RELAZIONE DIETRO COMPENSO

Serata di gala, ieri: ho fortunosamente trovato il dvd di Rosemary’s baby (grande romanzo di Ira Levin e poi memorabile   film di Roman Polanski) e ho appagato la mia fame di graphic novel con La ragazza scomparsa di Jiro Taniguchi (lode ai Conconino’s). Nel manga, si parla anche di studentesse giapponesi e di prostituzione. Il che mi spinge a postarvi un’intervista alla scrittrice Ami Sakurai realizzata per Mente&Cervello, ad argomento molto simile e con retroscena interessanti. Tutta vostra.

  La prima immagine di Ami, protagonista de Un mondo innocente (Newton Compton, pagg.148, euro 8,90) è perfettamente coerente con età (diciassette anni) e status (studentessa): una ragazza seduta in biblioteca che legge un testo sul Giapponese contemporaneo. Meglio ancora: a dispetto del civettuolo smalto blu, si concentra sulla differenza fra Energen (la condizione nella quale le cose sono generate) e Ergon (la condizione stabile dopo la genesi). Ma la similitudine con cui rende esplicito il concetto è ben altra: “come quando un tipo pompa e pompa senza farmi venire, ma il sesso finisce non appena mi scarica dentro il suo seme”. Qualche istante dopo, il cercapersone di Ami squilla, e il suo socio le propone un cliente per 80.000 yen. Lei accetta: “Avevo chiesto a Kaori di prestarmi 100.000 yen per comperarmi il maglioncino e il giubbotto di Undercover che desideravo da una vita, e dovevo restituirglieli entro la fine del mese”.

   Gioco svelato: Ami, personaggio che condivide il nome con la propria autrice, Ami Sakurai, è una delle molte studentesse giapponesi che, a partire dagli anni Novanta, si incontrano a pagamento con gli uomini. Non sempre e non necessariamente arrivando ad offrire un rapporto sessuale completo, ma comunque ricevendo, in cambio, denaro o regali.  Il fenomeno ha un nome:  enjo kōsai, letteralmente “relazione dietro compenso”: il sesso è centrale, anche se a volte vi si allude soltanto con l’offerta di biancheria intima o semplicemente con una cena a due. L’obiettivo apparente è quello di comprare capi d’abbigliamento o gadget tecnologici. Ma le cose non sono così semplici.

  Della vicenda, peraltro, Sakurai si era già occupata da giornalista. Anche se il suo nome è legato, in patria, soprattutto ai romanzi, che in almeno un caso sono diventati sceneggiature per manga: per esempio, in Made in Heaven. Storia romanticissima, dove il giovane Reiji, morente dopo un incidente stradale, diventa una cavia da laboratorio: il suo corpo viene ricostruito con parti anatomiche artificiali, ma la sua esistenza è comunque destinata ad essere breve. Per reazione, il ragazzo diviene indifferente e dissoluto: fino all’incontro con Juri, e al disperato, magnifico amore che li legherà.

   Perché questa è la frattura che emerge dalle storie di Ami Sakurai e di moltissimi autori giapponesi: da una parte sesso sbrigativo, o comunque asettico, dall’altra l’amore salvifico. Anche la protagonista de Un mondo innocente appare divisa in due: incontri occasionali, talvolta fisicamente appaganti, ma comunque gelidi, e la passione proibita, quanto immacolata, per il giovane uomo che la renderà madre. Suo fratello: affetto da un handicap mentale, ma luminoso e necessario come una creatura del Fato. Non è  una novità: nel manga Angel Sanctuary il protagonista – reincarnazione di un angelo – è legato da un amore perfetto alla propria sorella. Amore carnale e insieme puro: in grado di far ritrovare a chi lo prova la bellezza perduta della propria infanzia.

