Sapevate, credo, di Rocco Carbone.
Chiara Gamberale mi ha appena mandato questo suo ricordo, uscito questa mattina sul Riformista. Ve lo porgo.
Quello su cui litigavo più spesso con Rocco, a costo di trascorrere l’intera serata a discutere e lasciarci senza che nessuno dei due cambiasse di una virgola la sua opinione, era se bisognasse stare dalla parte di Cesare o di Bruto. Bruto è la democrazia, sosteneva lui: la libertà. E’ un vile traditore, sostenevo io: voleva essere Cesare e l’ha ammazzato, come se bastasse eliminarli, i grandi, per sostituirsi automaticamente a loro.Lui analizzava la cosa sul piano storico e politico, io su un piano psicologico: ovvio che non saremmo mai potuti arrivare a un punto d’incontro. Era impossibile in generale, arrivarci, con Rocco. Di qualunque argomento si parlasse, i presupposti di quello che sosteneva lui erano inaccessibili, misteriosi e fermi proprio come quegli anfratti dell’Aspromonte dove era nato e cresciuto. – Sarà che sono calabrese…- Prendeva spesso la rincorsa per le sue affermazioni. Poi arrivava un “ma” e via. Sarà che sono calabrese ma quella cosa proprio non mi va giù.Sarà che sono calabrese ma io mi sarei comportato in maniera diversa. Ma ci sono rimasto male. Ma non si fa così. E poi. Sto esagerando? Domandava, stando ben attento a farlo solo con chi sapeva che non gli avrebbe potuto dare torto. (Per me, ad esempio, non esagerava quasi mai.) E’ grottesco il coro che si alza quando qualcuno non c’è più, fatto di voci autonome, ognuna interessata a raccontare e a raccontarsi chi era per lui la persona che se ne è andata, quali esperienze ci aveva condiviso insieme. E’ grottesco: e in parte naturale. Ma nel caso di Rocco Carbone diventa perfino legittimo. Perché Rocco era un grande scrittore, i suoi libri hanno la forza di una lingua ostinata e di trame originali, i suoi articoli, i suoi saggi, offrono sempre, in maniera sfacciata o esplicita, spunti di riflessione inediti, come inedito e originale può essere solo chi davvero non riesce a sintonizzarsi su un pensiero (della letteratura – e dell’esistenza) conformista e preconfezionato, e sul terreno di quell’incapacità fa crescere e alimenta il suo talento. Sì, Rocco era tutto questo. Ma la scrittura, si sa, funziona davvero solo se ci si impegna nella vita. E allora in questi giorni impossibili è a tutti i posti, le persone, le situazioni folli della vita di Rocco che continuo a pensare, è su quello che da quando è partito da Cosoleto, il suo paese d’origine, ha fatto e disfatto a Roma, e a Parigi, e negli Stati Uniti, che mi concentro, per cercare di tenerlo fermo, almeno col pensiero, e costringerlo a non andarsene. Era incredibile, Rocco. In qualunque contesto si ritrovasse -con la forza misteriosa che hanno le persone eccessivamente introspettive e che sembrano a rischio, tanto sono confinate nei loro pensieri, ma che invece hanno la risorsa di poter sempre far affidamento su qualcosa che gli appartiene- lasciava un marchio. Con un racconto inaspettato (“una volta Bud Spencer mi ha detto…” “quando ho conosciuto Echenoz…” “una mia alunna che ha ammazzato il marito mi ha scritto che….”), con la straordinaria capacità di partecipare a qualsiasi discussione e senza rinunciare mai a esprimere quale fosse la sua opinione al proposito, con una battuta felice, con una fuori posto, con una confidenza personale che gli altri lì per lì s’imbarazzavano ad accogliere, ma che poi diventava la possibilità di far cambiare di segno la serata, che con lui, inevitabilmente, da mondana non poteva che farsi intima. In un universo letterario chiuso e asfittico come quello italiano, Rocco, per come era fatto, si era circondato solo di persone come lui. Che erano in realtà moltissime. Diverse da tutto, nel bene e nel male. Strutturalmente incapaci di stare al mondo: e consapevoli di questo al punto di prenderla a ridere. Affaticate dagli altri e per gli altri piuttosto