NEW ITALIAN EPIC

Su Repubblica di oggi esce un intervento di Wu Ming: che è però da considerarsi una sorta di abstract di questo saggio. E’ a questo che vi rimando per capire di cosa si sta parlando e per commentare.
Riporto comunque anche l’articolo-sunto.

Nella letteratura italiana sta accadendo qualcosa. Qualcosa di importante, uno smottamento che getta in crisi ogni etichetta e cliché. Purtroppo, come spesso capita, bisogna guardare l´Italia da fuori per capire di che si tratti.
Occorre la distanza, quella che permette di sciogliere legami superficiali e trovare analogie nascoste. Da noi la visuale è angusta: l´accademia si fiuta l´alito nella mano chiusa a conchiglia, si definiscono «contemporanei» autori morti prima del lancio dello Sputnik e manca del tutto il confronto tra quel che si scrive in italiano e quanto si produce in altre letterature, ad esempio quelle «post-coloniali». Insomma, non si percepisce in che misura molti scrittori italiani stiano producendo opere nuove e sorprendenti. Se ne accorgono, invece, nel resto d´Europa e di là dall´Atlantico: Gomorra di Saviano era tra i cento libri più importanti del 2007 secondo il New York Times; nel Belpaese la notizia è stata accolta come una «curiosità», pettegolezzo editoriale, e invece avrebbe dovuto far pensare, perché Gomorra è quel che affiora, è gli occhi del coccodrillo. Sotto il pelo dell´acqua la bestia è grossa, nuota veloce e morderà a sorpresa. Dall´estero fioccano inviti agli scrittori italiani perché vadano a spiegare il loro lavoro. Tra quanti hanno drizzato le antenne c´è persino il Massachusetts Institute of Technology di Boston. Henry Jenkins, direttore del dipartimento di studi sui media, ha invitato i sottoscritti a fare rapporto su quel che succede. Insomma, serviva lo sguardo esterno per individuare il filone che in America iniziano a chiamare «nuova narrazione epica italiana» o, più breve, «New Italian Epic».
«Epica» nel senso di coralità, narrazioni ampie e a lunga gittata, che mettono in questione la memoria e il futuro, si reggono sulla tensione tra complessità e dimensione popular, sperimentano con punti di vista inconsueti, storie alternative, costruzioni di mondo, e nel farlo cercano costantemente la comunità, il dialogo coi lettori. Il «New Italian Epic» è nato dal lavoro sui «generi», dalla loro forzatura, ma non è più la vecchia «contaminazione», c´è uno scarto, si va oltre, gli autori non si pongono neppure più il problema. E non è nemmeno più il distaccato, gelidamente ironico pastiche postmodernista, parliamo di narrazioni «calde», fondate su un´autentica fiducia nella parola e sulla rivendicazione di un´etica del narrare dopo anni di cinismo e gioco forzoso. «New Italian Epic».
Se la definizione ha un merito, è quello di mettere insieme libri in apparenza diversi, ma che molto hanno in comune a un livello profondo. Negli ultimi dieci-quindici anni si è formata una densa nebulosa di narrazioni. Gli eventi del 1989-´93, dalla caduta del Muro a Tangentopoli, avevano liberato energie e ispirato a fare un uso politico dei «generi», a partire dal giallo e dal noir. Nel 2001, Genova prima e l´11 Settembre poi hanno fatto capire che ancora non bastava. Gli scrittori sono entrati nella nebulosa con le loro navicelle, giungendovi da ogni direzione, e dal centro già ripartono, volano in ordine sparso, le traiettorie divergono, s´incrociano, divergono. Questi autori non formano una generazione in senso anagrafico, hanno età diverse, ma sono una generazione letteraria, condividono segmenti di poetiche, brandelli di mappe mentali e un desiderio feroce che ogni volta li riporta agli archivi, o per strada, o dove archivi e strada coincidono, come nelle genesi di Gomorra e Romanzo criminale. C´è chi, come Camilleri, Lucarelli e Carlotto, ha lavorato sul poliziesco in modo tutto sommato «tradizionale», per poi sorprendere con romanzi storici «mutanti» (La presa di Macallè, L´ottava vibrazione e Cristiani di Allah). Altri, come Genna e De Cataldo, hanno masticato il crime novel con in testa l´epica antica e cavalleresca, per poi affrontare narrazioni maestose e indefinibili (Dies irae, Hitler) o estinguere la spy-story in un esperimento di prosa poetica (Nelle mani giuste). Nel mentre, Evangelisti ibridava in modo selvaggio i generi «canonici» della paraletteratura, al contempo producendo un ciclo epico (la serie del Metallo urlante) che è miscela di soprannaturale, romanzo storico e studio sulle origini del capitalismo. Ancora: partendo dai poli opposti del giornalismo d´inchiesta e del «teatro di poesia», Saviano e Babsi Jones hanno prodotto due «oggetti narrativi non – identificati», Gomorra e Sappiano le mie parole di sangue. E infatti si trascina da due anni il dibattito di lana caprina sullo statuto di Gomorra: romanzo o reportage? Narrativa o giornalismo? Ovviamente, solo per falsa modestia non abbiamo ancora parlato di noi stessi, che pure, fin dall´esordio con Q, siamo «New Italian Epic» dai metatarsi al telencefalo. Vengono in mente altre opere, scritte da Scurati, Guarnieri, Zaccuri, De Michele, Flavio Santi e tanti ancora, alcuni appena esordienti e laggiù, in fondo, premono i posteri. Fermiamoci qui. In quasi tutti i libri presi in esame esiste, esplicita o implicita, una premessa «ucronica», un interrogativo su «cosa sarebbe successo se». Se per anni i media non si fossero occupati solo di mafia sicula ignorando la crescita della camorra; se Leopardi non fosse morto a Napoli nel 1837; se la Banda della Magliana avesse liberato Moro. «Ipotesi controfattuali», le chiamano gli storici.
Imboccarle come rampe di lancio consente di essere spregiudicati, prendere di petto la memoria collettiva, lavare in pubblico i panni sporchi di questo Paese e non solo. Ecco, questo «non solo» ci fa passare dal tempo allo spazio, dalla storia alla geografia: gli autori del NIE sono italiani, eppure non ancorano le loro storie al fondale nostrano, si sentono liberi, liberi di navigare e narrare il mondo. Il mondo li vede passare, come Nettuno ammirò l´ombra d´Argo, e ne resta intrigato. Nella letteratura italiana sta accadendo qualcosa, l´Italia non deve far altro che accorgersene.

