Su L’Espresso di oggi, Roberto Saviano recensisce Manituana. Estratti:
[…] Quello che da anni portano avanti come progetto i Wu
Ming è la nuova possibilità di mettere insieme diversi linguaggi, nuove
sintassi, comunicative inesplorate. Un percorso che non ha nulla
dell’elitarismo dell’avanguardia: come avevano fatto con il loro precedente
romanzo ’54’, i Wu Ming riescono a costruire storie articolate all’interno
delle fibre muscolari della Storia. E le alternative al percorso della Storia
non sono giochi ingenui o impossibili […]
[…] smontare il monolite della Storia, per cavarci le storie, non racconti, o
aneddoti, non scorciatoie da scrittori per far compagnia alla propria fantasia,
ma percorsi abbandonati, ignorati, deformati che attraverso il racconto vengono
salvati e riportati nel letto del fiume della Storia. Rendere al condizionale
il tempo della Storia significa non subirla. Divenire almeno nel tempo della
riflessione capaci di determinarla […]
[I Wu Ming] Non inventano nuovi destini, ma scovano sentieri già tracciati che
non sono stati battuti e forse ultimati. Così prende il via il lungo viaggio
spazio-temporale di ‘Manituana’, trasportando il lettore tra i sentieri e i
villaggi della grande nazione irochese, alla vigilia di quella guerra di
indipendenza americana che ha decretato la nascita di una nuova potenza e il
definitivo affrancamento dei ‘ribelli’ dall’impero coloniale di re Giorgio III
d’Inghilterra. Hanno cominciato dal classico "what if…",
chiedendosi cosa sarebbe accaduto se i lealisti avessero sconfitto le truppe di
coloni guidati da George Washington. Forse sarebbe andata come in Canada, dove
le popolazioni autoctone ebbero molte difficoltà sotto la corona britannica, ma
non furono oggetto di operazioni di sterminio, come invece accadde negli Stati
Uniti.
Ma ‘Manituana’ non è in nessun modo un libro sulla storia dei ‘Native
Americans’, non è l’ennesimo testo sui pellerossa. Ed è questo forse il segreto
della sua necessità, del passaparola che ha permesso al libro di fuggire di
mano in mano. È un racconto di una nuova dimensione, occhi nuovi su un momento
della Storia fondamentale, dove si stava per generare ciò che avrebbe
determinato le sorti del mondo nei secoli successivi. Un raccontare la
gestazione del mondo moderno, la gravidanza
della Storia che avrebbe partorito il mondo che oggi abbiamo. Ma che avrebbe
potuto generare altro. Un "altro" annegato, abortito, ma che è
possibile rintracciare in ciò che è stato. ‘Manituana’ non è cowboy e
pellerossa, non i malvagi indiani strappa-scalpi e i buoni colonizzatori
porta-civiltà. E non è nemmeno i buoni indiani e i malvagi americani. Atrocità
avvengono su ogni fronte. ‘Manituana’ è per molte pagine l’incontro di mondi, e
vuole essere un sismografo delle cinetiche, dei conflitti, e della fusione
bastarda e meticcia che l’incontro di diverse culture ha generato. […]
Non c’è nulla dell’immaginario già consolidato. La sensazione è che il nuovo
romanzo dei Wu Ming sembri in qualche misura un dialogo sibillino con la
‘Dialettica dell’illuminismo’ di Adorno e Horkheimer. Ed è a questo libro che
chiedono interlocuzione piuttosto che all”Ultimo dei Mohicani’, di Cooper. Il
cuore pulsante di ciò che ha portato l’Europa alla Shoah è nella storia della
ragione illuminata, e così i Wu Ming seguendo la traccia portano a dimostrare
che proprio i padri della democrazia americana furono i fondatori del massacro,
coloro che fondarono le premesse (e non solo quelle) per non accogliere le
energie che stavano generandosi nell’incontro tra indigeni, non vedendo nel
mezzosangue l’origine degli Stati Uniti d’America, ma portando avanti un’idea
di civiltà e civilizzazione che somigliava a un modello in grado di legittimare
le nuove aristocrazie coloniali contro le aristocrazie inglesi e francesi del
Vecchio continente […]
Dalla parte sbagliata della storia, così come recita il progetto dei Wu Ming,
la sottotraccia, il trailer del libro. Parte sbagliata perché non realizzata,
ma parte sbagliata perché meno raccontata, considerata reazionaria, scadente,
perdente. E così è stato per i nemici dei ‘rivoluzionari’ di Washington che
invece avrebbero avuto un modello di civiltà diverso dallo sterminio. E come
sempre però l’irrealizzato riesce a ingravidare il realizzato, l’idea
federalista di Benjamin Franklin ciò per cui ancora oggi viene venerato come
grande statista politico è stata direttamente presa dalle Sei Nazioni irochesi.
