NOUS LES BANLIEUSARDS

Udc_kids L’immagine di apertura è tratta da un nuovissimo multiblog, che siete invitati a visitare: si chiama Unità di crisi e, come scrive lei, è “pieno di barricate e di stelle cadenti, e la speranza è che campi a lungo”.
Intanto. Pubblico un lungo intervento di Jean Loup Azéma. Curriculum: 40 anni di vita nella banlieu, dei quali 20 d’insegnamento nelle zone «sensibili». Il testo è stato messo in rete l’11 novembre, qui. Girolamo De Michele lo ha tradotto ieri in italiano (grazie!).

E così i «selvaggi» sarebbero ora delle canaglie, dei criminali che bruciano le proprie scuole, automobili, centri commerciali e culturali: più che dei fuorilegge, sarebbero degli imbecilli, punto e basta. Se c’è qualcosa che non tiene, è nei discorsi che si ascoltano da una settimana sull’«integrazione» fallita da tutti i governi, il sarkonazismo e l’ineffabile frattura sociale che si rispecchia in se stessa.
Integrazione? Chi deve integrare chi e cosa?
Il 60% della popolazione francese è sub-urbanizzata. Parigi ha 2 milioni di abitanti entro le mura rispetto ai 10 milioni di banlieusards. Se proprio ci sono minoranze da stigmatizzare, sono loro che devono integrarsi al ghetto figo-social-democratico del Marais e manifestare così la loro tolleranza all’omosessualità. I sub-urbani, quanto meno, possono vantarsi d’essere la maggoranza, il che dovrebbe essere la legge bronzea in democrazia.
Gli abitanti dei centri cittadini e delle campagne, messi insieme, costituiscono più o meno l’equivalente della forza d’urto della sinistra della sinistra, ossia il 15%, ossia la metà dell’estrema destra e della destra estrema prese insieme. Il che permette, con l’apporto dell’estrema sinistra, di creare una maggioranza contro la Costituzione Europea, ma niente di più. Questo va tenuto presente per fissare i rapporti di forza e indicare qual è il lato imburrato della tartina nei discorsi dominanti sulla sicurezza e perché non bisogna credere che dall’alto di Larzac [località dove, l’8-10 agosto 2003, si radunarono 250000 manifestanti contro il WTO convocati dalla Confederazione Contadina di José Bové, n.d.t.], con una borsa da postino e un buffet di gastronomia regionale si possa rappresentare la Francia, magari alleandosi col più mondano degli ex primi ministri della «sinistra». Ogni politico, ogni militante che non si accontenti di giocare all’anima bella dall’eccessiva verginità deve interessarsi ai fatti, alla loro interpretazione e all’uso scandaloso che ne viene fatto sui media, ridiventati in fretta e furia «la voce del padrone». Dunque: innanzitutto conoscere, per poi comprendere, e infine agire su qualcosa di diverso che la propria buona coscienza.
Itcamefromfrance
I sub-urbani sono l’essenza, non il margine di una società nella quale le minoranze rifiuterebbero d’integrarsi al modello parigino. Perché è di questo che si tratta: Parigi è la Francia piramidale e giacobina, da cui prende le mosse tutto ciò che di nazionale esiste – come le idee o la mancanza di idee –, nonché i decreti, compresi quelli della decentralizzazione e deconcentrazione amministrativa. In parole povere, una sintesi d’ignoranza e d’incompetenza illuminata, o forse no, dall’inefficace sufficienza dei diplomati della Scuola Nazionale di Amministrazione.
Che dire delle banlieu, quartieri, zone sensibili e altri termini inventati da letterati fuori fase? In assenza di serie etnologie suburbane (per mancanza d’interesse e di fondi) non si può azzardare un’opinione se non su ciò che si conosce bene per esserci vissuti, senza farne un paradigma o un discorso mondano, e tanto meno un filo d’Arianna mediatico per il 2007 [anno delle prossime elezioni presidenziali, n.d.t.].
Non esiste «la» banlieu, esistono «le» banlieu, ciascuna con la sua propria storia, e il fenomeno suburbano generale, con le sue specificità locali e storiche. Per capirci, tre banlieu nella loro sedimentazione temporale che coabitano sotto l’attenzione o la tensione determinate dal rapporto tra pressioni interne e pressioni esterne.