faticose. Persone che sentivano di avere qualcosa che non andava. E a cui invece Rocco, più o meno implicitamente, e con l’esempio lampante della sua stessa esistenza, sembrava dire: è proprio quella cosa che di te pensi non vada, quella che più funziona. E’ un vuoto irreparabile quello che lascia. Nei suoi genitori, a Cosoleto, in suo fratello e sua sorella. Nelle studentesse e negli studenti del carcere di Rebibbia dove insegnava. Nei suoi vicini di casa, Michele e Lorenzo, nella piccola Stefania dagli occhi enormi, nei suoi amici di sempre, tanti, in Emanuele e Marco, con cui riusciva miracolosamente a fare pace sempre una volta in più di tutte quelle in cui ci litigava. In me, da sempre ossessionata da deliranti insicurezze, che in lui per primo ho incontrato qualcuno a cui guardare per sentirmi dire che no: andavo benissimo così. In tutte le donne e gli uomini confusi, incapaci di fare i bravi e incontrare una persona, sposarla, sopportarla e supportarla, mettere al mondo dei figli, tener fede a un progetto. Persone smarrite, ma alla ricerca disperata di qualcosa che almeno ci somigli, a una famiglia. Insomma Rocco, l’ho già detto e tu sai perfettamente che per me non lo facevi quasi mai. Ma stavolta invece sì: hai proprio esagerato.
cari tutti, scusate, son sconvolto: ma com’è morto? si è mica suicidato?
giandomenico
In un incidente stradale: c’è il link all’inizio, sotto il suo nome.
grazie,
giando.
Apprezzo molto i contenuti di questo sito!
Se ami la letteratura: operaomnia.interfree.it
Sono ben accette richieste di scambio link: se sei interessato scrivi a: ilvignettificio(AT)interfree.it
Per operaomnia e per tutti quelli che mi scrivono privatamente su questo argomento: le parole “scambio link” non mi interessano. Linko, abitualmente, i blog e i siti con cui esiste un’affinità verificata. Grazie.
Ps. non cancello il commento solo perchè mi dà modo di fare questa precisazione. E devo trattenermi: approfittare di un post dove si ricorda uno scrittore morto pochi giorni fa per farsi pubblicità è, onestamente, vomitevole.
Buongiorno a tutti, ciao Loredana,
vorrei tornare a parlare di Rocco, che era uno vero, e nel suo modo personale e “calabrese”, assolutamente puro, con questo ricordo.
Grazie,
Simone Caltabellota
L’ultima volta che ho incontrato Rocco è stato qualche mese fa, a Trastevere, lui stava con un’amica, io a mia volta dovevo raggiungere qualcun altro, così ci siamo salutati velocemente e ci siamo scambiati di nuovo i numeri di telefono ripromettendoci di incontrarci presto, magari per giocare a tennis. Invece, come spesso capita, non l’abbiamo fatto e ora è troppo tardi per tornare indietro.
Rocco aveva quarantesei anni e un sorriso malinconico e sincero come la sua scrittura. Era soprattutto uno scrittore di romanzi, ma i non molti saggi pubblicati mostravano una profondità di lettura e un rispetto critico di inusuale umanità nelle lettere italiane. Da parecchio ormai era considerato a tutti gli effetti uno scrittore “romano” e con molti scrittori romani aveva condiviso e continuava a condividere le pagine di giornali e riviste letterarie come “Nuovi Argomenti”. E’ lì che ci siamo conosciuti più di dieci anni fa. Rocco aveva già pubblicato il suo primo libro, Agosto e da lì a poco sarebbe uscito per Feltrinelli il secondo, Il comando. Fin da subito mi è parso diverso dagli altri “romani”, come se tenesse una propria posizione defilata, tanto caratterialmente direi che letterariamente, e allo stesso tempo desiderasse però coinvolgere i suoi interlocutori nella trama dei suoi ragionamenti, portarli alla discussione, al confronto diretto. Non parlava molto Rocco, e non possedeva una eloquenza magniloquente. Forse anche per questo quando interveniva veniva ascoltato con attenzione. Non usava le parole per coprire spazi vuoti o silenzi, piuttosto le estraeva scegliendole con una cura quasi meticolosa, da intellettuale o insegnante d’altri tempi.
