Wu Ming 1 posta un lungo commento alla discussione innescata più sotto dai conti di Trespolo. Lo ripropongo qui (giornata complicata da queste parti, proverò più tardi a fornire le risposte che devo, specie nei commenti di ieri)
Mi sembra che il discorso continui stancamente, tra fraintendimenti-valanga e interventi che, anziché chiarire, confondono le acque.
L’impostazione di Trespolo (che è in buona fede e anzi credeva di fare qualcosa di utile) è solo in apparenza *concreta* e *logica*, in realtà di concreto (cioè di attinente ai processi reali di cui in teoria staremmo parlando) e di logico ha pochino. Infatti, tutto il suo discorso ha perso pezzi per strada man mano che si discuteva, benché pochi se ne siano resi conto.
TESI DI FONDO: il modello Wu Ming non è riproducibile.
OBIEZIONE 1: Non esiste alcun modello Wu Ming, i Wu Ming non hanno mai detto che il loro esempio fosse da riprodurre.
RIBATTUTA: Ma se ogni volta che si parla della rete vengono citati i Wu Ming!
CONTRORIBATTUTA: Certo, ma perché loro hanno un’esperienza di utilizzo della rete che forse vale la pena esaminare, non per questo esiste un "modello". Un conto è fare patrimonio delle esperienze fatte da altri, un conto è imitare.
MODIFICA DELLA FORMULAZIONE DELLA TESI: Va bene, allora limitiamoci a dire che è una strategia non tesaurizzabile da altri, perché l’investimento fatto dai Wu Ming non può permetterselo un piccolo editore.
OBIEZIONE 2: La strategia dei Wu Ming è autogestita, l’editore investe quello che investirebbe comunque, il lavoro in rete dei Wu Ming è un "di più" che all’editore non costa niente.
RIBATTUTA: Va bene, allora diciamo che nessun altro scrittore può permettersi un simile investimento.
DOMANDA: Quale investimento, di grazia?
[Esatto, quale sarebbe questo investimento, tolti dal ragionamento gli errori marchiani come quello sulle trasferte e dando comunque per buoni i criteri discutibili segnalati da Biondillo, Lucis, Melloni, Mongiò e Spettatrice?]
SPIEGAZIONE: un monte-ore di lavoro paragonabile a un investimento di un milione di euro e rotti. Chi cazzo ce li ha quei soldi?
OBIEZIONE 3: Ma perché, tu credi che i Wu Ming li avessero? Cos’è che intendi dire?
[INTERMEZZO 1: chiarimento necessario. La strategia dei Wu Ming in realtà costa poco perché la rete costa poco. Quanto alle trasferte, sono rimborsate da chi organizza le presentazioni. Fine intermezzo.]
RIBATTUTA: Va bene, allora non parliamo di vile denaro se vi da fastidio, parliamo di "sforzo". Duecentocinquanta presentazioni in tre mesi chi mai riesce a farle?
OBIEZIONE 4: Ma de che? Sono 250 presentazioni in sei anni!
RIBATTUTA: Vabbe’, vedo che ne sai più di me… Ipotizziamo comunque quattro ore di lavoro giornaliero per quindici anni.
PREMESSA SOTTACIUTA, DETTA NELL’ORECCHIO CON LA MANO A CONCA A COPRIRE LE LABBRA: I Wu Ming devono essere dei figli di papà, nessuno può investire così tanto tempo a fondo perduto per tutti quegli anni in una strategia che non si sa nemmeno se funziona. Ergo, il modello non è riproducibile perché funziona solo per i figli di papà.
[INTERMEZZO 2: chiarimento necessario. Mentre, di progetto culturale in progetto culturale, il gruppo di lavoro che poi si è coagulato nei Wu Ming allargava reti e costruiva comunità, i suoi membri hanno svolto i seguenti lavori: magazziniere notturno e scaricatore di camion all’SDA; lettore dei contatori dell’acqua nelle case IACP; ausiliario sanitario all’Ospedale maggiore di Bologna; postino a Baricella (BO); buttafuori al circolo ARCI Candilejas di Bologna; istruttore di arti marziali nelle palestre Regis e Sempre Avanti di Bologna; educatore in un gruppo-appartamento per tossici che hanno appena smesso a Sasso Marconi (BO). Il Sottoscritto è figlio di una bracciante e di un metalmeccanico. Chiuso intermezzo.]
OBIEZIONE 5: Ma secondo te esistono progetti culturali che non richiedano investimenti a lungo termine e a fondo perduto? Cos’è la sindrome della pappa pronta? Credi forse che i Wu Ming siano gli unici in grado di farsi il culo in questo paese?
OBIEZIONE 6: Fatto salvo che non esiste un modello Wu Ming da riprodurre, se il loro "sforzo" è stato compiuto mentre facevano tutti quei lavori, non si capisce perché simili "sforzi" debbano essere fuori dalla portata di altri scrittori. Certo, loro sono un gruppo e hanno potuto dividersi compiti e fatica, ma anche un quinto del tempo che loro hanno speso a costruire la rete e un quinto delle presentazioni che hanno fatto loro, è comunque molto più di quanto facciano certi segaioli. Inoltre, formare un gruppo non è una scorciatoia, fa parte del lavoro, ma qui ci fermiamo altrimenti parte tutt’altra discussione.
[APPENDICE: *Questa* discussione non solo è priva della benché minima utilità, ma è anche dannosa perché alimenta disfattismo intorno alle potenzialità reali della rete. Non basta aprire un sito o un blog o spedire qualche mail informando che è uscito il proprio libro. Questo è un uso che non tiene in alcun conto la peculiarità della rete come "mezzo che si fa mondo" e crea comunità. Non ha senso lamentarsi che "la rete non smuove copie" se non si capisce che l’attenzione del lettore/visitatore va *meritata*. Mai nessuno che si interroghi sull’effettiva qualità della proposta web che fa. Può darsi che certi libri non vengano smossi dalla rete perché sono noiosi. Può darsi che certi utilizzi della rete non inneschino passaparola perché sono piatti. Può darsi che lo scrittore che dice tutti i santi giorni "Me tapino, non mi pubblicano!" scriva stronzate. E’ ora di finirla con la sindrome nazionale del dare sempre la colpa ad accadimenti esterni e a malvagi complotti ai danni della Cultura. Questo discorso neo-disfattista sulla rete agisce in modo perverso: ogni esempio di utilizzo fantasioso e positivo trova l’immancabile risposta: "Ma quello non fa testo! E’ atipico! etc.". In questo modo si impedisce all’esperienza di germogliare. Questa perversione del discorso si ammanta comunque di intenzioni positive: "Ma dai, cerchiamo di capire tutti insieme cosa va e cosa non va!" e in realtà si sta facendo l’esatto contrario, si sta pregiudicando la diffusione degli esempi contagiosi: De Michele non fa testo. Evangelisti non fa testo. I Quindici non fanno testo. Niente fa testo, la rete è una delusione, i libri vendono poco, c’è la Restaurazione, piove governo ladro, ah se al governo ci fossi io etc. etc. etc. Scusate, lo dico papale papale: mi sono rotto la minchia! Questi sono discorsi REAZIONARI e deresponsabilizzanti (altroché nickname!). E adesso l’ipotetico editore X che sta anche in rete: X non è uno che lavora poco. X è sempre in giro per rassegne, festival e presentazioni. X è in rete da dieci anni. X ha un’esperienza di blogger/editore che data ormai da un lustro. Allora perché le strategie di X – a suo stesso dire – non funzionano e i suoi libri non vendono? Questo dovrebbe essere il quesito su cui ragionare, non l’inutile quesito: "Perché nessuno imita i Wu Ming?", che è una non-questione perché "imitare i Wu Ming" non avrebbe alcun senso.
