SCARY CRITIC!

Ordunque. Appena approdata in terre sabaude, anzi, ancora sull’aereo, mi va la luna di traverso.
Ma la colpa non è del mio amato Filippo La Porta, che firma oggi sul Corriere della Sera  una lunga recensione al libro di Massimo Onofri, Diario pubblico e contromano, uscito per Gaffi (qui trovate il testo integrale in copyleft).
E non è del tutto di Massimo Onofri, che scrive un libello di quelli assai di moda ultimamente, modello Scary Critic (mi-tolgo-qualche-sasso-dalla-scarpa). Il libro è anche divertente e naturalmente arguto, oltre che squisitamente colto, anche se la vostra umile eccetera non va propriamente d’accordo con il moralismo, in saio o jeans che sia. Qualche estratto dalla recensione può illuminarvi in merito:

Onofri è fazioso, umorale, rissoso. La sua è una critica dell’ideologia ispirata al Barthes di Miti di oggi e allo Sciascia di Nero su nero , e che dichiara onestamente la propria natura idiosincratica. Ma leggere queste pagine è come prendere una boccata d’aria nel nostro ingessato sistema culturale. Il suo ubi consistam culturale è una coerente linea di umanesimo scettico, risentito, a volte malinconico, che si spinge in là fino al magistero laico di Croce, passando per Brancati, Soldati, Flaiano e appunto Sciascia. A ben vedere un umore da moralista classico, non antimoderno (perché illuminista) ma forse antinovecentesco”.

 A seccarmi, nel pamphlet, non è certo la fobia onofriana verso la mutanda Dolce&Gabbana che già turbò, in un memorabile articolo, Marco Lodoli (la vostra eccetera ritiene comunque che esistano cose più riprovevoli della mutanda medesima, pur se firmata).
   Mi secca, e non da oggi, la santificazione di Moana Pozzi, prontamente citata nel pezzo sul Corriere. Non ho nulla contro la bionda signora, intendiamoci: ma non so come, mi urta che, ieri come oggi, la figura della puttana santa (e sempre redenta, mi raccomando, e, ah, possibilmente morta) infervori le penne degli scrittori. Così:

“…finezza d’animo, spirito, leggerezza, cui aggiungerei grazia, ironia, intelligenza piena della vita e di tutte le sue ambiguità, dei nodi mai scioglibili (se non con la morte), insomma di tutti i paradossi dell’esistenza, che, solo attraverso l’erotismo (ed una sua pratica oltre la misura di ciò che è pubblica decenza, senso comune del pudore) e l’amore senza condizioni,possono diventare verità accecante di coscienza, inesorabile consapevolezza di noi stessi (poveri entomata in difetto), atroce senso del limite, dei limiti umani”.
E così:
“Io me la ricordo come un angelo: che si portava dentro una verità troppo commovente perché potessimo capirla. Pare che in dialetto polinesiano Moana significhi “il punto dove il mare è più profondo”. Di certo, profonda fu la sua semplicità, ed esatto il senso che ebbe della sua avventura che fu spirituale: “Il mio corpo deve rimanere per gli uomini un ricordo infinito”. Già: infinito”.

A suscitare la stessa imperitura passione c’è solo un’altra figura femminile (indovina indovinello? Bravi, la Mamma). Ancora? Ancora. E poi mi chiedono come mai una donna abbia scritto un libro su Don Giovanni. Ma perché il medesimo era decisamente più rispettoso nei confronti della categoria a cui appartengo di molti Commendatori di ieri e di oggi. E che caspita.

17 pensieri su “SCARY CRITIC!

  1. Dov’è che Lodoli si scandalizzò per le mutande D&G?
    In Fight Club (solo il film, se non ricordo male) Tyler Durden diceva che mostra molto chiaramente il livello di degenerazione della società il fatto che gente sia disposta a pagare soldi per avere sulle proprie mutande il nome di altri.
    Correva l’anno 1999…

  2. Credo che una figura come quella di Moana Pozzi abbia a che fare con tutta una serie di tematiche che ‘inevitabilmente’ affascinano scrittori e intellettuali: il culto della bellezza resa eterna da una morte prematura, un modello femminile in cui la sessualità è viva e non castrata né castrante (in estrema sintesi, botte da orbi tra la Grande Madre e la Madonna), il colore che cerca di spezzare il grigiore che sta tutto intorno. Conosciamo tutti il testo di ‘Bocca di rosa’: credo che lì De André sia riuscito a spiegare tutta questa faccenda magistralmente.
    Sul rispetto di Don Giovanni nei confronti della ‘categoria’ avrei più di un dubbio: non ricordo in tutta l’opera di Mozart un solo suggerimento in tal senso! Saluti.

  3. Co rispetto parlando de la venerabile defunta Beata Moana dicasi che Bocca di rosa la dava via per nulla, o pressochè, ma era una cansùn,
    mentre la servadiddio suddetta mostravala/si, etcetera, a pagamento.
    Minime differenze, ma l’economia è tutto, lo diceva anche Carlìn.
    Il plusvalore chi l’incamerò?
    MarioB.

