LUCARELLI SULLA NEW ITALIAN EPIC

Su Repubblica di oggi, questo intervento di Carlo Lucarelli.
Un giorno ho visto una fotografia d´epoca coloniale che raffigurava insieme soldati italiani e abissini e mi sono accorto che dovevo tenere a freno il mio immaginario perché non li trasfigurasse e reinterpretasse istintivamente in Apache di Toro Seduto e giacche blu del 7º Cavalleria. Poi mi sono accorto che ne sapevo molto di più della battaglia di Little Big Horn che di quella di Adua e che avrei saputo declinare tutte le trasformazioni del generale Custer – dall´eroe con i capelli biondi di quando ero piccolo all´assassino di bambini di Piccolo Grande Uomo – ma che Vittorio Bottego – con una biografia degna di un Kurtz conradiano – restava solo una statua che dominava il piazzale in cui sono nato, a Parma. E allora mi sono chiesto perché rinunciare a tutto questo, ad un patrimonio di narrazione proiettato nel passato, nel futuro e anche in un presente da perforare con un carotaggio narrativo da pozzo petrolifero.
Per questo raccolgo con entusiasmo ed enorme interesse le riflessioni dei Wu Ming sulla Nuova Epica Italiana, riconoscendomi praticamente in molte delle loro considerazioni. Praticamente, dico, nel senso di una prassi letteraria, di una ricerca fatta di libri e di romanzi che da parte mia e da quella di altri colleghi cerca di raccogliere il fascino della frontiera, della sfida con un nuovo far west.
Una nuova frontiera che non è soltanto fisica (nuove ambientazioni, nuovi mondi da creare ed esplorare), e non è soltanto narrativa (nuove trame, nuove avventure, diverse tecniche di montaggio, temi ed emozioni estreme) ma è anche stilistica (parole nuove, nuove costruzioni, nuove costruzioni in quelli che i Wu Ming chiamano i romanzi mutanti).
Una narrativa di ampio respiro per raccontare e interpretare il mondo, con un linguaggio nuovo e concreto, come a suo tempo fecero gli scrittori del Grande Romanzo Americano per raccontare le contraddizioni e le trasformazioni del loro paese.
Anche attraverso la storia, che per noi italiani non essendo mai passata è sempre attuale e presente (mi autocito anche io con falsa modestia con la mia Ottava Vibrazione), anche attraverso la narrazione della quotidianità nascosta della Camorra di Saviano, o degli italian tabloid di De Cataldo, o l´epica mutante di Wu Ming, solo per citare qualcuno.
La cosa bella è che, come dice Wu Ming, tutto questo sta già accadendo da un pezzo, con tanti autori e con tanti libri che tutto questo già lo fanno in una ricerca che non si ferma a contemplarsi l´ombelico dei risultati raggiunti ma si mette in gioco ogni volta in un modo più alto e più impegnativo. Per questo, anche se le definizioni critiche non sono così importanti, quella di New Italian Epic non è un´etichetta inventata a tavolino.
E´ una sfida che personalmente ho raccolto con passione. Una corsa nella prateria di un nuovo far west che si apre con possibilità entusiasmanti ed infinite. Chiamatela Nuova Epica Italiana, narrativa di ampio respiro, grande romanzo italiano, chiamatela come volete, i nomi – ripeto – non sono importanti. L´importante è proprio la sfida, il desiderio, per chi se la sente e ne ha voglia, di mettersi a correre verso una nuova frontiera.
Concludo con una considerazione di cui magari non c´è affatto bisogno ma che io faccio lo stesso.
In ogni caso chiunque è libero di scrivere quello che gli pare. Sembra una cosa ovvia, ma dal punto di vista letterario noi siamo il paese dei manifesti, del romanzo è morto, delle etichette programmatiche che spesso nascono sul nulla dalla fantasia delle redazioni culturali dei giornali o degli uffici stampa delle case editrici. Le etichette si conquistano sul campo, arrivano dopo a spiegare quello che già esiste e diventano parte integrante del suo movimento. E chiunque, dal più intimo minimalista al giallista più classico, se scrive con sincerità, è altrettanto utile e importante.

