SIGNORE IN NERO

Va bene, non conoscevo Denise Mina e fino a questo momento non avevo letto niente di suo. Lei vive a Glascow, insegna criminologia, scrive sceneggiature per la BBC, fa parte della cosiddetta nuova ondata scozzese (con Irvine Welsh e Ian Rankin) e ha pubblicato tre libri: La donna di Glascow, Nubi di pioggia e questo La fine del gioco (è uscito da poco per Guanda). E’ un noir con protagonista una donna, Maureen, e fin qui non c’è nulla di strano (anzi).
 Però. Maureen è alcolizzata, anoressica, depressa. Da bambina ha subito gli abusi del padre e ha tagliato i ponti con gran parte della famiglia (escluso il fratello Liam, con cui contrabbanda sigarette). Ha due amiche: una conduce una vita più regolare, con l’altra condivide il banchetto di sigarette e i guai. Ancora. Maureen è riuscita a mandare in prigione lo psichiatra pazzo che prima l’ha curata, poi l’ha perseguitata, infine le ha ucciso l’amante: ma il processo in cui viene chiamata a testimoniare sembra vedere lei come principale imputata. In più, una vecchia ex prostituta che conosce di vista viene picchiata, ricoverata in ospedale e muore misteriosamente. Maureen vuole sapere perché, e comincia quelle che in effetti si potrebbero chiamare indagini.
Cosa c’è di nuovo, o di diverso? Moltissimo, perché Maureen è un’eroina dissimile dai tipi femminili che frequentano ultimamente il noir. Lei non combatte il male, ci vive: in quello che viene dalla sua famiglia, in quello che lo psichiatra pazzo ha fatto a lei e alle sue pazienti, in quello che ha ucciso la vecchia prostituta, in quello che è dentro di lei . E poi. Perché apparentemente non è reattiva, non è neanche “attiva”, a dire il vero: si attacca alla bottiglia in una Glascow caldissima, sporca, piena di gente non bella e non ricca, con le magliette troppo corte su braccia troppo grasse e la pelle scottata. Perché non è una tosta alla Stella Duffy, per dire, e non è neanche una che sfodera il bisturi e capacità deduttive da Baker Street come Kay Scarpetta (che, sì, vero, ha i suoi guai e per dirla tutta è assolutamente ed esageratamente sfortunata, ma poi, dopo aver pianto, essersi morsa le mani per il desiderio di una sigaretta e cucinato un sugo coi peperoni, riparte in quarta). Perché, insomma, esce fuori da parecchia mitologia femminile di genere che ha trasformato le signore dark e fatali di un tempo in donne-di-corsa, con corredo di anfibi o borsa da antropologo forense. E, insomma, sempre di stereotipi (anche se spesso molto attraenti, e ben scritti) si tratta.

44 pensieri su “SIGNORE IN NERO

  1. Ruth Rendell/Barbara Vine (ne scrive così tanti che si è dovuta inventare uno pseudonimo)
    Patricia Highsmith
    Patricia Cornwell
    (Per citare solo le molto note.)
    Quelli che “… le donne non sanno” sono favolosamente anacronistici. Mi ricordano di un mio amico che, ingnorando l’esistenza di gente come Ani DiFranco o Carmen Consoli, diceva che le donne non sanno scrivere musica.
    Omaggerei volentieri questo signore di un barattolo di cera per baffi (che sicuramente porta, come si conviene a un gentiluomo dell’Ottocento).

  2. Cara la mia Giulia e cara LaLipperini, ma i nomi che fate non stanno alla pari con i Chandler, i Simenon e nemmeno con i vostri adorati Wu Ming, fra i quali non c’è infatti nemmeno una donna, e anche nei loro libri le donne sono poche.
    non scaldatevi, hastalavista