  4. Sono d’accordo con la Lipperini, con il riferimento a Bocca di Rosa fatto da Paolo (ma solo con questo) e in disaccordo con l’amico Mario.
    Credo che Moana fosse adorata e sia stata divinizzata perchè era una grandissima (e bellissima) troia. Adorava fare e farsi fare di tutto (nonchè mostrarsi) e ne ha anche approfittato per tirarci fuori un bel po’ di denaro. Però la sua ispirazione (basta leggere la breve autobiografia che scrisse poco prima di morire) era la stessa di Bocca di Rosa.
    Io credo che noi uomini abbiamo amato Moana perchè lei, pur molto bella, era la tipa che si sarebbe felicemente concessa anche a noi, comuni mortali. E ci avrebbe fatto sentire sessualmente grandi e attraenti, come in effetti non siamo (“parla per te”, mi direte). Moana non era nemmeno stupida e questo aggiungeva fascino all’idea di trombarsela, che in fondo sarebbe potuto capitare a chiunque (non so se avete visto i suoi film, ma non era affatto esigente sotto il profilo estetico).
    Insomma, ci ha fatto sentire tutti, per un attimo, degli irresistibili “tombeurs des femmes”, dinanzi ai quali anche una donna molto bella e intelligente come lei sarebbe divenuta incapace di controllare la sua passione.
    Poi ha avuto la fortuna-sfortuna di morire ed è divenuta un’icona, sulla quale sono state scritte tonnellate di idiozie. Che servono, secondo me, a nascondere il fatto che noi uomini siamo un po’ coglioni. Un bel po’, direi.
    Me compreso, ovviamente.

  5. Ma quanto hai ragione, Lippa?
    Posso dire una cosa sottovoce, sapendo che farò imbestialire l’intera rete machista/finto femminista? Ma lo sai che io non ho mai sopportato neppure la santificazione di Marylin?

  6. Cara Lipperini,
    intanto grazie per l’attenzione e per le cose belle che del mio libro dici. Accetto tutto e posso pure sottoscrivere. Ma non capisco cosa c’entri la storia della puttana redenta. Della redenzione di Moana -autorizzata dalla famiglia: ma chi se ne frega- non mi interessa nulla. Per mio conto sono assolutamente disinteressato alla salvezza mia, figuriamoci quella degli altri. Quanto a Moana continuo ad adorarla come ho sempre fatto: celebrando l’innocenza della carne contro questo paese colpevole e cattolico. E da sempre. Detesto madri e padri: sicché il riferimento alla mamma mi pare poco pertinente. Mentre invito a leggere tutto il pezzo che la riguarda -come quelli dedicati a Platinette- nel mio libro. Così come invito ad andare su Tabucchi, Sanguineti, Arbasino, De Luca, Elkann, Boncompagni, Sebaste, Alberoni, Biagi, Montanelli e tutti questi ameni. Perché è qui che il gioco forse può valere la pena.
    Un caro e rispettoso saluto
    massimo onofri

  7. Il tuo punto di vista mi è totalmente oscuro, eppure lo trovo estremamente interessante. Di più: sarebbe magnifico se fosse vero. Ma più ci penso più tutti gli episodi sembrano confermarmi che il rispetto di Don Giovanni nei confronti della donna è assolutamente nullo. Certo, c’è la splendida serenata in cui Don Giovanni chiama l’amata alla finestra, c’è il duetto con Zerlina ma quella è solo ‘bella forma’. La verità più profonda sta nell’aria del catalogo, in cui la donna conta solo a patto che diventi numero o categoria generale. Nei primi due casi a parlare è Don Giovanni stesso, nell’altro Leoporello: e questo non è certo un caso. La verità sembra essere che Don Giovanni non dica mai niente di sé: è come un gigantesco buco nero, sono gli altri che ci dicono tutto (o quantomeno molto) di lui.
    Eppure mi piacerebbe poter vedere questo ‘rispetto’ di cui parli, ragion per cui spero vivamente che in un prossimo futuro tu possa decidere di trattare l’intricato tema. Saluti.