28 pensieri su “LUCARELLI SULLA NEW ITALIAN EPIC

  1. Ho apprezzato molto il saggio NIE di Wu-Ming 1. Gli ho chiesto un’intervitsa in merito e tra poco la pubblicherò sul mio blog. Per dirla con parole mie, ho ritrovato in quello che ha scritto Wu Ming, e ripensando a quei (pochi) autori citati nel saggio, che leggo (Camilleri, Carlotto, De Cataldo, Lucarelli), il tratto del calore, della presa di posizione e dell’assunzione di responsabilità. E la faccenda della sovversione “nascosta” di linguaggio e stile. Ci ho pensato scrivendo le mie robe. Perchè gli aggettivi in -mente mi danno fastidio da sempre, ma ce ne ficco sempre qualcuno in mezzo (cazzo cazzo io direbbe albanese) e gli aggettivi indefiniti e i mi-ti-ci-vi vorrei tanto non scriverli. Così quando correggo un mio testo, ora, mi sento rincuorato, un po’ meno solo. E scusate se è poco. Anche il punto sugli UNO e sulla comunità e transmedialità mi trova molto concorde. Ho avuto occasione di fare due chiacchere con Carlotto (mica siamo amici eh, siamo due perfetti sconosciuti) ed ho sentito quanto lui era orgoglioso della musica abbinata al testo. E a me è parsa un gran bella idea. Ho fatto un po’ più di fatica a capire fino in fondo i punti su sguardo obliquo, complessità narrativa e attitudine popular, e sulle ucronie potenziali. La conclusione poi, il tentativo di trovare allegoritmi del NIE, la trovo interessante: la letteratura deve aiutarci a trovare vie d’uscita, perchè “il pianeta sta bene. è la gente che è fottuta”. grazie del saggio e del tentativo. e dello spazio qui, ciao. sergio.

  2. Salve. Io ci ho un romanzo nel cassetto che, a pensarci bene, mi sembra proprio neo-epico. Però non ci ho l’editore. Posso arruolarmi lo stesso nelle brigate del NIE? Da che parte è il fronte?

  3. quanta smania di passare alla storia (della letteratura). Ma la storia se ne frega delle classificazioni speciose! I posteri hanno l’occhio molto più lungo!

  4. ” chiunque, dal più intimo minimalista al giallista più classico, se scrive con sincerità, è altrettanto utile e importante.”
    Ecco, sono proprio contento che nell’altro post ho messo Lucarelli (e Evangelisti) tra i grandi della nostra letteratura di oggi. E per tutto quello che fa, anche i suoi bellissimi programmi in tv, che sono pur sempre ‘narrazioni’.

  5. @Frontale. Vibrisselibri? Dici che vanno bene anche i sans papier, oltre gli AAA (Autorevoli Autori Autorizzati)?

  6. L’artista, diceva Jung, cerca essenzialmente “molti soldi e splendide amanti”, per aver questo è disposto a produrre opere eccellenti.
    Spesso la frustrazione di questi due, pur presenti, desideri ha prodotto opere migliori di quanto la loro soddisfazione abbia permesso, o meglio, visto che si citano i posteri, opere meno legate alla moda del tempo e più durature.
    Le scuole di scrittura sono riuscite a far interiorizzare questo semplice fatto e oggi assistiamo al rovesciamento di questo desiderio, cioè ci sono moltissimi autori che desiderano “pochi soldi e amanti difficili”, e per raggiungere questo fine, hanno, come me e altri, un romanzo nel cassetto che certamente è un fiasco commerciale.
    E’ molto bella l’esortazione “Go west!” di Lucarelli, contiene quell’epica darwiniana dello struggle for life che ha caratterizzato lo sterminio dei pellerossa e facilmente vedrà le ultime fasi dello sterminio dell’identità del romanzo per il trionfo del concreto, per la sincerità diventata genere.
    In fondo lo spazio dei blog ha già fatto molto, posso lasciare andare i pensieri sulla tastiera senza chiedermi se quello che sto scrivendo ha senso, se sto criticando oppure approvando le tesi di Lucarelli o di Wu ming, non lo so.
    Nel suo saggio “L’oggetto ansioso” Harold Rosenberg sosteneva che il processo, il dramma interiore era l’unico aspetto che avesse veramente valore in un’opera di arte contemporanea e che questo fatto era peculiare dell’arte americana, dell’espressionismo astratto, l’unico elemento dell’opera d’arte che non poteva essere falsificato.
    Verso la fine del libro racconta della visita all’expo dell’arte contemporanea in Brasile dove vide opere di artisti brasiliani che evidentemente avevano come fulcro quello stesso dramma interiore di De Kooning o di Rothko e le contestò rivendicando ancora che quel modo era peculiarmente americano.
    Aveva ragione e aveva torto, “noi” scriviamo all’americana e la frontiera, questo spazio della nuova epica è peculiarmente americano, nella presentazione del film americanissimo “In to the wild” ho sentito questa frase; “Del mondo si conosce ormai ogni angolo, ma basta stracciare la mappa e siamo nell’ignoto”, Saviano è figlio di Capote, ma funziona ugualmente, i risultati sono lì da leggere.
    In fondo non ho mai letto un romanzo per capire come si scriveva in russia o in francia alla fine dell’ottocento o fra le due guerre, ma per l’esperienza forte della lettura senza la quale non riesco a finire il libro, non avevo pensato che questo potesse essere teorizzato come nuova frontiera dell’epica.