@Melloni: “Anch’io, fin da subito, ho percepito il potenziale uso “disfattista” di quel che hai scritto: la rete non serve poi a molto e i WM non fanno testo”: questo è ciò che scrivi.
“Sicuramente i Wu Ming hanno tracciato una strada da valutare con attenzione, ma credo di non sbagliare affermando, numeri alla mano, che solo una parte della loro strada è replicabile e percorribile. Ora si tratta di capire quale.”: questa è la conclusione alla quale sono giunto.
@georgia: “insomma voi calcolereste il valore dei quadri di van gogh al metro e in base alle ore di lavoro?”: questo è ciò che scrivi.
Sei sicura che, geni esclusi, – Van Gogh appartiene alla ristretta cerchia dei geni – il mercato dei quadri non sia “calcolato” (ho virgolettato) a metri? Io non ci scommetterei fossi in te.
“Non si possono imitare. però si può lavorare nel sentiero tracciato e qualcuno uscendo dal seminato potrebbe fare anche di meglio.”: questo è ciò che scrivi.
“Sicuramente i Wu Ming hanno tracciato una strada da valutare con attenzione, ma credo di non sbagliare affermando, numeri alla mano, che solo una parte della loro strada è replicabile e percorribile. Ora si tratta di capire quale.”: questa è la conclusione alla quale sono giunto.
Buona notte. Trespolo.
@Wu Ming 1: “Ragion per cui, io non ho attaccato nessuno, non ho fatto illazioni sulle intenzioni di Trespolo, mentre è accaduto che diverse persone (tra cui lo stesso Trespolo) introducessero nella discussione, dopo la mia replica, valutazioni di carattere personale come “coda di paglia” et similia.”: questo è ciò che scrivi nell’ultimo commento. Questo “PREMESSA SOTTACIUTA, DETTA NELL’ORECCHIO CON LA MANO A CONCA A COPRIRE LE LABBRA: I Wu Ming devono essere dei figli di papà, nessuno può investire così tanto tempo a fondo perduto per tutti quegli anni in una strategia che non si sa nemmeno se funziona. Ergo, il modello non è riproducibile perché funziona solo per i figli di papà.” è il “delicatissimo” passaggio della tua contro-risposta.
Buona serata. Trespolo.
Trespolo, guarda che la tua conclusione “cozzava” abbastanza con quello che veniva prima, cioè un utilizzo “impietoso” e lapidario delle cifre (ogni cifra una bella martellata in testa) che davvero, se si fosse rivelato fondato (e per fortuna così non è stato), avrebbe lasciato zero spazio a proposte costruttive. Di fronte a somme iperboliche come quelle che immaginavi, la reazione più probabile è di scoraggiamento dell’iniziativa. Una conclusione come la tua, poi, resta solo un convenevole retorico (se vuoi, una mezza paraculata) se non la accompagni ad un solo suggerimento concreto. Non basta scrivere “si tratta di capire quale”, almeno un suggerimento lo dovevi dare, ma non potevi, perché le tue cifre avevano già sbarrato ogni strada immaginabile.
è davvero curioso che tanti si affannino a continuare a difendere il lavoro dei wuming (mai dando risponde pertinenti, ma vabè) quando nessuno, almeno in queste discussioni, lo ha attaccato o criticato.
chi lo ha attaccato? dove?
di certo non trespolo.
poi, è incomprensibile che WM1 dica che la loro esperienza “fa testo *perché* è peculiare, insegna qualcosa *perché* non è/non c’è un “modello””, e poi si inalberi quando si cerchi di capire l’insegnamento di quella esperienza. [tra l’altro, *nessuno* ha detto che ci sia un modello wuming; è il titolo di questo thread, ma nessuno lo ha mai detto.]
anche babsi dice delle cose su quella esperienza, ma le dice come se qualcuno le avesse negate: chi le ha negate? dove?
fatta salva la buona fede, vien proprio da pensare a una reazione cieca da ‘lesa maestà’.
Trespolo, come mai non rispondi mai a un argomento che sia uno? L’ultimo commento di WM1, al solito, contiene parti stimolanti che potrebbero riportare in carreggiata la discussione, tu invece ti attacchi a un chiarimento su un’impressione che, peraltro, ho avuto anch’io. Tu continuavi a ripetere “non è replicabile” ma, a parte la cifrona psichedelica di cui sopra, non adducevi altre motivazioni, per forza uno pensava: non è replicabile perché c’è la cifrona. Quindi: i Wu Ming potevano permettersi di investire. Come mai? Forse per via del… culo parato? Bui ha fatto bene a dissipare l’eventuale dubbio. A questo punto: se anche senza culo parato e facendo altri lavori è possibile mettere in campo un impegno costante, resta da capire dove sia l’ostacolo.
Ecco, la cazzata della “cieca maestà” è proprio quel tipo di non-argomenti a cui faceva riferimento WM1, che distruggono la discussione. Dire poi che le risposte non siano pertinenti mi sembra negare l’evidenza. Dire che qualcuno si è “inalberato” perché “si è cercato di capire l’insegnamento di quell’esperienza” (onestamente, non mi sembra proprio si sia cercato di farlo, mi sembra piuttosto che si siano confusi senza speranza tutti i termini della questione) è demenziale, ma tant’è, Beneforti mi sta abituando a questo svicolare gli argomenti. Devo dire che, non frequentando usenet, non lo conoscevo prima che si trasferisse armi e bagagli sui blog. Che mi sono perso! Per fortuna c’è Angelini che ci tiene aggiornati ripescando reliquie da niusgrup.
Come mai Beneforti, pur negandolo, è sempre così acido quando si nominano i Wu Ming? Non ci sarà qualche scazzo pregresso?
(Ecco, questo era un tipico “argomento” alla Beneforti! :-))))
Ma come altro deve dirlo Wu Ming 1 che il lavoro del suo gruppo è consistito nel trovare una LORO modalità di uso della rete, e che gli altri non dovrebbero preoccuparsi di usare la stessa che adottano loro bensì seguire l’esempio e trovare la propria, quindi (sfondoni a parte) il discorso di Trespolo era scorretto nella sua premessa, cosa detta fin dal primo momento?
Ma è proprio così difficile da capire? E’ stato ripetuto in tutte le salse, da WM1, dalla Lipperini, da Melloni, da Babsi, da me e da altri ancora. Sono d’accordo sul fatto che si debba presupporre la buona fede, ma di fronte a una simile volontà di prendere fischi per fiaschi risulta difficile. Qui non è questione di “difendere Wu Ming”, poteva anche trattarsi di un altro, è che simili fraintendimenti sono irritanti per chi se li vede propinati in continuazione.
Beneforti, ma prendi per il culo?
Il documento di Trespolo partiva con questa premessa, che riporto testuale:
“se il modello Wu Ming funziona, ed è ampiamente dimostrato, nessuno fra i piccoli editori e la stessa comunità degli scrittori è stato in grado di replicarlo?”
E si concludeva (sempre testuale):
“ora ho la netta sensazione che il modello di Wu Ming NON SIA replicabile dalle piccole case editrici e nemmeno dal singolo scrittore: costi troppo alti!”
Che adesso tu e Trespolo facciate finta che ci fosse scritto altro, mi sembra non solo ridicolo, ma anche un po’ abominevole.
La premessa era sbagliata, il ragionamento pieno di errori e incongruenze, la conclusione insensata.
@Melloni: un’ultima risposta dovuta poi, visto che vendi “paraculate” altrui come fossero noccioline, mi limiterò ad ignorarti.
