Su Carmilla, una poesia di Wu Ming 1: L’Istituzione-branco.
Su Repubblica, oggi, un intervento di Natalia Aspesi non on line, che vi riporto qui sotto.
Qui, dopo la presentazione di Ancora dalla parte della bambine a Modena, ieri, un poco di speranza, perchè la voglia di reagire c’è, e la consapevolezza è crescente. E molta tristezza.
Attorno a un corpo assente, in cui il tempo e il sangue scorrono insensibili come sabbia in una clessidra, isolato nel silenzio e nell´estraneità alla vita, continua ad agitarsi dissennata una parte del Paese.
Quella parte di Paese che ha perso la testa umiliando oltre a se stesso anche la sacralità di un lunghissimo calvario, la sofferenza eroica di una famiglia, il vuoto muto di un´inesistenza. Nell´assoluto disprezzo di quel corpo, che avrebbe diritto di finire nella quiete e nell´amore il prolungamento di un interminabile doloroso viaggio già concluso 17 anni fa, prosegue un fracasso di pareri, un esibizionismo di cortei, un vergognoso andirivieni di ispettori, di incaricati, di ficcanaso governativi, e adesso di bollettini che raccontano le raccapriccianti fasi che dovrebbero accompagnarlo dove il tormento finirà.
Non si tratta più di Eluana, che del resto manca al mondo da un tempo infinito, se se ne contano i giorni; né si tratta più del diritto alla vita o a una fine dignitosa, della morale religiosa o dell´etica laica, di Dio o dello Stato. Ma di un drammatico conflitto istituzionale, e si può già immaginare che chi lo ha provocato, continuerà a servirsi politicamente di quel corpo, sia che trovi finalmente, cristianamente pace o che sia costretto dalla più torva crudeltà degli interessi di potere a ripiombare nella prigione disumana delle funzioni fisiche artificiali.
Il signor Englaro, nella cadenza quotidiana di troppi anni, ha visto, giorno dopo giorno, il giovane corpo della sua bellissima, ridente figlia, trasformarsi, perdersi, rinchiudersi, sbiadire, diventare altro, neppure l´ombra di quello che era, una forma immobile e perduta, svincolata da ciò che la circonda, che la grandezza di un padre ha potuto continuare ad accudire teneramente, dolcemente, per inestinguibile amore. In quel corpo che ha sostituito Eluana, lui solo può riconoscere sua figlia, e continuare ad amarla: è per questo che con eroico orgoglio l´ha difeso da ogni squallido tentativo, e ce ne sono stati, di rubarne le immagini drammatiche. Per tutti, per chi crede al diritto di interrompere l´inesistenza e per chi invece questo diritto vuole negarlo, Eluana è sempre quella selva di capelli neri, quel sorriso splendente, quello sguardo felice, quella ragazza che invece ha finito di vivere tanti anni fa. Adesso il signor Englaro invita sia il premier che il capo dello Stato a visitare ciò che resta di sua figlia. Si fa, lo fanno sempre i nostri rappresentanti quando accadono disastri e “si recano”, come dicono i telegiornali, al capezzale dei feriti, a consolare i parenti delle vittime. Essi non possono esimersi, soprattutto il premier che tanto tiene che quel corpo continui il suo percorso artificiale, ha il dovere, al più presto, di portare in quella stanza in penombra il conforto della sua presenza, e di restarci da solo, per un lungo tempo, a riflettere, pensando alla vita, immaginandosi padre di quella creatura, dimenticandosi per un momento della sua smania di potere. Sarebbe vile rifiutarlo, sarebbe come rendere vane tutte le parole, e non solo le sue, in difesa non della vita in generale, ma solo di questa vita spenta, diventata ostaggio politico. Certo se il premier farà il suo dovere, in quella stanza della clinica di Udine non pensi di trovare quella deliziosa attrice che nel film di Almodovar “Parla con lei”, è una ragazza in coma da quattro anni, così bella da far innamorare l´infermiere che cura anche troppo intimamente il suo corpo insensibile. Pensava a quella storia il premier quando ha pronunciato quella tragica frase, «Eluana potrebbe avere dei figli»? Nel film di Almodovar la ragazza in stato vegetativo, che non sa, non sente, non può reagire, non esiste, resta incinta, vittima ovviamente di uno stupro necrofilo. Pensandoci, oggi vengono i brividi, e non c´è altro da dire.
