LA STORIA DI MARIA

Questa storia, con cui inizia la serie di testimonianze su Lipperatura, è stata raccolta da Chiara Lalli.
Dopo avere fatto il test di gravidanza Maria va in un consultorio. Non ha ancora deciso che cosa farà.
Qualche giorno dopo Maria decide di abortire e va al Sant’Anna, dove si può scegliere tra l’aborto chirurgico e quello farmacologico, con la RU486. Bisogna certificare lo stato della gravidanza, fare gli esami e l’ecografia – come stabilito dalla legge 194. Durante l’ecografia Maria chiede di sentire il battito, ma la dottoressa le dice che è una IVG e che non è necessario. Ripensandoci adesso suona strano. Maria in quel momento lo attribuisce al carico di lavoro, alla fretta nel dover gestire i tanti pazienti. Non che avrebbe comportato tempo in più soddisfare la sua richiesta.
Questo succede durante la prima visita in ospedale. Poi inizia l’iter per interrompere la gravidanza.
Il personale medico è professionale e le infermiere molto umane, nella assoluta precarietà dei luoghi e del servizio. Il reparto è scarno, brutto, Maria si domanda se è così intenzionalmente. Le persone fanno la differenza, ma i luoghi sono sgradevoli. Com’è sgradevole passare davanti al nido. Lo stesso medico, insieme ad alcuni infermieri, segue ogni aspetto, dalle prime informazioni alla visita: la somministrazione delle pillole, l’innesto degli ovuli, la compilazione dei moduli e della cartella clinica. Tutto in una stanzetta spoglia.
Maria sceglie di non essere ricoverata per i 3 giorni previsti dalla legge, ma firma e se ne va. Preferisce stare a casa e con i suoi amici. Non ci sono ragioni mediche per il ricovero e sarebbe troppo frustrante rimanere chiusa in ospedale 3 giorni durante i quali non succede quasi nulla, stai bene e non faresti che rimuginare e pensare. Il terzo giorno, in cui inseriscono l’ovulo per l’espulsione, sei ricoverata dal mattino, di fianco alle stanze per i magazzini, la porta del bagno non funziona, i letti sembrano arrivare dagli anni ’60. È l’11 agosto.
Il 27 Maria torna per la visita di controllo. Deve fare l’ecografia e poi andare in un edificio al di là della strada, è lo stesso ospedale ma in due corpi diversi. Mentre percorre i pochi metri tra un luogo e l’altro Maria intravede delle persone. È distratta e non ci fa molto caso. Poi una donna la affianca. Da una cartelletta blu tira fuori un volantino. Maria ricorda l’immagine di un feto e delle scritte, lo prende in mano e lo restituisce immediatamente. La donna le dice che in quell’ospedale compiono atrocità e omicidi medici. Quell’ospedale è un abortificio. Maria le chiede perché e per conto di chi stava lì e la donna risponde: per il movimento per la vita.
Poco più in là ci sono altre due persone, un uomo e forse una donna. Volantinano. Camminando Maria li raggiunge mentre la donna la segue e continua a parlare di orrendi assassinii. Maria sbotta e le dice che lei è lì per quel motivo, che la deve lasciare stare e rifiuta il suo aiuto. La conversazione la sente anche l’uomo, vestito di bianco come un infermiere, mentre la mano della prima donna è sulla spalla di Maria: noi ti possiamo aiutare psicologicamente ed economicamente. La donna deve pensare che Maria non abbia ancora abortito. L’uomo comincia a urlare: le donne che abortiscono sono assassine, è un omicidio vero e proprio, le donne che non sanno affrontare la gravidanza devono essere rinchiuse. Non si rivolge a Maria, ma lei è lì a pochi metri. Maria gli dice che avrebbe dovuto tacere, e che sperava di non incontrare persone come lui nell’ospedale. Ma perché stava lì fuori?