  7. Ricetta per la confezione di un romanzo neo-epico: si prenda un grosso fatto storico (qualche rivoluzione da qualche parte, qualche battaglia coloniale tipo Adua o El Alamein), oppure un qualche fatto di cronaca che abbia colpito l’immaginazione popolare: Cogne, Vermicino…) oppure un grosso personaggio storico (Hitler, Lawrence d’Arabia e simili), si cerchino un po’ di materiali in rete o in qualche archivio, si centrifughi il tutto con stile neo-pomposo e si avrà bell’e pronto un romanzo neo-epico, che ovviamente lascerà del tutto inatta la cruda realtà del presente.

  8. Gargantua, hai letto L’ottava vibrazione? Certamente no, altrimenti non useresti termini come “neo-pomposo”, e sicuramente non parleresti di scarsa presa sulla realtà del presente.
    Approfitto per chiarire una cosa: sono benvenutissimi, a differenza di quel che scrivono certuni sul proprio blog, i commenti critici e le obiezioni ai post sulla NIE e al saggio originale. Purchè ci sia pertinenza e documentazione, e non semplicemente la battutina velenosa.
    Approfitto anche per chiarire una seconda cosa: i commentatori che sono stati messi in moderazione (due) non sono stati “puniti” perchè erano dissidenti. In un caso, la sottoscritta ha ritenuto di reagire ai “vaffanculo”, “va a cagare”, “invecchi male” che le erano stati rivolti. Nell’altro caso, la sottoscritta non intendeva continuare a fare pubblicità ad un presunto premio letterario cui il commentatore linkava. Premio nella cui giuria la sottoscritta era stata inserita senza alcun preavviso, in spregio a qualsiasi elementare forma di cortesia, se non di educazione.
    Chiudo l’argomento.

  9. Credo che l’intero commento di Mario Pandiani si possa sfrondare fino a lasciare una sola frase, che è centrale e tutto il resto è orpello:
    “hanno, come me e altri, un romanzo nel cassetto”.

  10. Solo due cose rapide:
    1. Nel mio saggio ho insistito sulla netta peculiarità del contesto italiano (paragrafo “Accade in Italia”) e sulla sua imprescindibilità per comprendere queste narrazioni, e ho specificato che c’è un costante riferirsi alla tradizione del romanzo storico italiano (paragrafo “La tradizione”). Dopodiché lo sguardo si allarga, la gittata cambia, le influenze si arricchiscono, ma se l’abbiamo chiamata nuova epica *italiana* il motivo c’è ed è anche ben chiaro.
    E il senso dell’articolo di Lucarelli appare chiaro a chiunque lo abbia letto e non soltanto guardato: riappropriamoci del contesto e della storia italiana, che spesso (quasi sempre) non conosciamo, e che pure influisce sul nostro presente. Lucarelli dice: sapevo tutto di Custer, ma non sapevo nulla di Bottego. Se non ci riappropriamo – come cittadini prima ancora che come romanzieri – di quella storia (es. la nostra storia coloniale) non capiremo come siamo diventati quel che siamo oggi.
    Oh, sarebbe bellissimo se i testi fossero letti prima di commentarli!
    2. Anch’io sono stato inserito senza il mio consenso e senza alcun preavviso nella “giuria” di quel premio letterario (diciamo pure come si chiama: Baghetta), e ho subito un bombardamento di mail in qualità di “giurato”, mail che avevano incipit come questo:
    “Caro Giurato,
    ricordiamo che il termine ultimo per scegliere i 2 poeti tra i 6 partecipanti all’Arci-Premio Baghetta è mezzanotte di lunedì 21 gennaio” etc.
    finché non ho risposto così:
    “Ma ‘giurato’ a chi? Ma scusate, chi ve l’ha dato il permesso di includermi in una qualsivoglia giuria di qualsivoglia premio o concorso o minchiata? Lasciatemi perdere e non mandatemi più una mail che sia una, né a questo indirizzo né a wu_ming@wumingfoundation.com
    E se continuate vi denuncio.”
    Loredana ha fatto benissimo a interdire l’accesso ai commenti a questa gente.