96 pensieri su “NEW ITALIAN EPIC

  1. Biondillo e Girolamo non stanno più nella pelle dall’emozione di essere stati “inclusi” tra i neodispepsici di Wu Ming1. Ma l’escluso Marco Lodoli vale il triplo di ciascuno di loro.

  2. Ed è arrivato Giampi che ha capito tutto. Se avesse letto non dico il saggio, non dico l’estratto, ma addirittura i commenti qui sopra, avrebbe intuito che non si parla nè di inclusi nè di esclusi.
    Non c’è peggior sordo eccetera.

  3. A me invece “la vaquità delle pillole heideggeriane” lascia qualche dubbio. Come mai? Un sorrisetto e un saluto, Marco Lodoli

  4. È il luglio 1984 (esattamente cento anni dopo la nascita di Amedeo Modigliani) quando a Livorno vengono ripescate, nel Fosso Reale, tre teste scolpite (si dice) da Modigliani stesso. I giornali di quell’estate riportano per giorni i particolari della notizia, il dibattito che ne segue, gli interventi degli esperti. Poi, a settembre, si scopre che le tre teste erano dei falsi, pietre scolpite dal trapano di tre studenti livornesi, e scoppia il caso. Nel frattempo l’unica persona che avrebbe sicuramente potuto accorgersi che si trattava di falsi, e cioè la figlia di Modigliani, Jeanne, muore a Parigi prima di poter vedere le “sculture”.
    Questo quinto volume della collana Libro Verità ricostruisce tutta la vicenda della “beffa di Modigliani”, dando la parola anche ai falsari, quelli che venti anni fa erano tre ragazzi burloni e che adesso raccontano come quella beffa ha cambiato la loro vita
    http://www.polistampa.com/asp/sl.asp?id=3503
    (A buon intenditor, poche parole)

  5. Giampi, ci vuol ben altro per “non farmi star più nella pelle”: non hai ancora capito che in realtà io sono solo un nickname che riempie le notti insonni dei Wu Ming? 😛

  6. @ Marco Lodoli: l’utilizzo di espressioni come “nueva hola”, “voga”, “moda”, “nuova folata” mi fa sospettare che tu non lo abbia letto, il saggio di WuMing1, visto che lì vengono analizzati libri scritti e pubblicati dal 1993 al 2008 (lo dice anche il sottotitolo: “Memorandum 1993-2008”). E’ dichiaratamente una riflessione su una cosa che esiste già ed è tangibile, non la vaga premonizione di una “nouvelle vague” che chi lo sa se viene o no. Insomma non ci sono precetti in quel testo né indicazioni alla “chi mi ama mi segua” (qualcuno sopra citava Oliviero Toscani, appunto…)

  7. Il 10 febbraio 1910 la corazzata “Dreadnought” (cioè l'”Intrepida”) è all’ancora nella baia di Weymouth sulla costa del Dorset. La “Dreadnought” è stata varata nel 1906: ha una stazza lorda di 18.000 tonnellate, viaggia in crociera a 18 nodi ed è dotata di dieci cannoni di 305 mm. È costata quasi il doppio delle altri nave da guerra britanniche, ma dispone della massima potenza di fuoco marittima al mondo. È l’ammiraglia della cosiddetta Home Fleet (vale a dire della flotta destinata a garantire all’Inghilterra il dominio della Manica) e il suo nome sta per essere usato come “logo” per un’intera classe di nuove navi da battaglia.
