CICALE

Non son qui né per seppellire né per lodare Luciana Littizzetto (eccetera eccetera). Però, dal momento che è stata citata più volte nei commenti ai post sottostanti, e dal momento che oggi La Repubblica esce con una lunga intervista alla medesima che riguarda anche –sic- “la letteratura”, approfitto. Sempre nella discussione di questi giorni, è intervenuta Federica: la quale sembra conoscere molto bene i meccanismi editoriali, dal momento che ha più volte ripetuto che le sue non sono opinioni, ma che di fatti sta parlando. Scrive dunque Federica:  “Chi compera le compilation raccogliticce di Luciana Littizzetto, spesso lo fa in GDO (grande distribuzione, ovvero supermercato) senza nepppure guardare altro. Se entra in libreria, sceglie *Luciana Littizzetto* ed esce. Altro che degnare di una sola occhiata gli altri libri. E’ il non-lettore che è diventato lettore occasionale, nel senso che nel giro di un anno acquista Luciana Littizzetto e Beppe Braida e basta, se va di lusso. Non sono opinioni. A lungo ci si è cullati nell’illusione che entrata in libreria per tiziocaio equivalesse ad acquisto anche per altro. Una volte, forse. Chi comprava Luciano De Crescenzo si lasciava tentare anche da Wilbur Smith. Dato lo slittamento di cui sopra, non è più così. Luciana Littizzetto vende, da sola, e da sola riempie in libreria spazi che potrebbero essere di altri”.

Non so se quest’ultimo punto sia vero (di chi potrebbero essere gli spazi occupati da Littizzetto? Di Helen Fielding? Di Sophie Kinsella e delle altre signore della Chick Lit? Della Tamaro prima, anzi seconda maniera?). Avrei qualche dubbio anche sulla nettezza con cui viene descritta la metamorfosi del non-lettore, ma mi fermo.
Invece, l’intervista alla Littizzetto mi suscita un altro dubbio: di minore importanza, se volete, rispetto alla Questione del Mercato. O forse no: perché riguarda l’immagine “popolare” dello scrittore, e noi vecchi studenti di antropologia abbiamo delle fissazioni sull’importanza di cose come nominazioni e rappresentazioni. Alla domanda “Perché non ha ancora scritto un romanzo?”, Littizzetto risponde: “Ci penso anche se è difficile, ho un altro passo di scrittura. Farò un romanzo che inizia e sai già come va a finire e intanto ci sono dialoghi bellissimi. Ma poi quando sento gli scrittori che dicono: “Mi isolo, sento le cicale, mi deprimo”. Io combatto col termosifone”.
Poi, certo, davanti al perpetuarsi del luogo comune si possono tranquillamente alzare le spalle. A me, però, l’esternazione fa lo stesso effetto che il mito del giornalismo-Watergate fa a Giovanni Maria Bellu in
questo intervento pubblicato da Nazione Indiana.
Insomma, c’è qualcuno che sente le cicale, da queste parti?

75 pensieri su “CICALE

  1. Cara Loredana! Intanto un bacio. Poi. Una cosa che mi sono dimenticato di mettere nel mio pezzo. Per iniziare. Parlavi di latoguardia. Dicevi che se non era più tempo per una Avanguardia, bisognava fondare la Latoguardia. Mi piace sempre quando si inventano nuove parole. Volevo dirtelo. E però mi chiedevo anche inevitabilmente quale era poi la tua idea di Avanguardia. Che pure, mi pare, si è interessata dei meccanismi del mercato e della distribuzione dei prodotti culturali. Ma se ne è anche poi saputa fregare. Oggi hai parlato della Litizzetto, che ascolto spesso alla Radio mentre vado a scuola a lavorare. La citi. Le chiedono. “Perché non ha ancora scritto un romanzo?”. Littizzetto risponde: “Ci penso anche se è difficile, ho un altro passo di scrittura. Farò un romanzo che inizia e sai già come va a finire e intanto ci sono dialoghi bellissimi. Ma poi quando sento gli scrittori che dicono: “Mi isolo, sento le cicale, mi deprimo”. Io combatto col termosifone”. Ok, parliamone pure. E’ chiaro che la litizzetto ha buon gioco a parlare di uno stereotipo di scrittore, che non credo oggi neppure tanto diffuso. Bisognerebbe chiederle nomi e cognomi. Sarebbe bello sapere a chi si riferisce. Ma la cosa che mi preoccupa un pochino, solo un pochino, cara Lippa, è un’altra. Noi (io, te, anche altri) dedichiamo spazio e tempo a queste dichiarazioni. Dedichiamo energie soprattutto a capire come sono (mi pare sia anche il tuo mestiere, beninteso) questi stramaledetti meccanismi del mercato editoriale. la domanda è semplice:perchè? E’ una domanda che, più che a te, faccio a tanti più o meno giovani scrittori di oggi. Che mi riempiono la cassetta delle lettere e le mail di manoscritti. Vedi, diversi di loro poi li conosco. E nel 90% dei casi mi accorgo che sono preparatissimi su quelle che sono le dinamiche del mercato editoriale (e non solo), sono proprio informatissimi, anche più di me e di diversi altri scrittori che conosco. Sono senza dubbio molto più preparati su quel terreno che sul terreno squisitamente letterario, della scrittura, della lettura di libri. E’ il segno dei tempi, probabilmente. Niente di male. ma a me la cosa stupisce sempre. E molto. Insomma, chi cazzo se ne frega di quello che dice la Litizzetto e di come è visto lo Scrittore oggi in italia e del modo più o meno contorto in cui funzionano oggi in Italia i meccanismi editoriali, per chi ha veramente voglia di scrivere? Con questo, non penso a uno scrittore chiuso nella sua torre di avorio, lo sai. Dico solo che sì, insomma, oggi mi pare che ci sia una certa sproporzione, una certa contraddizione. Chi vuole iniziare a scrivere si interessa più a sapere come si fa a pubblicare, che a scrivere. Che non è esattamente la stessa cosa. Secondo me il rischio è che in qualche modo, anche degli scrittori che apprezzo molto, anche dei critici e dei giornalisti culturali che apprezzo moltissimo e mi hanno insegnato tanto, interrogandosi troppo su queste cose qui davanti (soprattutto) a giovani blogger o giovani scrittori più o meno inediti, finiscano per fomentare un’idea tutta mercantile (o quasi) della scrittura creativa e della letteratura. A chi giova? mah. Certo, non credo a loro. Ciao. G