     Il consumismo, insomma, è responsabile solo parzialmente del sexual job delle ragazzine giapponesi. Molto più pesanti, in questa ricerca di innocenza attraverso l’amore e di liberazione attraverso il sesso,  sono le ingerenze di una società bloccata in uno schema maschile,  che continua a voler tenere le donne sullo sfondo, magari a sistemare fiori come fanno, silenziosamente, le office ladies.  E’ di questa controversa rivolta che scrive, anche, Ami Sakurai? “Più che la ribellione – riflette la scrittrice – credo che il mio libro simboleggi il desiderio di libertà. Se una giovane donna sceglie di usare il proprio corpo per fare sesso, trova di fatto un modo per sfuggire al controllo della propria famiglia, della scuola, della società. Decide, insomma, di essere il proprio futuro. Naturalmente, se si assume il punto di vista del sistema, non si può che definire immorale il commercio sessuale delle ragazzine delle superiori. Ma proviamo a vederla in un altro modo. Alle ragazze si vieta il sesso perché diventino buone madri e mogli: questa pressione viene imposta così a lungo da interferire con la loro indipendenza e addirittura con la loro crescita. Questa, dunque, è una delle possibili reazioni”.

Reazione che le è ben nota, dal momento che si era già occupata dell’ enjo kōsai. Quanto diffuso, in realtà?
Il sesso part-time è stato un boom fra le adolescenti giapponesi fra il 1995 e il 2000. Anche se è stato definito sbrigativamente come prostituzione giovanile, in realtà è qualcosa di diverso e di più vario. E  anche se non riguarda solo le studentesse, si ritiene che il 5-10% delle ragazze delle scuole superiori sia impegnato in questo tipo di attività. Bisogna considerare che da noi ci sono molte donne che accettano di fare sesso a pagamento nei dating club o nei cabaret. E molte sono casalinghe. Il sesso part-time è una delle attività più diffuse in Giappone: e il confine tra professioniste e dilettanti non esiste.

 Comunque lo si giudichi, è però la spia di un malessere che riguarda tutte le donne giapponesi. Nell’ultimo rapporto del World Economic Forum a proposito di Gender Gap, il Giappone è uno dei pochi paesi ad essere stato giudicato peggiore dell’Italia quanto a parità di genere: noi siamo ottantaquattresimi, voi novantunesimi. In sostanza, il desiderio di libertà di cui lei parlava non è solo generazionale, figlie contro genitori. Riguarda, o dovrebbe riguardare, tutta la popolazione femminile.

Chi misura il nostro soffitto di cristallo non vede il proprio, però: non mi sembra che la condizione delle donne negli Stati Uniti sia particolarmente felice. Ad ogni modo, esistono certamente problemi. Ci sono due frasi che le ragazze giapponesi si sentono ripetere continuamente. La prima porta disagio: “quando una donna è troppo forte, non verrà amata da un uomo”.  La seconda colpisce nei sentimenti: le donne che lavorano “sono felici di essere esposte alla competizione nella società, e infelici nelle proprie case”. Dopo anni di una simile insistenza, le giovani donne aspirano soprattutto allo status di casalinga, che porta loro stabilità economica e protezione. E sono indotte a sperare che la cosa più bella che possa accadere loro  è quella di sposarsi presto.

Io penso che tutto questo sia il risultato dell’adeguamento delle donne e della società tutta ai desideri del maschio giapponese, e dei suoi genitori. Molte ragazze  pensano, misteriosamente, che la donna economicamente dipendente dal marito si ponga ad un livello superiore rispetto ad una donna che lavora. E il numero delle donne che continuano a lavorare dopo la nascita di un bambino è decisamente basso.

Questo significa che le donne si costruiscono con le proprie mani il soffitto di cristallo, e che su di loro si esercita da secoli una pressione silenziosa affinché scelgano la casa e la famiglia come “disposizione naturale”. Pressione che diventa opposizione decisa nei confronti delle lavoratrici.

