CONSOLO, LA CAPRIA E IL BICCHIERE ROTTO

Ci risiamo: la letteratura è in crisi. Non ne potete più? Nemmeno la sottoscritta. Eppure, a estate inoltrata, tornano a moltiplicarsi gli alti lai. Uno-due del Corriere della Sera. Qualche giorno fa, Vincenzo Consolo su Io donna, già riportato e commentato da Giulio Mozzi in Vibrisse:

D. Consolo, la nostra narrativa è in crisi. Perché, secondo lei?
R. E’ una crisi dovuta all’involuzione culturale che attraversa il paese. Anche la letteratura ne è stata investita. Del resto, è un’involuzione che si vede anche nella politica e, oserei dire senza voler essere blasfemo, nella religione. In letteratura c’è stato come uno iato tra la generazione dei veri scrittori che mi avevano appena preceduto (Calvino, Moravia, Morante, Bassani…) e la generazione successiva alla mia. Io sono costretto a leggere – per ragioni, ahimè, di premi letterari – i giovani scrittori e vedo che c’è un’omologazione… c’è una lingua che non appartiene più alla letteratura ma che è la lingua della comunicazione. Di questi giovani scrittori, che poi sono cinquantenni, ne stimo solo due o tre.
D. I nomi…
R. Non oso farli. Comunque la penso così, ma forse mi sbaglio, forse il mio è il giudizio di un vecchio.[…]

Oggi tocca, più garbatamente, a Raffaele La Capria, nelle pagine culturali del Corriere medesimo:

«Se un libro funziona, funziona con tutto: cuore, gambe, cervello, orecchie, reni, fegato… Un libro che funziona è reale e parla della realtà, se non funziona non è reale. Ogni libro riuscito non descrive la realtà, ma fa parte della realtà e aggiunge qualcosa alla realtà». Nei romanzi degli scrittori più giovani c’è tanta realtà. O no? «Ma manca una visione del mondo. Io faccio sempre l’esempio del bicchiere: oggi la coscienza dello scrittore è come un bicchiere caduto per terra. Si è rotta l’unità della coscienza, si è perso l’insieme, sono rimasti tanti frammenti. In Dostoevskij, Cechov, Tolstoj c’era tutto: sociologia, psicoanalisi, politica, tutto. Un’architettura con le fondamenta, le colonne portanti, il tetto, eccetera. Il libro dovrebbe essere una struttura simbolica, un progetto estetico che nasce dal nulla e porta a un significato totale».

Si accettano scommesse sull’intervistato del Magazine di domani.

 

61 pensieri su “CONSOLO, LA CAPRIA E IL BICCHIERE ROTTO

  1. Non so, Consolo rimpiange Moravia, La Capria Tolstoi, il prossimo intervistato rimpiangera’ Dante.. Mi sembra piu’ che plausibile che Tolstoi e company avessero un’altra coscienza e quindi scrivessero in altro modo, perche’ vivevano in un altro mondo, di due secoli fa, ed in questo tempo ne sono cambiate di cose.. e se cambia il mondo cambia anche il modo(e la coscienza) di raccontarlo..
    si e’ perso l’insieme ? puo’ darsi.. ma non in chi oggi racconta, credo.. ma in cio’ che oggi si deve raccontare..
    e infine, a mio giudizio, ” Ma manca una visione del mondo. Io faccio sempre l’esempio del bicchiere: oggi la coscienza dello scrittore è come un bicchiere caduto per terra. Si è rotta l’unità della coscienza, si è perso l’insieme, sono rimasti tanti frammenti” sono solo banalita’ di mestiere, quasi accademiche, parole che lasciano il tempo che trovano.. anzi, che non trovano..
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  2. @ ANGELA
    Cara Angela,
    ma io ci credo che se mi consigli un libro lo fai con professionalità. Questo non lo metto assolutamente in dubbio. E’ solo che la Ballestra l’ho già letta e non m’è piaciuta, tutto qui. Oh, è quasi ora del Cine. 😉 Che l’orchite stia lontana dai miei gioielli di famiglia: mi servono ancora, e possibilmente non vorrei sedermici sopra. ^___^”’
    Bacioni
    Giuseppe
    P.S.: Ho letto poco di Laura Pugno, ma il poco che ho letto m’è piaciuto molto.

