Mi scrive Nicola
Lagioia. Una bella mail, dove il medesimo si dichiara felice di aver letto
uno dei romanzi italiani più importanti degli ultimi anni. Il romanzo è Troppi
paradisi di Walter Siti: vi avevo appena fatto cenno, diversi post
fa, ma è tempo di tornarci, e di condividere la felicità di lettura del mio
interlocutore. E’ proprio così: mettete in valigia Troppi paradisi, non ve ne
pentirete. Intanto, la recensione di Lagioia apparsa su Il riformista.
Troppi paradisi di Walter Siti è uscito da Einaudi in periodo
semiclandestino (limitatamente all’economia editoriale, luglio è tra i mesi più
crudeli…) ed è imprevedibilmente balzato agli onori delle cronache per
ragioni miserevolmente prevedibili: nel libro si parla del basso impero
televisivo targato Rai e Mediaset ed è di poche settimane fa lo scoppio di
vallettopoli. Ma questo, probabilmente il più bel romanzo italiano degli ultimi
anni, è grazie al cielo irriducibile al sottogenere giornalistico del “caso editoriale”.
Chi è stato attratto in particolar modo dall’onomastica vip (nomi e cognomi di
produttori, tronisti e starlette spietatamente intercambiabili) lo ha fatto per
opportunità di redazione o per difficoltà di messa a fuoco: lo specchio per le
allodole non rifletteva questa volta un ologramma ma l’ombra del classico.
D’accordo, per i classici è fondamentale il giudizio del tempo, ma il terzo
episodio della “biografia di fatti non accaduti” inauguarata da Siti nel 1994
con Scuola di nudo e proseguita qualche
anno dopo con Un dolore normale ha di
immediatamente visibile perlomeno la forza cuneiforme dello spartiacque,
dell’evento dopo il quale tutti (lettori, autori, commentatori letterari) sono
costretti a riconsiderare le proprie posizioni, come accadde per La vita agra o Fratelli d’Italia o Seminario
sulla gioventù.
Provo a riassumere in pochi
insufficienti punti alcuni dei motivi per cui questo paese ha trovato nella
storia di un accademico sessantacinquenne, autore di trasmissioni trash e
innamorato perdutamente di un body builder di borgata prostituto e cocainomane,
qualcosa di cui essere orgoglioso senza riserve.
L’Italia. Finalmente con Walter
Siti torna ad essere un luogo degno di venire raccontato. Quando il
provincialismo, più che un’avventura geopolitica satura di imprevedibili e
miraboli conseguenze diventa uno stato mentale, un a priori dell’estetica, i
risultati sono i Parioli di Muccino o l’innocua sala chirurgica della
Mazzantini: chi è provinciale nell’animo prende alla lettera il messaggio
dell’imperatore, crede che dietro la bididimensionalità o la retorica del
Centro non ci sia nulla e si destina a restituire il medesimo messaggio
alleggerito di ogni sua botola, quindi di tutto. E infatti, qual è il libro più
provinciale degli ultimi anni (in questo davvero portentoso) se non quel Codice Da Vinci capace di sottrarre
all’attualissimo tema della mistificazione tutti i suoi insondabili esponenti,
lasciando sulla pagina la povertà della cifra tonda? A contrario, la provincia
può essere la sacca in cui, dopo avere viaggiato per chilometri e deserti di
significato, vanno a raccogliersi, a trasfigurarsi – quindi finalmente a
rivelarsi, a sciogliersi – nodi, occasioni e contraddizioni della Città (non
semplicemente Roma, Parigi o New York ma quella Roma quella Parigi quella New
York erette in ogni dove dallo spirito del tempo). Ci dice niente la
faulkneriana contea di Yoknapatawpha, la Newark di Philip Roth il Caos di
Pirandello? O ancora, basti pensare al barocco brianzolo del bellissimo Vita standard… di Busi, un romanzo che
se solo un colonnello della nostra sinistra si fosse preso la briga di
comprendere non sarebbe stato preso poi alle spalle dalle camicie verdi qualche
anno dopo. In Troppi paradisi il
tessuto di una mondanità di serie b (ma anche quello del più allucinante
esperimento telecratico della storia) viene indagato e soprattutto vissuto con
una tale sapienza, sfrontatezza e sprezzo del pericolo che una parte rivela il
Tutto come nessuno scrittore italiano interessato al tema (dall’interessante Woobinda di dieci anni fa al Costantino di Genna ai recenti tentativi
del sottoscritto) era riuscito a fare. Ecco che le improbabili coppiette della
D’Eusanio o le agnizioni ricottare di Carramba
che sorpresa! diventano improvvisamente patrimonio dell’umanità, la
mediocrità periferica della Seconda repubblica rivela il cuore dell’Impero.