…”Pensandoci,oggi vengono i brividi,e non c’è altro da dire.”Aggiungerei che questo governo fa venire veramente i brividi;se poteva esserci qualcuno che aveva ancora dei dubbi….ragazzi, questi hanno buttato la maschera,sveglia!!!!!
Un bellissimo articolo.
Un po’ capisco la bagarre mediatica intorno a questo caso, che catalizza tante riflessioni e cose intime e private e tutti col pretesto di parlare di altri, di un altro nome e di un’altra storia parlano pensando a se e al proprio privato, e questo rende il dibattito più infuocato, e alle volte intollerabile – non controllato. Certamente sono schifata dall’uso che il premier e i vertici politici (ma non direi lo stesso di Napolitano) fanno di questa vicenda – ho una specie di timore a proniunciare il nome – e anche preoccupata per la Costituzione e per il mio paese. Ed è proprio per questo che boh, è vero che il Premier ci dovrebbe andare, a vedere la realtà delle cose. Ma questo Premier ci ha un’età, e cioè non 15 anni, e un curriculum di idiozie e stronzate e frasi improvvide, che proprio non posso aspettarmi niente niente niente di buono. Nessuna epifania. nessuna intelligenza nessun cuore.
Non sempre dal letame nascono i fior.
ho pensato anch’io al film di almodovar, appena sentite le parole del premier…
Bell’articolo. Però l’espressione “stupro necrofilo” è paradossale: o una persona è viva, e allora un atto sessuale subito contro la propria volontà è uno stupro, o è morta, è allora non è uno stupro né niente, è un atto sessuale compiuto su un cadavere. Insomma nemmeno la Aspesi sembra aver deciso se quel corpo lì è vivo (“stupro”), o morto (“necrofilo”), e gioca sull’ambiguità per fare un po’ di retorica.
La Aspesi coplisce sempre, ogni volta che scrive o apre bocca. E’ dura, fa pensare. Non so se ne ho paura, paura di affrontare la realtà che descrive, oppure voglio sapere…
Io non credo che Berlusconi avesse in mente “Parla con lei”…
Né voglio insozzare quel capolavoro con la tremenda frase del premier, che immaginavo-speravo-utopizzavo avrebbe scatenato le ire di (almeno) tutte le parlamentari.
Non prendiamocela con quel film.
Che peraltro, con la vicenda di Eluana, non può e non deve entrarci niente.
La poesia di WuMing1 non so, ma l’intervento di Giuseppe Genna è meraviglioso, e ha messo ordine in tutto quello che, finché non l’ho letto, confusamente sentivo.
Siccome non so come fare a ringraziarlo, lo faccio qui, sperando che legga.
La poesia di WM1 è un mantra, che accompagna fin dentro lo schifo che sta succedendo. Fa bene ( o meglio, fa male) leggerla.
C’entra poco, ma secondo me “Parla con lei” era raccapricciante, schifoso, mi ha disgustato. Ed era solo un (brutto) film. Ora, purtroppo, non ci sono parole per l’orrore.
Sono stata fuori dall’Italia per cinque giorni e mi sento come se il tempo verso il baratro avesse subito un’improvvisa accelerazione…ci sarà una risalita alla decenza dopo tutto questo discendere (ormai il fondo è stato quasi toccato), o no?
@Roz
In effetti, la contingenza nazionale ha un nonsocché di palingenetico. Ma magari è solo questo primo accenno di primavera, e il favonio che dà alla testa.