L’uomo dice che conosce bene la materia, che ha studiato e che lui sa che è omicidio. Intanto Maria entra in ospedale, ma poco dopo deve ripassare di là per la visita. L’uomo la riconosce e ricomincia a urlare: assassine, assassine. C’è una signora che gli risponde: le ragazzine che rimangono incinte e magari non se la sentono è giusto che possano scegliere, è giusto che l’aborto sia legalmente protetto. Secondo l’uomo per le donne che non vogliono un figlio ci sono le comunità dove poter lasciare i neonati. Per le ragazzine i manicomi, devono essere rinchiuse in strutture di igiene mentale.
Assassine, assassine, ricomincia a urlare l’uomo in camicie bianco.
Maria durante il controllo incontra alcune delle donne che hanno abortito l’11 agosto e chiede loro se hanno incontrato il movimento per la vita. Entrambe rispondono che hanno raccolto il volantino, tanto poi l’hanno buttato. Maria chiede: avete reagito? Le rispondono che la loro scelta implica delle conseguenze, e che questa era una di quelle. Quanto potere ha il senso di colpa!
Maria pensa che una tale remissività presuppone un profondo senso di colpa. Non che lei ne sia immune. Ci pensa a come sarebbe oggi e a quanto sia stato difficile scegliere, ma è convinta che le conseguenze dovessero riguardare soltanto lei e nessun altro. O almeno nessuno che le urlasse in faccia di essere un’assassina.
Maria non avrebbe mai pensato di abortire eppure quell’agosto si è resa conto di non volere un figlio da sola, in quel momento la scelta più giusta per lei è interrompere quella gravidanza. Non la scelta giusta in assoluto. A volte si chiede come sarebbe stato. Si chiede anche quanto sia potente il pensiero che l’essenza di una donna sia essere madre. Quanto spesso ti ripetono che la vera e unica realizzazione di una donna sia fare figli. E si ricorda di alcuni anni fa, quando le dissero che forse non avrebbe potuto averne: il suo disorientamento, pur avendo sempre pensato di non volere un figlio in assoluto e in qualsiasi condizione, proprio come se anche lei fosse convinta dell’identificazione di vera donna e madre. Ci ha pensato anche quando ha visto alcune donne partorire: pur di farti partorire naturalmente ti fai 3 giorni con induzione del travaglio – che poi se lo induci cosa rimane di naturale? – 3 giorni di sofferenza, anche con il rischio di problemi fisici. Alcune donne supplicano di smettere di soffrire in una atmosfera in cui la denuncia della sofferenza è vista come debolezza.
A qualche mese di distanza Maria è spaventata quando ripensa all’aggressione perché in quel momento non l’ha riconosciuta come tale. Ha attribuito quella reazione istintiva al momento – la perdita del compagno in quel momento difficile, la malattia e la morte del padre, l’arrivo imminente di un nipote. Ha pensato di aver reagito in modo eccessivo a causa del suo stato d’animo. Denunciare non le passa nemmeno per la testa. Nei mesi successivi, in coincidenza con la delibera Ferrero (21-807, il “Protocollo per il miglioramento del percorso assistenziale per la donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza” che prevede la presenza dei volontari del movimento per la vita negli ospedali), una giornalista le chiede di raccontare quanto ha vissuto e solo allora Maria capisce il motivo per cui ha reagito e riconosce la violenza che ha subito. C’è un fascicolo aperto in procura, Maria si sorprende che le abbiano riservato attenzione. Chissà quante aggressioni non riconosciamo. È necessario avere una consapevolezza maggiore. Anzi una consapevolezza, perché le donne e le ragazzine sono sconcertanti per difetto di consapevolezza riguardo ai propri diritti. Maria è sorpresa anche perché dopo il pezzo su la Repubblica torinese ci sono state alcune reazioni: alcuni politici, la Regione, il Movimento per la vita. Quasi nessuna reazione pubblica da parte di associazioni, o un insieme di donne, collettivi, un gruppo di amiche, insomma da parte delle donne. Anche contro. Le donne quasi non ci sono. Chissà quante donne hanno vissuto situazione peggiori e non ne hanno parlato e continuano a  vivere con questo peso nel cuore e si sentono in colpa in silenzio e in solitudine.