    Quella mattina quest’orgoglio e vanto della British Navy sta per essere visitato da una delegazione straniera capeggiata nientemeno che dall’Imperatore d’Etiopia. La notizia è stata annunciata con un telegramma di Sir Arthur Harding del Ministero degli Esteri (il Foreign Office) all’ammiraglio Sir William May comandante in capo dell’Home Fleet. La delegazione, composta dall’Imperatore e tre altri notabili abissini è scortata da Herbert Cholmondley – ancora del Foreign Office – e da un interprete messo a disposizione dal corpo diplomatico. Gli etiopici indossano vesti ricamate e portano il turbante. Cholmondley è in tuba e giacca a code lunghe mentre l’interprete si è limitato a un abbigliamento meno formale con bombetta e giacca scura.
    Il gruppo è partito dalla stazione di Paddington in pompa magna ed è accolto a Weymouth da una guida rossa e un picchetto d’onore.
    La visita alla “Dreadnought” dura un’ora. Sulla nave oltre all’Union Jack, la bandiera britannica, è stata innalzata anche quella che si suppone essere la bandiera abissina. Per un errore è invece quella del sultanato di Zanzibar: ma l’Imperatore, benignamente, si astiene dal rilevare la gaffe. Alla delegazione, guidata da un folto gruppo di ufficiali in alta uniforme, vengono mostrate con orgoglio sia le centrali di tiro, sia le installazioni per le comunicazioni telegrafiche. I rapporti con gli ufficiali della nave sono difficili, perché nessuno degli augusti ospiti parla una parola d’inglese: ma la visita è punteggiata da frequenti “Bunga! Bunga!” e “Chukachoi! Chukachoi!” che, secondo l’interprete, corrispondono a espressioni di alta stima e ammirazione.
    Il tour, funestato soltanto da uno scroscio d’acqua, dovrebbe concludersi con l’invito a un pranzo ufficiale, che però viene cortesemente declinato a causa delle rigide regole alimentari cui gli ospiti sono vincolati; e la mancanza di tappeti da preghiera, necessari per le loro devozioni serali, obbliga il gruppo ad abbandonare la nave prima del tramonto.
    Solo la mattina dopo tutta l’Inghilterra apprende che l’episodio è stato una beffa organizzata da un gruppo di studenti ( i cui nomi sono per il momento coperti dal segreto, e tali resteranno ancora per parecchi anni) con l’obiettivo di mettere alla berlina la spocchia e la pomposità degli ammiragli della British Navy. Il “master-prankster” (cioè il capo dei burloni) è Horace de Vere Cole, figlio ventinovenne di un maggiore dei Dragoni, cognato del leader conservatore Neville Chamberlain e poeta dilettante.
    È lui che ha interpretato il ruolo di Herbert Cholmondley mentre il naturalista Anthony Buxton è stato l’Imperatore d’Etiopia. Grant Duncan (pittore) e Guy Ridley (figlio di un giudice) hanno impersonato i personaggi di due membri del seguito, mentre i ruoli dell’interprete e del quarto notabile abissino sono stati affidati rispettivamente a un giovane snob di nome Adrian Stephen e a sua sorella Virginia (destinata a diventare in seguito uno dei personaggi più famosi della letteratura inglese con il nome di Virginia Woolf).
    (http://www.cicap.org/new/articolo.php?id=101532 )

