La discussione sul porno, di cui al post precedente, tocca
a mio modo di vedere non pochi punti chiave, e porta alla luce anche non pochi
equivoci (per dire, trovo assai più
responsabilità culturali in magazine per ragazzine del genere Top Girl
che in un manga hentai). Ci torno. Ma dovendomela vedere nel frattempo
con una sorta di armageddon personale (in una sola settimana ho collezionato un
mal d’orecchio, la ri-frattura della fatidica ulna, l’assunzione in cielo del
mio telefonino, spirato dopo breve agonia, e comincio a sentire rumori sinistri
dal pc: qualcuno sa dove rintracciare padre Karras?), propongo un interludio.
Che arriva, salvifico, da Guglielmo Pispisa e dalle sue riflessioni su Jpod
di Douglas Coupland. Eccole.
Il romanzo mi è
piaciuto; temevo l’effetto minestra riscaldata dovuto al sostanziale ritorno al
mondo di Microservi, e invece trovo che in questo caso repetita iuvant.
Sarà che sono di parte visto che nel mio Città Perfetta ho percorso temi e
ambienti simili, ma così è. C’è la sua solita scrittura curata e mai banale, ci
sono flash di geniale sociologia spicciola e disincantata, c’è divertimento
diffuso per tutto il libro. C’è il mestiere di Coupland. Questo potrebbe
bastare e in effetti mi basta. Vero che (nel mio gusto personale) Microservi
è complessivamente più riuscito nel fare emergere caratteri e caratteristiche
dei personaggi che in quest’ultimo restano invece più bidimensionali (meno
umani e degni di empatia); vero che altri lavori come (sempre a mio gusto) La
vita dopo Dio e Fidanzata in coma hanno un tocco di magia e di
tensione spirituale che qui manca, ma in fondo è già tanto se un autore scrive
un capolavoro (e D.C. per me ne ha scritti tre, quelli appena elencati) e poi
per il resto si attesta su un rispettabile e rispettoso (del lettore)
professionismo. Mi basta, dunque, sono contento. Poi, appunto, vado su internet
e mi imbatto in vari commenti. Tralascio quelli entusiastici che non
aggiungono granché e mi fisso su quelli delusi. Molti mettono a fuoco un
elemento che aveva colpito anche me, e che è peraltro ricorrente negli ultimi
libri di D.C., diciamo da Miss Wyoming in avanti (una tendenza in realtà sempre
presente in D.C. ma adesso molto più accentuata): l’autore si diverte a
tratteggiare personaggi e loro dinamiche relazionali in modo sempre più
grottesco, in un flusso governato da inverosimili coincidenze e,
apparentemente, sconnesso dalla realtà, e li fa agire seguendo logiche
improbabili che li portano ad azioni e a situazioni sempre meno credibili.
Tanto per esemplificare mettendo un po’ di fatti in fila:
Nelle prime cento pagine circa apprendiamo che la madre
sessantenne di Ethan, il protagonista, coltiva e vende marjuana e altre
sostanze poco legali e quando uccide per sbaglio un biker suo ex amante e socio
in affari tramite un complesso marchingegno elettrico posto per difesa
personale nella cantina di casa sua, chiama il figlio perché la aiuti a
liberarsi del cadavere, cosa che avviene in un clima di sostanziale
deprivazione emotiva. Nessun rimorso e qualche battuta spiritosa. In una scena
successiva sempre la mammina col figlio vanno a fare un recupero crediti presso
un altro biker spacciatore in affari con la donna, e lei lo convince a saldare
il debito sparando quasi accidentalmente al suo cane. Anche qui l’azione si
svolge con la naturalezza di una spesa al supermercato. Ancora. Entra in scena
un criminale businessman cinese esperto in importazione di immigrati
clandestini, socio del fratello del protagonista, il quale poco per volta fa
amicizia con l’allegra brigata: è appassionato di ballo come il padre di Ethan
con cui solidarizza, e arriva perfino, più avanti nel romanzo, a liberare la
iperattiva mammina da un pretendente un po’ molesto facendolo diventare
eroinomane e trasferendolo a forza in una fabbrica di Nike false nel nord della
Cina. E sono solo alcuni dei molteplici esempi.
Ora, mi chiedo, e si chiedevano molti delusi: in che mondo
vive Douglas Coupland? Dalla mia, mi rispondo banalmente e semplicemente: vive
nel nostro, ma si diverte a descrivere famiglie di personaggi che oggi molti
amano definire, con orrendo termine, disfunzionali, ricorrendo all’artificio di
inventare situazioni paradossali per farne altrettante metafore divertenti
delle ansie e delle difficoltà del nostro tempo. Ansie e difficoltà tutte
connesse alla confusione su questioni cruciali (o, almeno, un tempo
cruciali), come identità, etica, morale, rapporti interpersonali e dinamiche di
potere. Non credo ci volesse granché ad arrivare a una simile conclusione, ma i
delusi di cui sopra, a differenza di me, non si accontentano. Il distacco dalla
vita reale, dall’emotività come loro la conoscono e la sperimentano
giornalmente, non riescono proprio a perdonarlo. Noi non siamo così, sembrano
dire, nessuno è così e tu dunque come ti permetti di descrivere gente che fa e
dice cose così assurde?
Poi mi viene un dubbio, quello di non aver capito niente,
e qui posso azzardare due divergenti ipotesi.
