Dieci anni fa, nel giugno del 2015, uno scrittore importante e ascritto al mondo della letterarietà come Beppe Sebaste scelse la strada del self publishing. Aveva pubblicato con Einaudi, con Feltrinelli, con Laterza e altri ancora. Aveva ricevuto apprezzamenti non certo piccoli. Aveva però scritto un libro nuovo, fuori canone, particolarissimo, che è, insieme, un metahorror, un’autofiction, una fotografia terribile degli anni Zero, una restituzione di letture, una confessione. Eppure, ha scelto di pubblicarlo da solo. Il romanzo si chiama Fallire. Storia con fantasmi ed è ancora disponibile su Amazon.
L’avventura di Sebaste mi torna in mente da qualche settimana, dopo aver parlato con diverse scrittrici e diversi scrittori del diffuso sentimento di impotenza: va bene, si pubblica con il proprio editore, quello che per anni è stato “casa”, ma quell’editore non riesce più a sostenerti più di tanto, e se il libro funziona nei primi giorni va tutto liscio, ma se non funziona bisogna arrangiarsi, facendo più presentazioni e magari candidandosi o facendosi candidare a qualche premio. Così, mi dicevano quelle amiche e quegli amici, è spuntata la tentazione del self publishing.
Fino a non molto fa, e in parte ancora oggi, pensavo che il problema del self publishing fosse la mancanza del filtro che il lettore professionale o comunque forte aziona nel caso dell’editoria tradizionale: dove conta, indubbiamente, la casa editrice, conta il titolo, conta l’autore, se già è conosciuto.
Ma con il self publishing? Come fa un lettore e prima ancora un mediatore culturale ad avvicinarsi a un testo autopubblicato? Semplice, si dirà: attraverso il passaparola. E credo che funzioni soprattutto fra chi sa usare bene Tiktok o Instagram. Ma sempre se agisci all’interno di quella comunità di cui parlava Sebaste dieci anni fa.
E quella domanda sul filtro (come fa un libro a essere visto fra tanti libri?) che valeva per le autopubblicazioni, oggi vale anche per l’editoria tradizionale, a parte un numero ristretto di casi.
Mi sfilano sotto gli occhi, e per quanto posso li leggo, romanzi belli e importanti che però svaniscono in un soffio fra altri romanzi ugualmente belli e importanti. E, no, non credo all’idea che pubblicare meno significhi soffocare l’editoria. Perché se un editore pubblica, che so, dieci romanzi in un mese ma riesce a spingerne uno solo, sono gli altri nove a soffocare.
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Gino Roncaglia riprende in un bell’intervento su Il Libraio la discussione su self-publishing e mediatori e lo conclude con un interrogativo da un miliardo di dollari: “Il vero problema è quello degli strumenti. Il self-publishing andrebbe benissimo se avessimo degli…
Gino Roncaglia ha scritto un gran bel pezzo, come al solito, per il Libraio, interrogandosi sull’utilità del self publishing. E, sempre come al solito, domanda e risposte sono sfumate, perché questa non è una partita di coppa, ma un cambiamento….
E’, credo, il problema dei problemi, per chi scrive, non è pubblicato, o si è autopubblicato (in realtà il problema esiste anche per chi è pubblicato dai piccoli, i medi e i grandi editori, ma al momento limitiamo il discorso)….
Alcune domande. Di cosa ho bisogno per autopubblicarmi, oltre al mio manoscritto? Come faccio a inserire il mio libro in tutte le rivendite online? Quanto pagherò? Diventerò più appetibile per gli agenti? Alcune certezze. Gli scrittori sono incuriositi dal self-publishing….