60 pensieri su “LA STORIA DI MARIA

  1. Sempre binaghi:
    isterica, monomaniaco, noioso, paranoide…Walkiria invece è un complimento, a sua insaputa.
    Ma per parlare di cose serie: il diritto all’autodeterminazione di cui parla Andrea è bello che retrocesso a quello di tutela come concessione. Sempre binaghi considera che per andare persino dal famacista tocca farsi accompagnare. Roba che se me lo avessero detto solo dieci anni fa avrei riso per giorni.

  2. Società è l’insieme delle soggettività. La singolarità appartiene ad una o più soggettività, mentre l’individualismo che binaghi asserisce essere stato sposato dal femminismo (dove? quando? le fonti, non gli elenchi!)è parola pregna di negatività in quanto densa del dualismo a cui il cattolicesimo ha piegato il Paese in ragione una grossa parte dei suoi interessi. Ma noi pretendiamo di scindere il ruolo del vaticano dall’attuale condizione delle donne e predichiamo lodo la Singolarità.

  3. Mi scuso per i refusi, ecco il commento come dovevaa essere.
    Società è l’insieme delle soggettività. La singolarità appartiene ad una o più soggettività, mentre l’individualismo che binaghi asserisce essere stato sposato dal femminismo (dove? quando? le fonti, non gli elenchi!)è parola pregna di negatività in quanto densa del dualismo a cui il cattolicesimo ha piegato il Paese in ragione di una grossa parte dei suoi interessi. Ma noi pretendiamo di scindere il ruolo del vaticano dall’attuale condizione delle donne e predichiamo loro la Singolarità.

  4. (scusate eh prima che mi prendiate per pazza – c’è un refuso nel post mio ultimo, non filoabortisti ma antiabortisti!, ho scritto male)
    Francesca per la tua domanda: secondo Barbieri bisogna lottare per l’autodeterminazione delle donne e quindi, riflettere sulla compartecipazione degli uomini nella gravidanza e sui suoi effetti è contrario a quella logica. Per quanto mi riguarda invece, l’autodeterminazione delle donne può avvenire in certi contesti come assolute, ma in molti altri come soggetti in relazione. dal mio punto di vista la questione della gravidanza e della sua interruzione prevede una partenza almeno relazionale, poi certo il proseguio della questione spetta a lei. Secondo Andrea invece non bisogna dare peso al momento della generazione fatta insieme.
    POi c’è un elemento ulteriore: secondo me esiste un’autodeterminazione dei soggetti, e quindi delle donne nel nostro caso: rispetto al contesto sociale e politico. Secondo alcuni questo contesto va codificato come maschile, secondo me – no.

  5. Zauberei: “secondo Barbieri bisogna lottare per l’autodeterminazione delle donne e quindi, riflettere sulla compartecipazione degli uomini nella gravidanza e sui suoi effetti è contrario a quella logica.”
    .
    No guarda, secondo me, e te l’ho scritto chiaramente sopra, tutti i tuoi ragionamenti sulla (questo bel termine vago) “compartecipazione” hanno senso solo se il diritto a autodeterminarsi è riconosciuto pienamente sul piano formale e sostanziale. Dunque l’autodeterminazione non va ripensata, ma anzi va ribadita e difesa essendo un presupposto di ciò che auspichi.
    Questo benedetto principio dell’autodeterminazione non vale soltanto in questo caso, ma in generale per quanto riguarda i trattamenti sanitari. Quindi va difeso qui, come va difeso nel caso del fine vita, come va difeso nel caso degli interventi precoci su intersex e così via.
    E già che ci sono, visto che le ho sempre fatto tante critiche lo devo fare, aggiungo che la pubblicazione di queste testimonianze da parte della Lipperini mi pare una cosa molto utile – e anche bella.

  6. Temo che il vostro dibattere stia distruggendo un bellissimo spazio…ed è un vero peccato. E’ questo che volete? In quanto alla mail riportata come tema del post dubito davvero sulla sua autenticità. Continuerò a leggervi

  7. brutta sensazione ci ha ragione – tanto abbiamo chiarito il chiaribile e anche io penso che il postare queste storie sia molto bello e utile. quindi acclarate le divergenze torniamo al dunque.

  8. Sì, mi ritiro anch’io perché poi si toglie spazio a interventi sulla base di esperienze. Deve parlare chi ha un corpo diverso dal mio. Comunque sento un vostro riassorellamento con Bad sensation… brave, dateci sotto tutte insieme!

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