Il ricordo che ora me lo rende ancora più caro risale a poco più di un anno fa, quando ci incontrammo casualmente nei pressi di Largo Argentina in un pomeriggio che annunciava prossimo un temporale. Entrambi eravamo usciti per una passeggiata, entrambi forse stavamo passando un periodo non molto felice della nostra vita. Quel pomeriggio avevamo lo stesso sguardo smarrito dietro pensieri troppo grandi o troppo personali per poterli condividere con un amico perso di vista da tanto e incontrato per caso per strada. Così all’inizio ci siamo salutati un po’ incerti, poi abbiamo sentito caderci addosso le prime gocce di pioggia. A quel punto Rocco ha sorriso e indicando alle mie spalle mi ha chiesto : “Ti va di prendere un caffè in quel bar?”.
Sì che mi andava Rocco, non ti ho mai detto che sono stato felice che me l’hai chiesto.
Simone
cara chiara, mi è piaciuto molto il tuo modo di ricordare rocco, e di parlarne. un abbraccio (e un abbraccio anche a loredana). beppe s.
“Strutturalmente incapaci di stare al mondo: e consapevoli di questo al punto di prenderla a ridere. Affaticate dagli altri e per gli altri piuttosto faticose. Persone che sentivano di avere qualcosa che non andava. E a cui invece Rocco, più o meno implicitamente, e con l’esempio lampante della sua stessa esistenza, sembrava dire: è proprio quella cosa che di te pensi non vada, quella che più funziona.”
Non conoscevo Rocco Carbone, ma una frase come questa me lo fa sentire vicino. E vorrei fosse vera.
Un saluto,
s|a
….Devo al mio carissimo Prof. Rocco Carbone l’amore immenso che ho per la letteratura… l’ho cercato invano per mesi, avrei voluto incontrarlo di nuovo per rendergli questo merito… ma poi ho compreso perchè non è stato possibile…..!!! …. al fascino e alla malinconia del suo profondo sguardo…! …Sara !
Ti ho letto, e riletto, – ma ricordo benissimo i nostri anni a Cosoleto dove siamo nati e dove abbiamo passato dei momenti magnifici della nostra infanzia , ( la nostra, foto da ragazzi che custodisco gelosomente ) …… che ricordi…….Rocco ……. mai dimenticarsi di te.
Ho intervistato molti anni fa Rocco, e ci conoscevamo da ancora più… addirittura ci incrociammo sui banchi di Villa Mirafiori e notai quel suo “grugno” teso, preoccupato… Molti anni dopo, per l’intervista di http://www.nonleggere.it (c’è ancora… con le sue pause alla Rocco) lo presi in giro, a casa sua, per quell’essere ingrugnito con la vita. Ho sempre pensato che si attribuisse un talento sbagliato. Era un ragionatore, non un visionario e la critica trovavo fosse il suo naturale campo di lavoro. Voleva essere scrittore. Ma io credo che o lo si è o niente. La volontà non c’entra nulla. E’ un anno che se ne è andato e lo penso spesso: il giorno dell’intervista mi parlò del suo nuovo amore straniero. La parola amore lo imbarazzava, sembrava a me. Quanta solitudine può capitare in sorte a un individuo senza schiantarlo?
Giulio L.
Rocco Carbone a Teatro
Libera i miei nemici dal’omonimo romanzo di Rocco Carbone
http://www.youtube.com/watch?v=mMz0ivZLqmc