  3. Beh, questa è una tua opinione personale: a livello di gradimento e vendite ci stanno eccome. Quanto a non esserci donne nei Wu-Ming, non è che ci debba essere una donna DAPPERTUTTO, tipo rappresentanza sindacale o quota minima per evitare l’estinzione, per cui il tuo esempio vira decisamente sullo sciocchino.
    Poi ci sarebbe anche da considerare quanto sessismo ci sia a monte dell’industria editoriale, ma credo che per uno che sa di cera per baffi (ed è venuto apposta per provocare) sia un argomento davvero troppo complesso. Voi gentiluomini dell’Ottocento non dovete essere disturbati nelle vostre piccole, metodiche certezze…

  4. Marco, il discorso è non solo vecchio, ma alquanto inesatto. Il giochino di comparare scrittore e scrittrice, per essere precisi, è vecchio. L’accenno ai Wu Ming è inesatto: New Thing, per esempio, si regge proprio su una figura femminile…

  5. Sì, stef, scusa, è ovviamente Glasgow, ogni tanto scappano consonanti apostrofi e quant’altro.
    Marco, abbi pazienza, ma ha senso, secondo te, mettersi a contare il numero di presenze maschili e femminili in una storia?

  6. Questo è un bel modo di non rispondire. Io ho fatto due nomi, Chandler e Simenon, adesso ditemi voi se sono paragonabili a Highsmith e Cornwell.
    LaLipperini: non ho letto New Thing, in compenso ho letto Q e so quel che dico. Hastalavista

  7. ma Giulia, i bianchi NON sanno giocare a basket ( e son anche debolucci nell’esecuzione dei gospels, ma questa è un’altra storia).
    Quanto alle dark ladies, non saprei, io leggo solo Liala, e più di tanto non è che.

  8. Ma è proprio necessario rispondere alle provocazioni banalotte di un razzistello qualsiasi? Negherà l’evidenza di qualunque cosa diciate, e sosterrà qualunque tipo di posizione insensata (come quelle delle donne che non scrivono noir, quando la Highsmith è tra i più grandi del genere, come quella delle poche donne nei libri dei Wu Ming, alla faccia delle varie Ursula, Donna Demetra, Beatriz, Angela, Gaia e Sonia – che è pure protagonista!), perchè il suo scopo è solo disturbare. Si chiamano “troll”, ignorateli.

  9. A parte il fatto che cosa c’entra il femminismo, l’affermazione di Marco è assimilabile a affermazioni come “I negri hanno il ritmo nel sangue”, “I bianchi non sanno giocare a basket” e “Gli ebrei sono tutti avari e strozzini”. Trattasi di generalizzazioni imbecilli e degne di secoli in cui ci si faceva luce con le candele.

  10. Questa definizione del Noir è arbitraria. Il nome viene da una collana della Gallimard, la Série noire, che pubblicava anche Chandler e Hammett ma non ha mai pubblicato Simenon (per questioni editoriali). Noir è un genere indefinito che si chiama così solo in Italia e gli si può appiccicare qualunque definizione impressionistica, son sempre ciance.

  11. Marco… ma che scrittrici hai letto per dire che le donne non sanno scrivere gialli e noir?
    Concordo in pieno con la statura di Chandler e di Simenon, uno splendido autore intimista quest’ultimo…
    Ma perchè Agatha Christie o Patricia Highsmith non sarebbero alla loro altezza?
    Per le ambientazioni, per la costruzione letteraria? Per la narrazione o forse sono le storie…
    O forse è solo la reale mancanza di abitudine a leggere i gialli delle donne ed a vederli realizzati con dovizia al cinema e in tv?
    Ci hanno nutrito di film, sceneggiati e quant’altro tratti da romanzi “maschi” e spesso è proprio così che si crea il gusto.
    Mi guardi il cielo dall’affermare questo di te, ed è perciò che vorrei approfondire le tue critiche sulle scrittrici di gialli e noir.
    Critiche che spero non rimangano racchiuse in un sibillino “hastalavista”.
    😉