  8. Secondo me andrebbero già cancellati questi due, perché è spam. Sono nuovo di questo blog ma non c’è bisogno di essere troppo gentili anche con gli idioti…

  9. In Italia, tra il ’93 e il 2008, sono stati scritti eccellenti libri che magari con l’assunto del nuovo romanzo epico non c’entrano nulla. Penso ai romanzi e ai racconti di Michele Mari, di Claudio Piersanti, di Giulio Mozzi, tanto per citare tre autori che apprezzo moltissimo. Artisti che stanno fuori dal seminato, non per scelta o per superbia, ma semplicemente perché hanno scritto le uniche cose che potevano scrivere, senza badare granché ai flussi e riflussi. Solo questo sostengo: che la letteratura è fatta di singolarità irriducibili a uno schema, che i migliori quasi non sanno dove e come va il mondo dell’espressione. Tirano dritto perché nulla li può distrarre o convincere. Un caro saluto da Marco Lodoli

  10. Marco dice: * “la vaquità delle pillole heideggeriane” lascia qualche dubbio.*
    E ha ragione, dato che “vaquita” significa piccola vacca in spagnolo!
    Acc… ad avere fretta quando scrivi… ciò dimostra che Giampi ha ragione, che Marco vale il triplo di me come scrittore, di certo lui non sbaglia a digitare!
    E Giampi ha ragione pure a dire che io sono ancora tutto un brivido d’emozione all’idea di essere stato incluso nell’elenco dei buoni di WM1. Sono qui che fremo come una verginella al primo appuntamento galante.
    Sei contento Giampino mio? Non fare quella faccetta accigliata, lo sai che noi ti vogliamo tutti bene. Se fai il bravo wuminguccio ti aggiunge una notarella tutta per te…
    🙂

  11. Ma, Lodoli, nel saggio di cui si parla non è scritto da nessuna parte che in Italia in questi quindici anni non sia uscito altro e che la corrente individuata sia l’unica esistente. Non è un po’ troppo, diciamo così, “sulla difensiva” questo modo di rispondere a un testo critico?

