RACCONTARE LA VIOLENZA

Bene. Proviamo a fare una riflessione pacata sulla narrazione della violenza: mi sembra che sia importante e che ce ne sia bisogno.
Parto da tre esempi letterari.
Primo. American Psycho, di Bret Easton Ellis. Uno dei libri più importanti, a mio umile modo di vedere, degli anni Novanta e non solo: e questo al di là di ogni interpretazione sociologica che di quel romanzo si possa dare (e che, nei fatti, è stata data). Ellis sceglie la prima persona per raccontare le ossessioni glamour di Patrick Bateman. A narrazione avanzata, lo stesso tono è riservato al catalogo di omicidi, torture, stupri, mutilazioni, necrofilia, cannibalismo che entrano nella vita di Bateman e che sono posti sullo stesso piano dei completi Armani e della musica dei Genesis.
Secondo. Lasciami entrare di John Ajvide Lindqvist. Nel romanzo c’è una scena in cui Håkan, l’uomo che procaccia sangue per  Eli, è in agguato in uno spogliatoio maschile. Håkan è un pedofilo (questa, anzi, la motivazione che lo porta a uccidere per conto del vampiro): spiando gli adolescenti sotto le docce si eccita e ha  un fugace orgasmo.
Terzo. Terre desolate, terzo libro della saga della Torre Nera, di Stephen King. Susannah viene stuprata da un demone. Scelgo questa scena, ma nella produzione di King sono moltissime le opere che avrei potuto chiamare in causa.
Cosa hanno in comune i tre libri, a parte la durezza dei temi trattati?
Poco, in apparenza: il primo è un romanzo che si definirebbe mainstream, il secondo è un horror, il terzo può essere definito sbrigativamente fantasy, se proprio si deve fornire una catalogazione.
Molto, ai fini del discorso che mi piacerebbe approfondire.
Ovvero, il punto di vista. Anche qui, in apparenza, esistono delle diversità. Ellis sceglie, come detto,  la prima persona: teoricamente, il suo è il punto di vista di Bateman. Ma non è del tutto esatto: perchè la narrazione viene  congelata, e non permette a chi legge di identificarsi in alcun modo nel personaggio. Lindqvist narra in terza persona: nella scena che ho citato, però, il punto di vista è quello di Håkan. Ma  a chi legge non è concessa alcuna empatia verso il personaggio. Anche King usa la terza persona: il punto di vista è quello di Susannah, ma il lettore non è chiamato a fermarsi sull’atto della violenza, ma sulla serie di azioni che la circondano.
Cosa voglio dire?
Che nei tre casi citati chi leggge non si sente, mai, voyeur. Non c’è nessuna concessione all’erotismo (che viene invece richiamato, specie da Lindqvist e King, in altri momenti dei romanzi) nella messa in scena della violenza. In ambito letterario, è difficile arrivare a questo risultato. In ambito visivo, è ancora più difficile, suppongo. Ben lo dimostra un  articolo di Francesco Longo uscito su Il riformista nel passo dove afferma:
“Le ragazze nude disegnate sono inevitabilmente seducenti (così come i corpi, massacrati, respingenti). Il lettore del fumetto le osserva con gli occhi del carnefice, il punto di vista salta all’improvviso e noi guardiamo con gli occhi degli stupratori. Non è una questione di immedesimazione, ma di forma del desiderio. La seduzione dei corpi porta fuori strada e alla storia di dolore si mescola, sgradevole, l’attrazione per ciò che ha causato quel dolore. Che lo si voglia o no, il lettore si fa voyeur”.
Voglio semplicemente dire che è estremamente complesso maneggiare questa tematica e che quando la si affronta ci si assume una responsabilità che deve essere molto chiara e che necessita di spalle forti.
Soprattutto in un contesto come quello italiano, oggi. Giustamente, Natalia Aspesi faceva questa osservazione, su Repubblica di questa mattina: “Dieci anni fa la storica Barbara Ehrenreich, in un suo studio sul rapporto tra guerra e ruolo maschile, osservava che gli stupri sono più frequenti dove vi sono norme sociali di accettazione dell´uso della violenza come mezzo legittimo per ottenere ciò che si desidera”.
Complesso,  ma  importante. Ragionavo ieri, con un amico, di quanto sia necessaria la narrazione visiva della storia italiana recente e contemporanea che si accompagni a quello che è lo sguardo letterario attivo, oggi, sulla  medesima. Proprio per questo, è indispensabile concentrarsi sul lavoro di approfondimento che deve precederla e accompagnarla.
E’ un invito.
Ps. In coda, l’integrale dell’articolo di Francesco Longo.