  2. @ Passante: Non mi toccar Lamù! Che mi tocco già da me, da solo! Non ho bisogno d’una mano. Sia chiaro: dei sedani ingialliti non ne so un piffero! E non ne voglio che sapere.
    Adesso vado in edicola, chissà!
    Saludos
    Iannox

  3. Cara Loredana! Intanto un bacio. Poi. Una cosa che mi sono dimenticato di mettere nel mio pezzo. Per iniziare. Parlavi di latoguardia. Dicevi che se non era più tempo per una Avanguardia, bisognava fondare la Latoguardia. Mi piace sempre quando si inventano nuove parole. Volevo dirtelo. E però mi chiedevo anche inevitabilmente quale era poi la tua idea di Avanguardia. Che pure, mi pare, si è interessata dei meccanismi del mercato e della distribuzione dei prodotti culturali. Ma se ne è anche poi saputa fregare. Oggi hai parlato della Litizzetto, che ascolto spesso alla Radio mentre vado a scuola a lavorare. La citi. Le chiedono. “Perché non ha ancora scritto un romanzo?”. Littizzetto risponde: “Ci penso anche se è difficile, ho un altro passo di scrittura. Farò un romanzo che inizia e sai già come va a finire e intanto ci sono dialoghi bellissimi. Ma poi quando sento gli scrittori che dicono: “Mi isolo, sento le cicale, mi deprimo”. Io combatto col termosifone”. Ok, parliamone pure. E’ chiaro che la litizzetto ha buon gioco a parlare di uno stereotipo di scrittore, che non credo oggi neppure tanto diffuso. Bisognerebbe chiederle nomi e cognomi. Sarebbe bello sapere a chi si riferisce. Ma la cosa che mi preoccupa un pochino, solo un pochino, cara Lippa, è un’altra. Noi (io, te, anche altri) dedichiamo spazio e tempo a queste dichiarazioni. Dedichiamo energie soprattutto a capire come sono (mi pare sia anche il tuo mestiere, beninteso) questi stramaledetti meccanismi del mercato editoriale. la domanda è semplice:perchè? E’ una domanda che, più che a te, faccio a tanti più o meno giovani scrittori di oggi. Che mi riempiono la cassetta delle lettere e le mail di manoscritti. Vedi, diversi di loro poi li conosco. E nel 90% dei casi mi accorgo che sono preparatissimi su quelle che sono le dinamiche del mercato editoriale (e non solo), sono proprio informatissimi, anche più di me e di diversi altri scrittori che conosco. Sono senza dubbio molto più preparati su quel terreno che sul terreno squisitamente letterario, della scrittura, della lettura di libri. E’ il segno dei tempi, probabilmente. Niente di male. ma a me la cosa stupisce sempre. E molto. Insomma, chi cazzo se ne frega di quello che dice la Litizzetto e di come è visto lo Scrittore oggi in italia e del modo più o meno contorto in cui funzionano oggi in Italia i meccanismi editoriali, per chi ha veramente voglia di scrivere? Con questo, non penso a uno scrittore chiuso nella sua torre di avorio, lo sai. Dico solo che sì, insomma, oggi mi pare che ci sia una certa sproporzione, una certa contraddizione. Chi vuole iniziare a scrivere si interessa più a sapere come si fa a pubblicare, che a scrivere. Che non è esattamente la stessa cosa. Secondo me il rischio è che in qualche modo, anche degli scrittori che apprezzo molto, anche dei critici e dei giornalisti culturali che apprezzo moltissimo e mi hanno insegnato tanto, interrogandosi troppo su queste cose qui davanti (soprattutto) a giovani blogger o giovani scrittori più o meno inediti, finiscano per fomentare un’idea tutta mercantile (o quasi) della scrittura creativa e della letteratura. A chi giova? mah. Certo, non credo a loro. Ciao. G

  4. Io avverto una forte emicrania. E’ sufficiente?
    Piuttosto che parlare della Littizzetto in bene o in male, piuttosto mi castro da solo. Anzi, no, preferisco diventare cieco… ricordate quant’era bella Lamù? Quelli erano tempi. C’era pure il Drive In, almeno sapevi dove stavano i non lettori.
    Oggi, invece, entri e capisci che è tutta un’orgia e che il protagonista assoluto in passivo o in attivo è sempre lo stesso, o al massimo un minimo. Che significa? Niente. Assolutamente niente. Di questi tempi, che ci volete fare? Per mia fortuna c’ho Lamù in Vhs e mi tira un po’ su, alla faccia del catechismo dei termosifoni e delle cicale.
    Buondì.
    Iannox