  12. @ giampi
    Infatti: ne ho due di sorelle neo-epiche, una ancora precaria sulla soglia dei quaranta, un’altra che ha gettato la spugna e perciò dalle statistiche risulta non tra i non-occupati, ma tra i non-in-cerca-di-lavoro (cioè come fosse occupata).
    Più neo-epiche di così…
    @ marco
    hai presente quello strano fenomeno per cui tu fai cadere delle sfere in modo casuale, e queste vanno a comporre, una volta cadute, una curva di Gauss?
    Dire che c’è un qualche schema a posteriori non nega in nulla il fatto che le singolarità si muovano in modo stocastico. Significa solo che qualcuno ha alzato un dito bagnato per cercare di capire se tira il vento, e se sì da che parte. Io trovo più interessante chiedermi da dove viene il vento, piuttosto che parlare dell’unghia sporca, o disquisire se il gallo di latta sia migliore del dito di WM1. E, anche se forse a te non sembra, il tuo insistere su certi “luoghi dell’anima” piuttosto che sugli “spazi epici” aggiunge qualcosa di importante alla discussione.

  13. Ho seguito il dibattito e penso di aver individuato due scuole di pensiero: secondo la prima Wu Ming 1 ha fatto bene a marcare un territorio in cui avrebbero pisciato lui e un’altra dozzina di autori accomunati da otto evidenti segni caratteristici (in realtà non così evidenti e per giunta già ampiamente presenti nella letteratura di tutte le epoche); secondo altri pensatori il recente saggio di Wu Ming 1 tradirebbe sostanzialmente una forte nostalgia per le storiche beffe mediatiche giocate dai Luther Blissett al tempo in cui erano ancora bamboccioni ante litteram (“Spargiamo in giro la voce che ‘sta cosa esiste e vediamo quanti pecoroni ci vengono dietro”). Per quanto mi riguarda, al momento posso solo aggiungere che l’invenzione di un acrostico (“Nie”) basato su parole rigorosamente americane (“New Italian Epic”) per definire un movimento tutto italiano e per giunta dai contorni tutt’altro che definiti, mi spinge più che altro ad apparentare Wu Ming 1 all’Alberto Sordi di “Tu vuò ffa l’ammericano- mericano-mericano ma si ‘nnato in Italì, sient’a mme, chi t’o ffa fà?”. Mi pare che la Lipperini abbia abbracciato in pieno la prima ipotesi, mentre Giampi e altri propenderebbero maggiormente per la seconda. Suggerirei, a questo punto, di sospendere le discussioni e aspettare che sia il tempo stesso a confermare o smentire la fondatezza dell’ipotesi wuminghiana. Giriamo ai nostri posteri, in sostanza, il compito di emettere l’ardua sentenza in merito alla vexata quaestio: “La neo-epica esiste veramente o è solo il frutto di un sogno di mezza primavera del fantasioso Wu Ming1?”

  14. Non condivido troppo. O meglio: condivido ma solo se si parla di nicchia (di-quella-specifica-nicchia).
    La versione di Repubblica è comunque troppo ridotta e quindi un poco fuorviante.
    Il resto di quel che penso lo ho detto in questo dibattito

  15. Letto. Sono d’accordo con la tirata d’orecchi che ti fa WuMing1 (a te ma vale anche per altri): vai troppo di prescia. Penso, recepisco che la discussione sarà lunga, una maratona. Chi parte con scatto da centometrista mi sa che presto finirà con la lingua sul pavè e la milza che urla…

  16. Lipperini, secondo me è soprattutto Wu Ming 1 a pompare l’aura di “evento letterario innovatore” (che sperava si creasse attorno a “Manituana”) per motivi assai piccini:- )