[…] Bisogna essere addestrati alla maratona per apprezzare le oltre 600
pagine di ‘Manituana’, ma il fiato lungo vien leggendo in un percorso che
sembra a spirale, una volta entrati, se si decide di entrare, difficilmente se
ne esce fuori. Non c’è inizio non c’è termine. ‘Manituana’ continua sul web
(www.manituana.com). Una scelta in piena coerenza con il progetto del libro. Il
web è il mai definito, il possibile, il progressivamente costruibile. La
capacità di poter seguire i percorsi di ‘Manituana’ attraverso Google Earth
aggiunge capacità concreta d’immaginazione al libro, una sorta di materialismo
della fantasia, una forza, quella di mettere ogni strumento al servizio del
romanzo, che farà storcere il naso a molti puristi della pagina […]
‘Manituana’ non è soltanto una narrazione di ciò che poteva essere, ma è una
cartografia del possibile, uno strumentario letterario attraverso cui si può
smontare il congegno della Storia, una capacità che può essere alimentata solo
attraverso la necessità di stare dalla parte sbagliata
Cara Loredana, ti conoscevo sulla carta stampata, ma seguirti sul blog è un’altra cosa. Rompo le netiquette fra blogger e ti invito sul mio blog. Mi piacerebbe una tua scorsa al mio post sul natale di Roma e, perchè no, alle mie (anzi loro) storie di donne immigrate. Un saluto, duccio
Ma quale passaparola, siamo seri. Intere e costosissime pagine di pubblicità sui quotidiani, più il venerdì di Repubblica, più l’Espresso… Uno sforzo promozionale e un lancio in perfetto stile americano, per fortuna confortato da vendite adeguate.
Credo che pubblicità e recensioni servano all’inizio, ma poi un libro va avanti solo se piace e i lettori se lo consigliano tra loro. Ecco perché Saviano parla di passaparola, che è sempre stata la dimensione dei Wu Ming (per esempio, è come io ho conosciuto i loro libri: “Asce di guerra” me lo consigliò e regalò mia madre). Tra l’altro credo sia la prima volta che la loro casa editrice investe così tanto sui cinque, evidentemente anni di risultati positivi portano a dei cambiamenti.
…Uno sforzo promozionale e un lancio in perfetto stile americano…
Bum!
A quando l’aquisto dei diritti da parte di una major del cinema per Maniutana – The Movie girato da Ron Howard.
Così a occhio l’investimento pubblicitario mi sembra modesto, altro che “americano”.
trovo curioso che il passaparola sia arrivato solo ora, ecco.
🙂
Il passaparola parte quando chi legge finisce il libro, ma per quel che riguarda le persone che conosco io, il passaparola è partito prima di subito, e forse prima ancora, coi prolegomeni 🙂
Copio qui quello che scrivevano i WM tre settimane fa sul penultimo numero di giap:
Dopo tutto l’impegno che abbiamo messo nel costruirlo e avviarlo alla rampa di lancio, è bello guardare Manituana dopo il decollo, sentire i commenti su come vola, su come le lamiere riflettono il sole, sulla scia che marca la traiettoria.
La classifica apparsa domenica scorsa sul Corriere della sera ci dava al settimo posto nella Top 10 generale e terzi in quella della narrativa italiana. Il periodo monitorato andava dal 19 al 25 marzo. Manituana è uscito il 20.