Come insegna “Valzer con Bashir” un dramma disegnato può scuotere le nostre coscienze con più onestà estetica. Ma i corpi delle vittime sono troppo seducenti per non “sposare” con sguardo voyeurista gli istinti dei carnefici. Le motivazioni sociali delle ragazze sono resi un po’ troppo semplicisticamente dagli autori Valenti e Ambu.
 
di Francesco Longo
«Di che hai paura? È dei Parioli, non lo vedi?», dice Donatella Colasanti per rassicurare l’amica, quando lascia il numero di telefono ad un ragazzo sconosciuto. Al processo per il massacro del Circeo Angelo Izzo dirà: «Io con quelle ci ho parlato. Mi hanno raccontato della Montagnola… se ne volevano andare da quel quartiere… da quella vita di miseria». Si capisce subito che intorno alla tragedia privata – la morte di Rosaria Lopez e le violenze su Donatella Colasanti avvenute al Circeo nel 1975 – compaiono elementi che la rendono simbolica. Da una parte ci sono i riccastri di destra figli di un quartiere borghese, dall’altra giovani borgatare che si esprimono in dialetto, considerate arrampicatrici sociali in cerca di rampolli. Misoginia, odio di classe, sesso, politica.
La cronaca nera si scurisce ancora di più quando si alza il livello emotivo e iniziano i linciaggi. Dopo la recente violenza a Guidonia sono scattati i raid razzisti. Risultato: albanesi colpiti con le mazze da baseball perché i romeni avevano stuprato la ragazza. Il problema slitta in poche ore: non era più lo stupro la questione, ma gli stranieri. Serve un passo indietro.
Il delitto del Circeo è ancora oggi presente nell’immaginario collettivo per la quantità di significati e contraddizioni che sollevava. Commentarono quel caso tutti, da Pasolini a Calvino. Esce oggi in libreria un libro intitolato Il massacro del Circeo (Edizioni BeccoGiallo pp. 160, 15 euro), che ricostruisce la tragedia attraverso un graphic-novel scritto e disegnato da Leonardo Valenti e Fabiano Ambu. Operazione in cui non mancano dei rischi. La collana si chiama “Cronaca nera. I casi che hanno sconvolto l’Italia”, e racconta storie che vanno dal mostro di Firenze a Unabomber, dalla Banda della Magliana al delitto Pasolini. La scelta del fumetto per raccontare ferocia e brutalità è terribilmente efficace, basti pensare al film Valzer con Bashir candidato all’Oscar. L’animazione o il fumetto possono aprirci gli occhi più di un film perché si ha a che fare con qualcosa che simula chiaramente la realtà. La mente, davanti a un film con attori, può difendersi perdendosi nella sospensione dell’incredulità o nel riconoscimento che è solo un set, stanno recitando, il sangue è pomodoro. Il fumetto o il documentario d’animazione si presentano come finzione deliberata, e la mente va subito oltre la rappresentazione, e finisce, senza paracadute, in mezzo al dolore della vicenda.
Però il meccanismo sembra incepparsi quando c’è di mezzo l’erotismo. Le ragazze nude disegnate sono inevitabilmente seducenti (così come i corpi, massacrati, respingenti). Il lettore del fumetto le osserva con gli occhi del carnefice, il punto di vista salta all’improvviso e noi guardiamo con gli occhi degli stupratori. Non è una questione di immedesimazione, ma di forma del desiderio. La seduzione dei corpi porta fuori strada e alla storia di dolore si mescola, sgradevole, l’attrazione per ciò che ha causato quel dolore. Che lo si voglia o no, il lettore si fa voyeur.
Già al tempo del Circeo la violenza divenne un pretesto per ragionare d’altro. Si cercano sempre capri espiatori indistinti: è più semplice affidare la responsabilità ad un gruppo o a una comunità. Per Pasolini il delitto era emblematico: i ragazzi della borgata, che lui aveva raccontato, avevano ormai il mito della borghesia, emulavano i “figli di papà”. Per Italo Calvino le cose non erano da leggere in questa chiave. L’autore delle Città invisibili, che aveva più familiarità con i mattoni di fantasia che con le periferie, dava la colpa alla ricchezza. Sicurezza e benessere rendevano plausibile che un ragazzo potesse fare una rissa fuori scuola un giorno e compiere un massacro nel week-end. Calvino riportava la questione ad un fatto economico, ad uno stile di vita.
Pasolini accusò Calvino: «Tu crei dei capri espiatori, che sono “parte della borghesia”, “Roma”, i “neofascisti”». E poi aggiunge qualcosa che, alla luce delle cronache attuali, suona molto strano: «Se a fare le stesse cose fossero stati dei “poveri” delle borgate romane (…) non se ne sarebbe parlato tanto e a quel modo. Per razzismo. Perché i poveri delle borgate (…) sono considerati delinquenti a priori». Oggi i poveri delle borgate sono diventati le vittime. I nuovi carnefici sono gli stranieri.
Il libro a fumetti Il massacro del Circeo indugia sulla differenza sociale tra vittime e torturatori. Le due ragazze guardano deluse il proprio mondo «triste e grigio». Addirittura, in una pagina, gli autori disegnano la ragazza che sogna un villino lussuoso, sogna di «diventare moglie», sogna la fede al dito infilata da uno di quei «principi» dei Parioli.
Il delitto del Circeo, incredibilmente, può aiutare a leggere le tragedie attuali. Ci ricordano che i mostri non sono gli altri e non vengono da lontano. La violenza si annida negli ambienti comuni, sta nei vicini di casa insospettabili. Persino nel nostro sguardo sedotto da un fumetto. Il male, ci ricorda, non è legato alla povertà né alla miseria. Ma alla natura umana. Izzo, Guido, Ghira avevano il passaporto italiano e portafogli gonfi. Il libro chiude con una citazione significativa, tratta dall’Istat: «In Italia, le violenze subite dalle donne non vengono denunciate nella quasi totalità dei casi».