La cifra *ipotetica* (e sottolineo ipotetica che NON L’HO MAI venduta come reale) alla quale arrivavo può spaventare solo uno che non ha MAI intrapreso un’attività in proprio. Se prendi quella cifra, la dividi per 15 (il numero degli anni lavorati dai Wu Ming) e la dividi per 5 (i componenti dei Wu Ming anche se all’inizio erano in 4 e ci sarebbe un piccolo scostamento da ricalcolare) si arriva ad una cifra annua per persona di 23.000 euro lordi per un ipotetico investimento.
Con una cifra simile non fai partire NESSUNA attività tradizionale e una cifra simile non spaventa NESSUNO abituato ad avere un minimo di dimestichezza con l’avviamento di qualunque attività.
Ovvio che sono “costi alti” e mentre scrivevo alti pensavo a uno scrittore esordiente che volesse replicare l’esempio Wu Ming. Giungevo inoltre a una prima considerazione: “Se replica può esserci va cercata all’interno di un gruppo di scrittori che si associno, come hanno fatto i Wu Ming e che insieme lavorino condividendo onori e oneri.”
Per rafforzare il concetto chiudevo affermando che un editore TRADIZIONALE invece di quella cifra, alta per il singolo o il piccolo editore, ma bassa rispetto ai normali valori di mercato, sarebbe andato a sbattere contro un valore molto più alto.
L’unico valore infondato di tutto lo schema è legato al fatto, per me assodato d’ora in poi a fronte delle conferme avute, che gli scrittori ANCHE ESORDIENTI non hanno MAI spese di trasferta, che io invece ipotizzavo.
Un invito: leggi e cerca di capire prima di sparare sentenze su argomenti che non conosci e, se il caso, chiedi.
Buona notte. Trespolo.
PS: correggendo lo schema e togliendo i costi che ipotizzavo per le spese di trasferta, e che NON ci sono MAI, si arriva a una cifra annua lorda di 16.000 euro “investiti” per persona: uno stipendio netto vicino alla “soglia di povertà” circa 900 euro netti al mese (se vuoi fare la controprova ricordati di moltiplicare il valore mensile per 13 che un normale stipendio ha anche la tredicesima).
No, no…
Non c’è speranza.
Non c’è speranza, no.
Trespolo, queste precisazioni le fai adesso (e, a parte il discorso sulla premessa erronea, continuo a ritenere discutibile il tuo modo di convertire il tempo in denaro) ma dal tuo documento non si capivano, tant’è che nessuno li ha capiti. Se nessuno ti capisce, è difficile pensare che siano tutti scemi, è più probabile che tu ti sia espresso in modo vago e frettoloso. Ad ogni modo, continuo a non capire il tuo tono di “vittimismo”, tu hai proposto un’analisi, altri (tra cui la persona tirata in ballo) l’hanno discussa, sviscerata, contestata, e tu stesso hai detto che dopo la discussione hai corretto degli errori. E’ quello che dovrebbe accadere sempre. Quello che mi ha sorpreso in negativo – e ho visto che la cosa ha colpito anche Babsi – è la tua reazione sopra-le-righe dopo la replica di Wu Ming 1, tutto qui. Lui stesso ha precisato di dare per scontata la tua buona fede, non capisco dove sia il problema (tuo e di Beneforti), nessuno ti ha linciato, stiamo discutendo, se il tuo scopo non era far discutere (anche con durezza) allora non capisco quale fosse.
Non ripeto quanto appena detto da Melloni e Giovanni: lo sottoscrivo. Due sole cose:
a) Trespolo, se scrivo “ho percepito” la tua buona fede è implicita. Non ho dato nulla per scontato, ho sottolineato le *mie* impressioni, non le *tue* intenzioni. Capiamoci: lo scopo del tuo documento/analisi sei *tu* a doverlo spiegare, se ne hai voglia e tempo. Io l’ho percepito, leggendolo, come un “non ce n’è, il modello Wu Ming non funziona”. Disfattismo, ecc. Rifletti anche su un dettaglio, sempre se ne hai voglia e tempo: il tuo documento si “presenta” in un contesto e in un momento storico di grande delegittimazione della rete, di dichiarazioni forti (e per me assai pericolose, e fasulle) come: “la rete non ha valore politico, la rete non produce nulla” che vengono da più parti. Le dichiarazioni non sono tue, ben intesi, ma il tuo documento si inserisce in un dibattito che comincia da prima e che continuerà molto a lungo. E’ fisiologico che si inserisca in questo contesto, e che si riapra questo dibattito: cosa stiamo qui a fare? Voglio dire – a parte qualche troll 😀 -, mi pare ovvio che l’argomento riguardi tutti noi. Di certo riguarda me, e qui apro il (breve) punto
b) La “difesa” di Wu Ming per me è naturale. Perché condivido da sempre la quasi totalità delle idee e delle strategie di Wu Ming, particolarmente quelle in rete. Per altro, io sto in rete da anni anche in senso professionale, e ci sto avendo un’idea di rete ben precisa. Come non accettavo i Giornalisti Titolati che due, tre anni fa si scagliavano settimanalmente contro il mondo dei blogger, screditandoli e demonizzandoli (il tempo ha dato loro torto marcio), così non accetto una visione della rete (anche in rapporto alla cultura) “a zero valore politico”; non accetto il disfattismo, non accetto il nientismo, e neanche il quasi-nientismo. Sicché, dico la mia su Wu Ming come l’ho fatto altre volte in contesti simili. Non c’è nessunissimo “re”: c’è l’importanza, mi pare innegabile, del lavoro svolto in rete dai WM. Che ha un valore, che è un’esperienza, che a me sembra un’esperienza da tenere a mente e da studiare. Poi, liberissimi tutti di pensare che la rete sia solo un gioco sciocco, e che stiamo qui tutti a perder tempo. Io *so* di non star perdendo tempo. Forse è questo che conta ;P Comunque ci torno, sul mio blog, però.
E questi sono i due commenti che mi hanno portato a ipotizzare quello schema. Il mio: “Wu Ming, una domanda: dovessi quantificare il lavoro svolto dal gruppo WU Ming per arrivare a ottenere la visibilità che avete ora, indipendentemente dai canali ufficiali, a quanto potrebbe ammontare l’investimento?”.
La risposta di Wu Ming: “Trespolo: l’investimento corrisponde a quindici anni di lavoro continuo, tutti i giorni, dalla Pantera a oggi. Ricerche, studi, riunioni, scrittura, rispondere alle mail, inventare strategie, perfezionarle, aggiornare il sito, aggiornarsi, formazione permanente, momenti di verifica pubblica, macinare migliaia di chilometri su e giù per lo Stivale e non solo (duecentocinquanta presentazioni dall’uscita di Q a oggi). E’ impossibile fare una conversione tempo-denaro, anche se sarebbe interessante calcolare il “prodotto interno lordo” generato dall’attività di Wu Ming :-)”.
Pareva interessante “calcolare il prodotto interno lordo” dei Wu Ming. Ora che un’ipotesi di calcolo c’è pare non vada più bene. Il perché, francamente, non lo capisco e, Wu Ming, sono io nella condizione di dire “Non c’è speranza!”.
Non c’è speranza perché siete partiti sfruttando idee (guerriglia marketing) abbondantemente documentate nel pubblico dominio, siete partiti sfruttando abilmente una genialissima trovata, siete partiti scrivendo buoni libri, avete continuato imbastendo un’abilissima attività di “protezione clienti” e ora, a fronte di una semplice analisi, perché è semplice, che allinea quattro numeri (togliendo anche le spese di trasferta che non ci sono MAI i numeri sono anche dimunuiti) continui a raccontare la “favoletta” dell’unicità.
Facciamo così: mi prendo un mese di tempo (magari due che mi tocca anche lavorare) e sono convinto, pur non conoscendo l’ambiente letterario come voi, che la vostra unicità ha almeno un padre ispiratore, forse due, magari anche tre.