1) Niente metafore, niente paradossi. Coupland descrive
quel che vede o che crede di vedere o quel che, nel suo punto di vista, il
mondo diventerà davvero. Mamme pusher, genitori sessantenni che attraversano
ancora nuove fasi di evoluzione come adolescenti, ribaltamenti di valori,
crimini che non stupiscono nessuno perché concepiti semplicemente come parte
del panorama industriale contemporaneo. Forse i suoi personaggi esibiscono
reazioni da quattordicenni freak, e sono totalmente privi della solidità
emotiva che ci si aspetterebbe da un adulto, perché questi sono i nuovi adulti
(questi siamo noi) e questo è il loro nuovo mondo, che Coupland esplora
sottoponendo i suoi attori alle situazioni più bizzarre proprio per mostrarceli
da ogni possibile angolazione. E lo fa con una sorta di innocenza ottimistica
che lo porta a soffermarsi sempre sul lato buono e umoristico dove invece altri
vorrebbero che venisse sottolineata la decadenza e l’amoralità di quanto viene
descritto.
2) Oppure, più prosaicamente (e questa è l’opinione che mi
pare più comune fra i lettori delusi), Coupland è bollito e traccheggia da buon
mestierante genialoide ma senza più la vena di una volta. Ha fiutato la
tendenza del tempo e ormai racconta solo storie di simpatici freak che agiscono
come personaggi di un videogioco, con logiche e motivazioni da videogioco, in
un continuo turbinio di stucchevoli colpi di scena con cui l’autore pretende di
divertire e coinvolgere il lettore. Fa interagire questi freak in modo casuale
e imprime alla narrazione la direzione che gli frulla in testa in quel momento,
senza un vero progetto, salvo poi, quando si arriva a uno snodo difficile o a
un punto morto, fare intervenire una delle solite pazzesche coincidenze che
caratterizzano ormai sempre più spesso le sue opere fino a essere diventate
vera e propria maniera, nel solco di una moda ormai consolidata nelle
narrazioni letterarie o cinematografiche perlopiù nordamericane che piazzano
coincidenze a tutto andare nel presupposto di esemplificare di volta in volta
lo stato di grazia dei protagonisti, o il grande gioco della vita o il
complotto di dio o qualsiasi altra cosa, e risolvono in questo modo furbesco le
impasse e i buchi di trama (autori come Auster o Wallace, film come American
Beauty o Magnolia, roba che a me, per inciso, piace molto). Il che,
invece di essere preso per mirabile avanguardia, fa incazzare i lettori
ancorati a strutture più tradizionali.
Chi ha
ragione? Forse tutti, forse c’è un po’ di verità in ognuna delle impostazioni
che ho riportato, o forse in nessuna. Non sono un critico quindi non sento la
necessità di offrire un’opinione troppo definita. Come dicevo in principio, mi
sono divertito nella lettura, e questo mi basta.
forse si droga,senza scherzi.O magari più semplicemente ognuno pratica la prospettiva come meglio crede(anche in convalescenza dimostri sinceramente che ti preme trasformare questo posto in una sorta di “giubbe rosse” virtuale.A me pare di essere a bordo di una slanciatissima nave corsara durante un ammutinamento.Non buttare la ricetta degli antidolorifici)
Può darsi, che Coupland usi il tono del grottesco.
Intanto, nel penultimo romanzo, Eleanor Rigby , affronta il tema della solitudine con un’efficacia eccezionale, come raramente mi è capitato di leggere(ed Eleanor Rigby è una donna che ognuno do noi ha conosciuto).
diamonds, una vera corsara non usa antidolorifici: solo bicchieroni di latte per facilitare la calcificazione:)
Un’altra frattura?..Secondo me sei in un Fight Club (ma ovviamente non ne puoi parlare..) 😉
Lippa,
mentre mi candido per accompagnarti a Medjugorie (trovo Lourdes l’esselunga dei miracoli, facciamo una cosa più snob, volevo un attimo dire il mio bit su Coupland.
Avevo promesso di non leggerlo piu’, ma per colpa tua l’ho ricomprato a Londra.
Non l’ho finito, ma mi sembra un quadro iperrealista senza movimento.
Cioè lui è perfetto nel disegnare figure vivide, “reali”, che solo un iscritto alla cgil scuola con cattedra al liceo classico si sentirebbe di condannare e dire non apparenenti a noi (in alternativa cattedra al san leone magno e aderenze neocatecumenali).
Ma basta la sua pefetta messa a fuoco per dire che il romanzo è bello?
Ribadisco una mia idea, che Coupland non sappia costruire storie. Sa disegnare la nostra umanità alla perfezione, ma come narratore è una assoluta sega.
La sua lingua e’ a suo modo perfetta, difficilissima, gergale, piena di fraseologie americane parlate. Ma alla fine uno dice: so fucking what? Dove mi porti?
(E sperando che nella seconda parte che non ho ancora letto non faccia come in Fidanzata in Coma e in Every Family is Psychotic dove scrive due romanzi in uno senza chiuderne nessuno).
Uff
A me è piaciuto molto, e ne ho scritto un paio di volte (qui, per esempio: http://ricambioriginali.blogspot.com/2006/06/jpod-e-finito.html). Forse ha ragione ZetaVu, DC non costruisce storie (per scelta?). Pero’ e’ strepitoso nell’annusare lo Zeitgeist, come fa in Generation X, in Microserfs, in questo, ma anche in Eleanor Rigby o Hey Nostradamus.
E la cifra minimalistico-grottesca che utilizza è spesso lo strumento migliore per cogliere (parti di) una realtà che altrimenti è sfuggente, e di una “Storia” che sembra sempre più aliena alla “gente”.
E in piu’ riesce a mostrare cose sui media e sull’ICT piu’ acutamente di moltissimi sociologi, filosofi, blogger, ecc ecc.