PATERNITA'

Eclissi Sul Venerdì di oggi c’è un’intervista della sottoscritta a Miklòs Vàmos, scrittore (e sceneggiatore, e conduttore televisivo) ungherese. Si parla di libri, linguaggi, eclissi e padri. Eccola qui.

Due eclissi: 17 maggio 1706, 11 agosto 1999. In mezzo, la storia di una stirpe ungherese, gli Csillag (poi Sternovszky, poi Stern: non casualmente, in lingue diverse, Stern e Csillag vogliono dire stella). Uomini  che sono stati stampatori e mercanti di vini e mastri vetrai e maestri cantori, ribelli e vittime. Tutti con un dono, riservato ai primogeniti: vedere il passato, intuire il futuro, legarsi ad avi e discendenti nella visione, donarla ai propri figli, preservarla scrivendo in un diario che si configura come il bene più prezioso della famiglia.

    Questo è Il Libro dei Padri, best seller di Miklós Vámos, cinquantaseienne scrittore ungherese, anche sceneggiatore e conduttore per la televisione nazionale (in un programma popolarissimo per dieci anni e concluso nel 2005,  con ospiti che dovevano raccontare la loro vita in chiave umoristica).  Dopo venti libri e nove romanzi, Vámos viene per la prima volta tradotto in Italia (da Bruno Ventavoli per Einaudi Stile Libero, pagg. 458, € 15,80) grazie ad un’opera epica e struggente che porta di amore in amore, di guerra in guerra, e dove si alternano storia  e rovesci familiari, lo Spielberg e Auschwitz, ma anche la musica di Bach e la voce di Enrico Caruso (che incantano due Csillag in epoche diversissime).  In patria, dove ha venduto oltre 250.000 copie, Il Libro dei Padri è stato accolto come un omaggio all’Ungheria e, insieme, alla paternità: “accade frequentemente – racconta Vámos – che le giovani donne vengano a chiedermi di autografare la copia del romanzo per i loro mariti: per informarli, così, che stanno per avere un figlio. Io stesso sono nuovamente diventato padre di due gemelli nel 2003, dopo una figlia che ora ha ventotto anni: nessuno può dire che non sto convincendo gli altri alla paternità”. 

   E dalla paternità il libro nasce: “Avevo già scritto un  romanzo su mia madre, che soffriva di una malattia mentale con turbe maniaco-depressive. Il suo carattere, per me, era simile al socialismo che dominò il nostro paese per quarant’anni: era tirannica, rude, crudele e imprevedibile, ma allo stesso tempo affascinante. Io sono nato nel 1950 e dunque sono cresciuto in una variante soffice del socialismo, che non era priva di un lato umoristico. Negli anni Ottanta ho provato a scrivere un romanzo su mio padre: sfortunatamente era un uomo di poche parole, morì quando avevo diciannove anni, e non sapevo molto su di lui. Così decisi di fare alcune ricerche e arrivai a Pécs, nel sud dell’Ungheria, dove mio padre era nato e dove aveva vissuto la sua famiglia. Gli archivi rivelarono alcuni fatti enigmatici: mio nonno si chiamava come me, Miklós Vámos, veniva da Nagyvárad (ora Oradea, in Romania), ebbe un negozio di scarpe a Pécs. Suo padre, Mendel Weissberger, era proprietario di una distilleria a Budapest, ma era nato a Homonna (ora Humenné nella Repubblica Slovena)”. 

    Partendo da qui, Vámos decide di indagare ulteriormente sui propri antenati, e prende una decisione: “Se non potevo scrivere un romanzo su mio padre, perché non scriverne uno su ogni padre ungherese? Inizialmente pensavo di seguire l’esempio di Plutarco e delle sue Vite parallele, immaginare centinaia di padri ungheresi del ventesimo secolo, famosi e no, e scrivere le storie della loro vita. Ma sembrava vagamente noioso. Così decisi di scegliere dodici padri che rappresentassero i dodici segni zodiacali e che a loro volta rappresentassero ogni maschio ungherese. Nel testo originale, in ogni capitolo il primo nome del protagonista comincia con la stessa lettera del suo segno. Il passo successivo era immaginare che il primogenito di queste dodici generazioni fosse il padre del successivo. E’ ovvio che la storia di questi dodici uomini simbolizza gli ultimi trecento anni di storia ungherese”.

   Ma, puntualizza Vámos, il suo non è un romanzo storico: “Mi sarebbe piaciuto scriverne uno, avendo la necessaria conoscenza storica dei miei antenati. Ma mio padre non voleva ricordare il passato e la sua famiglia fu distrutta dai nazisti. Comunque, quando la letteratura può essere letta come la realtà, lo scrittore ha fatto un buon lavoro. Però, ci sono alcuni fatti autobiografici: mio padre combattè davvero nella seconda guerra mondiale e fu prigioniero di guerra. Come uno dei miei personaggi, io non ho mai saputo di essere ebreo. Quando alle elementari i miei compagni esprimevano sentimenti antisemiti seguivo il loro esempio, credendo che “Jew” fosse un insulto. Alle superiori, una ragazza mi chiese se fossi ebreo, risposi di no, ma poi lo chiesi a mio padre. Lui si aggiustò gli occhiali e disse: “Bene, non sono sicuro”. E poi capii: nonostante non conoscessi abitudini, lingua, regole, preghiere, sapevo e so di essere ebreo “.

    Sicuramente, Il libro dei padri è anche un grande omaggio alla lingua e ai libri: che vengono insidiati e bruciati e sempre ritornano e sopravvivono. E l’epopea degli Csillag, che alla scrittura sono dediti, viene raccontata con stili diversi: “Pensavo che sarebbe stato interessante se in ogni capitolo avessi usato le parole e la grammatica del periodo storico in questione. Nei primi tre ho usato solo parole che esistevano a quel tempo. In Ungheria, la nobiltà e gli intellettuali parlavano francese e tedesco: solo i poveri usavano l’ungherese, e la nostra lingua cadde in una crisi profonda per mancanza di vocaboli. Uno degli eventi più felici della storia della nostra cultura fu il periodo di intensa rinascita tra la fine del diciottesimo secolo e la prima metà del diciannovesimo, quando scrittori e poeti crearono la lingua moderna coniando un gran numero di nuove parole. Non credo che questo si possa ricreare facilmente in una traduzione, ma spero che si comprenda come il linguaggio del romanzo divenga gradualmente più giovane nell’avvicinarsi al presente”.
  Infine, Il Libro dei Padri è un invito a preservare la memoria: “So che la parola messaggio suona vecchia, ma io sono un vecchio scrittore, e non mi metto al lavoro se non penso di avere un messaggio da dare. Molti lettori mi hanno scritto dicendomi di essere andati, a libro finito, dai nonni e dai padri chiedendo di raccontare le loro storie, e di aver cominciato a trascriverla o filmarla. E quando leggo queste lettere, so che il mio messaggio è stato capito. Così, per favore, seguite l’esempio: visitate i vecchi parenti e raccogliete tutti i ricordi che potete, perché moriranno prima di quel che pensate. Allo stesso modo, se scrivete un diario, sarà un dono divino per figli e nipoti, e vi aiuterà a mantenere la vostra sanità mentale”.

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