  11. @ Gargantua:
    scrivi” si cerchino un po’ di materiali in rete o in qualche archivio”.
    Mi sa che la fai un po’ troppo semplice, alcuni dei romanzi citati sono il frutto di ANNI di documentazione, spesso accompagnati da viaggi sui luoghi dove i fatti sono avvenuti. Tutto questo ha delle ricadute sulla scrittura che viene prodotta successivamente: questo imponente lavoro intellettuale ( ricerca storiografica, comparazione delle fonti, etc…) è già, a priori, un antidoto a quella ironia postmoderna di cui si è parlato qui sul blog e nel saggio.

  12. Sei anni per concepire e scrivere “L’ottava vibrazione”, con lunghe sedute in biblioteche ed emeroteche, diversi viaggi in Eritrea, digestione di decine e decine di ponderosi tomi sull’Africa, il colonialismo e l’Italia liberale di fine Ottocento. E ancora: giornate passate nei musei, passaggi al setaccio di bancarelle di Porta Portese per trovare reliquie, giornali ingialliti, fotografie… E il lavoro sulla stesura, sullo stile… E’ un romanzo magnifico, che mi viaggia ancora dentro e mi pungola ancora a scriverne, benché ne abbia già scritto (e lungamente) e lo abbia finito un mese fa.

  13. Riguardo al premio Baghetta: il millantato credito è un preciso reato. Avrei tranquillamente denunciato l’autore di un simile comportamento. Del tutto diverso il secondo caso, a occhi e croce, sul quale ho letto altrove la ricostruzione del diverbio, completa di parti censurate e non.

  14. Trovo svilente che ci sia chi possa parlare in modo così superficiale di uno scrittore come Lucarelli. Io non ho letto L’ottava vibrazione e non posso giudicarlo, ma ho letto del lavro che ha fatto l’autore. Quindi facendo la somma lavoro di ricerca+scrittura di Lucarelli, posso solo pensarlo positivamente. Poi, quando lo leggerò, scriverò quello che penso. Purtroppo ci sono giudizi, o commenti affrettati. Volevo ringraziare Wu-Ming1 per il suo commento qua, in particolare sul senso dell’articolo di Lucarelli: “riappropriamoci del contesto e della storia italiana, che spesso (quasi sempre) non conosciamo,”…quanto è vero e quanto è importante, e quanto si studia male la storia a scuola (e pure dopo non è che la si studi poi tanto), soprattutto quella più recente. Aggiungo una mia preferenza, del tutto arbitraria e opinabile: riappropriamoci della nostra storia e del nostro presente: la storia forse ci può aiutare a capirlo; riappropriamoci quindi anche del nostro tempo contemporaneo, perchè qualcosa è successo e, almeno io, non ci sto capendo nulla. e da qualche parte devo cominciare a capirci qualcosa, viste le rappresentanze parlamentari che ci ritroviamo ed i pontefici che si alzano (mai successo!) per salutare sindaci post-fascisti. forse la letteratura non cambierà il mondo, ma aiuta a capire, no?

  15. Ad Angelini:
    “Lui folgorante in solio
    vide il mio genio e tacque;
    quando, con vece assidua,
    cadde, risorse e giacque,
    di mille voci al sònito
    mista la sua non ha”*-°

  16. Via, non esageriamo. Quando Genna parla di dieci anni per scrivere Hitler e Lucarelli di sei anni per scrivere L’Ottava Vibrazione bisogna tenere presente che in in quei dieci & sei anni i due hanno fatto anche MILIARDI di altri cose (fatto cose, visto persone… pubblicato altri libri), altrimenti torniamo al Tormento e l’Estasi: l’Autore con la A maiuscola che si macera romanticamente in interminabili doglie da parto…