C’è una prima banlieu tradizionale (BT) costituita da villini [pavillons] – Choisy-le-roi o Bourg-la-reine –, l’ultimo rifugio aristocratico del tempo passato. Nel XVII e XVIII secolo erano il «deserto» in cui si andava a caccia. Nella seconda metà del XIX e la prima del XX secolo, i padiglioni [pavillons] di caccia sono sostituiti dalla cintura industriale operaia rossa, tentata dal suolo verde dei suoi giardini operai quando il padronato si atteggiava a buon padre di famiglia. Si tratta di quei piccoli villini tanto ricercati al giorno d’oggi dal fighetto espulso fuori dalle sue mura quando vuol giocare al campagnolo o interrare le sue piantine a cinque foglie: molto trendy è il barbecue con le erbe aromatiche. Ecco quanto basta per la prima banlieu storica e fossile.
La seconda banlieu è legata a sua volta alla decolonizzazione, ai gloriosi anni Trenta e all’importazione massiccia di manodopera non qualificata (pomposamente denominata «operaio specializzato» perché, per l’appunto, essendo specializzato in nulla può servire a tutto). La pressione demografica del boom delle nascite impose la costruzione in fretta e furia di alloggi sociali e lo sradicamento della bidonville di Nanterre, affinché i figli del baby-boom potessero andare all’Università ed esigere di poter frequentare le ragazze dopo le 18 di sera – cosa che fu all’origine del 22 marzo e del maggio ’68. Queste città-conigliera furono all’epoca un immenso progresso se paragonate alle bidonville, ma anche in rapporto all’habitat urbano proletario tradizionale con le latrine sul pianerottolo e docce settimanali, nel migliore dei casi. Ben presto si parlò di città-dormitorio e di metrò-lavoro-a-nanna [metro-boulo-dodo]. Veniva costruito un collegio unico al giorno e si inventava «l’uguaglianza delle possibilità» per pararsi il culo dalla frattura sociale. È in questa seconda banlieu, senza più valore né vita, quella della relegazione spaziale, etnica, economica e sociale (BR), che la seconda generazione si rivolta, e a giusta ragione.
Per cominciare a comprendere dinamicamente cosa sta succedendo, bisogna aggiungere la terza e ultima banlieu che si mescola più o meno felicemente con le prime due e che costituisce senza dubbio la goccia che ha fatto traboccare il vaso. È la banlieu «classe media» (BM) che dopo dieci anni si compenetra con le due precedenti per diverse ragioni che qui esporremo solo per sommi capi.
Prima ragione economica: il prezzo degli immobili abitativi o di proprietà, che scaccia progressivamente gli abitanti verso le città satelliti delle grandi metropoli (Dreux, Evreux, ecc.).
Seconda ragione: il desiderio di abitazioni individuali, col prato da tosare, il 4×4 di rigore perché si è praticamente in campagna e si può averne bisogno per andare sulle strade di Les Halles o di St Germaine per esibire il proprio status sociale.
Terza ragione: il loft a Montreuil o altrove. È quantomeno più «fun» delle mansarde di Parigi o la Maison Phenix [agenzia immobiliare specializzata nelle villette, n.d.t.] a Cafonia [nel testo: Ploucville, località in cui è ambientata la commedia "Une été a Ploucville", n.d.t.]: per i suoi acquirenti l’aspettativa di vita non oltrepassa la durata del mutuo stipulato per l’acquisto.
Questi hanno abbastanza moneta in saccoccia, e in generale sono soddisfatti di se stessi, e si adattano altrettanto bene all’amministrazione locale comunista o della destra chirachiana e di altre diverse destre, purché le infrastrutture seguano (asili nido, piscine, centri aperti ed eventualmente culturali per inquadrare e tenere occupata la figliolanza). Hanno una quattroruote a testa, quindi nessuna particolare preoccupazione per i trasporti pubblici. In compenso crea qualche grattacapo la mescolanza sociale: non perché sia assente, tutt’altro. Per le BM ce n’è un po’ troppa nelle scuole, perché le BR sono evidentemente troppo "zeppanti" [ZEP=Zona d’Educazione Prioritaria, un sistema di recupero educativo introdotto nel 1981 nella scuola francese, n.d.t.] e poco culturalmente stimolanti per i loro figli orfani di Bourdieu. Non si mescola una seconda generazione proveniente dall’immigrazione e una
seconda generazione di piccolo-borghesi arrivati da nessuna parte, ma quantomeno arrivati. Il privato è quindi in piena fioritura per evitare i piccoli selvaggi marocchini che scaldano i banchi il quella scuola pubblica che non è fatta per loro.