  12. Quelli di Chandler non sono noir, ma hard-boiled. L’H-B è un sottogenere molto meno nichilista, più “romantico”, in cui il detective è in qualche modo erede della tradizione cavalleresca, è disinteressato, con poche speranze e coperto da un sottile velo di cinismo, ma ancora disposto a lottare contro il male del mondo. Nel finale, anche se resta un po’ di amaro in bocca e le contraddizioni non trovano una catarsi, comunque la matassa del plot si dipana, almeno quello specifico caso è risolto.
    Noir, al contrario, sono libri pieni di angoscia, disperazione, la denuncia abbraccia tutti, non c’è nessun cavaliere, l’obiettivo prende in grandangolo la meschinità delle persone, non c’è un caso da risolvere, non c’è una matassa da dipanare, e – come ha fatto notare Luigi Bernardi – il punto di vista è quello di un cattivo irredimibile (spesso prigioniero della propria malvagità) o di una vittima sacrificale, o entrambe le cose. Sono libri come “La vita è uno schifo” e “Il sole non è per noi” di Léo Malet, come “La breve estate dei Colchici” di Serge Quadruppani, come… “Il talento di Mr. Ripley” di Patricia Highsmith, come “Arrivederci amore ciao” e “L’oscura immensità della morte” di Massimo Carlotto, come “Noi saremo tutto” di Valerio Evangelisti, come “L’angelo del silenzio” di James Ellroy etc.
    In nessuno di questi romanzi ci sarebbe posto per un idealista come Marlowe.
    Simenon ha scritto anche dei noir, come “Le zie”, ma il ciclo di Maigret è un’altra cosa, quelli sono “mysteries”, che è un altro sottogenere ancora. Poi, è chiaro che i recinti si spostano o si abbattono, queste sono categorizzazioni dinamiche, non statiche, e molti romanzi usano elementi di tutti questi sottogeneri, ma sono utili a non fare confusione, a capire che Chandler e Malet hanno ben poco in comune, che Ellery Queen e la Highsmith ancor meno etc.
    Detto questo, in Wu Ming non ci sono donne come non ce ne sono nella PFM o nei Beastie Boys, è un dato che non significa proprio niente. Nei nostri romanzi, compreso Q, le donne hanno ruoli importanti, e in alcuni sono protagoniste.

  13. Su miskatonic.org si trova questa doppia definizione:
    Most would associate the term “hard-boiled” with some kind of
    detective or private eye or reporter as the protagonist in a crimal
    investigation; “noir,” on the other hand, seems to feature criminals or victims as protagonists, people who can’t control themselves (psychologically) or, finally, what happens to them.
    Non è affatto vero che questa distinzione si faccia solo in Italia, in realtà è diffusa un po’ ovunque e viene usata tanto nella critica cinematografica, anche riguardo al cinema contemporaneo (cfr. Leonard G. Heldreth, “The Cutting Edges of Blade Runner”, in cui distingue tra elementi noir ed elementi hard-boiled nel film di Ridley Scott) quanto in quella letteraria.
    Quanto alla mia definizione di cos’è l’hard-boiled, è comunissima, tra quelli che hanno maggiormente contribuito a perfezionarla c’è l’autore americano Robert B. Parker :
    The essence of the early hard-boiled mysteries was the detective as lone knight errant, unbeholden to anyone, righting wrongs in an unremittingly hostile world, working out of dingy offices, dining on blue plate specials, drinking too much whiskey and getting far too emotionally involved in each case. They worked in an ambiguous nether region, acquainted, perhaps even grudgingly admired, by mobsters, cops and District Attorneys, none of whom felt any compunction about putting the screws to our hero when needed. Most of the dramatic tension in these essentially formulaic stories arose from the emotional vulnerability of the p.i. in relation to his needy clients and his physical vulnerability in relation to both the criminals and the formal legal world. In order to navigate these troubled waters and keep their souls intact, these men adhered to a strict moral code, one that allowed them to cut some corners as regards the criminal system, but bound them to an ethical code that they could not breach.