149 pensieri su “RACCONTARE LA VIOLENZA

  1. Il fatto è molto semplice: hai fatto una sparata assurda su quell’immagine, arrivando a definirla apologetica, dimostrando di avere scarsi strumenti d’analisi per quello che riguarda gli elementi visivi, tutto qua.
    Basta vedere la composizione, la maniera in cui sono stati rappresentati i carnefici e il punto di vista dell’inquadratura scelto dall’autore per smontare il tuo punto di vista.
    Molto più sensato, a questo punto, parlare di come si sono decise di rappresentare le vittime ma su questo ha detto meglio di me Gipi.

  2. Comunque, la chiudo qui.
    Loredana aveva aperto questo nuova discussione per arrivare a un dialogo civile, lontano dalla polemica alzata su quella copertina.
    Ci siamo ricascati e me ne scuso con la proprietaria del blog.

  3. “Basta vedere la composizione, la maniera in cui sono stati rappresentati i carnefici e il punto di vista dell’inquadratura scelto dall’autore per smontare il tuo punto di vista.”
    Magari bastasse. Ne sarei ben felice. Ma le cose stanno diversamente, ed è soprattutto la composizione a veicolare il messaggio che molti hanno recepito. Quell’immagine è glamourizzante, è un infortunio, ne viene fuori un’apologia basata sul fascino della violenza, del dominio incontrastato su qualcuno, dell’arbitrio che spersonalizza la vittima. Ha ragione Nautilus, il tono di quella copertina è di sadismo. Sarebbe bastato avere un minimo di umiltà, ammetterlo, dire senza tentennamenti e distinguo assurdi che c’è stata superficialità d’approccio. Invece la reazione è stata isterica, si è lanciata una crociata contro la “censura” delle “femministe”, si è dato del forcaiolo a destra e a manca, si è cercato di riportare tutto a discorsi arzigogolati sullo specifico del fumetto come medium. Si è ciurlato nel manico. Io la penso così, io la vedo così. E qui mi fermo, penso che sia tutto chiaro e spiattellato e ognuno può farsi un’opinione.

  4. come sarebbe altrettanto umile ammettere che scagliarsi contro un fumetto intero e i suoi autori, e non solo su una copertina, sia stato un errore, discorsi sulla violenza a parte. perchè è screditante per chi fa quel mestiere. in generale. esulando dal fumetto in questione.
    di errori, come vedi, ce ne sono.

  5. Una personale minutaglia. In un mio romanzo, ho modificato una sequenza di tre avverbi: per come li avevo concatenati, facevano “effetto Cettola Qualunque”. Non potevo saperlo, perché all’epoca il sabato sera non guardavo Fazio, dunque non sapevo che Albanese (che stimo sotto ogni aspetto artistico) aveva riportato in scena l’onorevole C.Q., del quale mi ero dimenticato. E quella mia serie di avverbi aveva anche un fine grottesco: ma in quel momento il lettore avrebbe pensato al personaggio di Albanese. Non era quello che volevo, li ho tolti. Ora, se io mi faccio queste domande su tre-parole-tre in un angolo secondario e remoto di un romanzo, possibile che nessuno (disegnatore, direttore di collana, editore…) si faccia una domanda analoga – “Che effetto fa sul lettore?” – rispetto al disegno sulla copertina di due donne nude? Ci voleva tanto a disegnarle ancora vestite?

  6. ma ci vuole tanto a capire che l’intervento iniziale della proprietaria di questo blog non era solo sul disegno in sè (che era lo spunto) ma si è spostato poi sul disegnatore e su tutto il fumetto senza averlo aperto?
    accanirsi sulla cover significa solo dare giustificazione a un attacco che era stato sferrato in maniera più radicale, della cover se ne è parlato più che in abbondanza, direi.