Correttamente, i compilatori della classifica del Corriere indicavano come autore “WU MING”. ‘Mbeh? Normale, no? Eh, no! Normale un cazzo, perché su altri giornali ci è toccato leggere: “MING – Manituana” o “MING, WU – Manituana”. Capito? Come se “Wu Ming”, invece che il nome intero di una band, fosse il nome e cognome di qualcuno. Mica per paragonarci, ma è come se anziché “Pearl Jam” uno scrivesse solo “Jam” o, tuttalpiù, “Jam, Pearl”. Tra l’altro, anche fosse, i cinesi mettono prima il cognome (“Mao” è il cognome, “Zedong” il nome), quindi nella logica del classificaro si dovrebbe scrivere solo “Wu”. Dice: forse è un problema di spazio nel colonnino. Maddechè? Anche con lo spazio in mezzo, “WU MING” è sempre più corto di “CAMILLERI”. Fosse un problema di spazio, scriverebbero “CAMILL.” (che comunque ha lo stesso numero di battute di “WU MING”). No, è che proprio non sanno chi siamo.
Questo per dire che, financo dopo tutti ‘sti anni, rimaniamo un oggetto strano, che non si sa come maneggiarlo. E ciò, a sua volta, che significa? Significa che non stiamo in classifica grazie al nome “Ming” e al cognome “Wu”, non stiamo in classifica per le nostre belle facce, non stiamo in classifica perché è uscita la pagina pubblicitària su Repubblica (che tra l’altro è uscita dopo), non stiamo in classifica grazie alla sagoma di cartone dell’indiano (pochi librai l’hanno messa in mostra). Stiamo in classifica grazie al “nocciolo duro” dei nostri lettori, i giapsters, la… guardia pretoriana 🙂 Stiamo in classifica grazie alla fiducia conquistata negli anni.
Nessun nostro libro è mai partito così, nemmeno Q. Speriamo che il buon giorno si veda dal mattino.
[Nota glasnostica: tiratura iniziale 45.000 copie, prima ristampa di 10.000 copie, una seconda ristampa imminente]
ma che cazzo vogliono questi wu ming.Fanno tanto i puri e adesso si mettono pure a fare la pubblicità.Non potrebbero promuoversi attraverso sedute spiritiche,o accontentarsi che ne parlino bene su lipperatura,eh,così la gente continua a comprare i nostri libri di merda(che nemmeno abbiamo scritto noi peraltro)
Diamonds, non so in quanti coglieranno l’ironia… 🙂
ehm… ho scritto acquisto senza c 🙂
10 frustate posson bastare…
Aggiungo che Manituana è stato addirittura pensato per suscitare interesse e sfondare soprattutto in america (che je frega a loro del mercato italiano!), colpo grosso nel paese a cui i cinque cinesi sotterraneamente anelano da sempre, fingendo di giocare con Cary Grant.
Be’ allora io voglio vederli insegnare a Harvard, alla facciaccia di tutti gli stronzi!!!
Be’, io me lo auguro che qualcuno di loro prima o poi insegni ad Harvard, così scrocco l’ospitalità negli USA! 😉
l’incipit della poetica di aristotele è fulminante: la storia ha a che fare col vero/necessario, la letteratura col possibile/verosimile. ergo manituana è un’opera letteraria, gomorra un’opera storica.
la prova di ciò è il patto col lettore, il quale si meraviglierebbe se manituana fosse una storia reale quanto se gomorra fosse una storia inventata. o no?
Ipse dixit.
Aristotele non sarebbe stato nessuno senza Socrates
socrates: l’ostetrico o il cavadenti?
NB aristotelico* qui è saviano!
* non è un’offesa…
Avete visto il programma di Biagi? Non so voi, io l’ho trovato bellissimo. Tutto quanto, e naturalmente Saviano che ha terminato l’intervista ricordando Primo Levi.