Come succede sempre, tranne che per i geni 🙂
Buona serata. Trespolo
Trespolo, libero di dirmi che reagisco per “lesa maestà”, ma con questo ultimo tuo intervento abbiamo davvero toccato il fondo.
Adesso rinfacci pure ai Wu Ming (negatori “militanti” dell’idea di genio, dell’ispirazione, e dell’idea stessa di originalità nonché fautori dell’open source, della condivisione, della collaborazione) di considerarsi dei “geni” privi di influenze, e ti inventi pure che Wu Ming ha parlato di “unicità” nel senso di una loro superiorità, quando invece ha parlato di “peculiarità” di *tutti* i percorsi, non solo del loro, nel senso che ognuno deve usare la fantasia per adattare la rete alle proprie esigenze.
Io dico che qui c’è malafede. Ripeto: MALAFEDE.
Significa non sapere assolutamente niente dei Wu Ming e del loro lavoro, ma proprio niente. L’errore di fondo è che qui si parla senza documentarsi un minimo.
@Melloni: non ho fatto altro che divisioni e moltipliche. C’è qualcuno, fra i commentatori, che non sa fare moltipliche o divisioni?
Mi ricordi la storiella del supermercato e della cassa rapida che gironzolava ai tempi remoti dell’università: Cassa rapida max 10 pezzi; così recita il cartello. Nonostante questo davanti alla cassa si mette in coda un giovane col carrello stracolmo. Domanda: di chi si tratta? Risposta: o uno studente del MIT che non sa leggere o uno studente di Harvard che non sa contare.
Speravo che, almeno qui, non ci fossero solo studenti del MIT o di Harvard.
Buona serata. Trespolo.
@Giovanni: escludendo il termine malafede che nemmeno commento, hai ragione: “L’errore di fondo è che qui si parla senza documentarsi un minimo.” e non è detto che l’unico a doversi documentare debba essere io.
Buona notte. Trespolo.
Un suggerimento per la buona notte: *quanti* scrittori italiani hanno un sito internet non dico *eccellente* come quello di WM, ma almeno “funzionale”? Chi ha voglia, faccia i nomi, e gli url. Sto volando bassissimo, ma a me piacerebbe sapere sulla base di quale esperienza concreta lo Scrittore A, B o C si rapporta alla rete e ne parla (o ne sproloquia). Mi diverte pensare che allo sportello “La rete non produce nulla, è solo fuffa, non mi fa neppure vendere 8 copie in più” c’è la fila, e che il 98% degli scrittori italiani abbia al massimo maneggiato una paginetta index.html, lo trovo davvero naif. Ovviamente non intendo di dire che la mia idea di rete sia finalizzata a “vendere 8 copie in più” di un libro; se lo scopo fosse *anche* quello, però, gli scrittori italiani avrebbero davvero una pessima strategia. ‘Notte a tutti.
Non c’è speranza, no, non c’è speranza.
Che tocchi proprio a me (che lo considero un indicatore discutibile se non proprio privo di valore) ricordarti cos’è il PIL, cioè il valore della produzione totale di beni e servizi dell’economia, e non il calcolo delle spese di una singola attività… Bah. Sono davvero sfiduciato nella capacità di intendersi.
La mia battuta (con tanto di emoticon sorridente) sul “PIL di Wu Ming” si riferiva a tutte le attività, beni e servizi che hanno tratto crescita e giovamento dal nostro lavoro. A rigore, il PIL è questo, un indicatore di crescita, non il conto della serva.
Il “PIL di Wu Ming” è casomai la somma dei soldi che abbiamo fatto guadagnare a noi stessi, ai nostri editori, ai librai, ai distributori, ai recensori. E’ il flusso di denaro che abbiamo contribuito a immettere nell’economia di questo Paese.
Insomma, che io (un…artista) debba dare al concretissimo e onni-calcolante Trespolo una lezioncina su uno dei più triviali rudimenti dell’economia politica…
Sul resto, apprendo da te, ora, che avrei dichiarato di non aver subito influenze da nessuno. Strano, e io che ero convinto di aver subito influenze praticamente dall’intera umanità, da miriadi di singoli, gruppi e movimenti attivi nell’ambito della cultura nel corso dei secoli.
Apprendo anche che avrei raccontato “la favoletta dell’unicità”. Non so bene dove lo avrei fatto, ma se lo dici tu mi fido.
Non c’è speranza, no, proprio non c’è.
Trespolo, sei ridotto a questo ormai: alle barzellette. Raramente ho incontrato una persona che accoppiasse in modo tanto plateale arroganza e volontà di ignorare. Ti sarebbe bastato qualche giorno a studiarti il sito dei WM, e avresti evitato di ammannirci le quattro fesserie in croce che ti abbiamo contestato, ma no: troppa fretta di mostrare al mondo la tua ragionieristica brillantezza, che poi si riduce a due tabelline e tanto cacar di sentenze.
Trespolo continua a dire “Buona notte”, ma quand’è che va a letto?
In effetti anch’io avevo notato che Trespolo ha un’idea confusa di cosa sia il prodotto interno lordo…
Il Wumingo says, nel post che dà inizio a questo dibattito:
“Un conto è fare patrimonio delle esperienze fatte da altri, un conto è imitare.”
Sempre lì, il wumingo domanda a Trespolo:
“Credi forse che i Wu Ming siano gli unici in grado di farsi il culo in questo paese?”
Di seguito, il wumingo says:
“Fatto salvo che non esiste un modello Wu Ming da riprodurre, se il loro “sforzo” è stato compiuto mentre facevano tutti quei lavori, non si capisce perché simili “sforzi” debbano essere fuori dalla portata di altri scrittori.”
E poi, il wumingo says ancora:
“ogni esempio di utilizzo fantasioso e positivo trova l’immancabile risposta: “Ma quello non fa testo! E’ atipico! etc.”. In questo modo si impedisce all’esperienza di germogliare.”
E poi ancora, sempre il wumingo è sempre lì:
“si sta pregiudicando la diffusione degli esempi contagiosi”
E ancora, il wumingo:
“”Perché nessuno imita i Wu Ming?”, che è una non-questione perché “imitare i Wu Ming” non avrebbe alcun senso.”
E nell’intervento successivo, sempre il wumingo:
“Si è fatta – intenzionalmente? – confusione tra “esperienza da cui trarre insegnamento” e “modello da replicare in toto”. Io ho tentato fin dall’inizio di tenere distinti questi due piani”
E ancora, sempre lì, il wumingo:
“Occorre tenere gli occhi aperti e valutare le esperienze al fine di imparare come muoversi, ma senza la speranza di trovare *il* metodo o il modello”
Insomma, cosa says il wumingo?
Says che dalla loro esperienza c’è da imparare, ma non ha senso cercare di riprodurla tale e quale. La storia di uno scrittore non è un esperimento da laboratorio, le cui condizioni di partenza sono replicabili nei minimi dettagli. La vita reale non funziona così e men che meno la cultura. Seguire un esempio (usare la rete, spremere olio di gomito e adattare alla propria azione alcune tattiche usate dai Wu Ming) non significa “replicare un modello” (usare la rete e quelle tattiche proprio come le hanno usate i Wu Ming, e spremere esattamente la stessa quantità e lo stesso tipo di olio di gomito che hanno spremuto loro).
Il discorso pareva chiaro: chiedersi se il “modello Wu Ming” sia o meno “replicabile” significa porsi una domanda senza senso, tra gli insegnamenti da trarre c’è anche quello che non c’è nessun “modello” “esattamente” replicabile, c’è invece da ispirarsi a un’attitudine, a un atteggiamento, a una buona disposizione al lavoro in rete. Nessuno scrittore è uguale all’altro, nessuna personalità è uguale all’altra, quindi le strategie non sono trasferibili, quindi Giulio Mozzi non può “fare i Wu Ming”, i Wu Ming non possono “fare gli Aldo Busi”. Non è così che funziona.