  17. Che amarezza… Da una parte si fa una ricognizione critica della letteratura italiana degli ultimi quindici anni, si individuano elementi e dispositivi che, nascosti sotto le superfici, permettono di accomunare libri in apparenza anche molto diversi, magari sbagliando, per carità, io stesso avrei qualche perplessità, però dall’altra – lasciatemelo dire – le argomentazioni di coloro che non condividono il testo lasciano alquanto a desiderare.
    Qui c’è chi magari ha sbagliato una proposta critica di lettura circa la nascita di una nuova koiné, ma a chi fa notare l’errore liquidandolo con una sprezzante scrollata di spalle, rinunciando ad argomentare le proprie posizioni attraverso un discorso critico altrettanto articolato, dico che in tal modo (oltre a rendersi abbastanza antipatico) non mi fa vedere dove Wu Ming sbagli. Se sbaglia…

  18. Livermore, se l’antipatico sono io, semplicemente perché vedo la letteratura in un altro modo, mi cadono le braccia. Ho solo cautamente ricordato che negli ultimi vent’anni sono apparse molte tendenze letterarie, tutte stimabili, tutte da intelligenti, ma in fondo ciò che conta veramente sono i libri. E i libri imporanti nascono per una necessità irrefrenabile, che difficilmente tiene conto di quanto accade attorno. Forse bisognerebbe rileggersi Blanchot, tanto per citare un uomo che ha ragionato molto sulla solitudine dell’artista. Comunque, lo ripeto, auguro tutte le fortune possibili ai “nuovi epici”. Di sicuro qualcuno di loro, quasi a sua insaputa, ci lascerà un grande romanzo, o forse ce l’ha già lasciato. Cari saluti, Marco Lodoli

  19. Lodoli, mi pare evidente che Livermore si riferiva a persone come Giampi e Lucio Angelini. Anche questa sua ultima reazione mi fa pensare, come ho già scritto sopra, che sia troppo sulla difensiva. Nessuno l’ha attaccata, o negato valore a quel che scrive, o intimato che si metta a scrivere altro, o detto che non esiste la letteratura che lei predilige. Ha fatto tutto da solo.

  20. @ Lodoli, ma non ti annoia essere sempre così “all about me” e anche “coda di paglia”? se uno scrive “antipatico” e “sprezzante scrollata di spalle” e tu ti risenti per primo, vuol dire che in cuor tuo pensi di avere alzato sprezzantemente le spalle. Qui da tre giorni ci sono trolloni da paura, è chiaro che si parlava di loro, non di te.

  21. “E i libri imporanti nascono per una necessità irrefrenabile, che difficilmente tiene conto di quanto accade attorno.”
    Così però sembra un attacco di diarrea…

  22. Confermo che quando ho scritto il post di cui sopra non avevo certo in mente Marco Lodoli.
    Sempre a Lodoli: circa il fatto che i libri nascono da una spinta “che non tiene conto di quanto accade intorno”, mi pare abbastanza ovvio. Nessuno, mi auguro, scrive con l’intento di aderire preventivamente a una corrente. Ma non è questo il punto. Blanchot scrisse della solitudine dell’artista, ma aggiunse poi che l’opera, una volta compiuta, si distacca da chi l’ha prodotta, gli volge le spalle; per inscriversi e partecipare – aggiungerebbe qualcun altro – al generale quadro culturale. L’opera può anche essere stata generata in una torre d’avorio insonorizzata, ciò nondimeno essa è in rapporto al contesto culturale in cui si inscrive, e capita che il lettore attento si accorga che l’opera partecipi di un clima, si presenti come parte di un discorso (tematico, simbolico, ideologico, stilistico o altro) sviluppato attraverso altri testi coevi, indipendentemente dalle intenzioni del suo autore. Tutto qua.
    Mi pare che Wu Ming abbia lavorato su questo livello. Forse le scelte sono discutibili, forse lo è l’impostazione, ma proprio per questo (considerato il livello del commentarium del blog) mi sarei aspettato qualcosa di più delle (ormai fisiologiche) reprimende liquidatorie dei soliti noti.

