L'IMPOSTORE

Sul quotidiano di oggi è
uscita un’intervista molto interessante di Benedetta Crateri a Claude Arnaud
a proposito del saggio
Qui dit je en nous? . Il tema è quello dell’identità, affrontato
attraverso il racconto su cinque “impostori”, dal Cinquecento ad oggi. Ve ne
propongo alcuni stralci:

Cosa l´ha spinta a passare da grandi scrittori dalla
personalità complessa, contraddittoria, all´insegna della metamorfosi come
Chamfort e Cocteau, allo studio di uomini che hanno reinventato se stessi,
assumendo un´identità che non era la loro non già sulla pagina ma nella vita
reale?

«Un interesse molto forte per il problema dell’identità, problema che mi ha
sempre appassionato e che conosco bene per averne fatto l´esperienza di persona.
Ho impiegato io stesso molto tempo per "costruirmi" e per poi
"decostruirmi" e ho conosciuto cambiamenti importanti anche nella
sfera della vita intima. Questo mi ha indotto a credere che l´identità sia una
costruzione e una costruzione non sempre definitiva. Inoltre penso che la
nostra epoca incoraggi sempre più questa "costruzione" identitaria e
tenga sempre meno in conto i fattori ereditari. Non siamo più il prodotto di
ciò che ci ha preceduto – antenati, patria, religione – e tendiamo a definirci
in primo luogo a partire da noi stessi. L´identità non è più un blocco compatto
ma un assemblaggio che mettiamo insieme noi stessi. Per questo ho preso in
esame dei casi di persone che si sono deliberatamente fabbricate delle identità
diverse dalla loro».
A cosa è dovuto questo cambiamento?
«Al venir meno dei grandi legami collettivi, al trionfo ideologico
dell´individuo che vuole corrispondere alle sue aspirazioni, anche a costo di
inventarsi. La storia non è più un fattore decisivo nella definizione di sé,
perché la si studia sempre meno ed ha cessato di essere un riferimento
essenziale, così come la religione non è più un insegnamento obbligatorio e
anche il numero di coloro che la praticano diventa sempre più esiguo. In
passato ci si sentiva debitori della propria vita a Dio e alla famiglia, ora si
deve rendere conto di ciò che si crede di essere soltanto a se stessi e al
proprio psicanalista. E lo psicanalista lavora a decostruire il nostro io per
poi ricostruirlo. La scatola di Pandora è molto più che aperta, è spalancata!».
(…)

A parte il primo caso da lei preso in esame, quello
famosissimo del falso Martin Guerre che si verifica nel XVI secolo e a cui la
storica Natalie Zemon Davis ha dedicato nel 1983 un bellissimo libro, seguito
da ben due film, le altre storie che lei ricostruisce – quella del cineasta
ebreo Erich von Stroheim che a Hollywood si spaccia per un aristocratico
dell´esercito austro ungarico, quella di Kurt Gernstein che diventa nazista per
combattere il nazismo dal suo interno, quella di Jean-Claude Romand che
massacra moglie, figli, genitori per nascondere loro di essere un fallito – si
sono tutte verificate nel corso del Novecento. Tuttavia, nonostante i secoli
trascorsi, vi è una vicenda di segno opposto a quella di Martin Guerre – una
mistificazione la cui posta in gioco non è la prospettiva di una vita migliore
ma l´appropriazione delle sofferenze altrui -, che pur non incorrendo in alcuna
condanna giudiziaria ha ugualmente scatenato uno scandalo teologico. È il caso
di Benjamin Wilkomirski, un orfano di guerra, adottato da una famiglia tedesca
protestante che, diventato adulto, si inventa un passato di ebreo e afferma di
essere un sopravissuto dei campi di sterminio.