Ora leggo questa recensione. “Passaparola” un cazzo! Ho visto pubblicità di Manituana a ripetizione, di quelle che costano. E poi le torri che ti aspettavano in libreria, le torri sono la visibilità massima che si può dare a un libro in libreria. Manituana era uscito da poche ore ed era già tra i best seller, paradossale no?
(mentre Gomorra è stato piazzato sul mercato in cinquemila miserelle copie, perché evidentemente in casa editrice ci credevano il giusto, paradossale anche questo no? Lì sì c’è stato il passaparola).
Credo anche che questa recensione di Saviano sia enfatica e generosa, ma qui non posso approfondire e verificare perché non mi va proprio di leggere Manituana (decisione presa leggendo i prolegomeni, che trovo dei Tex Willer non tanto riusciti).
Ecco, sono contento: Roberto Saviano è umano, sbaglia pure lui. E probabilmente sbaglierà ancora perché ora tutti se lo corteggiano.
Detto questo, quella specie di passaggio di testimone tra l’anziano Biagi e lui è stato davvero bellissimo.
andrea barbieri
Barbieri, vergognati.
Beh, per quel che vale la mia testimonianza, io di pubblicità di Manituana non ne ho viste (sarà che non ho la tv), ma in compenso ho conosciuto il libro ben prima della pubblicazione grazie al passaparola di una mia amica su internet…
Mi rivolgo ad Andrea Barbieri, non potevi scrivere semplicemente che ti rode il didietro, invece che dare (non tanto implicitamente ) dello stupido e del decerebrato (succube della pubblicità) a chiunque compri un libro (che tu non hai letto) di un autore che ti sta antipatico? Oltre al fatto che così praticamente dai dello scemo, o peggio dell’insincero, a Saviano. Hai pensato al fatto che il libro potrebbe (dico potrebbe) essergli piaciuto davvero e, semplicemnte, abbia deciso di scriverne? Secondo me Manituana era già tra i bestseller nei primi giorni perché, come dicono i WM, c’era tanta attesa (cinque anni dopo 54) e soprattutto i “giapster” sono andati a comprarlo nelle prime ore (e i giapster sono diecimila)
Questa Antonella dev’essere una cugina stretta di uno dei cinque bolognesini dagli occhi a mandorla. Diciamo che un po’ di ragione Andrea Barbieri ce l’ha. Il libro è noiosissimo e squarcia i coglioni fin dalle prime pagine, però l’attesa c’era e il rincalzo mediatico ha fatto il resto. Andrea deve avere pensato che, visto che i WM hanno difeso strenuamente Roberto nel momento del bisogno, Roberto, che è un buono (e peraltro si era giovanilmente entusiasmato anche per Leonida), abbia provato l’impulso a restituire la gentilezza. Tutto è buono per i buoni.
In pratica si finge di parlare bene di Saviano per accusarlo di essere un leccaculo. Complimenti a Barbieri e Arbiter!
Nessun mio cugino ha gli occhi a mandorla, forse è chi lo dice (restando anonimo) che si muove in questa maniera, non io… E’ che proprio non mi va che mi diano della stupida o della schiava a seconda di quale libro compro, poi detto da una persona che aggiunge: io non l’ho letto. Non mi sembra un modo di fare.
Infatti non lo è. Trovo indegni i commenti di Arbiter e di Barbieri. E non perchè parlino male di Manituana (ognuno ha il diritto di dire cosa vuole del libro: magari, avendolo letto, sarebbe meglio). Ma per i toni e le insinuazioni. Mi auguro non si ripetano, grazie.
Non ho affatto detto che Saviano sia un leccaculo, ma solo un buono. Nella sua posizione non ha nessun bisogno di leccare culi, ma solo quello di esprimere la sua amicizia a chi gli sta vicino fra tanti vecchi e nuovi nemici.
E’ comunque inaccettabile insinuare che Saviano abbia scritto una recensione positiva solo per ringraziare “amici”. E’ una concezione mafiosa della letteratura che non appartiene nè a Saviano, nè ai Wu Ming. Nè appartiene alla sottoscritta. Nè la sottoscritta intende tollerarla.