Non possiamo mai pensare di essere arrivati quasi al fondo.
Perché, evidentemente, questo fondo non esiste. Questo è il problema, secondo me.
Risalire la parete del pozzo una volta giù è più semplice. Arrestarsi in caduta libera è un’impresa rivoluzionaria.
@ Vittorio, forse ma mi sento mancare l’aria ugualmente…
@Ekerot, ho sempre temuto l’infinito, forse per questo spero nell’esistenza del fondo. Per arrestarsi in caduta libera ci vorrebbe una forza che non vedo ancora in giro…ma non si sa mai…
La poesia è bruttarella anziché no. Forse un semi-lavorato. Il caso Englaro ha la stessa funzione del caso Meredith o del delitto di Cogne: sviare l’attenzione da altri problemi.
Se esiste un dio, oggi ha avuto pietà.
Adesso si spera che gli uomini abbiano pietà di quel padre, cosa di cui dubito fortemente.
Mi aggrego e quoto l’ultimo post.
Spero che il povero padre abbia un po’ di calma intorno, senza torme di idioti ficcanaso a dargli pareri non richiesti su cosa avrebbe dovuto fare.
Non è cambiato il palinsesto di Canale 5. Mentana ha deciso di dimettersi. Dimissioni accettate.
«Non è così [parla Mentana] che si fa informazione su una grande rete nazionale. Non esiste solo l’audience. Simili scelte tolgono credibilità a chi le compie, e personalmente non ho nessuna intenzione di avallarle. Stasera su Canale 5 il dramma è quello della cacciata di una concorrente dal Grande Fratello. A mezzanotte, se va bene, si parlerà di Eluana a Matrix. Andremo in onda comunque, per dovere di informare. Domani però rassegnerò le dimissioni da direttore editoriale di Mediaset, per un altro dovere, quello di coerenza».
Oh, finalmente una scelta di dignità.
Molto apprezzata la poesia di wuming1, invettiva crudele e rabbiosa, di pancia.
L’invettiva di pancia crudele e rabbiosa pare esattamente l’opposto dell’atteggiamento di Beppino Englaro, sempre dignitoso, misurato.
Credo che il ruolo e la voce di un intellettuale che vede il Paese affondare nell’orrore e nello sciacallaggio non possano essere gli stessi di un padre, come Englaro. E’ corretto non attendersi da Englaro un racconto-invettiva, come è normale non pretendere che l’intwellettuale debba porsi gli stssi limiti di Englaro, anzi, secondo me bisogna dire le cose che Englaro non poteva dire. Questo aldilà del giudizio sulla poesia di cui si sta parlando.
Sì infatti, io mi limitavo a commentare il testo poetico, che mi sembra riesca a fare da elastico fra molte cose, usando immagini molto forti. Chiedo scusa per essermi dimenticato di firmare, già che ci sono, l’osservazione era la mia.
Allora provo a fare un altro esempio. Lorenzo Milani aveva una decina di bambini alla sua scuola. E’ corretto dire che Milani per loro era un ‘padre’, anche se ovviamente non nel senso biologico. Alcune lettere tra lui e i ragazzi vertono proprio su questo essere padre.
All’ennesima bocciatura di uno di queste ragazzi, Milani progetta un testo per difendere il bocciato e tutti quelli nelle sue condizioni.
E’ un testo collettivo (anche se ha una regia senza la quale, bisogna ammetterlo, non sarebbe mai esistito). Il linguaggio è misuratissimo e la sua misura è la spiegazione della responsabilità. Spiegare pagina dopo pagina, nel modo più semplice per arrivare a tutti, le ragioni per cui quella bocciatura è ingiusta. Milani concepisce una struttura su due livelli, uno di argomentazione discorsivo, il secondo di dati inseriti in tabelle. Se avesse avuto la tecnologia attuale avrebbe usato i link.