L’impressione è che Siti sia riuscito a sfruttare la coincidentia oppositorum
che riduce spesso il nostro paese alla risultanza di arretrattezze croniche e
avventurosi quanto intentati salti in avanti. E’ tutto un altro paio di
maniche, ma ricordate da quale malestrom di arretratezze e caligareschi
esperimenti sociopolitici l’Italia regalò al mondo le avanguardie? Un ulteriore
motivo per cui l’Einaudi dovrebbe fare di tutto per esportare all’estero questo
romanzo. Ci aiuterebbe a superare il provincialissimo complesso di inferiorità
che da qualche anno ci prende quando leggiamo Houellebecq o Easton Ellis. Ecco,
un autore in grado di reggere e forse anche superare il confronto adesso ce
l’abbiamo, con buona pace degli onesti lavori dei Tabucchi e delle Mazucco.
Superamenti. Ho prima parlato di Vita
standard di un venditore provvisorio di collant. Lo stesso Busi è citato
più volte tra le pagine del romanzo di Siti. Per vitalità, temi, potenza
linguistica, Troppi paradisi potrebbe
sembrare il romanzo che Aldo Busi dovrebbe regalarci se da molti anni non si
travestisse con i pizzi della vedova dello scrittore – non si capisce mai se
per logoramento o per la sindrome del “gran rifiuto”. In realtà non è così
semplice, dal momento che nel libro di Siti c’è un vero e proprio slittamento
etico rispetto all’autore di Montichiari. Laddove in Busi troneggia la poetica
dell’uno contro tutti (una posizione che in un paese ingrato come l’Italia
rischia alla lunga di portare appunto al logoramento, e quindi alla retorica)
Walter Siti si getta a corpo morto in un contesto mostruoso e allucinato come
un trittico di Bosch, si compromette, si sporca le mani, è sempre disposto a
barattare il carico di una presunta integrità con la moneta della felicità ma
soprattutto del suo tramite: la conoscenza. La prospettiva è dunque ribaltata
rispetto alle posizioni di scrittori che con buoni risultati hanno provato a
toccare i nervi scoperti dei nostri ultimi vent’anni. Aldo Nove parlava dei
personaggi di Woobinda come di
“uomini senza speranza” (un neanche troppo azzardato salto logico rischiava di
farli leggere come “uomini senza umanità”) e la contiguità di Celestino Lometto
e Angelo Barzanovi in Vita standard…
apre fossati siderali rispetto all’impossibile ma sempre riuscita comunione tra
il professore di Troppi paradisi e
Marcello, il body builder di borgata di cui si diceva prima. La verità è che
dalle parole di Walter Siti erompe ciò che nessuno scrittore dovrebbe mai
dimenticare: ovvero che ogni cosa è manifestazione dell’umano, anche il male,
la mediocrità, il trash televisivo, i feticci, l’adorazione delle immagni in
cui è stretto l’Occidente. Questo “superamento etico” (indigeribile, lo capisco,
per chi confonde gli uomini morali con i moralisti) consente di trovare
l’autenticità e quindi anche possibili occasioni di riscatto in quel tripudio
di artificiositità che è il reality in-progress di buona parte della nostra
vita. E’ un punto di vista pericoloso, vertiginoso, ambiguo, e proprio per
questo affascinante e meritevole. E’ soprattutto un punto di vista che (questo
il vero superamento…) chiude definitivamente i conti con i Padri. Per Harold
Bloom ogni scrittore si guadagna il certificato della grandezza, di una reale
adultità, scendendo in agone con i propri padri e uscendone non sconfitto o
vittorioso ma riscattato,
trasfigurato, rinato, ovvero libero dallo status di figlio. Il padre letterario
di Siti è stato Pasolini, e Troppi
paradisi è anche l’arena da cui Siti esce “più moderno di ogni moderno di
ogni moderno” attraverso territori che di pasoliniano non hanno più niente. E’
così che funziona. E infatti Beckett si libera di Joyce non sul territorio di
Molly ma su quello di Molloy (attraverso la piccola cruna di quella “o”
supplementare ci passano galassie). Qualche tempo fa, su questo stesso
giornale, mi mostravo insofferente nei confronti degli scrittori-prefiche che,
nani sotto le scarpe dei giganti, ci ammorbano da anni col ricordo di Pasolini,
Moravia, Elsa Morante e via di seguito. Walter Siti finalmente rende onore al
proprio padre con la più difficile e costosa delle pratiche: una seria
elaborazione de lutto.