Sappiamo, sappiamo. Da una parte i Buoni in assoluto, prive di Ombre. Dall’altra i Cattivi in assoluto, privi di Luce:-
Mah, ho l’impressione anch’io che qui certe persone abbiano gli occhi a mandorla, anche perché mi si mettono in bocca parole che non ho usato e nemmeno condivido, per esempio la storia dei “decerebrati”.
Io penso esattamente ciò che ha detto Arbiter: Tutto è buono per i buoni.
E ripeto, la puntata di Rotocalco televisivo, tutta centrata su persone che portano parole di libertà, e sul costo da sopportare per queste parole è stata una grande lezione.
Saviano meritava di stare dentro quel discorso, che ha visto nella prosecuzione del programma anche un momento a mio parere commovente, quando un partigiano raccontava che i volantini venivano stampati con macchinari a pedali:
sei pedalate per un volantino, ogni volta si stampavano 25000 volantini, ci volevano 150.000 pedalate. E poi le donne li trasportavano nascosti sotto i vestiti. Per me vedere questo rapporto stretto tra libertà e parola, e vedere che un anziano giornalista salda quei momenti di lotta partigiana col lavoro dei reporter di guerra di oggi, o col lavoro di certa magistratura, be’, per me è commovente.
andrea barbieri
Loredana, stiamo dicendo che Saviano è un puro, nient’altro. Io sono sicuro che la sua recensione non è dovuta a uno scambio di favori. E’ dovuta a generosità, che è cosa ben diversa.
La tua lettura delle mie parole e di quelle di Arbiter è un po’ troppo affrettata e carica di pregiudizi.
andrea barbieri
Ragazzi, non nascondetevi dietro un dito. E’ inutile che adesso facciate un passo indietro dicendo che stavate semplicemente parlando di generosità di Saviano. Rileggetevi. Asserire che ha scritto una recensione positiva solo perchè “é buono” (sottinteso: in realtà non ha apprezzato il libro) significa dargli o del mafioso o dello stupido. Così come asserire che i lettori di Manituana si fanno incantare dalle “pile” e dalle pubblicità, significa dar loro dei coglioni, per parlare forbito.
Non è una questione nè di ombre nè di luce. E’ una questione di malafede.
Qui qualcuno vuole insinuare che qualcuno sia birichino. Questo è inaccettabile. Manituana piace a grandi e piccini. Mia nonna ha sostituito la lettura delle “Imitazioni di Cristo” con “Manituana”. Vorrà pure dire qualcosa. O no?
Loredana, è abbastanza inquietante il tuo ultimo post, per due motivi:
1. falsifichi le mie parole, infatti rileggendomi ho scritto: una recensione “enfatica e generosa”, che è cosa ben diversa da “mafia”, cioè scambio di favori, che sarebbe impensabile dato che Saviano è un grande e non ha bisogno di nessun favore. Sembra quasi che tu non riesca a concepire che uno può essere generoso.
2. la seconda cosa è ancora una volta una falsificazione delle mie parole. La promozione dispendiosa (per gli spazi pubblicitari sui giornali) e ficcante (per lo spazio concesso dai recensori), aggiunta alla cura del distributore e alla reattività delle grandi catene di distribuzione ha creato la VISIBILITA’ del libro. Questo non significa che chi lo compra si fa abbindolare, bensì che chi va in libreria PUO’ VEDERE il libro, cosa che non accade per tanti volumi di valore, Gomorra compreso, che non era certo stato sostenuto come l’ultima fatica di Wuming. Da qui a dire che il compratore di Manituana è un “decerebrato” il passo non solo è ardito, ma anche, per il mio punto di vista, assolutamente demenziale: la gente non è mai decerebrata, casomai lo sono certi operatori del ramo che non sostengono come dovrebbero opere di valore (perdendoci anche soldi, come nel caso di chi rifiutò di pubblicare Avoledo).
andrea barbieri
Loredana, ti faccio un esempio per capire che cos’è la generosità a cui mi riferisco (e penso anche Arbiter).