E Lettera a una professoressa, alla fine, è un testo che vince su tutti i fronti, quello dell’argomentazione, quello della persuasione e anche quello della commozione. Cioè un testo che può davvero cambiare le cose.
orribile la poesia di wuming e irrispettosa la destra e la sinistra che hanno utilizzato il caso, come la solita moda, per imporre il proprio politicame. anche qui, assente la madre. d’altronde sia di destra sia di sinistra la massa è… massa.
dove eravate per 17 anni.
grazie a me non sono sarò mai un praticante né tanto meno un votante.
il prossimo caso? lo stupro dei ragazzini? quando ovviamente lo stupro assumerà valenze politiche?
Cioè l’arte, la poesia etc. devono essere… misurate? Porsi problemi di “realpolitik”? In base a questo criterio non avremmo avuto il 90% delle opere che consideriamo di valore. Non che la poesia di Wu Ming faccia parte di quel novero, non ho nemmeno gli strumenti per affermarlo, ma l’esempio di Don Milani non c’entra nulla, è un’altra forma espressiva, con finalità diverse. Accanto a quella poesia su carmilla c’è la locandina di “Salò” di Pasolini, credo sia un riferimento chiaro alla fonte di ispirazione. Quel film forse non doveva essere fatto perché è un’invettiva, perché non è misurato e i repubblichini mangiano escrementi? E quando Neruda chiamava i franchisti “sciacalli che lo sciacallo schiferebbe”, è censurabile perché non misurato?
Accolgo qualunque critica alla mia poesia.
E’ un tentativo.
Quello che succede in Italia e non solo pone sfide a tutti noi che scriviamo, ci sbatte fuori dai nostri binari, anche da quelli su cui avevamo appena cominciato un viaggio.
Dobbiamo accettare il fatto che ci troveremo fuori dalle nostre “zone di comfort poetico”.
Ho comunque trovato molto bello il modo in cui “L’istituzione-branco” è stata ripresa in giro per la rete, quasi sempre con qualche riga di accompagnamento e com-partecipazione.
Spesso da donne (e credo sia significativo).
Finora, le reazioni negative sono arrivate soltanto da maschi.
Magari mi sbaglio, ed è solo una coincidenza.
[Un tale mi ha scritto dicendo che la poesia gli ricordava la propaganda nazista di Julius Streicher.]
Penso che soprattutto chi gestisce il blog “Femminismo a sud” abbia capito cosa cercavo di dire.
Per questo ringrazio.
http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2009/02/10/l-istituzione-branco
Non ho intenzione di fare ulteriori commenti su questi versi.
Il refrain di Youth Against Fascism dei Sonic Youth è:
“It’s the song I hate”.
Ecco, this the poem I hate.
La poesia che ho odiato scrivere, perché odio la situazione che me l’ha ispirata.
benvenuto nel mondo della poesia allora. perlomeno nella mia visione di poesia. dalla mia esperienza di uno che scrive parole che vengono poi chiamate poesie non mi ricordo una volta che ho scritto “con piacere”. nemmeno una. sarà per questo che il tuo testo mi è arrivato.
sì, in effetti anche io odio l’italia con i suoi favoritismi e circoli letteralpolitici. però ci vivo, non votante né praticante, ma ci vivo. quella stessa poesia, per dire, scritta da me, non sarebbe stato uguale. i canali giusti e i santi in paradiso. quelli che non tutti hanno, il padre englaro, per esempio. italietta di favori e nepotismi.
con rispetto.
@Wu Ming 1
grazie a te!