  7. Peccato che stiate rovinando una discussione davvero molto interessante con battibecchi su chi è più o meno empatico, che mi sembrano molto meno interessanti.
    Condivido alcuni pensieri di Loredana sul caso in questione, però leggendo i commenti di Recchioni davvero non riesco a dargli torto.
    Penso che non sia così facile e automatico distinguere tra empatia vera e ipocrisia (faziosa o meno che sia).
    La ripetizione ossessiva dei nomi delle vittime da parte di Wu Ming però mi ha ricordato una brutta pagina -di cronaca ma anche di giornalismo- recente, quando al TG chiamavano i due bambini trovati morti in fondo ad un pozzo “Ciccio” e “Tore”, come se fossero amici o parenti.
    Penso che i fatti di cronaca debbano restare più lontani, per essere giudicati obiettivamente. Più freddi, se vogliamo. E penso che questo non c’entri nulla con l’empatia o la capacità di entrare in contatto con il dolore altrui. Credo siano due cose ben diverse e distaccate. Così come è diverso venire annegate in una vasca da bagno o morire di tumore psicosomaticamente indotto trenta anni più tardi. Non dico che una cosa sia meglio dell’altra, è vero che non si può (e non si deve) misurare il Male con il bilancino, ma restano due cose diverse, non accumunabili.
    Entrando invece nel merito dell’articolo e del fumetto… Non ho mai trovato adatto il fumetto come mezzo per raccontare la realtà esattamente com’è.
    Penso a Maus di Spiegelman e non riesco ad immaginarlo senza le maschere animalesche che l’autore utilizza per raccontare la storia. Quelle maschere non la rendono meno reale, cruda e dura. Forse però l’avrebbe fatto il non utilizzarle?
    Invidio chi riesce ad elaborare un parere preciso sul lavoro di Valenti e Ambu. Io proprio non riesco a schierarmi.

  8. Vorrei aggiungere ai miei interventi di ieri e l’altroieri che la responsabilità della copertina non è del disegnatore: la responsabilità di una copertina è della casa editrice, come l’impaginazione e il lettering.
    Nessuno qui vuole demolire il lavoro di un professionista specifico- cioè, non io -, ma combattere contro una faciloneria che è offensiva e apologetica (non in teoria ma in pratica). Mi rendo conto che sono volate parole grosse, ma l’errore è stato grosso.
    Quanto a Fabiano Ambu, arroccato sulla difensiva nel suo blog, mi chiedo cosa si aspettasse… Se ci si assume la responsabilità di disegnare su un fatto così grave (e ostico per il fumetto – non nel senso che il fumetto non abbia il diritto di, ma nel senso che ogni forma ha una sostanza che gli è più congeniale e questa era una sfida) credo si debba mettere in conto la possibilità di fare dei passi falsi, e imparare da questi. Oppure continuare anche a ritenersi del giusto, ma almeno non cadere dalle nuvole. Ha disegnato un fumetto su un fatto gravissimo, pensava che sarebbe passato liscio, senza critiche da parte di nessuno? Senza urtare la sensibilità di nessuno? Perché la Lipperini non avrebbe dovuto dire la sua? O noialtri? Sulla morale possono parlare tutti, e la sensibilità rispetto ai messaggi dell’inconscio non è legata certo al grado di alfabetizzazione (che comunque su questo blog mi sembra piuttosto alto).

  9. “La ripetizione ossessiva dei nomi delle vittime da parte di Wu Ming però mi ha ricordato una brutta pagina -di cronaca ma anche di giornalismo- recente, quando al TG chiamavano i due bambini trovati morti in fondo ad un pozzo “Ciccio” e “Tore”, come se fossero amici o parenti.”
    Il motivo per cui ho detto i nomi e poi li ho ripetuti era dichiarato in premessa e spiegato in modo (credo) molto esplicito e chiaro. Rispetto al gratuito e mai spiegato – e quindi morboso – utilizzo di “Ciccio e Tore”, qui è diverso il fine, diversa la retorica impiegata, diverso il contesto, diverso il canale, inoltre manca l’uso di nomignoli che creino una falsa vicinanza. Manca anche l’ossessività, a meno che per parlare di “ossessione” (anche qui ci vorrebbe una scelta accorta delle parole che usiamo) non sia sufficiente dire una cosa tre volte in un commento e poi stop. Laddove nella vicenda dei due fratelli scomparsi c’era una prossimità pelosa perché ingiustificata, un’autentica intrusione, qui si era determinata la situazione contraria: le vittime erano tenute a distanza, dietro una parete di tecnicismi e sofismi. Ho ritenuto necessario ricordare che non stavamo parlando dell’idea iperuranica di “donna vittima” (della “vittimità” di una donna astratta), ma di due vittime vere, di un fatto concreto, di una sofferenza con cui tutti noi (tranne i giovanissimi) abbiamo fatto i conti per anni, ogni volta che vedevamo in tv o menzionata sui giornali Donatella Colasanti, che ha continuato a darsi da fare fino alla fine perché la vicenda non fosse né spettacolarizzata né rimossa come non fosse accaduta.
    Questa distanza tra noi e quelle persone mi sembra quella giusta e corretta: non vanno cancellate per parlare d’altro, e non va millantata una prossimità che non sia prossimità al dolore che chiunque di noi potrebbe ritrovarsi vicino, dovesse accadere qualcosa del genere a una persona a cui vogliamo bene.

  10. “ma ci vuole tanto a capire che l’intervento iniziale della proprietaria di questo blog non era solo sul disegno in sè (che era lo spunto) ma si è spostato poi sul disegnatore e su tutto il fumetto senza averlo aperto?”