Tempo fa Montanari scrisse che usciva da Nazione Indiana e contemporaneamente consigliò di farmi entrare nella redazione insieme a Sorrentino. Io voglio bene a Raul perché è un bravissimo scrittore e una buona persona, ma quelle parole erano evidentemente troppo generose, un’investitura che davvero non meritavo. Questa è la generosità, e come puoi immaginare è assolutamente in buona fede.
andrea barbieri
Dunque Andrea Barbieri sta dicendo che un libro che lui dichiara di non aver letto ha ricevuto una recensione generosa, dunque immeritata, da Saviano. Il quale avrebbe agito per logiche comunque di camarilla, sia pure generosa.
Solo una domanda: come mai barbieri, così pronto a parlare di Saviano quando costui recensisce Manituana, è stato zitto e buono quando Saviano veniva attaccato nei blog e fuori dai blog con le accuse di essersi inventato la storia della scorta per vendere il suo libro?
Non è curioso?
Ecco. Siamo alle solite. Barbieri dà della decerebrata (‘demenziale’, nello specifico) alla Lipperini solo perché la Lipperini definisce indegni i sospetti di Barbieri. Insomma un sospetto tira l’altro e secondo me dovrebbero smetterla entrambi di essere così sospettosi l’uno dell’altro. In fondo la Lipperini voleva solo aggrapparsi al principio di autorità: se Manituana è piaciuta a Saviano, vuol dire che non è poi questa gran ciofeca di cui si mormora nel passaparola attualmente in rete. E Barbieri voleva solo dire: “Figuriamoci se spreco un pezzo della mia giovinezza per verificare cosa elaborano i Wu Ming su Giorgio III d’Inghilterra. Chissenefrega, francamente???”
No. La Lipperini non si appella a nessun principio di autorità: non permette operazioni di killeraggio travestite, tutto qui. E chiudo l’argomento.
Un rosicare da record olimpico. Bene, molto bene.
Tre anni addietro (35 mesi, per l’esattezza) ho assistito alla narrazione della trama di Manituana (che non aveva ancora questo titolo) ad alcuni operatori dell’editoria, tra i quali i direttori di collana di Stile Libero. Ricordo quando i Wu Ming annunciarono la pubblicazione non prima di tre anni a venire («e che nessuno ci metta fretta!»). In quel momento i Wu Ming potevano godere dell’onda lunga di 54 e di Q, e la trama c’era già (ci lavoravano da un anno): un’accorta visione di marketing avrebbe consigliato un’estate full-immersion e un best seller pronto per natale. Invece i WM hanno lasciato decantare i successi certi per tre anni e hanno rischiato di perdere pubblico già acquisito con due romanzi solisti sperimentali, sui quali non c’era da scommettere. Dedicandosi, per integrare i diritti d’autore con i quali da soli non si campa, a mestieri altolocati e snob quali bibliotecario cococo, traduttore, insegnante yoga, ecc. E invece hanno vinto la loro scommessa nel modo più semplice: i nuovi romanzi sono piaciuti come i vecchi, e Manituana si vende sin dall’inizio per la semplice ragione che lettori sedimentati per dieci anni hanno comprato il nuovo romanzo, avendo gradito i vecchi. Come ha sempre fatto Stephen King, non per caso uno dei loro modelli: aumentare i lettori romanzo dopo romanzo. Certo, c’è chi, avendo annunciato (o asininamente ragliato in assenso) il soffiare di un’aria nuova che stava per spazzar via l’autore collettivo e i suoi cascami ideologici, ed avendo arruolato Saviano in questa zaffata rinnovatrice, ora rosica nello scoprire di aver semplicemente dimenticato di aprire la finestra del bagno, mentre Saviano continua a leggere, pensare e scrivere con la propria testa, e i nemici giurati di saviano e Wu Ming si uniscono nella rosica…
PS: Lippa, io le accuse di far parte del marketing me le terrei strette: se la tua semplice voce sul Venerdì+Lipperatura è la causa di cotanto vendere, vuol dire che vali più di D’Orrico e Cortellessa messi insieme, caccia via 🙂
@ maguarda
La recensione non parla soltanto del libro che non ho letto, ma di tutti i libri scritti, in termini enfatici e generosi.