  5. Cara Loredana Lipperini, grazie per la citazione. Parlando di spazi intendevo letteralmente *ingombro* in libreria. Le librerie scoppiano. Una Luciana Littizzetto occupa posto, materialmente. Stimola il turnover (leggi, la resa) dei titoli meno forti. Di qualsiasi titolo, non chick lit e vari. Molto banalmente, si rende per fare spazio. La vita media di un libro medio in libreria oggi non supera i due, tre mesi (se si esclude la tomba della messa a scaffale, tre o quattro mesi in più, forse). Luciana Littizzetto, e altri come lei, accelerano il processo, tolgono aria, fiato e -cosa più grave, lo ripeto- spazio. In effetti, perché il libraio -indebitato cronico causa clausole capestro della distribuzione- dovrebbe prenotare (e, quindi, riempire il suo negozio) di titoli rischiosi quando sa che con Sola come un gambo di sedano (titolo littizzettiano forse inventato, mi dispiace, non li ricordo) può risolvere almeno alcuni problemi? Non tutti ragionano così, ma molti sì, e talvolta è pura sopravvivenza.
    In quanto a non-lettore e lettore occasionale, l’errore è stato mio in origine, scusami. E’ il lettore occasionale (tre/quattro libri all’anno) che è scivolato verso il non-lettore (uno/due libri all’anno, quasi essenzialmente produzioni gadgettistica, e nel gadget editoriale rientrano tanto Luciana Littizzetto quanto Oriana Fallaci). E i lettori forti? Un drappello sparuto, che compra(va) moltissimo, sul quale si basa l’editoria per titoli non necessariamente instant come fruizione.
    Mi rendo sempre più conto che il discorso sarebbe più lungo: editori, distribuzione, librerie, rese, ricircolo rese, magazzini e quant’altro. Prima o poi mi farò di nuovo viva con una serie di punti -spero- chiari e sufficientemente esplicativi. Non faccio la preziosa, è che più di tanto tempo, per svariate ragioni, non mi posso concedere. Ancora grazie per lo spazio.

  6. Non essendo scrittore, non so esprimermi in materia di cicale. Mi sembra evidente che diffondere l’idea dello scrittore separato dalle cose quotidiane serva a definire l’istesso come noioso. mentre la littizzetto o chi per lei che sono alle prese col termosifone sono “come il pubblico”, dunque comprare il libro non deluderà il lettore.

  7. Così va il mondo caro Iannozzi, mentre tu torni ai tuoi toccamenti è bastato un giorno da leone che già avanzano cloni del passante (passante? de che)… sarà la napoletana che cerca nuovi filoni? Sarà un pudico commentatore? Sì, siamo tutti passanti, accalchiamoci alla Littizzetto che il nome ce l’ha, o allo scaraspocchioso kazako che un nome se l’è dovuto inventare. E ascoltiamoli, mentre tu continui a toccarti. W i passanti. W il libero mercato. W il mio amico Guglielmo. W la f*c*. A tutto il resto: ppppprrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr.

  8. Ribadendo un concetto che ho già espresso, cioè che sono veramente pochi i geni incompresi in giro, credo comunque che le dinamiche rilevate da Federica (a cui avevo risposto puntualmente in un altro post) non vadano sottovalutate. Da alcune ricerche (ora le cito a memoria, spero di non sbagliarmi di troppo) emerge che l’acquisto d’impulso (aspirante lettore che gironzola incuriosito in libreria) è molto forte: attorno al 40%. Di fronte a un tale risultato diventa importante il ruolo di certi assortimenti della libreria. Tuttavia, siccome l’editoria è un mercato (maturo si dice nel settore) certe logiche sono difficili da intaccare. Un discorso diverso secondo me riguarda invece il ruolo della critica. Non credo che le recensioni abbiano poca influenza, intendendo per recensioni anche le segnalazioni, le discussioni su internet. I “recensori” a quale logica di mercato rispondono?

  9. scrittori/aspiranti scrittori e grafomani sono preparatissimi sulle dinamiche editoriali da un paio di secoli. Tendiamo a dimenticare nomi come James Joyce, Baudelaire o Rimbaud, solo per citarne alcuni autori non esattamente in sintonia con le dinamiche editoriali. Un caso più recente, che mette in evidenza le diversità, è quello di Federico Moccia.
    Non voglio entrare in merito alla scrittura né della Littizzetto né di Moccia, nella nostra società, occidentale e informatizzata, esistono più scrittori editi che inediti.
    Diciamocelo: una prima possibilità non la si nega a nessuno. E mi dispiace, possiamo farci tutte le seghe mentali che vogliamo, ma nessuno occupa spazi di altri per colpa di un fantomatico complotto editoriale che tende a costruire lucrosi casi editoriali.
    Chi entra in libreria, o al supermercato, per acquistare “Il codice Da Vinci” non metterà mai le mani su un romanzo di Don DeLillo o su le poesie della Cavalli.
    Se non esistesse “Il codice Da Vinci” semplicemente non passerebbero in libreria, posizionamento di mercato, prima o poi dobbiamo farcene una ragione.

  10. non so, ma ho trovato il cavolo della litti a casa di parenti, giusto preso da un non lettore. Divertente per le prime 10 pagine, soffocante e irritante solo continuando…ma, il non lettore che lo aveva acquistato, oggi si cimenta con marcela serrano e comincia con lentezza a macinare pagine. Sono stupita io stessa.
    Il mercato vuole la littizietto, fa moda e costume, non solo il suo successo è proprio il dare al lettore solo e soltanto quello che cerca. Insomma vedere scritto nero su bianco le banalità che si non sempre pensate e non si è mai riusciti a esprimere.

  11. Gli è tutto un problema di architettura.
    Di infissi, se interessa saperlo.
    Architravi, in ispecie.
    La Soglia.
    Dov’è collocata la Soglia?
    Dove il relativo Guadiano?
    Forse l’editor, forse il marketer, forse il critico (ma sarà un Giano trifronte?)
    Perché il lettore acquista quel che viene pubblicato, posizionato, recensito.
    Non acquista quello che non viene pubblicato, posizionato, recensito.
    Sembra banale?
    E allora.
    Spostate i muri maestri, perdio, abbattete i tramezzi, spianate i bilocali – e la Soglia, soprattutto.
    L’unico, inappellabile Guardiano sia il lettore.
    Ma questa è rivoluzione, nevvero?
    E l’editoria è pavida (e conservatrice)
    Quanto ai Geni Incompresi, e al fatto che non ve ne siano, ecco, mi pare proprio che, adesso giustappunto, laggìù, in strada, da quel vico, in breve salita, ora che svolta l’angolo… ah, no, no, mi sbaglio, era solo il tabaccaio (personaggio comunque indispensabile alle nostre vite, forse più del Genio)