Io non so se dipende dal fatto di essere donne o meno. So che quello che hai scritto ha raccontato il disgusto per una violazione che innanzitutto riguarda il corpo.
e noi di violazioni del corpo ne sappiamo dire, purtroppo.
scriviamo spesso di stupri, che non sono solo quelli messi a segno dai rumeni e non riguardano la misura dei millimetri di penetrazione di una vagina.
gli stupri sono di tanti tipi e potremmo descrivere tantissimi differenti esempi di violenze.
uno stupro ecclesiastico-istituzionale si racconta così.
quali sarebbero le parole compìte, rilassanti, quiete, anestetizzanti, deresponsabilizzanti, non mi è dato saperlo.
io quando parlo di stupro divento sboccata, esplicita, per dirla in una parola: poco rasserenante. si può anche perdere tempo a ragionare in termini accademici sulle diverse proposte di descrizione di un stupro, ma sempre di quello si tratta.
la violenza si racconta come si sente. se non la senti non la sai raccontare, non c’e’ nulla da fare. se non la senti non sai farla sentire agli altri.
chi riesce a farne percepire almeno un po’ è maestro/a dell’arte della scrittura. soprattutto è maestro dell’arte del sentire.
trovare una persona che è empatica, che sente, di questi tempi è cosa rara. ve ne siete accorti? ciascuno parla di esiti, guadagni, poteri conseguiti. se questa non è indifferenza non so proprio dire cos’e’.
se una persona che si ostina a ragionare ancora da essere umano viene cazziata sullo stile è veramente preoccupante. Non perchè lo stile sia secondario, infatti non lo è. per me va benissimo così.
i tecnicismi, i formalismi e le burocrazie letterarie usate per fare un po’ di sterile opposizione, lasciamole dove per scrivere si inventano le storie.
chi le vive o ne avverte la durezza ha l’alfabeto che muta con i sentimenti e le emozioni.
quella è la lingua che a me piacerebbe sempre leggere.
grazie ancora
Secondo me le storie devono essere coinvolgenti, rendere partecipi persino chi fa sterile opposizione. Le storie devono rapirci con ogni mezzo necessario.
La poesia in questione è un pugno allo stomaco, sboccata, esplicita e poco rasserenante, forse non abbastanza empatica, è vero, ma io l’ho percepita anche per questo coraggiosa. Una poesia schierata, decisamente schierata sul fronte dell’opposizione alla valanga.
Sterile ho trovato piuttosto ogni altro tentativo di testo giornalistico o quant’altro sull’argomento.
I bersagli sono ben altri scribacchini del reame.
Il realydrama “Abla con Eluana” è terminato. Speriamo che tutti gli “stupratori” (di stato, dell’etere, della carta stampata, del web e dei blog… ) volontari, ed involantari, che fanno ancora più ribrezzo, felici di aver dato il loro contributo, sempre autoincensante e autopropagandistico, se ne stiano in silenzio, almeno per un po’. So di chiedere troppo, bullshow must go on…
@Philopat
sicuramente non sono stata chiara, non so se ti riferisci a quello che ho scritto io.
intendevo dire che invece io l’ho trovata parecchio empatica. sentiva, esprimeva, comunicava. e poi pure coraggiosa certo. la mia non era una critica. anzi. l’ho adorata. 🙂
le opposizioni sterili io non so fino a che punto hanno voglia di essere convolte. spesso semplicemente non ne hanno voglia. il loro dettaglio si misura proprio nell’essere opposizione e la loro cifra è l’atto di presenza oppositiva. (serve la parola – era schismogenesi? – di zauberei :P)
circa la sterilità di certi scribacchini comunque sono più che d’accordo. quelli, più che farsi rapire con ogni mezzo necessario sono ostaggio dei buchi neri che hanno nel cervello.
sono implosi tanto tempo fa e neppure lo sanno. 🙂
Premetto una cosa, bisognerebbe iniziare a intervenire col proprio nome e non usare nick occasionali. Servirebbe a capirsi meglio.
@ Giorgio Grosz
Da quello che scrivi sembra che il significato di ‘realpolitik’ combaci perfettamente con ‘misurare le parole’. Non è così: Milani misurava anche le virgole e non c’è traccia di ‘realpolitik’ nei suoi scritti e in quelli collettivi.
Invece, quando dici in sostanza che un saggio argomenta mentre una poesia per così dire ‘pensa’ senza argomentare sono d’accordo.