Trespolo says, però (rivolto al wumingo):
“continui a raccontare la “favoletta” dell’unicità.”
E le braccia cadono.
una cosa è sicura sulla rete: circolano troppi ormoni
😉
Un’altra confusione (appena meno grossolana di quella tra PIL e piano di investimenti), per uno che dice di saperne a pacchi di marketing ed economia, è quella tra “case study” (espressione usata da WM1) e “modello”.
Ragazzi, basta, per favore.
Questa discussione fa vomitare, è diventata contrapposizione identitaria, non più duello ritualizzato ma rissa scomposta.
Non ho più un solo briciolo di fiducia sulla possibilità di cavare un ragno dal buco.
Quando all’interlocutore viene messo in bocca il contrario di quel che ha detto – e nonostante le precisazioni la distorsione prosegue imperterrita – e quando non si ascolta (legge) l’interlocutore ma si attende solo di poter riprendere la parola, allora muore tutto, muore persino l’ars retorica, nessuno convince più nessuno di niente.
Qui siamo oltre il punto di non ritorno.
:-))))))
giovanni scrive che i wu ming sono
(negatori “militanti” dell’idea di genio, dell’ispirazione, e dell’idea stessa di originalità nonché fautori dell’open source, della condivisione, della collaborazione).”
A parte il genio che sicuramente esiste ma non è niente di sovrannaturale, è semplicemente qualcuno che ha fatto qualcosa di grande e, spesso,di innovativo ma soprattutto che è morto e sepolto (i geni vivi son visti male) a parte il genio, che nulla vieta possa essere collettivo (anzi è una genialità moderna indispensabile) io non credo che sia del tutto vero che i WM negano ispirazione, originalità ecc. semmai la negano individualmente, ma il succo rimane lo stesso;-).
Wu ming 1 il PIL NO! per carità il PIL lascialo stare, il gioco di chi ha l PIL pù grosso lasciamolo fare ai politicanti;-).
Poi ho anche letto e non ricordo chi lo ha scritto che un genio sarebbe privo di ispiratori (maestri)
Ma figuriamoci. Un genio è solo uno che sa approfittare meglio degli altri di tutti gli stimoli passati e presenti per fare qualcosa di fondamentale che poi lo veda e ne approfitti da solo o in gruppo dipende solo dalle epoche, oggi è un’epoca che favorisce (che richiede) un lavoro collettivo, nulla d strano che anche l’arte si presenti con una forte “individualità” collettiva.
Forse arrivare a risultati decenti da “soli” al momento richiederebbe tale fatica e anche sofferenza che uno impazzirebbe prima … quindi meglio farlo in 5 in 10 in 100, e godersela allegramente.
geo
WM1: “Quando all’interlocutore viene messo in bocca il contrario di quel che ha detto – e nonostante le precisazioni la distorsione prosegue imperterrita …”
ecco, in effetti è esattamente la mia impressione – alla rovescia, ma a quanto pare è reciproca.
eh sì, non c’è speranza.
per fortuna questo è solo un thread su un blog. 😉
Wu Ming, ti leggo ora e, oltre a ringraziarti per la lezione sul PIL (mi serviva una definizione finalmente chiara di un oggetto così misterioso) non posso fare a meno di constatare che continui a farmi dire quello che non ho mai detto e a giocare amabilmente con le parole.
Si vede che fai lo scrittore.
Comunque a fronte del tuo penultimo intervento e appena avrò un attimo di tempo, accetterò il tuo consiglio e spenderò un po’ di tempo per calcolare seriamente il PIL di Wu Ming. Sono dati pubblici o sbaglio?
Ah, per non deludere nessuno e non creare altri scompensi mi limiterò ad analizzare le entrate; che mi pare di aver capito che di uscite non ce ne sono mai state (se escludiamo i 1200 euro per il pc, più la connessione veloce e altre amenità); in questo modo, forse, smetterò di essere un “restauratore” e potrei trasformarmi, parlando solo di entrate, in “stimolatore” di possibili imitatori “dell’inimitabile” modello Wu Ming 🙂
Buona giornata. Trespolo.
Il dibattito qui a poco a poco è trasceso, si è irrigidito. Si dà a Vincenzo Trespolo del disfattista ed è ciò che non merita. Se Wu Ming 1 visitasse il suo blog come faccio io ogni mattina, lo constaterebbe da sé.
Del resto è anche vero che i Wu Ming sono portatori di una esperienza interessante.
A questo punto vorrei raccontare la mia piccola, limitata, esperienza di editore, autore e distributore. Dovete però avere un po’ di pazienza.
Poiché, quando ero giovane e pieno di illusioni, sognavo di diventare un grande scrittore, inviavo il frutto della mia passione (piccoli romanzi) a qualche editore, anche di quelli grandi, ricevendo sempre un gentile rifiuto. Ci andai vicino una volta con Sellerio, che mi rispose che avevano in catalogo un altro autore del mio stesso tipo e preferivano dedicarsi a lui. Fine, dunque, di ogni speranza. Non sarei mai diventato il grande scrittore che sognavo. Dico questo, perché la mia esperienza può servire a tanti giovani.
Nel frattempo lavoro e arrivo a pensionarmi. La passione di leggere e di scrivere, che non se n’è mai andata (ci si nasce?), anziché ridursi si accresce, alimentata dal molto tempo libero a disposizione (ma ora ne ho poco essendo diventato nonno e dovendo badare al nipotino). Ammaestrato dall’esperienza decido di pubblicare da me i miei scritti (nei quali, ovviamente, credo e crederò fino ai miei ultimi giorni:-) ). E’ una esprienza, che portata alla luce su it.cultura.libri, interessò Giulio Mozzi (ci siamo conosciuti in quella occasione) che mi chiese di scriverne per vibrisse, cosa che feci.
Con modica spesa, un computer, una stampante laser (la stessa che ho ancora) scrivevo i miei libri, quindi me li impaginavo e con la stampante producevo le pellicole (anzi i pergamini, più economici). Prendevo il tutto e mi recavo dal tipografo di fiducia, il quale non faceva altro che produrre il libro (circa 350 copie): la spesa oscillava intorno ai 2.000/2.500 euro di ora.
Distribuivo personalmente il libro nella mia città di Lucca (anzi nella provincia di Lucca) ad un prezzo (1,5 euro di oggi) che lasciavo alla libreria.
Nessun tentativo di guadagno, dunque. Perché? Perché avvertivo che mi era impossibile entrare in competizione con gli altri. Mancanza di coraggio? No, mancanza di mezzi appropriati. Stampare 5.000 copie e più avrebbe comportato una spesa maggiore presso il tipografo, insostenibile, e poi come le avrei diffuse? Solo nella mia provincia? E nelle altre?
Pur con tutta la mia buona volontà e la mia passione (si trattava di darmi da fare per i miei libri!) constatavo che non mi erano sufficienti il computer e la stampante e se riuscivo ad arrivare fino alla tipografia, c’era un dopo tipografia che mi spaventava, perché richiedeva un dispendio di denaro e di energie che, da solo, non possedevo. Lucio Angelini, a riguardo, ha fatto un’esperienza più completa e potrebbe parlarne diffusamente.