    Sergio, non ho capito: era nell’ “intervento iniziale” oppure “si è spostato poi”?
    E stai imputando a Loredana di essersi concentrata solo sulla copertina anziché sul libro, oppure di aver condannato il libro senza averlo letto?
    Perché delle due l’una, le due critiche si elidono a vicenda.
    Per chiarezza, potresti citare le frasi in cui Loredana critica il fumetto?

  11. “Questa distanza tra noi e quelle persone mi sembra quella giusta e corretta: non vanno cancellate per parlare d’altro, e non va millantata una prossimità che non sia prossimità al dolore che chiunque di noi potrebbe ritrovarsi vicino, dovesse accadere qualcosa del genere a una persona a cui vogliamo bene.”
    ovvero, tutto quello che parla di cronaca non in senso giornalistico (e in teoria “freddo”, ma anche qui ci sarebbe da aprire un discorsone…) praticamente è sbagliato o corre il rischio di non funzionare?
    potrei fare un bel po’ di esempi sbagliati allora in cinema, letteratura, fumetti, dossier, e vediamo un po’, documentari, mmm…
    stiamo un pochetto estremizzando.

  12. @Sergio:
    “ovvero, tutto quello che parla di cronaca non in senso giornalistico (e in teoria “freddo”, ma anche qui ci sarebbe da aprire un discorsone…) praticamente è sbagliato o corre il rischio di non funzionare?”

    Onestamente, trovo questa domanda ininterpretabile, non trovo alcuna pertinenza con quello che ho scritto io. Non sarà che la vera “estremizzazione” è questo continuo spostare il piano dal concreto all’astratto che più astratto non si può? “Benaltrismo”, direbbe qualcuno.
    Ho fatto due esempi concreti di distanza che considero sbagliata:
    1) eccessiva lontananza, cioè rimuovere completamente le vittime (come è successo qui);
    2) eccessiva vicinanza, cioè parlare come se si fosse amici intimi delle vittime, fare del pietismo e dell’exploitation su di esse (come nel caso di “Ciccio e Tore”).
    E ho detto che la distanza giusta è: senza millantare false intimità con le vittime, sentirsi vicini a quello che nelle loro sofferenze è comune a tutti noi.
    Poi sei libero di trovarci quello che vuoi, dentro queste mie affermazioni, anche una confutazione delle teorie di Lobachewsky sulla somma degli angoli in un triangolo.

  13. e, perchè no, anche speciali del tg su delitti vari, e anche stupri, sia chiaro. dove teniamo bene in testa che uno speciale del Tg attrae e fa molti più soldi di un albo Beccogiallo.
    già.
    dimenticate proprio il fatto che se gli autori del fumetto sul massacro del circeo avessero voluto fare scalpore (o soldi), strumentalizzando lo stupro, non avrebbero scelto un fumetto.
    ve lo giuro.

  14. Vedo che continui a rispondere senza leggere: sto parlando della differenza tra la scomparsa dei nomi delle vittime avvenuta in questa discussione e l’uso insistito dei nomi dei fratelli scomparsi fatto nelle cronache pruriginose di quei giorni. Tu mi ribatti dicendo che potresti farmi esempi tratti da opere d’arte. E’ un altro piano.

  15. Può anche darsi, ma a me sembrava chiaro. Qualcuno ha stabilito un’analogia tra il mio fare (per la prima volta da quando è partita questa discussione!) i nomi delle vittime del Circeo e l’uso di due nomignoli di ragazzi scomparsi da parte di pletore di giornalisti e strizzalacrime. Ho giudicato il paragone improprio, e ho spiegato perché.

  16. e io ho detto che secondo me stai estremizzando, e in maniera troppo retorica, perchè non credo (e non perchè io sia felice di questo, ma perchè è così) che tutti i mezzi di comunicazione si preoccupino davvero di non fare soffrire qualcuno parlando di un male che può, tristemente, avere subito qualcun’altro.
    a partire dai tumori, che sono spiattellati una puntata sì e una no, chessò, di Dr House, e per la quale qualcuno può avere perso una persona cara il giorno stesso, dato che è parecchio frequente.

  17. Non so. Io American Psycho un po’ lo avevo trovato “erotico”. Sarò perversa io… Ma in realtà non sento di esserlo davvero. Nè di aver mai desiderato di essere stuprata. Secondo me qualsiasi immagine di stupro è in parte “erotizzante”. Poi sta ai sani di mente distinguere tra fantasia e realtà. O anche, tra lettura dei media e realtà.

  18. Ora, per chiarezza e per rispetto dell’interlocutore, rispondo all’altra obiezione di Fran, poi concludo.

    “Così come è diverso venire annegate in una vasca da bagno o morire di tumore psicosomaticamente indotto trenta anni più tardi. Non dico che una cosa sia meglio dell’altra, è vero che non si può (e non si deve) misurare il Male con il bilancino, ma restano due cose diverse, non accumunabili.”

    Se si ha la pazienza di verificare da dove è cominciata la discussione su dolore e bilancino, si vedrà che inizia da questo passaggio del mio primo commento:

    “Quelle due ‘fighe’ erano persone vere, che sono state carne e ossa, che hanno sofferto, che sono morte nel dolore.”