  12. Ribadisco nella nostro sistema chi cerca trova, tutti i grandi quotidiani hanno un inserto dedicato alla letteratura. Troppo istituzionale? Nessun problema, esistono riviste di settore, fanzine e siti internet. Esistono forum di discussione e blog. Ognuno in ognuno di questi micro o macro sistemi la sua logica seguirà la sua logica, che se non è di mercato sarà di contro/parallela informazione o divulgazione.
    La domanda da porci, forse, è un’altra: sull’acquisto d’impulso quanto pesa la critica? Probabilmente pesano quattro pagine su un settimanale a larga diffusione, ma mi viene il dubbio che una sola apparizione in televisione diciamo “Cronache Marziane” sia più efficace.
    Solo una cosa mi lascia assai perplessa di questa polemica. Lo scrittore racconta e neanche King, che sforna un best seller dietro l’altro, si è mai posto il problema di come confezionare un libro di successo.
    Un romanzo non è un cocktail, anche se un editore prendesse un giovin-cool scrittore e aggiungesse alla sua narrazione le giuste dosi di sesso, essoterismo e ammazzamenti, il risultato non è scontato. Se i “Versetti satanici” sono diventati famosi per la condanna a morte dell’autore, quanti si ricordano delle opere successive di Salman Rushdie?
    L’articolo sulla fabbrica dei best seller, parla troppo di alchimie editoriale perfette e poco d’autori e ancor meno dà credito al pubblico.

  13. @ ALESSANDRA C
    Io ricordo bene tutta l’Opera di Salman Rushdie mentre molto difficilmente riesco a ricordare una storia di Stephen King. Ricordo bene, molto bene ogni storia di José Saramago mentre delle trame di Dean Koontz non ricordo niente. Che sia io un “Uomo duplicato”? Possibile che sì, possibile che no. Ma, sì, io ricordo, io mi ricordo ciò che merita d’esser ricordato.
    Cari saluti,
    Iannox

  14. @ PASSANTE PASSANTE:
    Guarda, sarò sincero: ho appena assistito allo scontro mitologico fra le pagine della Fallaci e quelle del Codice di Dan Brown e io ero proprio nel mezzo dello scontro, e sono ancora frastornato. E non ti dirò che c’è uno che sta cercando di ficcarmi un paletto dentro al cuore gridando come un ossesso che “il tempo è venuto” e che devo scegliere di che morte morire. Sai che ti dico! Se mi ridate indietro Lamù e i suoi occhi verdi e un po’ di Onan (no, Conan non mi piace), posso pure scendere a patti e provare a riscaldarmi come una lucciola in C.so Unità d’Italia. Alla faccia del termosifone!
    Saludos
    Iannox

  15. Da qualche anno ho la fortuna di poter pubblicare – sebbene presso piccoli ma gloriosi editori – e la prima reazione all’intervista a Luciana Litizzetto e’ piu’ che positiva: se va in libreria lei, e se addirittura pensa di poter scrivere un romanzo, pure io posso insistere nella mia ignobile produzione.
    La mia reazione nei confronti degli scrittori che ‘si isolano’ e’ invece negativa. Ne ho conosciuti piu’ d’uno che, con un tono quasi fossero costretti al confino, ti dicono candidamente che sono da mesi nella loro casa di campagna o al mare a creare la loro opera (e non sto parlando di gente che corre per il Nobel).
    Penso alle mie ore passate con il portatile sulle ginocchia in treno e li detesto (o forse solo li invidio).

  16. Gentile AlessandraC, il suo apporto è come spesso affilato e tigrato, e anche questa volta ha fatto centro. Di cosa stiamo parlando, di saponette, di libri o di letteratura? Di cosa sta parlando lei, di saponette, di patatine o di libri?

  17. Ale C,
    come sempre, nel leggere le sue parole, mi trovo in accordo e in disaccordo (non necessariamente in quest’ordine)
    Data questa ambivalenza equivoca, sarò forse doppio?
    Lo è lei?
    Insieme ne facciamo quindi quattro?
    Ma comunque.
    Lei è ben diretta, quando sostiene che chi vuol trovare trova, e in questo fa riferimento a “sistemi” (mi permetta di definirli tali) alternativi rispetto all’editoria “istituzionale”.
    Lei mi sa sensisbile sulla sfida dell’alternatività.
    Sull’inesistenza della fabbrica dei best seller, invece, mi agito sulla sedia, sono assalito da un leggero prurito all’epidermide (ma in realtà potrebbe essere scabbia) e mi si risveglia la vecchia gastrite.
    Mi pare sull’ultimo Tuttolibri, o comunque su una pagina cultura della Stampa, la settimana scorsa si parlava degli eserciti di ghost writer che, da Moliere a Ludlum, confezionano industrialmente il prodotto chiavi in mano.
    L’alchimia c’è, e gli ingredienti reagiscono, altro che storie (quelle le raccontano gli storyteller, che dio li abbia in gloria)

  18. Iannox,
    forse non mi sono spiegata, non stavo entrando in merito all’opera dei vari autori citati. Stavo solo dicendo che, indipendentemente dal genere, dall’argomento trattato e da come viene trattato, non esiste una ricetta per confezionare un libro di cassetta e pensare che l’editoria moderna l’abbia trovata mi sembra una boiata.
    Credo che di tutti i giochi, veri e presunti, solo il lettore, alla fine, stabilirà cosa ricordare. Avrà i suoi libri come tu hai i tuoi, saranno pop, saranno libri con la L maiuscola?
    Questa domanda ha importanza per chi ha passato ore in compagnia di un romanzo?
    Una certa cultura e un certo tipo di intellettuale italiano ha sempre avuto un problema, confonde spesso e volentieri il piacere con la divulgazione e la divulgazione con l’educazione.

  19. Scrive Alessandra C. “Credo che di tutti i giochi, veri e presunti, solo il lettore, alla fine, stabilirà cosa ricordare.” dimenticandosi che se un libro vende poco finisce nella resa, e quello dopo non si stampa, e non viene promosso, e quindi non esiste (come diceva Sergio Endrigo dei suoi dischi), e nessuno lo può confrontare con altro.
    Una folla di bacini a tutti voi.