  14. *Tutte* le definizioni sono arbitrarie, ma questa forse lo è meno di altre, da almeno quarant’anni la si è assunta negli studi sui generi cinematografici (dove la parola “noir” rimanda a un certo tipo di film come “La fiamma del peccato” o “Il postino suona sempre due volte” etc., e non a qualunque film dove ci sia un crimine o un detective) e anche nella narrativa di genere la distinzione tra mystery, crime novel, detective novel, e all’interno di questi in ulteriori sotto-sottogeneri con precise caratteristiche come hard boiled, whodunit etc. è vecchia come il cucco. Al mondo (e soprattutto nel mondo della “paraletteratura”) non esiste solo la Francia, dove “noir” rimanda a quella serie della Gallimard, e ormai l’uso del termine ha travalicato l’origine, come sempre succede. Io mi chiamo Roberto, che è un nome di origine germanica, ma non sono tedesco. Del resto, anche il Giallo Mondadori pubblica Ellroy e la Christie, Elmore Leonard e James Crumley, insomma un po’ di tutto, anche libri in cui l’azione prevale sull’indagine, ma in italiano quando si usa la parola “giallo” (che pure da quella collana deriva) si intende una storia in cui c’è un mistero da risolvere. Certo, sono – come le hai chiamate tu – “ciance”, perché ciò che conta sono le storie. Ma se uno mi dice che la Highsmith non è “all’altezza di Chandler”, io mi sento di ribattere che scrivevano cose diverse, quasi incommensurabili. Sarebbe come dire che Steinbeck non è all’altezza di Musil, o che Scerbanenco non è all’altezza di Heinlein.

  15. o mia inclita Loredana,
    lo sa che cotesto signor Marco mi scompiscia: pare aver della letteratura una visione quanto meno, diciamo così, settoriale e curiosa. Ma de gustibus non est disputandum e portarmi per di più come alto esempio di bontà di testi i signori Wu Ming mi contorce il colon.
    Ma così va il mondo triste e giocondo e come stentoreamente affermò un qui presente: son solo ciance, per di più effimere quante altre mai.
    Il gioco si sa è tutto qui.
    Però avrei una certa nostalgia non di noirs, di gialli, di strazi al torace, soffocamenti. raffiche di Kalascnikof, complotti, apocalissi: lo scempio, la strage sono già quotidiani.
    Un bel romanzo, un bel racconto surrealista, simbolico e allegorico perdiana.
    Mi ricordo di Buzzati, ce l’ ho sempre in testa.
    Mi scusi ancora, recomi a pelare patate: è meglio, è fisico, è molto terra terra.
    suo devotissimo Anodino.blog

  16. Se si parla di gialli veri e propri, coi misteri da risolvere, non dimentichiamoci di una come Ellis Peters e, in Italia, Danila Comastri Montanari.
    Se valgono anche le registe, nomino Kathryn Bigelow, per un bel film nero nero come “Strange Days”.
    E se vale il nero nero nero nero, anche oltre il noir, be’, c’è Kathy Acker.

  17. “portarmi per di più come alto esempio di bontà di testi i signori Wu Ming mi contorce il colon”
    Ti dirò: idem. E quando sento la parola “letteratura”, beh, di solito metto mano alla clava 🙂

  18. Già, è pur vero, gentilissimo signor, Wu ming 1, che si preferisce oggi dire scrittura così ci si cava d’impaccio, ci si comporta da ipocriti, si sodomizza in corpore vili, ci si crede piussù, lassù, tant mudern, un po’ più in là.
    Lasemo la literatura ai veci mona che nui cuntemporanei la ciamemo scritura.
    Contenti voi.
    Tanto son solo ciance.
    Egregia Loredana mi si perdoni nel mio spazientirmi che il povero Mario mi ha fatto incazzare quale bufalo perchè non gli avevano
    pubblicato una miserrima poesia su di un blogghino. E frignava il poeta…
    devotissimo suo
    Anodino.blog

  19. sì, però ammetterai che il termine noir, anche in americano dalla tua definizione, è quanto di più vago ci possa essere. certo, oggi, viene assimilato, sempre molto vagamente, a un’atmosfera maledetta, tenebrosa (d’altronde…). infatti, in un noir, non può mancare una dark lady. e allora, un po’ di filologia può essere divertente, visto che la série noire è nata all’indomani della seconda guerra, in un clima di forte americanismo, appositamente per pubblicare… hard-boiled.

