La saga del Corriere della Sera continua. Oggi Giorgio De Rienzo, lancia in resta, liquida Alessandro Piperno e Leonardo Colombati. Curioso che ci si senta in dovere di giustificare una stroncatura prendendosela con il proprio giornale (chi l’ha montata, la questione del romanzo di destra e di sinistra, Le Canard enchaîné?) e con personaggi (direttori editoriali e uffici stampa) che evidentemente fanno il proprio lavoro e basta: sarei sorpresa di sentir dire da un appartenente ad una delle due catagorie "guarda, ho qui un romanzo veramente mediocre di un tale che dovrebbe cambiare mestiere". Poi, ci sono i "piccoli clan": ho qualche sospetto su cosa intendesse De Rienzo, ma taccio. E’ tutto vostro.
"Forse occorrerebbe a tutti noi che ci occupiamo di letteratura per professione prenderci una pausa di riflessione e chiederci se non sia un po’ sciocco (e miope) deludere (se non ingannare) i lettori che non sono già tanti e proprio per ciò andrebbero rispettati. Direttori editoriali e responsabili di uffici stampa, critici e giornalisti quest’anno hanno applaudito con allegria frettolosa (magari a occhi chiusi) come capolavori i vagiti di alcuni giovani scrittori esordienti, per poi farli diventare lunghi e rumorosi, montando accese discussioni, chiedendosi se questi romanzi fossero di destra o di sinistra (quasi fosse davvero importante), piuttosto di porsi seriamente il problema se si trovassero di fronte a opere narrative più o meno valide. Si è partiti da Con le peggiori intenzioni (Mondadori) di Alessandro Piperno, per arrivare a Perceber , «romanzo eroicomico», di Leonardo Colombati (Sironi, pagine 508, 17): un libro che è un contenitore dalla scrittura torrenziale di cui è difficile persino fare un riassunto che possa stare in piedi per presentarlo al lettore. Fermiamo tutto allora. Cerchiamo prima di chiarirci se esistano (e quali siano eventualmente) le regole più semplici perché un libro possa non dico diventare un romanzo, ma avere comunque dignità di testo letterario.
La domanda banale insomma è questa: si possono stabilire punti di riferimento elementari, per quanto molto flessibili, oppure dobbiamo restare in balia del giudizio di piccoli clan che giustificano tutto e tutti? Non intendo insegnare niente a nessuno. Vorrei soltanto capire se chi legge un romanzo, prima di pubblicarlo e lanciarlo, prima di scriverne per poi montare un caso, abbia ancora chiaro che un’opera narrativa debba sviluppare una storia (o più storie intrecciate), avere una struttura (semplice o complessa) che la sorregga e insieme la forza di una scrittura che si trasformi in stile.
Non mi pare di segnare regole che neghino la libertà inventiva la quale, rimane ovviamente sacrosanta per qualsiasi scrittore in quanto connaturata all’idea stessa della letteratura. L’alternativa possibile a questo canone narrativo chiuso, che interpreta una visione del mondo, può essere certamente quello di una libertà assoluta (e anarchica) che esprima invece il caos del mondo. E’ l’alternativa però più difficile, che richiede un rigore di scrittura e una capacità inventiva eccezionale.
Uno scrittore può dunque abolire ogni regola, accumulare – come accade con Colombati – spezzoni di storie e anche magari abbandonarle al loro destino, mescolare stravaganze e variazioni di linguaggio, sovrapporre moduli espressivi, creare una struttura in cui la direttiva principale diventi quella di una continua divagazione. Ma allora perché Colombati sente il bisogno di sorreggere la sua anarchia espressiva da una «mappa» precostituita di orientamento per il lettore e da una serie di note che giustificano il caos a posteriori? La realtà è che l’autore, creato un vuoto, si sente autorizzato a vomitarvi dentro liberi pensieri sparsi, a esibire la sua cultura (cioè mettere insieme brani di canzonette e pillole di cosmologia, fatti di cronaca e scampoli del Talmud, svelte diagnosi psichiatriche e coriandoli di filosofia), con una scrittura torrenziale generalmente sciatta che finge di accettare tutti gli stili, per non saperne creare uno originale. Potrei sbagliare, ma credo onesto avvertire il lettore che questo non è un romanzo: è soltanto un contenitore zeppo di velleità e vanità pseudo culturali".
Helena, ho letto attentamente la tua analisi.
Forse la mia posizione rientra nella ‘zona di soggettiva sordità’, ma è pur sempre un diritto del lettore che acquista libri secondo motivazioni legate alle proprie preferenze ed alla fiducia che gli ispira una recensione, o stroncatura che dir si voglia. A torto o ragione, ed è per questo che non escludo per partito preso di leggere Perceber, ma senza spendere i 17 euro.
Mi tolgo dalle pelotas.
Buona giornata
Helena, ti ringrazio di aver chiarito fino in fondo il tuo pensiero. Adesso sono ancora più sicuro di ciò che ti dicevo: abbiamo sensibilità diverse. Sono contento (per te) che tu abbia trovato in Perceber tutto ciò che hai detto. Ma non mi hai convinto.
… secondo me, Colombati deve dimostrare di non essere solo un vomitatore di linguaggi e cultura, facendo quel che fece Stefano D’Arrigo dopo Horcynus Orca (il quale ricevette critiche, nel 1975, del tutto simili a quelle che abbiamo letto e continuiamo a leggere oggi su Perceber come su altri romanzi): scrivere un romanzo COMPLETAMENTE diverso. Asciutto, dalla trama apparentemente semplice e di fortissima tensione narrativa, nella quale il talento, quello “vero”, dello scrittore mostri una impressionante (come fece appunto D’Arrigo con Cima delle Nobildonne nel 1985 dieci anni dopo H.O.) capacità di adoperare una parola inmeno piuttosto che un parola in più per dire TUTTO.
Se ci riesce – e io credo di sì – allora smentirà una critica che, per quanto polverosa, è per ora non smentibile 😉
… secondo me, Colombati deve dimostrare di non essere solo un vomitatore di linguaggi e cultura, facendo quel che fece Stefano D’Arrigo dopo Horcynus Orca (il quale ricevette critiche, nel 1975, del tutto simili a quelle che abbiamo letto e continuiamo a leggere oggi su Perceber come su altri romanzi): scrivere un romanzo COMPLETAMENTE diverso. Asciutto, dalla trama apparentemente semplice e di fortissima tensione narrativa, nella quale il talento, quello “vero”, dello scrittore mostri una impressionante (come fece appunto D’Arrigo con Cima delle Nobildonne nel 1985 dieci anni dopo H.O.) capacità di adoperare una parola inmeno piuttosto che un parola in più per dire TUTTO.
Se ci riesce – e io credo di sì – allora smentirà una critica che, per quanto polverosa, è per ora non smentibile 😉
Spero, sono certo che Leonardo non si trovi mai a scrivere una roba senza senso come Cima delle nobildonne, d cui per fortuna quasi tutti hanno perso memoria.
Che poi su Perceber si discuta, è cosa buona e giusta, come si discute di tante altre cose, in Italia.