Reality. Il protagonista di Troppi
paradisi ha lo stesso nome del suo autore (“Mi chiamo Walter Siti, come
tutti”, questo l’incipit rubato a Satie) e l’intero romanzo – un po’ come il Lunar Park di Ellis, ma a mio parere con
esiti migliori – divora senza nessun pudore il format dei reality con esiti
squisitamente letterari e quindi antitetici rispetto al codice televisivo: se
sul piccolo schermo una cinica pretesa di realtà si rovescia nella sua triste
mistificazione, in Troppi paradisi la
dichiarata mistificazione della vita dell’autore si trasforma in coefficiente
di verità. Ecco un altro elemento che fa di questo romanzo qualcosa di prezioso
e provvidenzialmente attuale. Ed ecco il contenuto rivelatorio del suo incipit.
Non siamo professori universitari, non scriviamo programmi per la tv, abbiamo
un immaginario erotico distante anni luce da quello contenuto tra le pagine di Troppi paradisi, eppure sì: Walter Siti
siamo noi.
A mio modesto avviso non si dovrebbero scrivere recensioni ai libri del proprio editore, ma siccome siamo nel paese dei conflitti di interesse…
Lo sto leggendo pure io e condivido appieno – per ora parzialmente ma devo finire – con le impressioni riportate nel post di Loredana.
Andrea
‘diffidente’ ha perso un’occasione per stare zitto… ;p
ci sono libri che piegano i nostri meschini interessi al desiderio di esprimersi per far sapere che ci si è imbattuti in un libro importante…
La recensione mi è piaciuta tantissimo… ho acquistato il libro, che aprirò soltanto tra qualche giorno – ora non ne ho il tempo – e leggerò durante le vacanze. Anch’io, leggendo qua e la di questo libro, ho avuto la sensazione che Siti si sia in qualche modo (finalmente) ‘liberato’ di Pasolini. Ho apprezzato molto anche le tante citazioni del romanzo di Busi: Vita standard è in effetti un libro pazzesco, ancora attualissimo. E che, mi si permetta di dirlo senza star troppo ad argomentarlo, supera di gran lunga tutti i tentativi odierni di letteratura del lavoro (meglio, della fine del lavoro) che vanno tanto di moda.
Ora che ci penso: mi aspetto talmente tanto da Troppi paradisi che sono quasi preoccupato di rimanerne deluso… 😉
Against the day
Sinossi
Coprendo un arco di tempo che va dalla fiera mondiale di Chicago di 1893 e gli anni subito dopo la prima guerra mondiale, questo romanzo si muove dalla disoccupazione in Colorado alla New York d’inizio secolo, a Londra e Gottingen, Venezia e Vienna, ai Balcani, el’Asia centrale, dalla Siberia al misterioso evento di Tunguska, dal Messico della rivoluzione, alla Parigi dopoguerra, fino alla silent-era di Hollywood ed uno o due posti non proprio rintracciabili nelle carte geografiche.