    Sono state carne e ossa. Hanno sofferto. Sono morte nel dolore. Tutto vero e innegabile.
    Chiedevo di ricordare che si stava parlando di qualcuno, non di nessuno. Qualcuno che aveva sofferto.
    Mi si è risposto che Donatella Colasanti non è morta a causa dello stupro.
    Come se questo invalidasse il discorso.
    E su quel chiodo si è continuato a battere, battere, battere.
    E io questo lo trovo desolante.

  19. Sergio: boh. Non capisco nulla di quello che scrivi, nulla. Incomprensibile. Sarò ottuso io. Propongo, con serenità, di chiuderla qui, perché raramente ho visto un confronto tanto inutile e infruttuoso.

  20. COSA? Lo stupro erotizzante? Qua non si tratta di perversione, è peggio. E chi non trova eccitante farsi stuprare sarebbe malato di mente? Ditemi che quel commento è un falso.

  21. Sergio.
    Riprendo una domanda di WM1. Quali sarebbero le parole della Lipperini contro l’autore e il fumetto?
    No vorrei proprio leggerle. De core.
    – – –
    Perché sia nel post originario sia nei commenti non ha fatto un riferimento uno al fumetto né all’autore. Ha parlato, specificando 300 (non 2, ma 300) volte almeno, della SOLA copertina\locandina che ha pubblicato nel blog.
    Segnalando un forte sentimento di stizza\rabbia\repulsione nei confronti della stessa. Sentimento pare condiviso da parecchi.
    E qui si è alzata un’onda di protesta da parte di persone che leggevano da anni ma si sono materializzate giusto ieri per dire che in realtà si stava condannando il graphic novel senza averlo letto, si voleva limitare la dignità d’arte al fumetto a via dicendo.
    Famo a non capissi?

  22. wu ming: sei troppo forte, davvero. questa chiusura fa davvero capire il tuo rancore. non so, fai leggere a un bambino sotto casa i miei commenti, senza pregiudizi, ti assicuro che li capirà.
    in questa sede, ancora, non ha avuto il coraggio di rispondermi nessuno al motivo per la quale sono intervenuto su questa discussione (a partire dal primo commento in alto), ovvero, non per non parlare di violenza in senso stretto, ma far capire che il primo intervento su questo blog era stato poco carino, e che sarebbe stato carino ammetterlo.
    ma la discussione si è spostata, convenientemente, perchè è difficile ammettere che giudicare un intero fumetto da una copertina è impossibile anche da un addetto del settore (e i tali, infatti, hanno SOLO parlato della cover), e che si può quindi avere fatto un piccolo, normale errore.
    e tu Wu Ming hai davvero agito di gran classe, puntando sulla morale più bieca e opportunista,dicendo che si deve pensare alle vittime degli stupri etc.
    ora rileggi il mio discorso sul Dr House, magari ti sarà chiaro.

  23. Mah, Sergio.
    Vedo che non vuoi chiudere, e mi dispiace, come mi dispiace che tu veda rancore in una battuta che voleva alleggerire, solo perché non ho usato l’emoticon.
    Non ho usato l’emoticon, come invece hai fatto tu, solo perché non ce la faccio a inserire sorrisini dove si parla di stupri, sarò troppo sensibile io, non so.
    Vedi, tu continui a dire che Loredana ha giudicato il fumetto. In due ti abbiamo chiesto di citare dove lo avrebbe fatto. Hai glissato.
    Hai esordito su questo blog dicendo che Loredana non conosce il fumetto. Ti è stato fatto notare che se ne occupa da tempo, e che non si può piombare in un contesto e sputare sentenze in questo modo. Hai glissato anche su questo.
    Io ho parlato di stupri e vittime di stupri perché qui si stava parlando di questo, fin dall’inizio. L’argomento è questo, e scusa se lo riteniamo un po’ importante. Forse persino più importante di certi infiorettati discorsi sul fumetto, o della difesa forsennata della reputazione di un autore che nessuno aveva attaccato personalmente.
    Riguardo al tuo discorso sul Dr House, ho riletto il commento come mi hai chiesto, e continuo a chiedermi: che c’entra con quello di cui stavo parlando io?
    Mi stai accusando di sostenere che in un romanzo o in un film non si dovrebbe parlare di tumore? Ci ho scritto un romanzo io stesso, su uno che muore di tumore. E alcuni dei libri di cui mi sono occupato più a fondo recentemente parlano di persone che muoiono di tumore.
    E se non mi accusavi di questo, chissà di che altro mi accusavi.
    Davvero, io dei tuoi ultimi sette-otto commenti non ho capito nulla, nemmeno vagamente.
    E qui mi fermo. Ciao.