  3. Non sarà che all’estero, non essendo coinvolti nei miseri scazzi da pollaio attizzati dal Corriere e dalle varie Carle Benedetti, lettori e recensori hanno il distacco per capire meglio il valore di un’opera scritta e uscita qui?

  4. Caro Iannox, una cosa è certa. Se ti dicessi che quando consiglio un romanzo lo faccio per “condividere con altri un piacere” sarebbe una perfetta balla.
    Come mi pare esagerato prendermi il complimento di essere “professionale”. ti ringrazio per avermelo fatto, 🙂 ma meglio giocare a carte scoperte: cosa c’è di professionale nel conoscere
    (tutta colpa dell’Opac che si è appoggiata sulle mie ossessioni) i cataloghi delle maggiori case editrici dal 1930/40/50 ad oggi? 🙂 Cosa c’è di professionale nel pensare mentre un interlocutore/ice (chiunque sia, in qualsiasi posto: mare, montagna, gabinetti pubblici, Campo de Fiori, Parioli, Magliana) “Mi devo ricordare dove ho messo quell’ultimo Feltrinelli. Dove l’ho messo? Chi me l’ha spostato?” Cosa c’è di profesionale nel non riuscire a gustarsi una vacanza, nel pensare continuamente” Adesso l’avrei finito quello, se no mi avessero costretto a questa cazzo di assurda passeggiata! ma cosa me ne frega che lei ha dei problemi sul lavoro? Come sarà il nuovo romanzetto indicato da …Perchè non ho portato appresso tizio invece di caia? ) (t. e c. sono libri, non persone)”
    Tutto questo non è un OT. Riguarda il motivo per cui io leggo, recensisco, scrivo, Disturbando famiglie felici – e come potrei scrivere altro?
    Io non sono professionale, io non ho una pasione. Io sono una vittima di questo amore, profondo, sconsiderato infinito e disperato come ogni amore vero. E’ una droga. Per esso ho imparato le lingue, ho imparato ad usare il computer, a fare a meno di tutto, di tutti (o quasi!=
    Domanda: “oggi come oggi, ha senso occuparsi di letteratura così? non bisognerebbe un po’ più liberi e ditaccati? o viceversa? Ha senso oggi occuparsi di letteratura (che tutti fanno, basta guardare i blog) se non la si fa in questo modo? E soprattutto la critica?”

  5. Droghe e amori a parte su i Miserabili c’è un bel pezzo di Genna su Cordelli e di Cordelli, più o meno su: chi è un bravo critico letterario? che fa? che dice?:-)

  6. E’ sempre spiacevole imbattersi nell’ennesimo cahier de doleances sulla nuova narrativa italiana pronunciato da autorevoli scrittori delle generazioni precedenti, ma trovo troppo facile prendersela con i vari Citati, La Capria e Consolo perché non capiscono e apprezzano Scarpa o Trevisan. Le eccezioni, in questo senso, sono tali proprio perché confermano solo la regola (ricordo per es. Morandi che adorava Alberto Burri). Personalmente mi sorprenderebbe il contrario, anché perché sono convinto che non li leggano neppure, animati da pregiudizi fastidiosi ma per certi versi comprensibili. Si tratta di voci diverse, di mondi differenti. Sarebbe come chiedere a Peppino di Capri di spendere una buona parola per i 99 Posse. Stupisce di più, perlomeno a me, leggere Pacchiano, che di mestiere recensisce giovani scrittori sul Domenicale del Sole 24 Ore, rispondere, a una lettrice che gli chiedeva i nomi degli autori italiani più influenti degli ultimi cento anni, con i soliti Montale, Saba e Ungaretti, per azzardare infine Zanzotto e Raboni più o meno come nei testi scolastici dell’ultimo anno di liceo. O ascoltare il 34enne Colombati, durante l’incontro nella Biblioteca in giardino assieme a Piperno e Domanin, affermare che ha iniziato a leggere libri di suoi coetanei italiani solo perché ci doveva uscire a cena la sera successiva, in quanto prima li evitava come la peste; condendo poi questa candida ammissione di ignoranza e arroganza con un elogio
    (“ho scoperto che non sono male come credevo”) tardivo e molto poco credibile, giacché puzza di convenienza lontano un miglio. Insomma, le generazioni passano e i pregiudizi trasmigrano dall’una all’altra senza soluzioni di continuità.
    L’unica cosa che resta immutata è l’incapacità di
    riconoscere il valore dei contemporanei senza che il tempo e l’egida delle Storie della Letteratura abbiano ancora pronunciato il loro verdetto. Oggi si fa a gara a denigrare i bambocci impiccati di Cattelan e un domani (neanche troppo lontano) ci si incolonnerà diligentemente per ammirarlo al MoMa; a ben vedere entrambi atteggiamenti pavloviani che evitano ogni minima riflessione sulla questione. Il paradosso affascinante e inquietante è che non esiste nulla che ci appartenga e ci riguardi di più delle espressioni artistiche contemporanee, eppure è proprio per il fatto che ci appartengono che provocano in noi quella sensazione di estraneità e di fastidio come quando si ascolta la propria voce registrata.