Sono intervenuto alcune volte per difendere Saviano dalle accuse che dici, una volta mi è capitato proprio su Lipperatura. Tu quella volta dov’eri?
@ Girolamo.
Premesso che Saviano “è” aria nuova, io da profano mi chiedo: ma che cazzo ci facevano i WuMing tre anni fa insieme a te, davanti a non so chi, a raccontare la trama di un romanzo che non avevano scritto, negoziando l’assenso a scriverlo. Davvero sarebbe bello che Girolamo spiegasse a chi non è nell’editoria come funzionano certe cose. Io mai al mondo avrei immaginato che i cinque dovessero chiedere il consenso di qualcuno per scrivere ciò che sentono. Davvero succede questo con le major?
andrea barbieri
Andrea ma dove hai letto nell’intervento di Girolamo che i Wu Ming erano là per “chiedere il consenso”?
Dacci un taglio, sei imbarazzante
Va bene, ora lo confesso, una volta per tutte: i WM erano davanti a me. Io li ho benedetti, loro l’hanno scritto. Senza il mio consenso nessuno può scrivere alcunché qui in Italia.
Io sono IL GRANDE VECCHIO!
Curiosa l’idea di editoria che affiora nelle pieghe di certe discussioni senz’arte né parte. In particolare è interessante l’ultima domanda rivolta dall’anonimo (e quindi mio… collega estemporaneo) delle 18:42.
Nel commento di “girolamo” si dice che i Wu Ming hanno “narrato la trama” ai loro editori, non trovo accenni a nessuna “negoziazione di assenso a scriverlo”, anzi l’unica frase riportata tra virgolette (“E che nessuno ci metta fretta!”) è rivelatrice di tutt’altro tipo di rapporto e fa pensare che il contratto fosse già firmato (ci lavoravano già da un anno, aggiunge girolamo). Immagino infatti che dopo un libro come Q i contratti siano firmati sulla fiducia e con duecentocinquantamila copie vendute un autore possa scrivere quel che vuole. E se “girolamo” è Girolamo De Michele, come mi immagino, cioè un altro autore con SL Einaudi, presumo che sia stata una normale riunione tra autori e capi-collana, come ce ne sono di continuo. L’editore chiede come procedono i lavori, l’autore lo accontenta dicendoglielo. Forse non dovrebbe? Questa tendenza un po’ da Codice Da Vinci a vedere l’editoria come un luogo “segreto” dove si ordiscono chissà quali sporchi complotti è quasi commovente perché connota chi la porta avanti come outsider assoluto, ma spesso una caratteristica degli outsider è anche quella di essere disinformati, e la generosità che fa gettare il cuore oltre l’ostacolo e porre domande del genere, ha come effetto di abbassare il livello delle discussioni di qualche decametro. Eterogenesi dei fini. Ci vorrebbero più addetti ai lavori che intervengono, e si eviterebbero assurdità come quelle scritte sul conto dei “malvagi editor” nelle settimane passate.
A metà giornata la Lipperini ha avuto una crisi di nervi e dichiarato: “I commenti sono chiusi”. Poi si è riveduta e corretta e ha cassato la frase. Allora ho provato a intervenire io a nome del popolo dei castori (“Rosiconi di tutto il mondo, uniamoci!”), ma, chissà perché, la Lipperini ha cancellato il mio appello.
Che buffa.
Vediamo se cancella anche questa precisazione…
Nessuna crisi di nervi, caro e presuntuoso anonimo: semplice intervento in una discussione che stava degenerando e che non sarei stata in grado di seguire per il lasso di tempo in cui ho chiuso i commenti. Ho cancellato il tuo perchè era offensivo,arrogante e inutile. Come,del resto, questo: che lascio affinchè possano rendersene conto anche gli altri lettori. Dopodichè, se continuerai su questo tono, continuerò a cancellarti. Buona serata.