Dunque le BR non bruciano affatto le macchine che non hanno: bruciano quelle delle BT e delle BM. Non bruciano le loro scuole, ma quelle scuole che gli sono imposte da quindici anni in nome dell’ineguaglianza delle possibilità, perché con lo stesso diploma, se sono donne o immigrati di seconda generazione, hanno la metà delle possibilità di trovare un lavoro rispetto ai loro coetanei BT o BM.
Dei tre pilastri della «saggezza» con cui i media ci riempiono occhi e orecchie, famiglia scuola e lavoro, non ce n’è uno che possa funzionare. Come può una famiglia di immigrati importati come forza lavoro negli anni ’60, seguire i propri figli nelle loro avventure con le Nuove Tecnologie dell’Informazione e Comunicazione, se non padroneggia la lingua francese? Come non tentare inutilmente la via del ritorno culturale e religioso per scongiurare l’inquinamento del consumismo, del sesso, della violenza e della droga mediatici? Badare ai bambini, certo, ma in base a quali valori e a quale impossibile futuro?
C’è più traffico di droga nei «quartieri» della relegazione che nel ghetto del Marais. Certo non la stessa droga, men che meno agli stessi prezzi!
Come può la scuola pubblica, che ha deciso di democratizzare servendo la stessa minestra  a tutti, non provocare la rabbia e la disperazione di fronte a questa vecchiaia nemica che, non contenta di perseverare nella propria gerontocrazia, vuole riprodursi sempre uguale ed escludere la differenza? Come non aver voglia di bruciare questi luoghi di segregazione attiva camuffata da selezione meritocratica ed uguaglianza delle possibilità?
Quanto al terzo pilastro, il lavoro: c’è bisogno di dire altro?
Nondimeno, è vero che il monopolio della forza deve rimanere nelle mani della legge – e poi? La legge della giungla riprenderà il suo tran-tran? Tutto quel denaro andato in fumo è uno spettacolo deplorevole: ma se fosse stato impegnato prima invece di esserlo due volte, una per rimediare e l’altra per prevenire, non sarebbe stato meglio?
Se invece di imporre la stessa minestra nazionale (con pretesa di universalità) si fossero assegnati, oltre alle 15 ore di corso, 5 ore di tutorato per ogni insegnante che segua 5-10 alunni (oltre ai suoi) per uno o più anni, il risultato sarebbe stato migliore dell’elitismo di Stato e della decina di fortunati che dalle ZEP hanno l’onore di accedere a Scienze Politiche. È evidente che le ZEP, magnifica idea nel 1981, sono diventati luoghi di relegazione sociale per le BR e luoghi da cui fuggire per le BM e BT: un travestimento democratico della mescolanza scolastica e dell’uguaglianza delle possibilità mantenuti dai sindacati più rappresentativi e più corporativi del sistema educativo nazionale.
Tutto questo si sarebbe potuto evitare, se quei manigoldi delle BR avessero avuto la pazienza di aspettare la prossima generazione, dato che alla terza generazione tutto rientra nell’ordine: l’emigrazione polacca tra le due guerre ha posto qualche problema, a parte la silicosi contratta nelle miniere? Dicono che non si sarebbero dovute sospendere le compassionevoli briciole di bilancio che erano attribuite a questa seconda generazione (aiuti alle associazioni, educatori, ecc.). Ma i «selvaggi» non hanno intenzione di attendere, e hanno ragione: non c’è coprifuoco, non c’è dispiegamento di gendarmi che tenga. Quanto alla faccia virtuosa che ci ammanniscono i media, essa non può che favorire l’incomprensione. Per ora non bruciano che beni materiali: ma se si insiste a voler soffocare o reprimere il desiderio di cittadinanza integrale, col riconoscimento del diritto alla differenza, si rischia solo di provocare l’incontro tra questa gioventù in rivolta e quelli che nei loro attentati non hanno per la vita altrui maggior rispetto che per la propria, in Iraq come in Palestina o altrove.
Ancora una volta non è forse del tutto falso dire che la Francia ha la destra più scema del mondo. Il che sfortunatamente, anche per differenza, non rende più intelligente la sinistra cosiddetta repubblicana e molto poco democratica. La stampa straniera non si è sbagliata e non è affatto scontenta di dare una lezione a questa famosa «eccezione culturale» incapace di comprendere se stessa. 