Con un disastro mondiale che si profila all’orizzonte appena alcuni anni prima è un momento di sfrenato ed avido commercio, di falsa religiosità, di “fecklessness moronic” e d’intenzioni diaboliche nelle alte sfere. Nessun riferimento al presente è voluto o dovrebbe essere arguito.
Lo smisurato numero di personaggi include anarchici, fumettisti , giocatori, tycoons , drogati , innocenti e decadenti, matematici, scienziati pazzi, shamani, indovini e maghi, spie, detectiv, avventurieri e mercenari. Ci sono brevi cammei di Nikola Tesla, Bela Lugosi e Groucho Marx.
Mentre comprendono che un’era della certezza va finendo e un futuro imprevedibile incomincia, queste persone principalmente cercano di perseguire le proprie vite. A volteci riescono; a volte sono le loro vite ad inseguirli.
Nel frattempo l’autore fa il suo mestiere. Ferma i personaggi che stanno per cantare poiché per la maggior parte sono stupide canzoni. Avvengono strane pratiche sessuali. Si parlano lingue oscure, non sempre idiomatiche.Avvengono fatti contradditori . Se non è il mondo, è che cosa il mondo potrebbe essere con un piccolo aggiustamento o due . Secondo alcuni questo è proprio uno degli scopi principali della fiction.
Il lettore decida, il lettore stia attento. Buona fortuna!
Thomas Pynchon
“tradotto” da Oedipa http://pynchonalia.blogspot.com/
Il libro di Siti dev’essere veramente notevole.
E’la prima volta che vedo critiche cosi’ positive all’unanimità.
Stupenda recensione. E sì, l’unanimità dovrebbe essere indice di qualità.
Eh già, da D’Orrico a Parente, tutti d’accordo. Dà da pensare.
o.t.
quelli che dicono, me lo metto in valigia, me lo leggo durante le vacanze, eccetera.
ma come fare a leggere durante le vacanze, quando il tempo è tutto “libero”?
(meno parole, più efficaci, avrebbero potuto farci capire qualcosa del libro di siti. io comincio da Scuola di nudo, per dire)
… il libro me lo posso leggere quando mi pare..?.. ma cos’è? La fiera dei commenti inopportuni..?..come fare a leggere durante le vacanze è una domanda decisamente strana. Mi rifuto di rispondere perché è talmente sciocca che potrebbe nascondere un tranello… 😉
La ragione per cui ancora non lo sto leggendo è semplice: ora sto leggendo qualcos’altro!
Concordo assolutamente con chi, come Lagioia, considera “Troppi Paradisi” uno dei romanzi piu’ importanti degli ultimi anni e pure credo che, anche grazie a una notevole pubblicita’ ed ad un momento di pubblicazione casualmente favorevole (vd Vallettopoli), questo libro sara’ piu’ acquistato che letto…. molti lo compreranno sulla spinta della pubblicita’, (basta pensare a Piperno….) pochi lo leggeranno per intero e ancor meno saranno quelli che potranno comprenderlo e apprezzarlo.
Scusate, il libro di Siti potrebbe anche essere il miglior romanzo di tutti i tempi, non l’ho letto, lo farò, nel frattempo non dico nulla.
Sta di fatto che sia innegabile, e veramente non capisco come sia possibile non essre d’accordo con “diffidente”, che è quanto meno fuori luogo scrivere recensioni a libri pubblicati dall’editore in cui si lavora.
Sono due questioni diverse, è chiaro. Ma la qualità del libro, che è la prima delle due, non sposta di una virgola l’opportunità di riflettere sulla seconda, io credo.
Quindi… lasciatemi capire:
1) Importuni i giudizi di Calvino su Fenoglio.
2) Importuno Eco su Moravia.
3) Importuno per il povero Garboli (che ha pubblicato per Einaudi, Garzanti, Adelphi ecc. ecc.) esprimere giudizi se non su autori di Passigli (nemmeno: ha pubblicato pure per Passigli)
4)Importuno Tabucchi su Pessoa.