  24. quindi, vuole dirmi, lavandosene le mani, che il suo intervento non ha suscitato clamore e polemiche sul fumetto intero e sui suoi autori, arrivando a descrizioni ormai passate alla storia dei modi-di-dire?
    che, davvero, non ha nessun ripensamento sul fatto che due persone che hanno sudato su questo per colpa di questo riflettore si sentano addirittura demonizzate da qualcuno come gente che istiga allo stupro?
    allora risponda al mio quesito, messo da parte (furbamente?) di stamattina.
    perchè ha postato quell’articolo oggi?
    per dimostrare, facendo ammenda senza dirlo, che il fumetto in questione è buono o perchè fra le righe ci sono ulteriori richiami alle “gnocchette” e quindi chi è dalla sua parte troverà giovamento in quei passaggi?
    così, per saperlo, così la mia morale va a quel paese e dormirò sempre più facilmente sonni tranquilli.

  25. M’è piaciuto assai l’intervento di Pispisa.
    Secondo me coglie perfettamente il punto.
    Narrare, mostrare, evocare la violenza è sempre, anche nei momenti più sublimi, fare uno sgambetto al lettore\spettatore.
    E soprattutto nasconde sempre, e sottolineo il sempre, un rischio. Il rischio di urtare, anche a livello inconscio, la sensibilità altrui.
    Presumo che un autore faccia cenno alla violenza per due ordini di motivi: perché la reputa necessaria per veicolare il “messaggio”, tipo come è stato detto in “Soldato blu”, oppure perché ha bisogno della violenza per far compiere ai propri personaggi un salto nello sviluppo altrimenti ingiustificabile, penso a “Il cacciatore”.
    Ma esiste un terzo motivo, quando ha necessità di un momento “forte”, spiazzante.
    E qui che di solito casca l’asino. Perché non esiste bravura, non esiste astuzia, non esiste perizia, né “buone intenzioni”.
    Riporto due esempi filmici, che considero due assoluti capolavori. “C’era una volta in America” di Leone e “Parla con me” di Almodovar.
    Ebbene ci sono due scene di stupro, assai diverse tra loro nella dinamica e nella situazione, che per me sono momenti d’arte eccezionali per come sono riusciti a rappresentare un multilivello di significati.
    Eppure, a diverse mie amiche hanno fatto schifo, ribrezzo provocando fastidio.
    E qui non riesco a sbloccarmi dall’impasse.
    Hanno sbagliato? Sergio e Pedro non avrebbero dovuto inserirle? Oppure l’arte può permettersi di calpestare alcune sensibilità pur di raggiungere il proprio obiettivo?

  26. x wu ming: fra noi due il caso è davvero disperato, ci vuole davvero dr house. lasciamolo morire, così come i nostri battibecchi.
    anche questa è una buona battuta finale, non metto sorrisini altrimenti passo per quello insensibile che, in una discussione sugli stupri, li mette.
    ottimo, per far diventare anche me insensibile in un colpo solo.
    la retorica si spreca in maniera disgustosa. almeno con te ho finito, sempre che tu non voglia riaprire le danze.

  27. Se io me ne lavassi le mani, Algozzino, non sarei qui. E non perchè io ritratti in alcun modo la sensazione di ripulsa che ho avuto nei confronti della copertina.
    Mi pare di averla motivata nel post di oggi, che intendeva essere un invito all’approfondimento e una possibilità di confronto.
    Quanto agli autori del disegno e della locandina (non giudico lo sceneggiatore, evidentemente: non ho letto il fumetto): se tengono al loro lavoro, forse potrebbero prendere in considerazione il fatto che se impatta negativamente su alcune persone (forse una nicchia di “malati di mente”, forse persone disturbate con la testa da animale, come mi viene graziosamente attribuito altrove) potrebbe, chissà, esserci un elemento quanto meno di dubbia efficacia comunicativa.
    Quanto alla recensione, molto semplice: Francesco Longo mi ha scritto una mail dicendo che aveva affrontato la stessa questione sul Riformista e mi ha inviato il suo articolo. L’ho postato, come avrei fatto con altri interventi, a favore o contro le mie posizioni: semplicemente perchè questa è una consuetudine di questo blog, quando una discussione si protrae per più di un post.
    Una considerazione: forse la mia morale risulta singolare, ma mi viene spontaneo pensare in primis alle protagoniste della vicenda narrata, visto che stiamo parlando di un fatto realmente accaduto.
    Seconda e ultima considerazione: non sono abituata a parlare di autori, ma di opere. I miei interventi non sono, mai, sulle persone, ma sul loro lavoro. Questa è la responsabilità che mi prendo e che continuo a prendermi.
    Mi piacerebbe che venisse condivisa: ma noto che parlare di bigottismo, inutilità, insanità mentale, frustrazione sessuale ecc. ecc. risulta più facile e, a quel che vedo, più divertente per molti.
    Spero che i suoi sonni siano sereni.

  28. Seconda e ultima considerazione: non sono abituata a parlare di autori, ma di opere. I miei interventi non sono, mai, sulle persone, ma sul loro lavoro. Questa è la responsabilità che mi prendo e che continuo a prendermi.
    piccola considerazione mia: parlare di apologia degli aguzzini del Circeo, o mettere un’opera nel calderone della “cultura dello stupro” (nei modi con cui era stato spiegato nel precedente post), rende veramente difficile segnare dei distingui netti tra giudizio sull’autore e giudizio sull’opera.
    E scommetto anche che buona parte dei toni accesi, in questa discussione, sono stati causati anche da questo.