  20. Sono d’accordo con te Alessandra C. La mia “frecciata” ai recensori era sollecitata da qualche episodio: periodico di informazione libraria di livello che pubblica recensione di un libro fatta dal redattore dello stesso (figurati quante critiche all’aspetto redazionale) o a inserto culturale in cui il recensore oltre al libro in questione rimanda a un altro da sé curato o alle stroncature fatte per ripicca. Chi conosce un po’ i nomi se non le facce dell’editoria certe cose le nota, no? Poi è vero che esistono tanti circuiti e chi vuole trova i libri che cerca…

  21. Cara Alessandra C.,
    Credo che un best seller possa essere confezionato: che poi sia stato scritto non dall’autore ma da un ghost-writer, ma firmato dall’autore, ecco il best seller è servito. Magari m’inganno. Così, se per assurdo, io scrivessi un libro à la Stephen King, e sopra, in copertina, ci fosse il nome di Stephen King, il libro venderebbe. Ma io dovrei essere un bravo ghost writer. I libri, nutro tema, che si possano confezionare. Il problema è che l’attuale pubblico ricorda le “firme” e quasi mai il contenuto dei libri. Purtroppo c’è, a mio avviso, educazione tendenziosa a ricordare i nomi piuttosto che i contenuti.
    In quanto a Palahniuk, “Fight Club” è stato anche un film, con un certo successo di pubblico e di critica: se “Diary” ha venduto di più rispetto agli altri suoi lavori, questo traguardo – per così dire – Palahniuk lo deve soprattutto ai suoi lavori precedenti, quelli che hanno fatto ressa senza far ressa, per assurdo. Ma “Diary” rimane il lavoro peggiore, almeno a mio giudizio, di Palahniuk.
    Alla fine il lettore ricorderà dei nomi di moda (almeno per il tempo presente), quando dovrebbe ricordare nomi legati a contenuti validi. Ma il tempo è tiranno e la moda dei nomi la spazzerà via. Occorrerà del tempo, indubbiamente, ma fra un secolo o più, credo sia più facile che ci si ricordi di Saramago che non di Palahniuk.
    Cari saluti,
    Iannox
    P.S.: Una satira circa quanto qui in via di discussione è da me…

  22. “…dimenticandosi che se un libro vende poco finisce nella resa, e quello dopo non si stampa, e non viene promosso, e quindi non esiste (come diceva Sergio Endrigo dei suoi dischi), e nessuno lo può confrontare con altro.”
    È un guaio se vende poco o vende poco perché non pubblicizzato adeguatamente?
    Un esempio musicale Nino D’Angelo vendeva milioni di copie, ma non è mai entrato in classifica.
    Un esempio editoriale Palahniuk Chuck è considerato un autore di culto, ma l’unico romanzo che ha avuto vendite interessanti, almeno in quelle che si presumono essere interessanti per gli editori, è stato “Diary”.
    Nino D’Angelo ha continuato a cantare e Palahniuk, prima di arrivare a Diary, ha scritto numerosi romanzi.
    Magari la ressa non era abbastanza ressa o, forse, come dicevo prima se qualcuno è interessato le informazioni le trova.
    Pochi giorni fa, in treno, mi è capitato di leggere una recensione di “Angel” di Elizabeth Taylor, edito da Giano Editore. Il pezzo, corposo, si trovava nelle pagine cultura di un grosso quotidiano.
    Informazioni. Le informazioni esistono, quindi siate clementi, piantatela con l’idea, assai paranoica, che un libro non vende perché l’editore non lo spinge, perché i recensori sono al soldo di un tipo di editoria, perché i Veri autori sono scomodi…
    Qui di scomodo esiste solo un concetto: al MassMarket di certe opere non può fregare di meno.
    Poverini… sicuramente saranno turlupinati dalla televisione e da anni di losche manovre editoriali.
    Spiegatemi, vista la galassia editoriale, la mole di libri stampati, la quantità di recensioni e francobolli, cosa dovranno mai fare editori e editor?

  23. La politica cultural-educativa dei luoghi comuni e la dottrina consumistica imperante non hanno fatto dell’Italia un paese di ex analfabeti. Televisone, giornali, internet – nessun media ha ancora inciso profondamente la piaga dell’incultura. Il cattolicesimo vaticano non è esente da colpe in merito, non avendo mai del tutto abbandonato quella pulsione innata a mettere un freno alla libertà individuale (che è anche quella di leggere un brutto libro).
    Gli spazi vuoti, la parte sgombra di una cultura mercificata, sono stati progressivamente riempiti dalle forze in grado di avere una spinta propulsiva (leggi Propaganda e declinala fino al Marketing) che permettesse loro di arrivare fino ai recessi più reconditi della mente del consumatore.
    Ovvero: le Major(ette) alzano la gamba e il pubblico pagante fa: ooooh!
    A lungo andare lo scarto tra le scelte possibili e quelle imposte diviene imbarazzante: il mercato non propone, indirizza – non si sceglie un prodotto ma si viene scelti dai target pubblicitari.
    Effetto watergate: a me lo fece mia moglie quando mi mostrò il plico di fotocopie e prestampati che avrebbe dovuto leggere e compilare nel fine-settimana. Erano centinaia di fogli. Ma proprio tanti. Lei era stata assunta da Auchan e prima di andare a fare i turni all’ipermercato, con un contratto atipico di quelli fomentati dall’allora governo di centro-sinistra, PRIMA doveva istruirsi su come disporre la merce sugli scaffali. Lo so che nei supermercati nulla o quasi avviene per caso, non è quello – fu ponderare quanta energia avessero speso gli studiosi e gli strateghi per approntare il know how spicciolo della perfetta addetta alle vendite.
    Non è questione di prendersela con chi scrive o chi pubblica o chi legge (presunti) libri di merda. Non è il caso di accusare chi legge poco. Chi legge una tantum. E manco chi non legge.
    Non leggere è una scelta. Il vero problema è che in Italia si è imposto alle generazioni di non avere il gusto della lettura. In questo le responsabilità sono davvero trasversali. E fare dei programmi sui libri in TV può essere perfino controproducente, a meno che non si tratti di una marchetta ben confezionata: in televisione dei libri va fatta pubblicità e poco altro a corredo.
    Un pensiero ecologico è in atto da mo’ – rivoluzionare una cultura è mestiere a cui vanno ipotecati i secoli. Bisogna indirizzarsi e aver fiducia. Essere dei credenti. Io credo che i processi in atto, volti alla liberazione delle coscienze, non solo non si siano esauriti col passare delle generazioni, sono anzi convinto che stiano appena oggi dando i primi frutti, perché sono cresciuti e si stanno rafforzando. Evitare la recisione. Questo il compito più prossimo ad ognuno. Evitare la chiusura degli spazi liberi. Contribuire al dibattito sulla libertà, in ogni sua implicazione. Al limite storicizzare, per chiarirci a che punto stiamo della Lunga Marcia.