Rinnovo la domanda che mi pare assai buona: perché uno scrittore deve raccontare la trama al suo boss tre anni prima?
Vedete, per un semplice lettore come me la cosa risulta curiosa, io pensavo che semplicemente un autore quando ha il libro pronto, lo propone alla casa editrice. E poi si scelga la collana in base al contenuto del libro. Non credevo che ci fosse un confronto sul libro tra autore e direttore di collana quando il libro non è ancora scritto! E addirittura l’autore deve tenere duro sul tempo della scrittura, perché – come ci spiega Girolamo – possono esserci opportunità di marketing pressanti. A questo punto ritengo che in quella sede si giochi la vendita del libro determinando l’anticipo, allo stesso tempo cercando di salvaguardare la propria identità artistica: quindi un momento di negoziazione, tanto più a vantaggio dell’autore quanto più questo ha forza contrattuale da far valere.
Questo naturalmente non vale per tutti. Per esempio L’elenco telefonico di Atlantide era già scritto. Ma a pensarci bene questo è stato rifiutato dalle major, forse proprio perché non c’era la “certificazione” del controllo preventivo: non era un libro “nato” in casa editrice. Salvo poi, come ci ha spiegato Mozzi, inseguire l’editore Sironi con valigie piene di soldi per ottenere i diritti una volta constatato che l’autore vendeva.
andrea barbieri
Naturalmente, se invece il contratto era già firmato, significa che esistono momenti di verifica “in itinere” da parte del responsabile della collana (che non è un editor ma un amministratore).
E’ così, verifiche da parte degli amministratori avvengono anche durante la fase di scrittura del libro?
andrea barbieri
Come la fate complicata, personale, strana.
A saviano il libro è piaciuto.
Non mi sorprende, non mi scandalizza.
Nelle case editrici si parla anche dei libri ancora da fare di autori che si conoscono, di cosa se no?
Lisciatevi le penne.
Non vedo il motivo di ripetere una domanda oziosa in modo ancor più ozioso, né capisco bene cosa venga inteso per “amministratori” (“verifiche da parte degli amministratori”), non credo proprio che i Wu Ming raccontino i loro progetti all’ufficio personale o all’ufficio contabile, ma a chi si occupa dei libri e discute con gli autori. E nessun autore che abbia un rapporto di collaborazione (e a volte -capita pure questo!- anche di stima) con il proprio editore rimane anni senza dare nessuna notizia su cosa sta lavorando. Questo te lo posso garantire modello Muzio Scevola. E’ anche una questione di rispetto per chi è disposto a investire sul tuo lavoro e ti ha già pagato un anticipo. Dove starebbe lo scandalo? La Mondadori non era forse al corrente di temi e svolgimenti di “Horcynus Orca” vent’anni prima che il libro uscisse? E in quel caso sì che ve ne furono, di “verifiche in itinere” insieme a D’Arrigo. E gli autori invitati a descrivere i loro progetti alle “riunioni del mercoledì” dell’Einaudi dei tempi d’oro? E le lettere tra Fenoglio e Calvino? Se non ci fossero testimonianze di scambi del genere, non sarebbe possibile la filologia, lo studio della genesi e del facimento dell’opera. Inoltre chi scrive ha spesso bisogno o desiderio di raccontare la storia ad altri, di saggiare le reazioni e sentire suggerimenti. Se dentro la casa editrice c’è qualcuno che fa bene questo lavoro (come, faccio qualche nome che mi viene in mente, Brugnatelli alla Mondadori, o Jacopo De Michelis alla Marsilio, o Severino Cesari a Stile Libero) cosa c’è di male? Non si lamenta sempre il fatto che gli autori hanno pochi interlocutori dentro le case editrici? Ripeto: bene la passione, meno bene l’ignoranza. Aggiungo: Bene fare domande, meno bene reiterare scemenze. E’ il discrimine tra il genuinamente curioso e il maliziosamente fregnacciaro.
Ma Scarpa e la Benedetti non hanno di meglio da fare che venire qui sotto nick a fare i bambini stizziti col moccolo al naso? Un po’ di serietà, che diamine…