LA VISIONE DEL CIECO

A questo punto vorrei parlare del libro di un amico, e già vedo alzarsi la manina dalla platea: anzi, sento già  il mormorio su cui fluttuano, come rifiuti nel mare, le  parole cricca e ghenga e combriccola. E’ pratica in cui ormai molta parte della blogosfera letteraria si crogiola, consumando tempo ed energie, facendosi sorda ad ogni logica, sentendosi appagata del proprio masticare complotti, presunti scandaletti, veleni da salotto.

Cos’è, mordo per non farmi mordere?

No. E’ che condivido l’atteggiamento che ebbe Wu Ming 1, qualche anno fa, recensendo contro il volere dell’autore L’anno luce di Giuseppe Genna e precisando: “io scrivo de L’anno luce perché non posso non scrivere. Io scrivo de L’anno luce perché mi fa schifo la censura, e più schifo mi fa la censura “ambientale”, quel reticolo di azioni inibenti che costruisce vergogne e morbida dittatura”.

La detesto anch’io. Per questo motivo dico subito che ho letto La visione del cieco di Girolamo De Michele in treno, di ritorno da Rimini, in quattro ore. E l’ho amato incondizionatamente.

Motivazione personale: sono una lettrice che si affeziona ai personaggi e che, pur riconoscendone i limiti, ama la serialità. Ritrovare Andrea, Lara, Cristiano che erano in Tre uomini paradossali e in Scirocco, riconoscerne gli umori, i tic, le predilezioni e le idiosincrasie, venire sorpresa dai loro mutamenti di rotta, è cosa che mi dà piacere.

Motivazione professionale: trovo di grande efficacia il fattore Derry. Derry, com’è noto, è la cittadina del Maine dove Stephen King ambienta molte delle sue storie. Derry è il luogo piccolo e chiuso dove il Male fermenta, contagia, esplode, azzera. E’ un modello narrativo che viene spesso ripreso nell’horror: recentemente lo ha fatto Sarah Langan nell’ottimo Virus, pubblicato da Kowalski. In questo caso la cittadina si chiama Corpus Christi, si trova sempre nel Maine, il contagio in questione trova terreno fertile nella rabbia, la meschinità, il disamore degli abitanti.

   La visione del cieco non è un horror. E’, come i due volumi precedenti, un noir: ma il fattore Derry è sviluppato ugualmente in modo esemplare nell’ideazione del borgo montanaro (non ha importanza il nome, non ha importanza la regione) dove Andrea si ritira per curare l’asma (una delle conseguenze di Genova 2001).

   Non potrà farlo: in quel micromondo troverà un Male che non viene da un altro universo,  ma è l’espressione, concentrata e feroce, della quotidianità del nostro paese. Cocaina. Violenza sulle donne. Scambismo annoiato. Ecomafia. Omertà familiare e politica. Cieli bassi e ambizioni asfittiche. Letterati mediocri. Pseudo-giornalisti che confondono miseria personale con coraggio professionale. Come sempre, nessuno è davvero innocente: neanche chi sta dalla parte giusta.

  C’è una particolarità, in questo romanzo, che mi ha colpita: l’assenza di un verbo che viene considerato non eliminabile dalla narrazione. Il verbo essere, che viene citato soltanto una volta nel passaggio che motiva la scelta dell’autore. Scelta che non viene da un gioco d’abilità: non è “il prestigio”, non è il muscolo gonfiato di chi ostenta la propria superiorità nel manipolare le parole. E’, invece,  l’uso consapevole della lingua per esporre un mondo che “non tiene” e che non può sperare di ritrovare una connessione fra le proprie parti, chiuse in una deriva ottusa, condannate a non vedere altro che i propri piccoli universi. Ciechi, appunto.

29 pensieri su “LA VISIONE DEL CIECO

  1. Lippa,
    non ho ancora letto “La visione del cieco”, ma ho letto e apprezzato molto gli altri due romanzi di De Michele, e leggerò prestissimo anche questo.
    Aggiungo che Girolamo è mio amico perché lo stimo (e non viceversa: cioè non lo stimo *perché* è mio amico), è mio amico perché penso sia molto bravo, colto e intelligente (e non viceversa), è mio amico perché penso che abbia una buona mano e una grande testa di (e da) scrittore (e non viceversa).
    Inoltre, gli voglio pure bene, lo ammetto. Ma questo bene non mi ottunde, non mi toglie lucidità quando leggo e studio. Anzi, di solito mi capita il contrario: se voglio bene a qualcuno sono ancora più rompiscatole e critica di quanto non sia normalmente con persone che non conosco. Deformazione professionale.
    E allora, che male c’è a parlar bene del lavoro di un amico?
    🙂