La gal, le ragazzine giapponesi degli ultimi, energetici dieci anni, sono apparse in questa situazione. Sono state studiate come fenomeno sociale e, agitando lo spettro della prostituzione giovanile, sono state condannate come immorali. Io simpatizzo con loro. Per questo, ho scelto in quella generazione la mia eroina.

Ma non sono soltanto le adolescenti a cercare una via d’uscita. In un saggio recente di Michael Zienlenziger, Non voglio più vivere alla luce del sole, si parla anche del rifiuto della maternità da parte di moltissime donne: rifiuto che si deve più al desiderio di infrangere un dovere imposto che alla preoccupazione economica, sembra.

La natalità in Giappone si è abbassata moltissimo. Tutti si affannano a trovare spiegazioni: la complessità della società attuale, l’angoscia per quel futuro necessariamente felice che ora non può più essere assicurato, dal momento che la prospettiva economica è obiettivamente opaca, e il reddito delle coppie sposate non aumenta costantemente insieme al costo della vita.

Parallelamente, cresce in popolarità il matrimonio tardivo, dove l’uomo e la donna possono trovare un mutuo conforto e una possibilità di restare a galla senza dover necessariamente costituire una famiglia tradizionale. Molto spesso, non ci si sposa anche per altri motivi: e la non sopportazione dei futuri suoceri è una delle cause più diffuse.

Tuttavia, molte gal non si sentono affatto a disagio nel dare alla luce un bambino: anzi, spesso la maternità può essere di grande aiuto per superare il conflitto con i genitori e resistere all’ansia sociale nei confronti del loro stile di vita. Le gal sono le donne del nuovo Giappone. La loro immagine femminile ideale è una donna forte, positiva, aggressiva. Queste ragazze si divertono a inventare un look originale, hanno un proprio linguaggio completamente nuovo. Certo, le loro relazioni sociali sono ancora primitive: ma ci si possono aspettare grandi cose da loro.

La forza delle gal sembra essere il sesso, però. E comunque il sesso è al centro del suo romanzo, ma in almeno due modi: quello romantico fra Ami e il fratello Takuya. Quello asettico dei suoi incontri professionali.

Naturalmente, il sesso migliore è quello che sfocia nell’amore. Tuttavia, quando l’amore non si può ottenere, fare sesso con calore e gentilezza costituisce la riconferma, sia pure occasionale, del valore della propria esistenza. Sesso di compensazione, se vogliamo. Quanto al sesso gelido, beh, avviene solo se c’è disprezzo nei confronti del partner. La  mia eroina, in questo caso, chiude la propria mente e si trasforma in una macchina del piacere, rifiutando psicologicamente il proprio amante.

Fra gli adolescenti e i giovani esiste un’altra forma di rifiuto. Parlo degli hikikomori, coloro che si rinchiudono nella propria stanza per anni, rifiutando ogni contatto con l’esterno.

Il fenomeno degli hikikomori  si può descrivere come la battuta d’arresto nella strada per la libertà. E la causa è sempre nel sistema familiare giapponese, giocato sulla dipendenza e sull’intransigenza: ci si attende che l’altro acconsenta alle richieste, anche quando non vengono espresse a parole. La famiglia giapponese ostacola l’ego dei bambini. I genitori sono iperprotettivi e interferiscono con lo sviluppo dei figli, stringendosi su di loro in un cerchio soffocante da cui è difficile scivolar via. Per un adolescente particolarmente sensibile, chiudersi nella propria stanza significa metter fine a queste richieste senza entrare in collisione diretta con il padre e la madre, ma rifiutandone contemporaneamente il sistema di valori. Avviene a coloro che non riescono a sviluppare la personalità necessaria per diventare forza lavoro, o costruire relazioni di amicizia e di amore. E’ impossibile vivere in società se non si possiede la chiave della comunicazione: meglio salvarsi nel bozzolo della propria stanza.

 

La vita sembra decisamente difficile, per i ragazzi giapponesi. Oltre che per le donne, naturamente.