Però vorrei dire questo, Beppino Eglaro è un intellettuale. I suoi interventi di altissimo livello lo dimostrano. Non è però un intellettuale come siamo abituati a vederne, cioè persone che padroneggiano la parola e che stanno a latere rispetto al ‘fare’. Beppino come Milani è un intellettuale che ‘fa’.
E io vedoche la sua scelta, meditata profonda perché è una scelta prima di tutto intellettuale, è quella di non praticare l’invettiva, la reazione rabbiosa di fronte ai problemi della nostra società
Infatti, come Milani, sta cambiando davvero le cose.
Io mi chiamo Aldo, se il riferimento era a me. Usare solo il nome senza il cognome è una libera scelta, o no? Ho visto poi che nell’altra discussione dicevi che è un nick “Claudia B”, che se non ho capito male è il suo nome. cmq secondo me questa poesia argomenta pure, quando dice:
“è loro questo corpo
li intriga il suo fiore di catacomba
flaccidi
di fronte a lei dormiente si sentono eterni
flaccidi
la sua parvenza di vita li fa sentire vivi
flaccidi
la sua immobilità li dinamizza
flaccidi
il suo non poter scegliere eccita il loro arbitrio
flaccidi
il suo non avere più niente li fa sentire proprietari
epperò
flaccidi”
E anche quando dice:
“simulano il coito
respinti dal mistero che sei
bella dormiente per sempre
sugli scogli del tuo mistero si spaccano le chiglie
di ogni nave da guerra
nelle sabbie del tuo mistero sprofondano i convogli
che portano armi
nel buco del tuo mistero vengono inghiottiti gli dèi
nel mistero del tuo mistero si perdono le certezze
del potere
dello Stato
sul tuo stato”
e poi alla fine quando dice che sono morti e cadranno giù.
Aldo, si può anche usare un nome di fantasia, come fa WM1, l’importante è che sia sempre quello e che si distingua dagli altri.
Tu ora intervieni semplicemente come ‘Aldo’, che è un po’ poco per distinguerti…
Infatti sopra c’è un altro ‘Aldo’ che però linka un sito che tu non linki.
Così viene da pensare che siate due persone distinte, e scambiare opinioni è più difficile. Tutto qui.
Per il resto direi che in generale le poesie, ma anche i racconti, possono farci conoscere le cose, ma in un modo diverso dall’argomentazione razionale.
Linkavo il sito per burla riferita a una mia battuta di pochi giorni fa dove facevo un paragone tra il modo di scrivere di “luminamenti” e l’alito cattivo, cmq sono sempre io.
Aldo, quello che dice Andrea Barbieri, per un buon 80% è frutto di delirio.
Usa tutti i nick che te pare, basta che dici qualcosa di significativo.
Claudia B., facciamo attenzione, si parlava di ‘scambiarsi opinioni’, che è qualcosa in più della ‘significatività’ di quello che si scrive. Per interagire seriamente, cioè oltre quei botta e risposta (magari fatti di un solo insulto), è necessaria (ma non sufficiente, ovvio) una soggettività, diciamo così, fissa.
“Per il resto direi che in generale le poesie, ma anche i racconti, possono farci conoscere le cose, ma in un modo diverso dall’argomentazione razionale.”
Andrea, scusami, ma questa è una plurisecolare (*) ovvietà, talmente elementare e pleonastica da non richiedere chissà quali argomentazioni, discussioni o giustificazioni. Se uno sceglie la poesia o il racconto anziché la saggistica o il trattato, il motivo è principalmente quello.