  2. il mio precedente commento non c’è più o ho sbagliato qualcosa o è stato rimosso allora io ci riprovo e capirò
    sono molto felice che oggi pomeriggio esco e me lo compero e stanotte me lo sparo in vena cara loredana se questi sono i tuoi amici spero proprio che tu continui a parlarne

  3. No, nessuna di questi accenni: combriccola, cricca e ghenga… non sono così prevenuto come sono apparso ‘in passato’
    Non ho letto il romanzo. Posso dire che gli argomenti sono interessanti. Forse Celiniani (Viaggio al termine della notte, credo, mi si corregga se sbaglio).
    E questo è ‘salutare’ nella Letteratura italiana pervasa dai Moccia e suoi seguaci.
    Del resto la cronaca ci dice che queste storie più che verosimili sono terribilmente vere: spesso, come sappiamo, la realtà supera l’immaginazione. Ma questo genere di Letteratura: che guarda, scandaglia, rivela, ammonisce, sveglia, induce non solo a riflettere ma a ‘combattere’… questa è – a prescindere dal valore letterario del romanzo di Di Michele – la Letteratura di cui abbiamo bisogno.

  4. Bene, faccio parte della ghenga anch’io: ho iniziato ieri (finalmente! Avevo un arretrato mastodontico che ora ho “quasi” azzerato) “la visione del cieco” e vi dirò che è scritto con i controcazzi.
    Scusate il francesismo.

  5. [OT. Io volevo solo dirvi che rosico abbestia nel vedere la quantità di libri che riuscite a leggere. Sinceramente.
    La passione ce l’ho pure io. Leggo mediamente veloce.
    In questi giorni stanno lottando “L’uomo duplicato” e Wimbledon. Saranno i 35 gradi, ma vince sempre Wimbledon].

  6. Il libro è molto, molto bello, anche io l’ho divorato… ma mi è sembrato leggermente (poco poco) al di sotto di 3 Uomini paradossali e di Scirocco. Ho avuto la sensazione che un altro mesetto di gestazione non gli avrebbe fatto male, e che magari l’Einaudi abbia premuto per farlo uscire, visti i collegamenti con non pochi temi di stretta attualità (che non cito per non anticipare nulla a chi ancora non l’ha letto). Ci sono un paio di situazioni che restano un po’ in sospeso, personaggi che avrebbero meritato qualche pagina in più, soprattutto alla fine (o forse è stata la mia lettura in spiaggia a non farmi cogliere…). E poi qualche nome troppo poco mascherato (tipo Carofiglio), come se DeMichele avesse avuto timore che non venisse “colto il nesso”. Comunque, un libro che inquieta parecchio; e, sì, scritto coi controcazzi (ma non era un latinismo?)

  7. Secondo me il problema non è di ‘cricca e ghenga e combriccola’, è di ‘territorio’. Insomma bisogna cercare di uscire dal proprio confine, per leggere e capire ‘altro’. E magari scoprire in fondo che non è davvero ‘altro’.
    Ecco, il problema nel momento in cui WM1 recensiva Genna eccetera, era appunto che le recensioni rimbalzavano all’interno di un territorio per varie ragioni piuttosto chiuso. Sinceramente spero che chi legge quelle e altre recensioni sappia capire che in tutto questo non c’entra nulla la ‘cricca’. Se si vogliono occupare posti di potere bisogna usare strategie molto meno ingenue, e nessuno degli scrittori che ho seguito in questi anni ne ha occupati. Hanno ‘soltanto’ scritto ottimi libri.

  8. libri!
    “in quel micromondo troverà un Male che non viene da un altro universo, ma è l’espressione, concentrata e feroce, della quotidianità del nostro paese.” ottimo, metto nell’interminabile lista delle letture da intraprendere, sì perchè leggere è viaggiare, partire da un punto/luogo e ritrovarsi necessariamente a fine libro in un altro luogo interiore/mentale/intellettuale e come ogni viaggio ogni lettura cambia il lettore perchè filtrando se stesso compie uno spostamento di sè da qui ad altro

  9. ‘il provincialismo culturale di questo paese è davvero avvilente’ è una di quelle critiche che un grande creatore di fumetti (italiano) chiama così: critica di cistifellea 🙂

  10. “Il provincialismo culturale di questo paese è davvero avvilente” disse l’uomo in tono accorato, mentre osservava l’etichetta della capienza nell’ascensore.
    La signora col cappello gli si rivolse con condiscendenza: “Ha ben ragione lei, sa? Non basta mica l’euro per essere europei, che poi con l’euro i prezzi sono raddoppiati, altro che: R-A-D-D-O-P-P-I-A-T-I”.
    L’uomo scrollò le spalle e appena in un sussurro, come se non parlasse a nessuno in particolare, disse: “Manco le sappiamo tutte le porcherie che ci fanno mangiare, con gli OGM…”
    La donna col cappello avrebbe voluto rispondere, ma era arrivata al suo piano.