  7. … ma chi l’ha detto che i “contemporanei” sono davvero contemporanei?
    E poi, facciamo attenzione: la storiella degli equivoci, dei giudizi generazionali sbagliati, vale – e molto – anche al contrario.
    Se è vero che spesso abbiamo dimostrato di non essere stati capaci di cogliere la qualità, la rottura, di un testo rispetto a un canone, una tradizione vigente, è altrettanto vero che i soliti nomi che si fanno per dimostrare (a sé stessi..?) che oggi in Italia ci sono giovani grandi scrittori, potrebbero essere ugualmente i nomi sbagliati… non so, su alcuni di questi potrei anche scommettere, ma si sa, il Tempo è galantuomo: staremo a vedere.
    Riflettere sui grandi del passato, comunque, non è tempo perso: io resto sempre affascinato da come i nomi con la N maiuscola spariscano dagli scaffali e dai piani di studio a scapito di altri.
    Ad esempio, mi pare innegabile che in questo momento, Pasolini, Ottieri e Volponi stiano sù, mentre un Moravia non se la piglia più nessuno.
    Come mai?
    – io, peraltro, sono fra quelli che la pensano esattamente così –
    Forse perché dobbiamo ancora chiudere i conti con gli anni Settanta?
    E allora torniamo alla tesi della “mancanza di Storia”.
    Ha davvero senso credere giulivi in un inevitabile progresso delle arti?
    O non è piuttosto un sali e scendi?
    Io sono persuaso che finché non avremo fatto i conti con quegli anni, delicatissimi, nei quali il Pci decise (forse non del tutto a torto…) di far fuori, anche per via giudiziaria, un’intera generazione – quella degli extraparlamentari – condannando così le classi dirigenti ad un precoce “invecchiamento”… finché non affronteremo seriamente la questione che ci pone il semplice fatto che molti ex L.C e Aut. Op. oggi sono in Forza Italia, non avremo lo slancio per produrre davvero qualcosa di nuovo.
    In attesa di smentite, eh…

  8. @s.garufi
    Trasecolo! Chi fa a gara per denigrare Cattelan? E’ l’artista, se non uno degli artisti, più pagati del mondo. Credo che ci vorrebbe una bella discussione sul “punto di vista”:–)

  9. Trasecoli male, cara marietta, primo perché io ho scritto “si fa a gara per denigrare i bambocci impiccati di Cattelan”, non lui e basta, e secondo perché evidentemente ai tempi in cui furono appesi a Milano non c’eri, o se c’eri dormivi. Difatti i bambocci furono tolti subito dopo, suscitando interpellanze comunali e un acceso dibattito in cui le voci a favore erano pochissime e isolate. Perfino su Flash Art, cioè su una rivista letta prevalentemente da appassionati di arte contemporanea, furono ospitati molti interventi di lettori contrari a quell’operazione, e pressoché l’unica voce in difesa dell’artista era quella del direttore della rivista.

  10. caro S.G., per aver preso il tuo riferimento ai bambocci per un riferimento all’autore, mi scuso, (ho letto i giornali, sì, anche se non ero a Milano) ma continuo a trasecolare per quella gara che citi a denigrare il suddetto perché in fatto d’arte conta solo il mercato, cioè i curatori e i collezionisti, non qualche assessore leghista o qualche passante o mia mamma o tua mamma. Chi fa a gara a denigrare Cattelan fa ridere i polli, ma soprattutto fa ridere Cattelan.

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