’uovo della nonna, qualcuno con il bigmac. Tutti risponderanno qualcosa. La cucina italiana del XXI secolo.
Da lettore (e non da scrittore di romanzi), il Romanzo Italiano del XXI Secolo mi piacerà molto: e quindi ora vorrei che sia come ciò che mi è piaciuto prima. Ma poi, come tu sottolinei, mi sorprenderà, e fara’ scoprire il nuovo.
Previsione e desiderio non coincidono. Per fortuna.
Per la precisione, Nicola, Adorno non diceva, come asserisce la vulgata, che “dopo Auschwitz non si può più fare poesia”, ma che dopo Auschwitz non si può fare poesia che non abbia introiettato dentro di sé questa tragedia.
E, Fernando, gli anni saranno 150, non 250, no?
😉
pedantemente vostro, G.
Cavolo Gianni! è che sono così avanti che già mi credevo di essere nel 2106.
😉
bene, abbiamo capito che il Lagioia crede di essere uno di quegli scrittori che provano a scrivere il “libro importante” e i recensori disgraziati e ignoranti non lo capiscono, non gridano al capolavoro per “La scandalosa pressapochezza di una percentuale non trascurabile di recensioni (titoli sbagliati, prosa sciatta, approfondimento nullo, quarte di copertina scopiazzate malamente, scarsa capacità di legare il libro recensito al panorama culturale in cui si inscrive)”. La megalomania di questo scrittorucolo da salotto, che ha scritto libri brutti e supponenti è davvero sconcertante e avvilente.
Allora, mio caro vogatore, parliamoci chiaro: se il tuo scopo è venire a ricordarci che nei blog non deve mai mancare l’insultatore di turno, bene, bravo, ci sei riuscito. E adesso, gentilmente, accomodati all’uscita.
Sono le regole del gioco democratico. Così, avendo risposto alle osservazioni e alle critiche delle menti pensanti, farò la stessa cosa pure con chi viene fulminato da temporanei lampi di scemenza come “peppuzzo”. Lo so, sono trappole, ma alla fine chi se ne frega, anche dietro la viltà di certi nickname si nasconde alla fine sempre un essere umano. Scusa “peppuzzo”, ma se c’è una cosa di cui non mi sono mai potuto lamentare è il modo in cui la critica ha sempre accolto i miei lavori. Meglio non potevo chiedere. A quel punto era molto più comodo prendere e portare a casa. Non è il tuo giudizio di valore su quello che scrivo che mi offende, ma quello che dici sulla mia presunta mala fede. Sulla base di che cosa? Fai la persona adulta, esci dagli pseudonimi cretini, vieni nel mio salotto a prendere un tè e prova a vedere che significa parlare da persona a persona.
Nicola Lagioia
cara lippa, sui vogatori di turno non me la prenderei nemmeno tanto. il problema, come in tutti i blog, non è tanto l’insulto (che in certi casi può essere anche pertinente), ma il tentativo di bloccare la conversazione.
caro nicola, l’uso del nick non è indice di codardia. mi firmo sblook, in realtà mi chiamo nicola anch’io come te, ma cosa cambia? possiamo lo stesso conversare…per tornare alla questione della critica, ho pensato in questi giorni a quanto dici. non essendo un addetto ai lavori, ma solo un appassionato lettore, posso dirti che mi incazzo anch’io con 1) i prof. universitari: anche se poi, dipende anche da quali sono le loro aspirazioni. in italia, molti sono semplicemente storici, più che dei critici. si accontentano di questo, e non è colpa loro se non hanno la voglia di agitare la realtà in cui vivono. 2) i giornalisti e le redazioni culturali: i quotidiani pullulano di ex addetti stampa dello spettacolo. e poi anche ai lettori interessa molto più capire chi si nasconde dietro la parrucca di leroy… ma forse un quotidiano non è il luogo migliore per fare critica…o non è lo più come un tempo. forse la vera questione, nicola, non è tanto accusare le manchevolezze del presente, quanto trovare nuove modalità e attori più ambiziosi per la critica
I “detentori del gusto” di cui parla Spinazzola capaci “di influenzare con i loro giudizi favorevoli il comportamento dei lettori più inesperti, persuadendoli ad accettare anche prodotti di non agevole digestione…” (cito da http://www.saggiatore.it/content/documents/dl000047.tiraturesaggio.pdf)
è un’élite che non riesco a intravedere. Temo viva sempre più in un immaginario collettivo. O forse si è ritirata sull’Aventino? Io fatico a incontrarla e/o a riconoscerla. Gli scrittori no, quelli li incrocio ancora (in questo condivido Nicola Lagioia) con i loro tentativi, i loro errori ma anche il loro mettersi in gioco: ci provano. Magari mi sbaglio, forse sono sotto effetto Lsd e me li immagino soltanto, in questo caso non mi rimarrebbe che inneggiare a Timothy Leary.