  11. Boh… mi sa che non mi sono capito… io per provincialismo culturale mi riferivo a tutti quelli che gridano alla cricca, ghenga e combriccola, e vedono ovunque conventicole e gruppi di appartenenza, invece di appassionarsi ad un serio dibattito culturale e riconoscere la qualità della critica e dei libri, indipendentemente dai rapporti che legano scrittore e recensore. Questo volevo dire, sorry.

  12. Ho letto Tre uomini paradossali quando è stato pubblicato. Ancora oggi mi chiedo le ragioni della sua stampa e il perché del suo successo. Un miracolato della rete. Non penso che mi ricrederò: ho bandito il suo nome dalla mia biblioteca.

  13. Non è proprio un’argomentazione. Diciamo che è la causale sul contratto tra il mio io lettore e la sua biblioteca. Se di un autore leggo un libro che non soddisfa, se non peggio, viene scacciato via dalle liste di attesa. Di libri ne vengono scritti tanti, con la scusa faccio selezione. E’ un buon metodo, risparmi molti soldi. Sono arrivato a comprare solo Rat-Man.

  14. Boh, io non ho mai bandito nessuno dalla biblioteca, casomai ho fatto il contrario: ho messo insieme una biblioteca di ‘banditi’ 🙂

  15. l’ho letto
    mi ha fatto schifo e l’ho venduto
    i primi due erano molto belli, scirocco addirittura meglio di 3 uomini paradossali, ma questo santo dio mi chiedo da dove sia saltato fuori
    mi è sembrato tirato via e, cosa ancor peggiore, scontato. sì, scontato, perché sono tutte vicissitudini che si possono ritrovare nelle pagine di giornale, magari anche scritte meglio.
    lo slang gggiovane dell’infermiera è odioso, il riferimento a Carofiglio è disturbante (ma per quale motivo figura? qualcuno me lo spieghi), se è vero che in questo preciso momento la letteratura di genere rappresenta la realtà meglio di “altra letteratura”, be’ questo romanzo non mi piace come ha dipinto l’Italia: telecratica, in preda alla caduta dei mores, dove nessuno è innocente e tutti sono un po’ meschini.
    non mi piace quando si infilano troppi – non velati – riferimenti alla società attuale, come il reality ( La masseria ) che frolla le menti. Penso che queste trovate rischino di far invecchiare molto male una storia
    ma forse è un mio problema di gusti

  16. Andrea scrive: “questo romanzo non mi piace come ha dipinto l’Italia: telecratica, in preda alla caduta dei mores, dove nessuno è innocente e tutti sono un po’ meschini.”
    Non ti piace il romanzo o non ti piace l’Italia che descrive?
    Mi sa che Girolamo c’ha proprio beccato…
    😉

  17. Girolamo ci ha beccato, e io credo che descriva un’Italia molto (anzi parecchio) reale; ma le “pecche” del romanzo descritte da Andrea secondo me ci sono tutte. Per esempio, se proprio ti vuoi togliere il sassolino dalla scarpa, allora o scrivi Carofiglio nero su bianco o metti un nome completamente diverso. Lo stesso per la masseria (e perché non “grande cugino” al posto di “grande fratello”, già che c’era?). O Lara che risolve a colpi di arti marziali (anche in Scirocco); o la Cenci che sparisce dal romanzo.
    Credo (ma l’ho già scritto qui qualche giorno fa) che un po’ di editing in più non gli avrebbe fatto male. A me non ha fatto schifo, mi ha fatto incazzare perché Girolamo ha un talento fuori dal comune, e a volte basta davvero poco per sciuparlo.

  18. @ davide (e andrea)
    In realtà è successo il contrario di quello che hai pensato: il libro era pronto per uscire all’inizio di marzo (c’era già l’annuncio nei siti librari), poi l’editore mi ha fatto notare un paio di cose, la rilettura finale si è trasformata in una vera e propria terza stesura, e il libro è uscito 3 mesi dopo. La contemporaneaità con Cogne è casuale: la prima stesura l’ho terminata mentre si apriva a Parma il processo per l’assassinio di Tommy, altro bambino massacrato in provincia su uno sfondo montano (come anche Erba, Imperia…). Il personaggio della madre è radicalmente diverso dalla signora Franzoni (e soprattutto, non ho alcuna “verità alternativa” da suggerire, come altrimenti si potrebbe pensare: per quel che ho capito la sentenza mi sembra verosimile).
    La Cenci non è “sparita dal romanzo”, prometteva di fare una certa cosa e più avanti la fa, con i commenti che ne seguono (p. 234).
    Lara non risolve (diversamente da Scirocco): si limita a dare una lezione, nel modo che le viene naturale, a un personaggio secondario che gliele strappa dalle mani.
    Una precisazione: non ci sono Carofiglio e un reality, ci sono un personaggio roso dall’invidia per il successo di Carofiglio (e dovrebbe pensare ad altro, in quel momento, no? se lo facesse forse le indagini andrebbero in altro modo…) e un personaggio dalla mente invasa dall’andamento di un reality (con le conseguenze che sai).
    grazie a tutti per i commenti, senza distinzione tra quelli positivi e quelli negativi.