5)Importuno Cioran su Ceronetti.
6) Importuno (se un critico, un giornalista, uno scrittore) ha pubblicato ad es. per Mondadori e Longanesi, espreimere un giudizio su un libro Mondadori, Einaudi, Longanesi, Guanda, Neri Pozza ecc. ecc.
beata innocenza, si potrebbe dire. Se non fosse che maledetta è l’ignoranza e il rodimento…
Cara Maria, io non ho offeso nessuno, tu sì ma ti lascio in tutta tranquillità al tuo inutile astio.
Nicola Lagioia con Einaudi ci lavora, non ha semplicemente pubblicato un libro con codesta casa editrice. Se la differenza non ti è chiara, evita pure qualsiasi riflessione sull’opportunità di una recensione scritta (e praticamente ripresa da mezzo mondo) in tal modo. Io continuo a ritenere, ma è un’opinione e come tale contestabile, che chi lavora – poniamo – in un ristorante dovrebbe evitare di scrivere una recensione sul Gambero Rosso riguardante il ristorante medesimo.
Sono consapevole di attirarmi strali di ogni tipo per l’improprio e irriverente paragone (ma è una provocazione evidente), ma il conflitto di interessi non ha confini merceologici (e la cultura, volenti o nolenti noi stessi, è anche una merce).
Caro Giuseppe,
scusami, non ti volevo offendere. Un eccesso di polemica, sorry. Però dovresti informarti, come diceva Totò: Lagioia lavora per minimum fax, non per Einaudi.
M.
Caro Giuseppe Mauro, ti vedo informatissimo. A me risulta che Nicola Lagioia sia editor di Minimum Fax, e che con Einaudi abbia semmai pubblicato due libri.
Lo so che Nicola lavora per Minimum fax, ma so anche che tra le sue collaborazioni (numerose, peraltro, e tra cui è difficile districarsi) c’è anche quella con Einaudi.
Ovviamente, potrei sbagliarmi.
In tal caso, il conflitto di interessi di cui si discute sarebbe ovviamente molto più sfumato. Al limite dell’inesistenza, direi.
Un conto è essere clienti del ristorante, un conto è lavorarci, per restare al paragone culinario…
E se lo dice Loredana Lipperini, io mi sbaglio di certo.
Minchia, ragà, ma a noi (a noi tutti) questi anni di Berlusconi ci hanno fatto proprio male. C’è una tale cultura del sospetto ormai… non ci si ferma più manco a capire che ci ha detto il prossimo, prima si cerca di capire che tessera ha (se ce l’ha), che cosa ci nasconde, come ci vuole fottere. Siamo tutti un po’ vicini alla paranoia. E’ come se ci portassimo (visto che si parla di cucina 😉 ) appresso gli assaggiatori. Prima strilliamo che il filetto è avvelenato, e poi semmai lo assaggiamo. Rilassiamoci, torniamo a pensare ai contenuti, provo a dire io…
Consigliato da una persona del mio ambiente di lavoro ho letto troppi Paradisi.Un buon incipit,una discreta scrittura “fluently”(non ci si annoia nel leggere),un tocco di gossip,una spolverata di morbosità.Per il resto il vuoto assoluto,mancanza di qualsisasi tensione(narrativa, etica, erotica ,esistenziale),banalità espressiva,personaggi privi di spessore,lunghezze insostenibili(La seconda parte poteva durare la metà della metà).Chiaramente è un parere personale visto l’entusiasmo critico che il libro ha suscitato(anche in chi non l’ha letto) che in qualche modo mi soggeziona.Probabilmente non avrò capito le sfumature post pasoliniane,nè sono in grado di percepirne il”superamento etico”.A me è sembrato solo l’ennesimo,trito nonche’ un po’ triste romanzo “ombelicale” nel senso che è stato scritto da qualcuno che non riesce ad andare aldifuori del proprio ombelico e di questo si bea e racconta.Quando il personaggio dice”io sono un mediocre” e attreverso questo ricattatorio escamotage si permette qualsiasi digressione dall’esaltazione dell’impalatura a una lattiginosa difesa della pedolfilia,non fa altro che dire la verità.Personaggio mediocre ,romanzo mediocre .Soprattutto mi ha colpito la mancanza assoluta di ironia,di distacco, di senso critico. se la realtà che si evince è che il mondo della televisione fa schifo,che i reality sono delle patacche,che la vita è tutto un “magna -magna” anche il quadro critico sociologico è piuttosto povero oltrechè qualunquistico.