  20. Anodino: “che si preferisce oggi dire scrittura”
    E’ vero, qualcuno lo preferisce. Io no. Preferisco “narrazione”, “raccontare storie” etc., ché include anche l’oralità. Taluni vecchi cantastorie analfabeti, i pupari di una volta, gli improvvisatori di storielle in rima (le “zirudèle” emiliane etc.) darebbero la paga a molti “letterati” o scrittori d’oggidì, incluso il sottoscritto.
    Dell’essere moderno o post-moderno che me ne preoccupo a fare? Lo si è – o non lo si è – proprio malgrado. In quanto narratore io – volente o nolente – appartengo alla tradizione, ed è con essa che mi trovo a fare i conti, alla fine della fiera (ma anche prima, e soprattutto durante).
    Bois: mai sentirai da me dir contro l’interesse per l’ètimo (e i paradossi che creiamo distaccandocene), è passione che divora pure me. Quindi ben venga.
    E ben venga anche che mi fai le pulci sul tuo blog, o almeno ci provi. Serve a crescere e migliorare, che qualcuno ogni tanto ti strilli: “Colto in castagna!”.
    Anche quando non è vero. Quelli che mancano, sono i buoni sparring partners. Da tempo cerco a lume di lanterna un Larry Holmes che m’accompagni in Congo, pardòn, Zaire, ma ancora non lo trovo.
    Ciao,
    R.

  21. Oh, gentile Wu Ming 1, il suo dire oggi mi garba molto parlando lei di narrazioni e contar storie, sono lietissimo quindi e me ne vado a raccogliere le rape, le prime e ci faremo una padellata magnifica con salciccia o salsiccia o salamelle che dir si voglia, io e il povero Mario che si lamenta ancora ( poeticamente dice lui)
    Egregia Loredana
    la saluto
    suo Anodino.blog

  22. ambe’, certo, non sono un larry holmes della critica, me tapino. mi sfugge l’allusione al congo (scusa, zaire), tranne in campo letterario (ma esito a crederci).

  23. Mario, che piano piano le librerie saranno suddivise in due ariosissimi fluorescenti reparti: paraletteratura e comici, non è da mettere in dubbio, e questo è un impoverimento. Però che i Wu Ming facciano delle cose che non valgono niente, questo non si può dire. Non ho letto Wu Ming 1 ma “Guerra agli umani” è un libro coi controcazzi. Tra l’altro per le definizioni di noir ecc ecc hanno perfettamente ragione, sono quelle condivise e infatti si possono ritrovare anche su nazione indiana (usare motore di ricerca).
    OT perché Loredana hai scritto un libro su J. S. Bach?
    […] ché se Bach fosse stato calzolaio, avrebbe fatto a maggior gloria di Dio un numero sterminato di scarpe, tutte accuratamente lavorate e finite” (Mila)
    Che sia Bach il prototipo dell’artigiano geniale che illumina il genere?

  24. Solo una piccola precisazione e un ancor più breve richiamo al libro da cui è partita tutta la discussione (interessantissima, peraltro). Libro che, Antonio, rientra in pieno nella definizione di noir data da Wu Ming1 e dove non ci sono, appunto, dark ladies ma semmai vittime sacrificali.
    Carissimo Anodino, pur essendo diffidente per indole nei confronti delle definizioni (eh sì, è vero, molto spesso però ci si incappa e le si utilizza per semplificare, e si cade nelle stesse trappole che si additano agli altri), anch’io mi sento più vicina alla parola “narrazione” che alla parola “letteratura”: forse perchè si presta meno sia agli equivoci che alle liste di scrittori alti e bassi, degni e indegni eccetera. Ciò detto, dica al fratello Mario che, se gradisce, questo blogghino ospiterà volentieri le sue fatiche poetiche.
    Andrea: il libro su Bach è stato scritto diversi anni fa, quando la sottoscritta si occupava molto di musica classica. In modo orrendamente sintetico, posso dirti solo che la definizione di artigiano geniale è giusta: ma più che illuminare i generi musicali, li forzava al punto tale che nessuno, dopo di lui, sarebbe più stato in grado di trarne di più…E sul fatto che lavorasse a gloria di Dio, invece, dissento totalmente dal grande Mila. Molti musicologi hanno dimostrato che Bach era tutt’altro che un devoto ideatore di musiche sacre: ne scriveva perchè quella era la possibilità che gli veniva data in quel tempo e nei luoghi dove si trovò a lavorare. Ma quando, per dire, incappò in committenti che lo lasciavano libero (come il Margravio di Brandeburgo) fece tutt’altro.
    E’ OT, ma magari serve anche a riflessioni non strettamente musicali, direi 🙂