  19. In effetti se uno leggesse questi commenti penserebbe che nel libro agisce un personaggio ispirato a Carofiglio. Invece c’è un accenno, nulla più.

  20. @Girolamo
    Ecco perché non dovrei mai leggere i noir: mi sfugge sempre qualcosa! È vero, la Cenci non sparisce, fa quello che aveva promesso. Sorry.
    Su Lara e sulle sue arti marziali (era Tae-kwon-do? ammesso che si scriva così…), ciò che non mi è piaciuto è proprio questa sorta di piccolo topos, che era certo più evidente in Scirocco, dove appunto risolve una situazione, del personaggio in difficoltà che sfodera l’inaspettato colpo di karate (o quel che è). Insomma, non è per rigirarti la frittata in modo che diventi un complimento, ma è proprio perché hai una scrittura decisamente fuori del comune che un luogo comune da te non me l’aspetto, e sicuramente te lo perdono di meno. Mica sei Genserico Bonfiglio, o no? 🙂
    Infine, proprio Bonfiglio: se il tuo personaggio è roso dall’invidia per lui, allora chiamalo col suo nome, non c’è nulla di male, mica ti querela. Usare un cognome simile, anzi diverso-ma-non-troppo, mi ha dato (e quindi siamo nel campo dei pareri personalissimi) la sgradevole sensazione che tu abbia voluto toglierti un sassolino; e questo lascialo fare al senatore Cappas 😉
    Grazie comunque per avere risposto al mio commento!
    PS negli ultimi anni le rane di Baricella arrivano surgelate dall’estero…
    dimmi, ti prego, che Togliatti non ha fatto in tempo a mangiarle.

  21. “Scirocco” si svolge nel 1998, e il Togliatti esce di scena nel settembre di quell’anno. Se all’epoca usavano ancora le rane fresche… io sono anni che non vado a rane a Baricella.

  22. La visione del cieco ha, secondo me, tra le altre, tre caratteristiche:
    – c’è il solito protagonista che cerca di dipanare un mistero, però per una volta non c’è il suo giganteggiare sulla vicenda “gialla”; Giulioandrea è presente con il suo vissuto ma è un vissuto che si intuisce, si ricorda ed è soprattutto un vissuto di fatti che hanno un rilievo storico sociale importante; non ci sono tic e gusti culinari, particolari erotici e ricordi di infanzia… non ci sono insomma i fattacci propri dell’ispettore/avvocato/giudice/commissario/professoressa;
    – c’è una prosa ricercatissima nella stesura (si intuisce dietro un lavoro enorme) eppure di lettura agevole; a volte, in libri di altri autori mi è capitato di avvertire la sensazione contraria, ossia una prosa ostica alla lettura, risultato di una ricercatezza fine a se stessa e probabilmente non così difficile da mettere giù in quanto frutto di un “parlarsi addosso” scambiato per alta cultura;
    – c’è un mondo; è un mondo che non mi appartiene; non conosco i vizi privati di una provincia opulenta e senza anima; conosco il vivere faticoso e sfidante della grande metropoli; però mi interessa leggere la cronaca del mio tempo e certi riferimenti precisi che a pelle potrebbero sembrare fastidiosi e svilenti, servono magari proprio a rendere più netto il contorno e acquisteranno valore con il passare del tempo.
    Tre caratteristiche che colgo io; sono anche tre pregi?

  23. Non ho letto gli altri due libri scritti dall’autore e citati nei precedenti commenti. Devo dire che ho trovato il libro, che pure ho letto in pochi giorni, sinceramente ridondante e irritante, specialmente nella caratterizzazione di alcuni personaggi, primo fra tutti la ragazza ” disadattata”, della quale al momento non ricordo il nome. Più in generale mi sembra che la descrizione della decadenza di un paese, prendendo a paradigma la provincia, giunga come minimo seconda rispetto ad alcuni romanzi di Carlotto, rispetto ai quali La visione del cieco giunge secondo e con un certo affanno.
    Peccato.
    Saluti

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