  24. La Littizzetto è una bookstar.
    Le ragazzine al secondo anno di scienze della comunicazione a Bologna, cliccano la sezione “commenti”, che se entri in mensa appare in quarta di copertina, e le scrivono:”Ke beeeeelloooo! E’ proprio kosì ke sn gli uomini. Tu sì ke sei 1 grande komunicatrice, kntnua kosì! Smakkete!”

  25. Sto seguendo con interesse (ma al massimo una volta al giorno, non di più!) la discussione “letteraria” su questo e altri blog. Ma in questi giorni sto anche leggendo “Pancetta” di Paolo Nori, un autore che mi diverte e mi rilassa (ogni tanto la lettura serve anche a questo, o no?). E ieri sera ho letto un paio di frasi che, oltre a divertirmi, mi hanno ricordato certi toni che ha preso questo dibattito. Eccole.
    (Dopo che Krucenych ha scritto un articolo in cui) “se la prende con i simbolisti, con gli egofuturisti, con i realisti e con quei buontemponi dei futuristi italiani con i loro ra ta ta ra ta ta senza fine, Chlebnikov scrive a Krucenych che a lui, questi sterili e astratti dibattiti sull’arte fanno paura, e che secondo lui sarebbe meglio che le cose di uno scrittore dimostrassero le tesi, e non il contrario”.
    (E in un commento ad una quartina di Chlebnikov):
    “Che son solo quattro versi, ma son quattro versi che dimostrano molte più cose di quelle che potrei dimostrare io coi miei discorsi che io quando parlo di certi argomenti delle volte metto su un tono da critico della letteratura che ho fin vergogna”.

  26. Non credo di poter contribuire con nuove idee alla discussione (non sono abituato a partecipare a queste chiacchierate, e quelle avute nel fine settimana mi hanno spossato). Volevo solo segnalarvi, a te gentile Loredana, e a tutti gli altri intervenuti, che il Messaggero oggi dedica alla questione della lingua italiana, e quindi indirettamente dell’alto e del basso, una intera pagina in cultura, con tanto di strillo in prima pagina. IL tutto in maniera un pochino catastrofica, visto che si parla di tragedia silenziosa (cito a memoria) e di guerra. Lo dico perché ho l’onore e il piacere di essere additato come uno degli assassini della lingua italiana. Io in quanto giovin scrittore (anche se, non me ne voglia, nel gruppo c’è pure chi non è più tanto giovin). Poco conta che si parli di Cannibali tirando in ballo Tondelli (forse il professor Raffaele Simone non sa che, ahimé, TOndelli è scomparso qualche anno prima dell’avvento dei Cannibali. Poco conta che si parla di Franzen e Foster Wallace come di autori scoperti da Eggers. L’importante è che ce l’ho fatta, ho ucciso la lingua italiana. Spero presto di uccidere anche l’intera Accademia. Ci sto lavorando, lo giuro…
    un abbraccio a tutti
    Michele
    PS
    Se mai mi imprigionassero per l’omicidio di cui sopra, vi prego, correte con un t-shirt con la mia faccia e la scritta Free Michele MOnina alla maratona di New York…

  27. La morale che ne deriva è un pastrocchio di pagliuzze e travi che…bè, lasciamo fare và, a me più che Lamù faceva ridere Megane.

  28. Cicale? sinceramente nemmeno d’estate, figuriamoci adesso ^_^
    Credo che i libri della Litizzetto, vendano proprio perchè pubblicizzati da lei stessa nelle trasmissioni, e si sa che di pecore ce ne sono tante!

  29. Dimenticavo: Cesare Battisti invece è un campione ad uccidere la lingua italiana. Scusate, non la lingua italiana: scrive e parla un idioma imperfetto che è tutto suo e che a stento credo riesca a comprendere lui stesso. Be’, anche ScerbanenKo ci ha pensato bene a farla a fette la povera lingua. E quanti e quanti e quanti altri ancora. Vabbe’, basta. L’ho detto e mi son levato il dente.
    Ciao ciao

  30. Le cicale le sentiva già Heather Parisi anni addietro. Delle pecore ne abusano dai tempi di “Padre padrone”…
    Beati quelli che sanno chi sarà ricordato e chi dimenticato.
    Un paio d’appunti.
    Un film, soprattutto se si tratta di un flop ai botteghini, non assicura più vendite al libro da cui è tratto. Un bellissimo romanzo come “La maschera di scimmia”, anche se trasportato in pellicola, non trasforma la sua autrice in culto.
    Se esiste la fabbrica dei best seller perché un mercenario come Michael Crichton pubblica “Timeline”, per auto flagellarsi?
    Pensare di sapere esattamente cosa sia letteratura e cosa no, scusate, è presuntuoso. E anche con riflessioni e studi che vanno ben aldilà delle quattro chiacchiere da birreria, saponette&patatine, si commettono errori. Errori come non aver dato un nobel a Margherite Duras, aver fatto fare, letteralmente, la fame a Philip K. Dick, aver riso sugli elfi di Tolkien, poi c’è Moravia, non pochi poeti… un tappeto di lacrime.
    Quando iniziano affermare “io penso che questo verrà ricordato e questo no”, sottintendiamo, l’autore che Io apprezzo verrà ricordato, quello che Io leggo è degno. In questo pensiero chi è il soggetto? Non certo l’opera dell’autore.
    José Saramago passerà ai posteri, probabilmente sì, esattamente come Stephen King si trova su centinaia di antologie.
    Pax&Love, fratelli e sorelle, ora vado, UT non può attendere, questione di patatine e saponette e posizione… di tiro.