  17. @ la Paperini
    E’ ovvio che in quei 6/10 anni hanno fatto anche altro, ma quel genere di fatica di cui parlavo prima, una volta che hai in mano il romanzo non è poi così avvertibile dal lettore. La ricerca storiografica se fatta con un approccio serio e rigoroso richiede molto tempo e il lavoro svolto dal romanziere (mi riferisco ai titoli citati in NIE) è identico a quello fatto da uno storico, differente è solo il risultato: nel caso dello storico il lavoro sulle fonti confluisce in un saggio, per il narratore invece l’esito finale è la produzione di un romanzo. Più il lavoro sulle fonti è approfondito più il risultato sarà “serio” ovvero non pressapochista o superficiale ( la conseguenza etica di cui parlavo sopra, l’antidoto all’ “ironia” ).
    Infatti non si tratta più di ricostruire una semplice CORNICE storica filologicamente corretta entro cui inserire e muovere i personaggi del romanzo, in realtà si tratta di narrare, scomporre e ricomporre una SEZIONE DI STORIA con tutte le sue complessità (per esempio episodi poco conosciuti o del tutto rimossi): così Cacucci ci ha raccontato un pezzo della storia antifascista del nostro paese, Lucarelli un pezzo di storia del colonialismo italiano, Wu Ming una sezione di storia relativa alla nascita degli USA, etc…

  18. @ Anna Luisa. Bene. Allora auguriamoci che tutte queste nobili fatiche producano, accanto ai soliti diritti d’autore, anche qualche salutare risultato nella formazione delle nuove generazioni. Concludo con una tipica domanda UCRONICA: che cosa sarebbe successo se i cinque bulli veronesi avessero letto “Manituana”? (Immagino sia questa la domanda che più di ogni altra sta dilaniando la coscienza dei loro educatori).

  19. Concludo con una tipica domanda UCRONICA: che cosa sarebbe successo se i cinque bulli veronesi avessero letto “Manituana”?
    Risposta:
    magari avrebbero mutato forma: da naziskin a skinhead!

  20. … dimenticavo, la mia risposta è ottimista perché sono così di carattere, ma la tua domanda è un tipico caso di “What if”… e quindi non esiste una risposta certa 😉

  21. Si, non so se rientro nella classe di quelli che hanno guardato e non letto l’articolo di Lucarelli, faccio come se non lo fossi, faccio italianamente lo gnorri.
    Il mio pensiero era un altro, capisco che la storia italiana sia la frontiera epica del nuovo romanzo italiano, quello che sostenevo è che il metodo è americano.
    A sangue freddo di Capote inaugura il romanzo di indagine ed è peculiarmente americano.
    Vogliamo sapere cosa succede oggi in italia, guardiamo cosa è successo tre o cinque anni fa in america.
    Il fatto è che non ci sono americani, a parte i pellerossa sterminati e i pochi superstiti, ma la radice del romanzo moderno, il romanzo inchiesta, è americana.
    E chissenefrega.
    Wu Ming scrive di Jazz su una nota rivista del settore, non è forse epico, non è forse utile a capire? eppure è un’esperienza americana.
    Non credo che si possa pensare la modernità senza questo strappo dell’identità nazionale (che il cielo cancelli questa aberrazione), strappo che ha avuto corpo nella grande contraddizione etnica e culturale americana.
    Ma il problema forse è un altro, abbiamo ancora bisogno di questa identità, non sappiamo più riconoscerci in un indistinto meltin’ pot, maledettamente americano anche quello e così andiamo a sviscerare glorie e bassezze del nostro paese, ma come farebbero Woodward e Bernstein.
    Forse farò fatica a convincere qualcuno che questa non era e non è una critica a Lucarelli o a Wu ming, non ne avrei ragione ne forse pertinenza, è solo una constatazione sulla matrice da cui partono.
    Comunque scherzavo, non ho nessun romanzo nel cassetto, per di più la trovo un’immagine mortificante.
    Io lo tengo sulla scrivania e ogni tanto lo rileggo, a me piace.

  22. Pensa che quando hai scritto “romanzo d’inchiesta” lì per lì ho pensato alla “Storia della colonna infame” di Manzoni, e invece tu stavi per citare “A sangue freddo” di Capote 🙂

  23. Bellissima, volevo aggiungere che la vostra sigla è NIE, non NEI, ma mi arrendo più che volentieri, non sono uno che si nutre di polemiche, siete impagabili nel lavoro che fate e finirei per dire che Manzoni è francese, il che mi sembra troppo persino per me ;).
    Mi piacerebbe molto parlare di jazz un giorno con te, sei tu che tieni la rubrica su MJ?

  24. Sì, sono io. E tranquillo, dopo il tuo secondo commento credo tutti abbiano capito meglio cosa volessi dire. E’ che il primo era un po’ minestronesco, se posso dire… 🙂

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