  25. Cara critica disintermediata, io penso che il genere al quale appartiene New Thing, più che noir, è noioso come un riassunto di studente prima dell’esame di storia americana contemporanea. Ma si vede che tra maestrini, ci si capisce. E non solo, si vede che alla gente piace, visto che il libro si vende mica male. A questo punto, volere anche il consenso dei critici, trattandoli da venduti e incompetenti, mi sembra eccessivo. Se un libro è mediocre, il libro sarà recensito bene solo dai critici compiacenti o amici (come te che sei citata nei ringraziamenti).
    Andrea, se non hai letto New Thing, puoi anche esimerti dal pronunciarti a proposito.

  26. Antonio, sono sempre ben contenta di parlare di New Thing: ma in questo caso mi riferivo al libro di Denise Mina, perchè è da quello che si è sviluppato, qui, il discorso.
    Quanto ai ringraziamenti, sono citata nei titoli di coda semplicemente perchè ho letto il libro alla fine della sua stesura. Posso dirti, e approfitto dell’occasione per i miei ringraziamenti, che Wu Ming1 ha letto la mia prefazione all’antologia prima che io la consegnassi. Succede, fra persone che si stimano reciprocamente.
    C’è qualcosa di male, secondo te?

  27. niente di male, per carità (ti sei dimenticata la tua recensione inedita pubblicata sul sito di wu ming). è normale, tra amici. ma a questo punto, non vedo la differenza tra quanto succede nella rete e nella critica legittimata.

  28. Beh, io sì. Non credo che al di fuori della rete un discorso come quello che si sta svolgendo ora, intendo quello fra noi due per esempio, sarebbe possibile. Nè quello fra un autore e i suoi lettori, anche quelli più critici.

  29. Per quanto si dica, miei cari compagni di avventura e peregrinazione, io nutro fiducia, ( come disse l’on.Facta, poi venne il Buce…) nonostante i neri presagi e fumi di arrosti umani.
    Cioè per accompagnare l’amico Andrea io voglio sperare invece che tra vent’anni le librerie italiane siano di più, che abbiano grandi reparti di ogni sorta di tendenze letterarie, dal libro di comiche ai tentativi innovativi di linguaggio, per accontentare i vari desiderata degli umani amanti del tomo, volume libro cultura poesia eroicomica o comica o grottesca e financo surreale.
    Ciò spero affinché i più svariati stili possano sopravvivere e convivere agevolmente ed i letterati, i lavoratori di parole possano permettersi di campare col loro travaglio di ricerca linguistica e narrativa e saggistica e che dirsivoglia.
    Insomma me le vedrei bene in un Italia con un aumento di vendite librarie del 500%, ecco, cioè utopia, nessun luogo, paese ipotetico; spero però, voglio sperare nella civiltà, nello sviluppo intellettuale, (mi sembro un prete…)
    che Ganesh ci aiuti e che il povero Mario la smetta di intraprendere peana ed inni a Giseldabelculo….
    sua criptofidanzata
    vostro
    devotissimo
    Anodino.blog