15 pensieri su “NOUS LES BANLIEUSARDS

  1. Il mio contributo a tutta la faccenda, IN GENERALE, è l'”Intervista alla Parte Oscura di Ciascuno di Noi”.
    Rispetto a Unità di Crisi, come ho scritto nei Comments al pezzo di Roquentin, ho solo un vago sospetto di “maledettismo di maniera”, per il resto non lesino un piccolo, ma caldo applauso di incoraggamento. Babsi Jones ne sarà estasiata.

  2. “Come può la scuola pubblica, che ha deciso di democratizzare servendo la stessa minestra a tutti, non provocare la rabbia e la disperazione di fronte a questa vecchiaia nemica che, non contenta di perseverare nella propria gerontocrazia, vuole riprodursi sempre uguale ed escludere la differenza? ”
    Parole sante, anche per l’Italia

  3. Lucio, se ti riferisci a me: “Che cos’è la letteratura? A cosa serve la letteratura? Ecco che si drizza l’indice che consegna l’accusa all’allegra brigata di illusi: si denigra il sogno del mondo migliore che la letteratura porterebbe con sé. Calunnie. Il mondo migliore non esiste, esiste questo mondo, che si trascura con la finta verginità di un giudizio addolorato ma ultimo: non si può fare nulla, e solo nell’impotenza si alleva l’uguaglianza, in ogni caso futile; finalmente pari ma finalmente inetti.”
    Questo non è maledettismo, è una presa di posizione, e mi pare un po’ il contrario. Poi, la verità è che, personalmente, non sono uno spirito felicitante, ma i miei difetti sono abbastanza evidenti.
    Sempre per Lucio: se ti riferisci al “gruppo”, penso che il tono generalmente grave derivi dal periodo e dagli argomenti presi.