«Quello di Wilkomirski è effettivamente un caso affascinante perché egli
utilizza e abusa di questo diritto dei giorni nostri di diventare ciò che
sentiamo di essere e non quello che gli altri – la famiglia, l´anagrafe ecc. –
dicono di noi. Oggi, quantomeno nelle società democratiche e superevolute, è la
nostra verità individuale a prevalere su tutto. Se un uomo si percepisce da sempre
come una donna, può chiedere alla chirurgia e poi all´anagrafe di cambiare di
sesso. E non solo la giustizia lo asseconderà ma proibirà a chicchessia di
contestare legalmente il fatto che sia nato con quei connotati sessuali. Una
legge con effetti addirittura retrospettivi! Dunque, intorno ai vent´anni,
Wilkomirski si sforza di ricostruire la sua infanzia e, affascinato da tutto
quello che ha a che fare con Israele, si convince di essere ebreo. Recatosi
varie volte in Polonia, egli incomincia a riconoscere i luoghi dov´era stato
deportato. E a rendere la vicenda ancora più sconvolgente si aggiunge il fatto
che ad aiutarlo a venire a capo del suo dramma identitario non sono solo gli
psichiatri ma le organizzazioni israeliane che si dedicano a ridare una identità
agli orfani ebrei che hanno perso persino il ricordo dei loro genitori. Dunque
Wikomirski è circondato da medici, psicanalisti, assistenti sociali ebrei che
lavorano tutti a farne un ebreo, rafforzando la convinzione che mette
progressivamente radice in lui di essere un figlio d´Israele».
Poi qualcuno lo smaschera.
«Nel 1995 Wilkomirski pubblica i suoi ricordi atroci di bambino deportato.
Tradotto in nove lingue (anche in italiano, da Mondadori) Frantumi.
Un´infanzia (1939-1948) viene premiato dalle più importati associazioni
culturali ebraiche e salutato dalla critica come "un puro capolavoro
sgorgato dall´indicibile", mentre Wilkomirski tiene conferenze in tutto il
mondo per spiegare le modalità -psicanalisi, auto-ipnosi, tecniche mnemoniche –
grazie a cui ha ritrovato la sua identità originaria. Ma ecco che un giorno un
giornalista svizzero, figlio lui pure di deportati ebrei, venuto a
intervistarlo, avverte nel suo comportamento qualcosa di sospetto. Wilkomirski
ha uno stile teatrale, indulge a ricordi terribili e piange, mentre il
giornalista sa da suo padre che quando i sopravvissuti dei campi si incontrano
evitano di parlare di quanto è loro successo e qualora ciò avvenga non piangono
mai. Prende così avvio una inchiesta che dimostra che Wilkomirski è un finto
ebreo e che "ha dei ricordi che non sono suoi". Quello che più mi
interessa di questa storia è che Wilkomirski non è un impostore volgare, è un
mitomane con un profondo problema di identità. Come accade a tanti, egli
desidera una nuova identità, ma la sua scelta di assumere quella del deportato,
vale a dire della vittima per antonomasia del mondo moderno, non può non
apparirci empia. Inoltre la sua impostura ha rischiato di mettere in dubbio la
verità delle moltissime testimonianze autentiche della Shoah e di prestare il
fianco alle tesi dei revisionisti. Penso che nel caso Wilkomirski bisogna
distinguere questo elemento sacrilego – sostenere di essere stato un deportato
– dal desiderio di essere ebreo. Un desiderio non meno legittimo di quello di
un cristiano che vuole farsi buddista o di un ragazzo che vuole cambiare
sesso».
(…)

A quali conclusioni è approdato alla fine della sua
inchiesta? Qual è la sua diagnosi sullo stato di salute dell´identità al punto
in cui siamo?

«Un dato estremamente positivo è che non siamo più determinati come in passato
dal contesto familiare e storico in cui ci troviamo a nascere e penso che non
ci sia niente di male se qualcuno che si sente diverso da quello che è possa
diventare ciò che desidera essere. È il libero arbitrio esistenziale dei tempi
moderni. Tuttavia, in questo sistema senza passato e senza memoria, in cui
tutto si fa nell´immediato, in tempi reali, è anche evidente che il rifiuto
dell´eredità può indurre facilmente all´impostura. L´identità non è un´essenza,
una verità definitiva, ma rimane un bisogno psichico fondamentale e ciò che
colpisce oggi sono le sofferenze delle persone che, sprovviste di identità, non
hanno gli strumenti per costruirsene una che tenga. Sono liberi ma non hanno i
mezzi per esserlo fino in fondo e dunque fanno del bricolage, con tutti i
rischi che questo comporta».