Ma non è finita. Due anni fa mi metto in testa di scrivere delle storie sulla mia bellissima città, alcune legate a vecchie leggende, altre a monumenti e personaggi della città di Lucca. Le scrivo e decido di farle anche tradurre. Questa volta la stampante non mi serve, perché la tecnologia consente al mio tipografo di ricevere il materiale già impaginato per e-mail. Dovrà solo dare un’occhiata all’impaginazione (che contiene anche disegni in bianco e nero) e vedere se abbia commesso degli strafalcioni. Sempre per e-mail correggo le bozze finché il libro esce. Il lavoro quindi è davvero di poco conto, per far uscire il libro. Anzi questa prima fase, rispetto al passato, si è semplificata. Ho fatto uscire 6 libriccini (6 titoli) e ogni libriccino si è diviso in altri 5 libriccini per via delle cinque lingue in cui l’ho fatto uscire (italiano, inglese, tedesco, francese e spagnolo). Quanto ho speso per ogni titolo? Come ho detto ogni titolo è composto da 5 libriccini, ciascuno in una lingua diversa, ma identici nella codertina e nei disegni. Ebbene ho speso mediamente 2.500 euro per ogni titolo (500 copie a lingua). Moltiplicando 2.500 per i 6 titoli viene un prodotto di 15.000 euro. A questi devo aggiungere il costo dei traduttori, tutti di madre lingua, i quali mi hanno richiesto ciascuno 2.000 euro. Poichè le lingue diverse dall’italiano sono 4, ho speso per le traduzioni 8.000 euro. Per il disegnatore, Mirko Benedetti, che è mio amico (abita a due passi da me), che disegna anche per importanti editori, e mi ha fatto un trattamento specialissimo, ho speso 1.000 euro. Totale euro 24.000, senza contare il mio lavoro.
Come nel passato, ho provveduto a consegnare i libriccini a 2 rivenditori che li vendono al prezzo di euro 4,90 l’uno. Potrei arrivare a curare 3 rivenditori, e per il terzo mi sto attivando, ma di più mi è materialmente impossibile farlo da solo (avrei bisogno di affidare il tutto ad un distributore locale che mi prenderebbe il 20%)Il rivenditore mi prende il 30%. Così su ogni libretto venduto io incasso 3,43 euro. Al 30 settembre erano stati venduti per il periodo 1 gennaio – 30 settembre, 350 libriccini, che mi hanno fatto incassare un totale di euro 1.200 euro. Su questa media, potrei rientrare delle spese fra oltre 20 anni! A solo immaginare di guadagnarci è darsi del pazzo. Mi consolo pensando che l’ho fatto per un piacere personale, e che dovrò continuare a vivere con la mia pensione e (fra poco) quella di mia moglie.
Per facilitare la conoscenza dei miei libri e il loro acquisto, li ho messi, in primis, scaricabili gratuitamente dal mio sito: http://www.bartolomeodimonaco.it. Poiché nel frattempo ho avuto l’onore di essere pubblicato senza mettere fuori un soldo da Marco Valerio Editore, ho avuto l’autorizzazione di rendere scaricabile gratuitamente il mio romanzo La scampanata, mentre le mie letture da lui pubblicate nei due libri finora usciti al riguardo (che pubblico anche su vibrisse) si trovano tutte, anch’esse, sul mio sito, scaricabili gratuitamente. Anche gli altri miei romanzi sono tutti scaricabili dal sito gratuitamente.
I miei libri sono anche su iBS e qualche altro rivenditore telematico, ma non c’è assolutamente vendita tramite questi canali. Come non sembra alimentare gli acquisti la mia presenza in rete con gli scritti per esempio su vibrisse.
Che voglio dire? Che anche la rete ha le sue bizzarrie. Per il momento io sono d’accordo, per esprienza diretta, che la rete, se può accrescere le vendite, lo può entro numeri marginali. Lo potrebbe, forse, dedicandogli un lavoro assai diverso e più impegnativo, che non tutti possono fare, io tra questi. Dovrei pagare una persona per sviluppare la mia presenza in rete utile alla vendita dei miei libri.
Ossia, quando il libro esce dalla tipografia, ha bisogno di impegno e competenze e risorse finanziarie che non sono di poco conto e che non tutti hanno.
Io il mio coraggio credo di averlo dimostrato e non da ora, però ho dovuto liberarmi dall’idea di poter guadagnare sui miei libri.
(per correttezza pubblicherò questo intervento anche tra i commenti sui post pubblicati da Mozzi sull’argomento in vibrisse)
Bart
Concordo con Babsi. Noi “scrittori” italiani (lo metto fra virgolette perché ho ancora problemi a ritenermi tale. E questo lo dico anche a Trespolo: quando uno scrive, pubblica, non ha automaticamente uno stipendio. Ecco perché i tuoi conti hanno un baco. Perché non considerano che l’impegno di tempo che uno scrittore ci mette nella sua attività non ha, quasi mai, un ritorno economico. Sono pochissimi quelli che vivono della loro scrittura. Le ore uomo usate nello studio, nell’aggiornamento, nella scrittura, etc. di uno scrittore, quindi, non si possono calcolare con un metodo da economia classica. Ma di qualunque scrittore, anche di chi in rete non ci sta mai) dicevo, noi “scrittori” italiani praticamente NON usiamo la rete. Io per primo ammetto la mia abissale ignoranza. Non basta commentare sui vari blog, non basta postare pezzi su NI.
E’ in questo senso che il caso WM (e gli altri connessi o paralleli) diventano esemplari.
Comunque questo mio commento è fuori tempo massimo, direi che ha ragione WM1. Chiudiamola qui. Tanto oltre non si può andare nella discussione.
In ogni caso ecco un modo esemplare di noi “scrittori” di usare la rete:
NON COMPRATE I LIBRI DI WU MING, COMPRATE I MIEI!!!!
😉 peace and love, G.B.
No, aspè, alt, un minuto.Chiudiamola qui proprio ora che la cosa si faceva interessante?
Secondo me esperienze come quelle di bartolomeo sono importanti. Io spero che angelini scriva le sue. Anzi acchiappatelo va, è sulla spiaggia di cesenatico a piedi nudi mano nella mano con un tipo.
In ogni caso ecco un modo esemplare di noi “lettori” di usare la rete:
BIONDILLO NON SCRIVERE PIU’ GIALLI CHE NON MI PIACCIONO: FANTASY CHE E’ MEGLIO!!!!
Ehm, nel copincolla ho perduto codesto finale
😉 peace and love, A.D.
La mia esperienza è diversa da quella di Bart. Dopo aver pubblicato con vari editori abbastanza solidi (EL, Emme edizioni, Loescher, Panini, Flammarion eccetera) decisi di realizzare un antico sogno: fondare una piccola casa editrice, la Edizioni Libri Molto Speciali, ancora in rete (www.librimoltospeciali.com). Non per pubblicare me stesso, anche se il primo libro fu “Quel bruttocattivo di papà Cacciari!” (complementare a “Quella bruttacattiva della mamma!”, Emme Edizioni), ma per andare a caccia di talenti o produrre titoli – appunto – “molto speciali”. Per esempio pubblicai un insolito Allan Poe (le lettere del giovane Edgar al padre adottivo John Allan). Mi ero illuso di potermi occupare della mera produzione di libri e di affidare a un vero editore nazionale la promo-distribuzione. Purtroppo, sentito il numero di volumi che intendevo sfornare annualmente, NESSUN grosso distributore accettò di prendermi in carico. Creai comunque una rete di distributori regionali o pluri-regionali che copriva l’intero territorio nazionale. L’errore di fondo, come ho raccontato più volte, fu di investire il 75% del budget in libri e il 25% in marketing. Avrei dovuto fare il contrario. I libri, se non promozionati, restano nei depositi. Le mie tirature, inoltre, erano di duemila copie, quindi non consentivano guadagni (vedi Mozzi in Vibrisse). Insomma, dopo aver ‘giocato’ all’editore per un po’, decisi di chiudere il COSTOSO esperimento. Certo, se mi avesse “sussunto” Einaudi, le cose sarebbero andate diversamente:-)
Correggo: e di affidare a un vero DISTRIBUTORE NAZIONALE
“non posso fare a meno di constatare che continui a farmi dire quello che non ho mai detto e a giocare amabilmente con le parole.”