  31. @ MICHELE MONINA
    Non mi par proprio che tu uccida la lingua italiana. E dico seriamente. Comunque, nel caso, non mancherò di partecipare alla maratona con una t-shirt con su la scritta “Free Michele Monina”.
    Trovo invece che l’Accademia – in alcuni casi – sia rimasta impelagata in una lingua italiana vecchia, troppo vecchia, praticamente morta e sepolta. Pace all’anima sua, della lingua italiana, quella morta, troppo morta perché si possa tentar anche solo un bocca a bocca.
    Ciao ciao
    Giuseppe

  32. Al volo, per ora, e per ora sull’annuncio dato da Michele: ebbene sì, ho sfogliato tardi Il Messaggero e il mitico Raffaele Simone (vedi qualche post fa) ha scritto che il Monina medesimo, in compagnia di Culicchia, dei cannibali, di Brizzi e di qualcun altro (ma vado a recuperarvi il pezzo) sono i veri responsabili dello sfacelo linguistico delle nuove generazioni. Ne avete di responsabilità, miei cari
    🙂

  33. Togliamoci un altro dente, anzi due: Brizzi e Ammaniti, anche loro scrivono davvero male, malissimo.
    Boh, l’elenco è troppo lungo. ;-D
    Vado a magnà la pasta coi fagioli che è meglio! ^___^
    Ciao ciao
    Iannox

  34. Cerco di rispondere alla Lippa.
    Vivo in un appartamento di due stanze, ho due figlie, lavoro in centro a Milano (quando non sono in cantiere).
    Io il verso di una cicala non lo sento da almeno 10 anni.
    Questo fa di me un pessimo scrittore.

  35. ANTIFOLO S: Parla proprio a me; sono il tema delle sue parole. Ebbene, l’avrei forse sposata in sogno? O forse sto sognando ora e tutto ciò che sento è illusione? Quale errore disvia i nostri occhi e i nostri orecchi? Finché non abbia fatto luce su questa sicura incertezza, voglio prestarmi all’illusione che mi si offre.
    La c. degli e. ,atto II, scena II, Guglielmo S., tutto il teatro, G.T.E. Newton, 5 volumi, lire 29500.

  36. @ ALESSANDRA C
    Cara Alessandra,
    la critica ha anche il dovere di stroncare l’inutile e l’inutilità in letteratura, anche se può sembrare presuntuoso: ma il critico migliore, a mio avviso, rimane sempre quello disegnato da Oscar Wilde. A quel modello di critico, un critico come artista, dovremmo attingere. Poi, purtroppo, ci sono i critici che critici non sono e che artistici non sono neanche come saponette & patatine, ma che riescono bene a fare tappeti di lagrime. Ma non pensiamo ingenuamente che oggi tutti quelli che scrivono domani saranno ancora. Non facciamo questo grande sbaglio: sarebbe un po’ troppo presuntoso anche per un Dio. Come si dice: il buon giorno si vede dal mattino. Così anche l’artista, quando vero e splendente. Quando solo è una moda, un passeggero sul treno della vita, be’, la vita è importante in ogni caso al di là di quello che riuscirà a far per mezzo dell’Arte.
    Cari saluti,
    Iannox

  37. stimolato, ho aperto la pagina del messaggero – anche il resto non è male: da una parte massimiliano panarari ci tiene a dire che gli è piaciuta la raccolta di mc sweeney’s (ah, quella sì è letteratura) – dall’altra filippo la porta ci viene a dire che la lingua, anche quella giovanile, possiede un ritmo
    e lo devo confessare, alla fine non ho resistito e ho aperto la pagina delle lettere a roberto gervaso – ma come stan messi al messaggero?

  38. E’ vero, c’era anche Caliceti. Però, a chi parlava di responsabilità dei recensori, vorrei dire che Raffaele Simone (che è un gentile signore, peraltro) non si occupa abitualmente di letteratura. E una pagina intera (che segue dalla prima) costruita in questo modo potrebbe avere più effetto (anche positivo: forse i giovani lettori del Messaggero, se esistono, si affretteranno a comprare tutti i libri citati) della recensione canonica…
    Grazie Genna, tempestivo come sempre!

  39. Gradirei conoscere che impressioni ebbe il detto professor Emerito Simone dopo la lettura di opere del defunto capolavorista ingegner Carlo Emilio Gadda il quale andava abbondando in neologismi vuoi scarapecchiate varie.
    grazie