Il problema dei teenager giapponesi è causato dalle madri . L’immagine di una donna adulta, iperprotettiva e ficcanaso è il simbolo stesso della maternità. Per questo uomini e donne ritengono problematica una relazione d’amore stabile. Per questo il fenomeno degli hikikomori e delle lolite è in crescita. Un adolescente chiuso nella propria stanza a sognare non è interessato ad una donna vera. Allo stesso modo, gli uomini adulti che pagano le studentesse non sono interessati alle proprie coetanee.

Dunque, non è facile per una giovane donna trovare un innamorato. Per questo sono sempre alla ricerca di uomini e dei modi di piacere ad un uomo, e sono così ossessionate dalla moda. Per questo aumentano le donne che sperano di trovare un marito straniero, specie italiano o francese, due popoli che vengono ritenuti abili nella comunicazione amorosa.

Anche se l’amore monogamo è l’icona ritenuta socialmente raccomandabile, i giovani giapponesi sanno che è difficilissimo realizzarlo.

A ben vedere, dunque, tutti questi fenomeni sono terribilmente collegati fra loro.

 

 


5 pensieri su “RELAZIONE DIETRO COMPENSO

  1. Molto molto bella questa intervista – e per certi aspetti un po’ mi rincuora.
    Condivido molto quando si dice, che il problema del Giappone non è solo il consumismo, ma una conformazione culturale maschilista e bloccata. Che non dice proprio così, ma insommma.
    Io ho due amiche giapponesi – perchè quando ero in Germania, la prima volta ci avevo solo amici Giapponesi!
    – Una mi dava del lei perchè lei aveva 25 anni e io 26.
    – L’altra aveva un marito che con me parlava solo di tempo e vacanze, perchè so’ femmina. Questa seconda, intelligente assai ma parecchio conculcata, mi raccontava di un Giappone in cui è l’occidentalismo consumista la svolta verso il progresso, versus un medioevo culturale che li strozzava. Mi porponeva dicotomie per me insolite.
    Per esempio: il matrimonio tradizionale prevede costumi tradizionali: pranzo con tavoli divisi per genere, una stanza per i maschi e una per le femmine.
    Il matrimonio fico moderno e alla maniera occidentale prevede un promisquissimo pranzo a sessi misti:)
    E lei che diamine. col vestito bianco lungo e il velo!
    Fa effetto:)
    Io che me so sposata in verde – n’è gniente:)

  2. Qui c’è un tema interessantissimo, l’altra faccia dei genitori assenti: i genitori iperpresenti e iperproiettivi (non iperproTettivi!), che fanno un set di danni diversi ma forse non minori dei primi.
    A margine: aggiungiamo alle cause della denatalità il non voler trasformarsi in “genitori”?

  3. Hai voglia quanta strada c’è ancora da fare! Posso dire che mi fa tristezza vedere come possano essere considerate emancipate o comunque”nuove” ragazze che si fanno sfruttare sessualmente – credendo naturalmente di controllare la situazione e non di essere vittime di quel sistema culturale, molto simile al nostro – , senza riuscire di fatto a creare niente di nuovo? Perchè alla fine e qualunque sia la strada che decidono di percorrere i sogni sono quelli: un marito, un compagno benestante e affettuoso, matrimonio, famiglia.
    Per quanto riguarda il tema genitori: è vero iperpresenti, ma senza essere minimamente in “relazione” con i propri figli.

  4. Quando si permette che una donna (e dunque anche una trans) stiano sul ciglio di una strada di notte a far mercimonio di sé, significa che non siamo in una società civile. Si parla sempre di mille sfaccettature riguardanti la prostituzione, e si fa bene se è per educare, ma mai delle donne come me (cioè delle trans), moltissime delle quali sono costrette a fare sesso di notte proprio con quei signori che di giorno negano loro un lavoro dignitoso, per via della nostra condizione.

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