  23. Insomma Livermore (dietro il quale non è difficile intuire la presenza di Wuming stesso) si lamenta di non aver suscitato il dibattito planetario che si aspettava.

  24. Ma no, povero Livermore, chi frequenta questo blog da un po’ di tempo sa benissimo che non è certo un fan sfegatato dei wuminghi. e conosce anche la paranoia anti-wuminghi di certi troll che tornano periodicamente. cmq è sospetta questa furia di ribadire che “il dibattito non c’è perché io dico che non c’è”, mentre si discute un po’ ovunque e lo stesso “Mafalda” ci perde intere giornate da una settimana 😀

  25. Troppa fretta.
    Tempo al tempo, e santa pazienza.
    Calma e gesso.
    Non siamo che all’inizio dell’inizio.
    Ci vuole tempo per leggere (leggere davvero, intendo).
    Ci vuole tempo per scrivere (scrivere seriamente, intendo).
    Ci vuole tempo per pensare (rifiutare le pressioni e non accettare provocazioni, intendo).
    Ci vuole tempo per discutere (ascoltando gli altri e dando la forma adeguata a quel che si vuole dire, intendo).
    Non siamo che all’inizio dell’inizio dell’inizio. Calma e gesso.

  26. Sono molto in ritardo lo so. Appaio e scompaio al volo.
    Playfulness certo. Ma la Strategia dell’Ariete, potrebbe avere più chiavi di lettura. Forse tra le pieghe, con uno scandaglio più attento, ci si potrebbe trovare un approccio, “filosofico”. Nulla più che la vecchia, cara, stropicciata questione del Male.
    KZJ

  27. Questa su Stampa Alternativa mi sembra una lettura capziosa e veramente troppo spiccia del testo di Wu Ming 1, che è ben più complesso e articolato di quanto potrebbe sembrare leggendo questa lamentela. Ad esempio, una frase come: “Prima, negli anni ottanta e i settanta forse, c’era solo cinismo, sostiene Wu Ming” è caricaturale. Capisco l’amore per la polemica, capisco meno la polemica fine a se stessa.Se il problema è difendere i piccoli editori, anche tra gli autori segnalati dai Wu Ming ce ne sono diversi che pubblicano con piccoli editori, da Luigi Balocchi che pubblica con Meridiano Zero a Simone Sarasso che ha esordito con Effequ. Perché questo aspetto non lo ha segnalato?
    P.S. Ho lasciato questo commento sotto il testo in questione, ma sono finito in moderazione.

  28. Gli ultralibertari di Stampa Alternativa che mettono i commenti in moderazione??? :-))) Quelli che fanno l’apologia dei discorsi scomodi che fanno incazzare etc. etc. etc.? Le abbiamo viste tutte!

  29. Niente di nuovo sotto il sole. Lo sapevo già, che molti avrebbero sbeffeggiato il mio saggio senza previa lettura, e avrebbero parlato di “cordate”, “lobbies”, “mafiette”, benché io abbia trattato anche di scrittori che per me sono perfetti estranei. Come è “normale” che mi si accusi di fare il gioco dei grandi potentati dopo anni passati a segnalare (e spesso addirittura curare) libri usciti per piccoli e micro-editori. E’ il “rischio d’impresa”, va bene così.
    In fondo, la troppo facile ironia non è ciò che critico nel testo stesso? Ai miei occhi, certe reazioni confermano quanto ci sia bisogno della sensibilità che mi sono sforzato di individuare. E mi convincono che ho fatto bene a scriverne. Il dibattito serio che si sta svolgendo è importante. Dedichiamoci a quello.

  30. Vi segnalo, per alimentare la discussione, che nel sito che ho scritto qui sopra è presente un saggio, intitolato ‘Le oche sono uomini’, che si scaglia, tra il serio e il faceto, contro il concetto di New Italian Epic, tra l’altro sostenendo tesi che in parte si ritrovano anche in alcuni vostri post. Ciao!

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