7 pensieri su “L'IMPOSTORE

  1. In che percorso difficile ci hai portato oggi.
    Cerco un pò di costruire un discorso, ma faccio fatica. Sento la coperta sempre corta e non so dove tirare.
    Ci provo.
    La società individualista la trovo sempre presente in ogni tempo: emeriti naturalmente mi attaccheranno.
    La personalità è sempre stata una scelta individuale più o meno consapevole.
    Si sceglieva di essere più vicini al padre piuttosto che alla madre o essere supremo (religione) secondo le proprie attinenze o debolezze.
    Oggi i fattori che ci influenzano sono tanti: la storia è ormai conosciuta poi c’è l’informazione just in time. Tutto che ci permette di trovare le proprie attinenze o di cadere nelle proprie debolezze allo stesso modo.
    Sempre un pò IMPOSTORI nella costruzione della propria identità.
    Semmai mi domando: è proprio individualista questa società visto che attingiamo sempre da fonti comuni?
    Grazie per darmi la possibilità di poter rispondere al tuo blog

  2. C’è un ulteriore rovescio della medaglia, ne parla anche Zygmunt Bauman in “La società individualizzata”: sono venuti meno dei vincoli (religione, famiglia) che però erano anche dei riferimenti e dei punti saldi. Siamo (saremmo) troppo liberi e questo per alcuni è una spada di Damocle, una iperresponsabilizzazione.
    Da qui deriverebbero l’aumento dell’incidenza di crisi di panico e depressione. All’inizio del ventesimo secolo la principale patologia della personalità era la nevrosi dovuta alla repressione, tutti erano in qualche misura un po’ nevrotici. Oggi al contrario siamo tutti un po’ narcisisti. Tutti dei Woody Allen, ossessionati dalle proprie prestazioni e dagli obbiettivi assurdi che ci siamo imposti.

  3. per ferrigno:
    appunto la mia crisi della coperta troppo corta nasce proprio pensando a ciò che dice Bauman.
    I vincoli meno “solidi” che ci portano verso la “liquidità” delle conoscenze e dei rapporti (Appunto così come dice Bauman) portano alla definizione di una società più individualista (narcisista come dici).
    Ma il dubbio continua a rodermi: quanto di personale e non di IMPOSTORE c’è in questo agire comunque comune?

  4. Brevemente e evitandovi un lungo intervento su tv playstation e altro che vi avrebbe ridotto come mucche Frisone nel periodo di allattamento dei vitelli.
    Dicevo. Brevemente. E le Queen dove le mettiamo? in che contesto rientrano?
    e con la reincarnazione? se fosse un indiano (vedi: India) indù e religioso a dare una spiegazione del fenomeno, come la prenderebbe Bauman?
    tutto questo per svicolare sul fenomeno dei nickname sui blog (sono iscritta al sindacato di categoria) che chissà cosa nascondono.
    Tornando sulla terra: l’articolo è interessante, le spiegazioni anche…ma ci penserò su, c’è qualcosa di cui non sono convinta, non so cosa e spero di ‘illuminarmi’.
    Intanto, come già detto in qualche altro momento, ho letto il bardo todol a scanso di altre reincarnazioni. Sia mai che dopo essere stata, in altre epoche e luoghi, principessa nullafacente e moltotenente e adesso moltofacente e quasi nullatenente non mi ritrovi poi in gironi karmici peggiori 🙂
    Emh,
    mi piacerebbe se la discussione continuasse Nonostante questo ridicolo intervallo 🙁
    besos

  5. Qualcuno si ricorda ancora della Storia universale dell’infamia?
    Lì Borges faceva lo stesso discorso (credo meglio)…

  6. Qualcuno si ricorda ancora della Storia universale dell’infamia?
    Lì Borges faceva lo stesso discorso (credo meglio)…

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