Beh, cazzo, da che pulpito.
Trespolo, hai passato le ultime 48 ore (non da solo, purtroppo) a giocare con parole come “modello”, “case study”, “esempio”, “esperienza”, “ispirazione” e coi verbi “replicare”, “riprodurre”, “imitare” “insegnare” e “ispirare”, come se volessero dire tutti la stessa cosa. Addirittura, hai usato in modo intercambiabile “scrittore” e “piccolo editore”, come se i ragionamenti che valgono per l’uno valessero pure per l’altro.
Ti si è fatto notare una buona quarantina di volte che “esperienza di cui tenere conto” e “modello da replicare” sono due cose diverse e che WM1 in buona sostanza ha ribadito questo, ma tu niente, sei addirittura passato a confondere “peculiarità” (di qualunque esperienza) e “unicità” (nel senso di superiorità di un’esperienza sull’altra, e per buona misura ci hai messo dentro, polemicamente, il “genio”).
Non ricordo chi ti ha elencato tutti i passaggi in cui WM1 ha ribadito che dalla loro esperienza si può trarre insegnamento ma non ci si può illudere di “replicarla” così com’è. Fino alla nausea ti si è spiegato che ogni esperienza, soprattutto in rete e in letteratura (che non funziona proprio come il mercato del pesce) è frutto di diverse circostanze e nessun autore è uguale all’altro quindi “imitare i WM non avrebbe senso” ma la loro esperienza può comunque insegnare qualcosa. Tu che hai fatto? Hai confuso (apposta) questa affermazione con il negare di avere subito influenze e hai addirittura “minacciato” di fare i nomi dei padri ispiratori di WM (WM ne hanno fatti credo migliaia, nel corso degli anni).
Nel frattempo ti viene fatto notare che quello che hai calcolato tu non è il “prodotto interno lordo di Wu Ming” (che era una semplice battuta con tanto di faccina) ma un semplice calcolo delle loro presunte spese, e tu ti incazzi, non rispondi e lanci accuse.
Ribadisco che non rispondi mai a un argomento che sia uno, non accetti le critiche di nessuno, non ammetti mai di avere confuso una cosa per l’altra. Anzi, dovresti ammettere di avere confuso tra loro, dal primo momento, TUTTI i termini della questione.
Ma il vero errore credo l’abbia fatto la Lipperini (capita), dando eccessivo spazio a quello che era un brogliaccio di scarsissima utilità.
@Gianni, ma tu vendi già una cifra: mi son distratto un attimo (ero in giro ehmm… senza soldi) e in libreria zac, il giorno dopo il tuo ultimo esaurito :-)))
@Lucio, interessante anche il tuo resoconto: e non poco. Esattamente come quello di Bart che avevo letto di là da Vibrisse.
Detta così pare quasi che in Italia la piccola editoria non abbia alcuna chances di sopravvivenza o possa farlo solo a fronte di sacrifici personali: da preoccuparsi da ieri!
Buona giornata. Trespolo.
ma certo che ha chance. sia l’editoria che l’attività di scrittura.
solo che ci vuole (come in altre attività, del resto), un capitale iniziale (necessario ma non sufficiente, va da sé).
Trespolo, nessuno ha detto che sei un “restauratore”. L’esatto contrario: si è detto che fai il gioco di chi vede restaurazioni dappertutto, cioè dei “neo-disfattisti culturali”.
Te lo chiedo con tranquillità: ma è possibile che non capisci MAI niente di quello che scrivono gli altri?
Che il “modello WM” non esista perché “inimitabile” è vero e ti sfido a dimostrare il contrario. Per imitarlo bisognerebbe filtrare un altro progetto attraverso la stessa concatenazione di esperienze particolari che hanno selezionato quel gruppo, solo che nel lasso di tempo intercorso sono cambiate le condizioni storiche, è cambiato tutto. Non si possono “rifare” i Wu Ming, non si può ricalcare la personalità collettiva del loro gruppo, esattamente come uno scrittore non può pretendere di “rifarne” un altro senza scadere nella parodia involontaria. Un esempio banale: basta che esista una tua fotografia in giro per la rete e già ti è impossibile “imitare” i Wu Ming.
Però, al di là delle torsioni che tu e Beneforti avete cercato di dare alle sue parole, quello che diceva WM fin da subito è che è possibile lavorare con la rete e non è vero che “la rete non fa vendere i libri”. Non necessariamente bisogna lavorarci come hanno fatto loro, ma alcuni tratti del loro progetto (il copyleft, la newsletter, i progetti di scrittura collettiva, il lavoro quotidiano che non lascia niente al caso etc.) sono adattabili ad altre circostanze.
“Fare i conti in tasca ai Wu Ming” (sbagliati, poi) NON serve a capire come trarre insegnamenti da quell’esperienza. E’ quello che abbiamo provato a dirti tutti quanti, tu l’hai preso per un attacco personale ma non lo era. Mi scuso se ho parlato di “malafede”, però un certo voler difendere a tutti costi la tua posizione anche a dispetto dell’evidenza continuo a riscontrarlo.
Scusami Lucio, SE ho ben capito il problema è che per funzionare avresti dovuto avere un tiratura minima superiore. Questo, paradossalmente, a prescindere dai libri che pubblicavi. E’ giusto?
Perchè SE è così effettivamente un *lavoro alla wuming*, protratto nel tempo potrebbe essere molto, ma molto importante.
Tu come la vedi?
trespolo, te lo chiedono con tranquillità: anche se non capisci MAI niente (absit iniuria verbis, neh?) perché non ti decidi ad ammettere che il ‘modellowuming’ non esiste ed è inimitabile?
epporca dirindina!, ma che ti costa?!
ah, non hai mai detto che quell’ipotesi di modello è imitabile?
vabè, fa niente, di’ lo stesso che
-il modello wuming non esiste
-in ogni caso non è imitabile
-sei pentito contrito e redento (cit.)
Ma allora perché tu e Trespolo vi siete scandalizzati quando WM ha risposto che il problema era mal posto, che non c’era nessun “modello WM” e che non aveva senso chiedersi se fosse o meno “replicabile” perché il punto non è mai stato imitare quello che hanno fatto loro?
No, perché tutto il documento di Trespolo partiva dalla premessa dell’esistenza di un “modello Wu Ming” e si poneva la questione se fosse o meno “replicabile”. Premessa sbagliata, questione mal posta, problema inesistente, calcoli farlocchi, e a seguire: difesa talebanica di quanto affermato, dileggio sistematico delle posizioni altrui, gioco con le parole, zero volontà di confronto reale. Ma poi, confronto con chi e perché? Qui sono tutti ingenui, tutti sognatori, io sì che sono pragmatico, io sì che vado al sodo, ma come, non li vedete i numeri!?!
I numeri?!!
I numeri!!!
I numeriiiiiiiiiiiiiiiihhhiiiagh!
Capperi, ragazzi, qui oltre a spaccare il capello in quattro si sta anche spaccando la minchia, no?
😉
Lucis. Il difetto non stava nelle tirature, ma nella mancanza di un grosso distributore nazionale e di un budget tale da consentire il necessario marketing: i libri, in sé, erano BELLISSIMI:-)
Quanto a un ‘lavoro alla WuMing’ (quindici anni di sbattimenti)… chi ne più voglia, alla mia età? Meglio un bel colpo alla ‘Melissa P’:-)
vai al sodo melloni?
Qual’è il tuo sodo?
io conosco solo l’uovo di sodo;-).
Angela ha capito tutto?
beata lei! e pensare che io non capito un c**** neppure di quello che lei dice di aver capito:-))) ho solo capito che a volte le aprono lo sportello della macchina a volte glielo chiudono in faccia Ok, ma …cosa c’entra con la letteratura, soda o barzotta che sia?