  8. Devo essere giocoforza sintetica, e dunque insoddisfacente.
    @Massimo: certamente TU non parli di madri. Ma ammetterai che il doppio binario puttana-mamma è alquanto frequente in qualche secolo di letteratura e non. Comunque. Quel che io contesto è che “l’innocenza della carne” (l’anti-agape, insomma, su cui siamo perfettamente d’accordo soprattutto in tempi di neomoralismo) sia identificabile in un ruolo -femminile-preciso. Quel che contesto è che ancora oggi si abbia bisogno di una pornostar per dichiarare la carne innocente, insomma.
    Quanto all’invito a leggere tutto il pamphlet, ovviamente lo condivido e lo rilancio. Diciamo che ho biecamente approfittato di alcune tue pagine per un discorso che mi sta a cuore. 🙂
    @Tore. Ti cito solo il recitativo che apre il secondo atto, quando Don Giovanni dice a Leporello che le donne gli sono più necessarie dell’aria che respira, e che il suo non è inganno, ma amore. Non è un caso che queste siano le uniche parole (peraltro non cantate) che Mozart gli riserva per illustrare la sua…poetica? visione del mondo? fai tu. E’ verissimo che di lui non si dica nulla, che sia, come dai tempi di Tirso, un “hombre sin nombre”, privo di identità, di patria, di regole sociali e di fede nella trascendenza. E’ un attraversatore, ed è un negatore: un demone e un diavolo (nel senso primigenio di colui che divide: l’anti-agape anche lui, insomma). Ma ad ognuna delle donne che incontra (e in questo è la musica di Mozart più che il libretto di Da Ponte ad essere esplicita) riserva uno straordinario dono di libertà. Se metti a confronto le figure maschili dell’opera, appare anche più chiaro: Don Ottavio è un pavido conservatore, che solo dopo qualche ora di musica si decide a fare “ricorso” all’autorità costituita per vendicare Anna; Masetto è poco più di un picchiatore; il Commendatore è il custode dell’ordine terreno e ultraterreno; Leporello l’ombra desiderante e invidiosa del proprio padrone. Chi denota maggior “rispetto” verso il mondo femminile, allora?
    Poi, certo, è questione di punti di vista: la sottoscritta è fra coloro che, per dirla con Brecht, hanno “votato per Don Giovanni” e non per il suo gelido, pietroso antagonista…Ne riparliamo, se vuoi.

  9. a) un libro su un uomo scritto da una donna è uno sguardo altro altrimenti impossibile
    b) non possibilmente ma invariabilmente morta. se non è morta non è possibile santificarla

  10. cara la nostra eccetera
    non ho letto (lo farò, per antica frequentazione dell’autore anni fa saltuariamente anche della persona fisica che lo incarna. Un saluto a lui).Essendo un pamphlet, mi pare, si accettano i moralismi affilati. E anche l’adorzione generazionale per una cosa che non era né la mamma né la puttana (ma della fenomenologia di Moana sono pieni gli scaffali). solo una cosa vorrei aggiungessi ai tuoi argomenti sul femminile, che condivido: prendiamo un campione a caso: su questo post – ma mi pare in generale qui – la discussione è condotta da 9 persone+ 1 (me compreso). 10 che – a meno della falsificazione del nick – sono tutti uomini. tranne te,of course.E se pure fosse mascula solo la maschera (virtuale ma pubblica ) che usano, la cosa non cambiererbbe.Perchè mai? so che ci sono ragioni precise, che le donne sono presenti nel mondo letterario-libresco eccetera, ma da vicino, ‘sto mondo sa di dopobarba.ma non è colpa nostra, stavolta.

  11. “Il libro è anche divertente e naturalmente arguto, oltre che squisitamente colto, anche se la vostra umile eccetera non va propriamente d’accordo con il moralismo, in saio o jeans che sia.” Un po’ meno di avverbi, per una giornalista “brava” come te? Max

  12. Max, che vuoi farci: ho una predilezione per gli avverbi. E non sono “brava” (grazie).
    Mario, il problema del dopobarba esiste, è assai sentito, e il mio contributo ai Monologhi della Varechina di cui si parlava qualche post fa e di cui si straparla su Vibrisse andava esattamente in questa direzione.

  13. Ho appena finito di leggere il libro di Onofri, che mi ha trovato consenziente (a volte entusiasta) coi giudizi espressi su alcuni intellettuali (Brancati soprattutto, che mi fa piacere constatare essere tornato in circolazione). Ho condiviso inoltre molti (mal)umori verso certe impostazioni mentali dell’intellighenzia italiana: il profondismo, l’heideggerismo superfino dei Cacciari, il comunismo estetico di alcuni reduci irriducibili (Sanguineti, Erri De Luca) la critica all’evanescenza estetica e sociale di un quotidiano, il manifesto, che si sottoscrive, ancora, comunista. Insomma abbiamo il “Mes haines” (Zola) di Onofri, ed è un bel libro: da allineare accanto a “Stili dell’estremismo” di Berardinelli. Questo per la parte letteraria su cui giustamente richiama l’attenzione, qui, lo stesso Onofri. Viceversa codivido le riserve della Lipperini sull’entusiamso per Moana, che adoriamo tutti per la sua inverecondia, da autentici uomini di mondo, ma verso la quale, quando la definiamo la “Marilyn del porno”, non dimentichiamo di mettere l’accento sul secondo termine piuttosto che sul primo. L’attrazione per Platinette non l’ho proprio capita: e va bene che oramai l’estetica del trash dopo Tommaso Labranca e Gianluca Nicoletti ci ha abituato alle più clamorose decifrazioni à la Barthes, tuttavia a me è sembrata una nota stonata nell’insieme del libro: una specie di innamoramento estemporaneo per una icona radiotelevisiva dopotutto, secondo me, di basso lignaggio iconografico, e la cui magnificazione fa a pugni con l’intonazione di fondo, di un vigoroso e rigoroso razionalismo critico, dell’ottimo lavoro di Onofri.

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