  30. Per quanto si dica, miei cari compagni di avventura e peregrinazione, io nutro fiducia, ( come disse l’on.Facta, poi venne il Buce…) nonostante i neri presagi e fumi di arrosti umani.
    Cioè per accompagnare l’amico Andrea io voglio sperare invece che tra vent’anni le librerie italiane siano di più, che abbiano grandi reparti di ogni sorta di tendenze letterarie, dal libro di comiche ai tentativi innovativi di linguaggio, per accontentare i vari desiderata degli umani amanti del tomo, volume libro cultura poesia eroicomica o comica o grottesca e financo surreale.
    Ciò spero affinché i più svariati stili possano sopravvivere e convivere agevolmente ed i letterati, i lavoratori di parole possano permettersi di campare col loro travaglio di ricerca linguistica e narrativa e saggistica e che dirsivoglia.
    Insomma me le vedrei bene in un Italia con un aumento di vendite librarie del 500%, ecco, cioè utopia, nessun luogo, paese ipotetico; spero però, voglio sperare nella civiltà, nello sviluppo intellettuale, (mi sembro un prete…)
    che Ganesh ci aiuti e che il povero Mario la smetta di intraprendere peana ed inni a Giseldabelculo….
    sua criptofidanzata
    vostro
    devotissimo
    Anodino.blog

  31. Bois, se ti sfugge il riferimento allo Zaire sei ancora più tardo di quello che tutti pensavamo.
    Kinshasa, 1974. The Rumble in the Jungle.
    Wu Ming, boma ye!

  32. Frate’, che tte s’ì perso!
    Lasse perde gugle, noleggiate ‘stu divudì:
    “When We Were Kings” (o “Quando eravamo re”, (Premio Oscar per il miglior documentario 1996), e guatate ‘stu filme: Michael Mann, “Alì”, 2002. E soprattutto leggite ‘stu libro: Norman Mailer, “Il combattimento”, Baldini Castoldi Dalai.
    Vedrai che dopo ce ponzi du volte prima de sali’ sul ringhe e mena’ colpi alla cazzo de cane. Frate’, tu dopo me ringrazi, me ringrazi ecome.

  33. ti ringrazio comunque perché m’hai fatto ridere, m’hai fatto (e grazie per i consigli).
    (rimane che la lezione di storia, in un romanzo, preferisco mi venga impartita con un po’ più mestiere e, appunto, maggior divertimento).

  34. Bois. Fossi in te me ne starei lì nell’angolo in castigo, dietro la lavagna, dopo averci scritto sopra 100 volte: “MUHAMMAD ALI”.
    Non sempre la difficoltà di insegnare dipende dal poco mestiere del maestro: c’è pure dall’ottusità dell’allievo, e per quello esiste la divertente tradìscion del cappello di carta a forma di cono. Sono sicuro che ti dona.

  35. senti, a me i maestrini noiosini saccentini e scoutini stanno sui coglioni. preferisco stare dietro la lavagna (abbasso la squola e vaffanculo).

  36. Ma se addirittura lo preferisci, perché non lo fai e ci rimani e – per l’appunto – vaffanculo? E’ quello che intendevo col primo messaggio. Fai figurette meschine a ripetizione (scrivi che la differenza tra noir e hard boiled esiste solo in Italia, poi ti smentiscono e fai finta di niente anche se abbiamo visto tutti; fai il supponente poi ti riveli un ignorantone etc.) e hai pure il coraggio di farti rivedere? Non contento di farti ridicolizzare qui, basta uno che su blogdiscount ti fa due domandine semplici semplici e già arranchi… Su, che non è cosa, non puoi farci niente e se continui peggiori la situazione.

  37. Quelli che passano la loro vita correndo da uno spazio commenti all’altro per polemizzare coi blogger a proposito di inezie, o addirittura aprono a loro volta dei blog al solo scopo di attaccare gli altri blogger, Gianluca Neri li definisce “l’anello di congiunzione tra noi e il calcare”.

  38. Assai curioso come questo Bois, nonostante si creda un intellettuale con le palle e bacchetti ex cathedra gli altri blogger dall’alto del proprio Blogdiscount, scriva poi frasi come questa: “A me i maestrini noiosini saccentini e scoutini stanno sui coglioni. preferisco stare dietro la lavagna”. Forse allude ai suoi stessi compagnucci di merende?

  39. Assai curioso come questo Bois, nonostante si creda un intellettuale con le palle e bacchetti ex cathedra gli altri blogger dall’alto del proprio Blogdiscount, scriva poi frasi come questa: “A me i maestrini noiosini saccentini e scoutini stanno sui coglioni. preferisco stare dietro la lavagna”. Forse allude ai suoi stessi compagnucci di merende?

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