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* Ho scritto “plurisecolare” anziché plurimillenaria perché è soltanto da pochi secoli che la forma della poesia e i contenuti della saggistica si sono separati in via definitiva. Nell’antichità – ma si arriva almeno fino al Rinascimento – era piuttosto comune che anche saggi filosofico-scientifici (Parmenide, Empedocle etc.) o manuali tecnici (si pensi ai ricettari medico-erboristici) fossero scritti in versi, perché il verso garantiva alle argomentazioni maggiore incisività e memorabilità. Su questo ha scritto un bel saggio (in prosa) Paolo Canettieri sulla “Rivista di filologia cognitiva”. E’ interamente disponibile on line, qui:
http://w3.uniroma1.it/cogfil/metrica.html
Il saggio in versi è un genere che un giorno mi piacerebbe esplorare.
WM1, dici che la mia frase è una verità ovvia (questo mi pare di capire, non un’ovvia fesseria).
Poi però, in nota la frantumi, perché dici che la separazione è artificiosa e recente (cosa assolutamente vera). E’ un movimento di pensiero profondo, che ci porta davanti a qualcosa di difficilmente comprensibile riunendo due opposti, insomma uno strappo sul modo comune di pensare, una lacerazione che ci toglie qualcosa da sotto i piedi.
E un attimo dopo riporti tutto all’ordine razionale, come se quella fosse per forza la tua gravità: poesia e saggio erano uniti per favorire la memorizzazione.
Ecco, mi chiedo perché non continui a camminare per la strada della lacerazione.
Ah grazie per il link
“dici che la mia frase è una verità ovvia (questo mi pare di capire, non un’ovvia fesseria). Poi però, in nota la frantumi perché dici che la separazione è artificiosa e recente”
Come ho scritto, risale a pochi secoli fa (quindi recente sì, ma relativamente) la *definitività* della cesura tra poesia e saggio, che però era iniziata molto prima. “Artificiosa” è un termine inadeguato, secondo me. Se la cesura si è prodotta, i motivi c’erano (uno ad esempio fu il declino delle arti mnemotecniche, dovuto al crescente primato della scrittura). Oggi la cesura tra poesia e saggio ci appare un dato ovvio ed è connaturata al nostro esprimerci.
“come se quella fosse per forza la tua gravità: poesia e saggio erano uniti per favorire la memorizzazione.”
E’ la tesi del saggio linkato, Andrea, e il suo svolgimento mi appare convincente.
“mi chiedo perché non continui a camminare per la strada della lacerazione”
E’ una domanda mal posta, Andrea. Il movimento del pensiero critico è provare a dividere ciò che è convenzionalmente unito e provare a unire ciò che è convenzionalmente diviso, per vedere se quanto diamo per scontato o per impossibile sia davvero tale.
Mi sono espresso male. E’ vero che c’era un’esigenza legata alla memorizzazione, è indiscutibile.
Però – poi tu lo saprai meglio di me – nel novecento la filosofia si è occupata di questi due saperi mettendoli in relazione in qualche modo. Il rapporto tra poesia e filosofia in Heidegger per fare un esempio.
Oppure anche recentemente ho sentito parlare del rapporto tra la dimostrazione attraverso un procedimento di argomentazione razionale, e la dimostrazione attraverso il racconto, il mito (queste sono cose riprese da Platone).
Ancora Moresco che scrisse di Gomorra, non è importante che sia fiction o faction o qualche altra etichetta.
Ora, mi sembra che in tutti questi esempi (spero non troppo distanti da risultare demenziali), ci sono due forze in gioco: ciò che mi fa conoscere attraverso la realtà e ciò che mi fa conoscere attraverso l’invenzione, forze che sono opposte (non riesco a mettere tutto in ordine pensando all’allegoria). Per questo dico che c’è una lacerazione.
Se ora stai pensando che mi sto trasformando in Luminamenti, solo con un vocabolario più povero e un numero di libri letti diviso per mille, sappi non mi arrabbio… 🙂
Insomma se non si è capito nulla fa lo stesso, ci torno quando ho le parole per dirlo più chiaramente.
Volevo risponderti sull’allegoria, ma in questo thread sul caso Englaro mi è sembrato fuori luogo. Ci sarà occasione.