Se questo è il libro più importante degli ultimi anni,il moderno che supera i moderni,devo dire con uno slancio morale o moralistico che tanto viene disprezzato ,che temo il momento in cui inserito come testo nel programma di terzo liceo,mia figlia dovendo studiarlo mi chiederà una mano e io per aiutarla in qualche modo sarò costretto a rileggerlo.
ci sentiamo tra un anno.Quando chi proverà a parlare di Siti come un bravo scrittore sarà scambiato per un alienato e trattato come un reietto,solo perchè non spende il suo tempo a parlare di qualche altro capolavoro che cova sotto la cenere(nelle migliori librerie ai primi di novembre).”Tuuutto a posto”(cfr amores perros)
Mi dispiace doverlo dire proprio io che da dieci anni dico che Siti ha scritto il capolavoro degli ultimi vent’anni, cioè Scuola di Nudo, ma Troppi Paradisi NON E’ UN BEL LIBRO. Il fatto che Lagioia ora parli del libro o che Corrado Augias dopo dodici anni per sua stessa ammisione, “scopra” Siti parla abbastanza chiaro su quali siano le motivazioni per cui si sta leggendo questo libro: perché parla di gente come Augias e Lagioia.
Rimane la speranza che questo libro serva a far leggere, finalmente, Scuola di nudo, un libro scritto con una lingua magnifica e un romanzo struggente e fenomenale. Un dolore normale era la riduzione-riedizione per “lettori scemi” di Scuola di Nudo. Troppi Paradisi è solo un libro scritto maluccio, poco incisivo, con una lingua debole e stentata. E per di più ha la colpa di tentare tesi sociologiche e rappresentazioni della realtà generali e, lasciatemelo dire, già superate dagli eventi.
Strano, questo ultimo giudizio di Battig. Da umile lettore non letterato di professione avevo trovato Scuola di Nudo un po’ ridondante, un po’ lesivo della vicenda, mentre trovo questo ultimo scritto bene, dotato di una vicenda e scritto in una lingua che è contemporanea senza essere collusiva coi birignao e i tormentoni.
Trovo infine abbastanza strampalato il discorso del conflitto di interesse, strampalato perché sbagliato. La lipperini lavora per la rai e scrive su repubblica. Avrà pubblicato per lo stesso editore di Siti (“in cui” non lavora, semmai ci pubblica), ma che vogliamo farci se la Lippa è frenetica poliedrica e polivalente?
Mica può tacere e parlare solo dei libri editi da Pizza&Fichi stampatori in Roccasgurgola. L’importante non è che taccia, quanto che siano note le sue connessioni, questo per tutti e nel suo caso la trasparenza mi pare supergarantita.
Io la amo per questo,perché è una poliedrica di qualità, e anche io sono, di fatto, in conflitto di interesse: la lodo amandola.
Una nevrosi contemporanea, il conflitto di interesse, non il mio amore per Lippa, che invece è acqua di fonte.
“L’Italia. Finalmente con Walter Siti torna ad essere un luogo degno di venire raccontato.”
Giusto.
Un libro irritante, fastidioso, a volte faticoso, a volte smagliato (grazie a dio, dopo tanta roba piacevole omogeneizzata precotta e prevedibile) e anche uno spartiacque. La Gioia ha ragione, è il libro italiano più importante che io abbia letto negli ultimi anni e che miniaturizza quasi tutti gli altri.
E’ raro che escano libri così, ringraziamo dio e Walter Siti.
scritto da temperanza