La discussione comincia a farsi divertente. Non so cosa mi spinga a postare, se la voglia di prendermi qualche morso ai calcagni o il desiderio di far presente che qui una testa ce l’abbiamo e la usiamo tutti, e non bastano due parole ben messe in croce a spostare l’evidenza. Evidenza delle domande poste e delle risposte ricevute.
Mi allontano per impegni familiari e ritrovo questa piccola comunità in preda a ‘indicibili’ tormenti e a qualche momento ‘muscolare’.
Che diamine, orsù, non ci sono ragioni per fare dei WM e della loro storia un argomento di cotanta cagnara e neanhe del simpatico Trespolo un talebanide dei ‘numeri’.
Epperò con Lucis (Lucio, vuoi vedere che stavolta non ti ho ibridato?:-) non vorrei mollare quì anche perchè mi dispiace che il caro Trespolo sia indispettito e minacci di farci un corso di economia domestica, blogghesca e internazionale :-). No il PIL dei WM, no, per favore 🙂
Scherzo.
Epperò una piccola simulazione la farei.
Simulo che i calcoli di Trespolo meno le trasferte e quant’altro siano giusti, simulo, in definitiva, che i WM abbiano investito su se stessi un piccolo stipendio mensile per 15 anni. Simulo anche di essere un piccolo/grande editore disposto a dare a 5 persone (per trovarle però non saprei che budget stabilire) quello stesso stipendio per replicare il fenomeno WM.
A questo punto che si fa?
Come si procede?
La mia personale opinione è che risolto questo punto sia necessario tornare alle peculiarità del ‘fenomeno’ (o ‘noumero’?) WM e che nascano problemi seri di riproduzione.
Credo di avere spiegato in post precedenti il perchè, ma potrei sbagliare e quindi invito tutti quelli che credono che si tratti di semplici questioni di finanziamento a darmi torto costruendo una scaletta utile alla clonazione dei WM.
Per quanto mi riguarda continuo a credere che i WM non sono nati per ‘generazione spontanea’, che i tempi di crescita e le persone che si sono accostate al loro ‘progetto’ (tenuto vivo nei valori di base, ma flessibile a variazioni in corso d’opera), lo spazio webbico e la sua crescita, la Storia (di questi ultimi 20 anni e oltre), le motivazioni WM ecc…abbiano avuto (e abbiano) un’importanza difficilmente riproducibile in laboratorio.
Ho anche detto che il modello WM è estensibile e lo ribadisco: può fiorire dalla pianta (i Quindici) o procedere per talea o altro sistema di coltivazione. Una specie di organismo (o esempio) vegetale (non vegetativo 🙂 in grado di dare molti frutti sia in ambito WM che in spazi collaterali (Kai Zen o altri).
Sempre in my personal opinion questo è il successo del mod. WM: non la sua riproducibilità via mktg, ma la sua espandibilità (priva di copyright) attraverso il web o la prosaica realtà, ma (e quì credo che che questa parola breve ci stia tutta) solo a patto che si creino comunità, si interagisca, si abbia il desiderio, la volontà e la costanza di ricavare e gestire spazi responsabilmente. I soldi (che si spera siano ottimi e abbondanti 🙂 nel caso arriveranno dopo 🙂
Proposta molesta e per niente seria:
Trespolo o chi per lui, visto che noi tutti quì siamo una piccola comunità contenta di spendere parte del suo tempo in codesti commenti (a quando la quantificazione monetaria?) perchè non identificare un tema che possiamo sviluppare e che, in un secondo tempo possiamo pure monetizzare’?
Uhe, non guardatemi così? così come? così con quello sguardo torvo. Che è? che ho detto?
Uh, giù le mani!!!
Besos
P.s: comunque, a parte le tensioni credo che siano anche venuti spunti per riflettere e ‘creare’. Non avviliamoci per i momenti e le ‘tensioni muscolari’, un buon ‘massaggio’ o un esercizio yoga risolvono molte cose 🙂
e, come dice il Biondillo: peace & love
spettatrice: “Credo di avere spiegato in post precedenti il perchè, ma potrei sbagliare e quindi invito tutti quelli che credono che si tratti di semplici questioni di finanziamento…”
spettatrix, mi sa che non ne trovi neanche uno, degli immaginari “tutti quelli”.
dovrebbe essere evidente che fare il conto dei soldi non significa che basta trovare quei soldi.
personalmente l’unico elemento che ho appreso (non da questo thread: dai due precedenti, semmai) è quello che ho scritto alla fine del post sul mio blog.
purtroppo nessuno ha voluto approfondire – anzi, WM1 ha detto che dare corda a quelli che vogliono provare a capire questo tipo di cose è dannoso (certo, per lui non è “provare a capire”; però invece lo è).
paolo: “purtroppo nessuno ha voluto approfondire”
immagino ti riferisca alla questione della comunità. A me pareva di aver approfondito – anche altri, credo – riguardo a ciò che so di WM, ma lo ridico per punti:
– rapporto non immediatamente proprietario con la dimensione intellettuale o autoriale
– internità “senza tornaconto” a processi collettivi anche lontanissimi dal mondo letterario
– secondarietà degli aspetti autopromozionali nell’uso della rete
– adeguamento tra internità ai processi e specifica poetica narrativa (epica)
su questi principi si sviluppano comportamenti come il detournement estetico – e anche un po’ estetizzante 😉 – delle fanzine dei primi ’90, il lancio di nomi collettivi (Blisset) usati in azioni molecolari da moltissime persone, gli autori plurimi, il copyleft integrale su web, i progetti di scrittura aperta, le newsletter, i gruppi di lettura indipendenti – iQuindici – che diventano anche agenti letterari e così via.
che ciò sia adeguato alla rete – poiché in rete non funziona la pubblcità né l’autopromozione, e tantomeno funzionano i “contratti ineguali” o le vetrine – è un segreto di pulcinella (ripeto: do u remember new economy?)
tutto ciò, anche senza entrare nel merito della qualità letteraria su cui si può legittimamente dissentire, costituisce un bel catalogo di cose che si possono apprendere.
(Per questo il calcolo dei costi non è così significativo: non perché i costi non siano rilevanti, o perché WM non si pensi in qualche modo anche come “impresa politica”, come si diceva una volta, ma perché analizzare una situazione in cui tempo di lavoro e di vita, lavoro e passione extralavoro – che spesso non è nemmeno immediatamente letteraria – si fondono e si compenetrano in una struttura a più teste produce ordini di ricchezza non così facilmente numerabile. WM non fa quel che fa per vendere, ma vende per fare quel che fa – e ciò che fa comprende l’opera letteraria, ma questa non la esaurisce. Inoltre stiamo parlando di un gruppo che nasce per scrivere, ma che è fortemente erede di percorsi che con la scrittura letteraria non c’entravano granché – Q arriva dopo un bel po’ di altre cose. Analizzare la cosa in un’ottica di business plan è curioso, ma rischia di mancare proprio li punto)
Posso dire che ormai siamo in piena tempesta in un bicchier d’acqua ? Insomma: Trespolo ha fatto un conto discutibile, discutibilissimo, dell’impegno di chi promuove un libro con mezzi alternativi, WM1 ha dato maggiori informazioni sull’argomento. Dopodiché siamo sprofondati in piena disputa bizantina “ho ragione io” “no, ho ragione io”. Ma chi se ne frega ! Trespolo e WM1 hanno dato spunti di riflessione. Io ci sto ancora riflettendo e non ne ho tirato una conclusione precisa. E da quello che leggo, anche molti intervenuti sono più preoccupati di darsi torto l’un l’altro invece di portare avanti la riflessione. Sono con Biondillo.