  40. IL LINGUAGGIO STRALUNATO DEI PIÙ GIOVANI
    di RAFFAELE SIMONE
    IL MIO articolo di qualche giorno fa (“Il Messaggero” del 24 gennaio) sulle capacità linguistiche (leggere, scrivere, parlare) delle ultime generazioni ha suscitato diverse reazioni. Quasi tutte, devo dire, di approvazione, sia pure allarmata, della formula che ho usato sostenendo che l’Italia sta scivolando all’insaputa di tutti in un baratro di semi-analfabetismo e che questo fatto costituisce una tragedia invisibile, una sorta di guerra a bassa intensità.
    Chi avesse interesse a documentarsi direttamente sul vocabolario di questo linguaggio ha ora a disposizione uno strumento accurato. Basterà procurarsi il bel Dizionario storico dei linguaggi giovanili di R. Ambrosio e G. Casalegno (appena pubblicato dalla Utet, 22 euro), il cui titolo attinge proprio al codice che il libro descrive: Scrostati, gaggio! Il libro riporta una ricchissima massa di voci dei cosiddetti “linguaggi giovanili” degli ultimi decenni, con folte citazioni tratte soprattutto da canzoni o romanzi di autori giovani, una parte dei quali appartenenti al movimento che una decina d’anni fa fu denominato dei “Cannibali” (il solo vero scrittore colto, se non sbaglio, è Pier Vittorio Tondelli). Il dizionario riporta anche indicazioni geografiche sull’origine delle diverse voci, perché il linguaggio giovanile è diverso da città a città e spesso connesso al dialetto che ciascuna di esse usa. Va ricordato che il libro descrive una lingua di scrittori, anche se talvolta di poca grammatica e di ridottissimo vocabolario. La lingua vera dei giovani, quella che si parla concretamente per le strade e non è capace di scriversi, è ancora più rotta, frantumata, sconcertante.
    Malgrado questa specifica limitazione, il dizionario permette un’immersione interessante ma frastornante nel mondo verbale, culturale e mentale di questa generazione. Qualche esempio, scelto tra i pochi che si possano citare senza riempire la riga di pudichi asterischi: «Il film in questione i più svegli di voi l’avranno capito è il bacio della donna ragno con uilliam art altro bel pezzo di figo datemene atto e quella strafiga galattica di sonia braga», scrive Michele Monina in Aironfric (1999). «Sta fungia se è possibile! Dice che a Torino gli sbirri hanno pizzicato il tipo che lo riforniva», racconta Giuseppe Culicchia in Il paese delle meraviglie (2004). (“Sta fungia” è un equivalente gergale di “col cavolo”). «Vuoi dire se te la sei sgroppata, inciufecata, cicciata insomma la tua punza, ti torna?», chiosa Paola Mastrocola in Una barca nel bosco (2004), che è una registrazione allarmata della deriva linguistica della generazione dei diciottenni. «Anche il nostro Alex amava le sbocciate, e bere e cappottarsi e pogare eccetera. Solo, non poteva permettersi di prendere una bottigliata in faccia, o delle sediate», scriveva nel 1994 Enrico Brizzi in uno degli incunaboli di questa tendenza, il romanzo Jack Frusciante è uscito dal gruppo . «Ha un sorriso gengivale che fa senso, è vero, ma la carrozzeria è dotata di gambe da favola e considerevole doppio airbag da pornostar», racconta Giuseppe Caliceti in Suini (2003).
    Potrei continuare, ma questo carotaggio basta a dare, credo, un’idea di questo linguaggio e del mondo che esprime. Gli esperti diranno la loro sulla qualità letteraria dei testi che adoperano; a me non pare che sia venuto fuori, da questo vivaio, nessun lavoro memorabile, meno ancora un capolavoro. Quel che posso osservare è che, dal punto di vista verbale, esaurita la vena eccezionalmente innovativa del pasolinismo linguistico, il linguaggio d’oggi torna a mischiare stancamente frantumi di gerghi, codici furbeschi fatti per non farsi capire, brandelli di linguaggio di malavita e di spacciatori, slogan pubblicitari, battute e frasi fatte, intrugli di inglese e italiano, espressioni scurrili degradate: insomma cascami e detriti. Ciò mostra che il cosiddetto “linguaggio dei giovani” è in realtà un codice gravemente subalterno e di vita brevissima, dato che esprime una cultura fatta di riporti e calcinacci: come nasce e si rinnova di continuo, così è destinato a estinguersi velocemente.
    Se questo è il vocabolario usato dagli scrittori, possiamo immaginare che cosa sia quello dei milioni di giovani che lo usano senza arrivare a scriverlo (anzi spesso senza saper scrivere affatto).

  41. G.G., la tua decrittazione del testo di Simone (o era Raffaele?) mi ha fatto ridere, e messo di buonumore. Se mai ci incontriamo ti offrirò un cuba libre.

  42. Ald, purtroppo sono astemio, mia figlia mi cazzia se solo avvicino le labbra a una delle bottigliettine Vecchia Romagna, di cui faccio da anni collezione senza poterne sorseggiare l’elisir. Comunque è come se avessi accettato: grazie! 😉

  43. Il mistero della figlia segreta di Giuseppe è più avvincente di Elisa di Rivombrosa.
    E la traduzione simultanea è degna delle glorie clarenciane, direi.

  44. Consiglio di Wu ming a Valchiria:
    Meno puntini di sospensione. L’eccessivo ricorso a questi ultimi dimostra la volontà di prendere scorciatoie e aggirare i problemi più importanti.
    …”L’alcool gli smangiava il fegato…il sole gli spaccava i rognoni…lepiattole gli si incollavano ai peli e l’eczema alla pelle del ventre…la luce sfrigolante avrebbe finito per arrostirgli la retina!…In poco tempo cosa gli sarebbe restato? Un pezzo di cervello….per farci cosa?…”
    CONTINUA UN’ALTRA BELLA DENSA DELIZIOSA MEZZA PAGINA….
    da “Viaggio al Termine della Notte”…di Celine, che non ha nulla a che vedere con la noia caratteristica delle cose scritte da Wu ming…Celine insomma, signori…altro che 400.000 copie!
    Sempre detto che non bisogna prendere consigli dagli sconosciuti.
    Come? La conoscono in molti? Ma guarda; non si sarebbe mai detto.
    Second time….

  45. E io che pensavo che la vita fosse “quattro salti in padella”! ^___^ Evidentemente mi sbagliavo: è qualcosa di più di quattro salti sulla brace.
    E se sulla brace si deve stare, tanto vale farlo, ma insieme a Lamù, cioè qui:
    http://www.biogiannozzi.splinder.com/1107177060#3951886
    E ciò detto, mi dileguo, perché adesso c’ho da smaltire le loffe prodotte dopo aver mangiato quei fagioli tanto ma tanto buoni.
    Saludos
    Iannox

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