  4. OT
    E’ stata uccisa dal marito la giovane poetessa afgana Nadia Anjuman, aveva appena pubblicato la sua prima raccolta di poesie Gul-e-dodi, (fiore rosso scuro), potete leggere qui

  5. Una parte di riflessioni in tema si trovano nei blog ‘lavori in corso’ e su ‘lucioangelini’.
    A Lucio e alle sue (di tutti) parti oscure consiglio questo intervento
    http://cassielheaven.iobloggo.com/archive.php?eid=321
    Non è stato scritto per i casi parigini, ma riflettendo su situazioni a noi più vicine.
    Prendo spunto da tutte le cose che si sono dette su Parigi e sulle nostre parti grigio nere per porre qualche interrogativo. Per le esplosioni di Parigi mi sono data delle spiegazioni che non starò a ripetere. Credo che le condizioni della banlieu parigina non siano nè le peggiori nè le ‘più estreme’ e quindi non posso fare a meno di pensare che molte altre situazioni analoghe o (molto) peggiori possono deflagrare nello spazio e nel tempo (non tanto lontani entrambi).
    Come suggerisce anche questo intervento non si tratta di quattro gatti non integrati, ma della maggior parte della popolazione delle grandi città e, aggiungo, del globo.
    Nessuno si può rallegrare di una simile prospettiva.
    Francamente non riesco a immaginare delle ‘soluzioni’ nell’immediato, ma sento che è urgente trovarle e praticarle/proporle dal basso.
    Purtroppo la mia paura più concreta e reale non è la Rivolta e il mondo che potrebbe creare, ma la Reazione di questo mondo e delle sue classi ‘integrate’ (sia a livello alto, medio o basso) al malcontento e alla protesta.
    Cerco di spiegare.
    Quanta violenza è disposta a oporre e dispiegare la parte ‘integrata’ delle nostre (o altrui come in Cina, India, Australia ecc..) società all’avanzare di rivolte o presenze umane che mettono in discussione gli status acquisiti?
    Insomma: quanti lager, forni crematori, deportazioni, bombe al fluoro e via siamo disposti a tollerare o ignorare per salvare i nostri frigo-lavatrici-televisori-videofonini-macchine ecc.?
    A me non sembra una domanda banale interrogarsi su quanta distruzione (non parlo di macchine, ma di umani considerati – non da me o molti – in sovrappiù e eccedenti rispetto a possibilità di condivisione risorse e spazi) sono capaci di sviluppare le nostre ‘evolute’ società?
    Il perchè delle mie paure non è casuale, si alimenta di tutti i quotidiani discorsi che sento sui bus, nel bar e per strada. A volte si tratta di sbruffoni, altre di gente che piuttosto che concedere un pezzo di pane è disposto a sparare con la ‘consapevolezza’ che quello che vive sotto il ponte, ha fame e pure freddo non è un suo simile, ma un Altro (non necessariamente nato da altre parti) più simile alla Spazzatura che all’essere umano. Quindi nessuno scrupolo morale se l’eliminazione dell’Altro vuol dire avere una strada pulita e un quartiere in ‘ordine’.
    Spero di non avervi annoiato.
    Besos

  6. PER LOREDANA
    chiedo scusa ma putroppo vedo che il mio errore (non aver chiuso il corsivo) ha reso in corsivo tutti i commenti, andrebbe corretto . L’errore si trova nel mio commento del 15/11/05 a 15:56 (il corsivo andrebbe chiuso dopo “gul-e-dodi”)
    “OT
    E’ stata uccisa dal marito la giovane poetessa afgana Nadia Anjuman, aveva appena pubblicato la sua prima raccolta di poesie Gul-e-dodiqui”
    georgia

  7. Per spettatrice. Ho ripreso l’argomento nel mio post di oggi: “Ce la può fare il riformismo?”, con l’aiuto di Strelig.
    Per Ivan. Maledettismo di maniera per le frasi:
    “Bestemmiare e ricominciare da capo.
    una parola blasfema.
    una bestemmia ci definisce.
    Siamo una maledizione
    Muoversi, e bestemmiare di nuovo.
    Sputare, bestemmiare e scrivere entrambe le cose.
    Scrivere in silenzio, bestemmiare sulla carta da capo.
    Scrivere in silenzio, bestemmiare sui fogli bruciati e soffrire nei soliti posti… ”
    :- )

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