  29. x lalipperini: è stata molto chiara, e, mi creda, se mai potrà interessarle, quando le dico che oggi si è spiegata molto bene. anche sull’articolo allegato adesso, e la ringrazio.
    spero solo capisca quale è stato il punto di vista di un autore di fumetti come me, che sono “nulla” già nei fumetti, ovvero ancora più “nulla” a livello mediatico, nel leggere in conseguenza a quel suo primo intervento delle pesantissime accuse sugli autori dello stesso fumetto.
    come ho detto, per quanto forte e coscente del mezzo in cui mi adopero, se qualcuno di noi volesse davvero dare fastidio e marciare su uno scandalo o lucrare su un fatto di cronaca, non lo farebbe coi fumetti.
    nei romanzi a fumetti raccontiamo qualcosa, e non tutti possono riuscirci secondo i crismi, perchè a volte ci vuole anche più esperienza, ma di sicuro stiamo attenti con le nostre possibilità ai passi che facciamo.
    a lei, buon lavoro.

  30. Sergio e Cristiano.
    Questo apre un secondo fronte, però, su cui ho intenzione di tornare. E riguarda proprio il fumetto italiano. Mi rendo perfettamente conto che la situazione non sia affatto ottimale. Anzi. E, che lo crediate o meno, l’ho sperimentato proprio su questo blog, dove parlare di fumetto veniva da non pochi frequentatori delle patrie lettere considerato qualcosa di anomalo e di meno importante rispetto alla narrazione su carta.
    Però.
    Però chiudersi a difesa “comunque”, a mio parere, non aiuta. Ne riparliamo.

  31. Molto volentieri, davvero. Solo una specifica: in tutta questa storia, il punto per me non è mai stato una levata di scudi a seguito un attacco al fumetto, inteso come medium. Credo che la mia posizione e le mie motivazioni non sarebbero cambiate troppo se avessimo parlato della copertina di un romanzo o della locandina di un film.
    In ogni caso, grazie mille del confronto!

  32. UNO SFORZO, UN RESET
    Per Cristiano e tutti gli altri.
    Io provo a ragionare con la mente sgombra e tenendo conto delle sensibilità di tutti quelli che si sono espressi.
    Per amor di precisione, e per l’ennesima volta: l’apologia si può fare anche senza volerlo.
    A determinare l’esito di un’opera non c’è solo l’intento dell’autore, altrimenti in giro vedremmo solo ed esclusivamente capolavori. Entrano in gioco tanti fattori: esperienza, perizia, sensibilità. Tutte cose di cui non nasciamo dotati, e su cui dobbiamo lavorare. Quindi un’opera può essere apologetica dello schifo anche senza o contro la volontà dell’autore. A volte questo rivela qualcosa nel subconscio dell’autore, altre volte no.
    Io non ho nessun motivo per dubitare dell’onestà intellettuale di Fabiano Ambu, ma sono d’accordo con Donata, il suo cadere dalle nuvole mi fa pensare a una sottovalutazione di tema, approccio e possibili reazioni. Questi non sono argomenti da prendere alla leggera.
    Forse ha ragione Gipi: fumetti su eventi-cardine come questi, che toccano corde iper-sensibili, dovrebbero essere affidati a persone che li “sentono”, e curati con attenzione estrema e cognizione di causa, con tutte le cautele. Ragazzi, il Circeo non è “uno stupro qualunque” (nessuno stupro lo è, continuate a leggere per capire bene cosa intendo): è un omicidio emblematico, evento storico fondamentale, avvenuto all’incrocio di tutte le peggiori correnti degli anni Settanta. Su questo fatto si scazzarono Calvino e Pasolini, e se ne discute ancora, la fuga di Ghira è una cause cèlebre, mette insieme neofascismo, strategia della tensione e quant’altro.
    Io spero che disegnatore e sceneggiatore abbiano parlato con persone che si occuparono direttamente del massacro del Circeo. Mi auguro che abbiano consultato chi ne visse sviluppi e contraccolpi. Io posso parlare della mia esperienza: quando abbiamo dovuto scrivere dei regolamenti di conti del Dopoguerra, noi WM andammo a parlare con persone che per quei fatti dovettero scappare dall’Italia. E’ così che si fa, quando si affronta la storia recente.
    Ancor più del cadere dalle nuvole, mi fa pensare tutta la gigantesca levata di scudi, con insulti, anatemi e cazzi vari, per un giudizio liberamente espresso, per giunta non sull’intero progetto, ma solo sulla scelta della copertina. Una reazione spropositata, che sicuramente ha esacerbato il tutto. Dentro quel calderone, ho visto affiorare uno spirito di rivalsa maschile, di revanscismo antifemminista, che avevo già incontrato tante volte, anche tra artisti e intellettuali, ma che mi sembra crescere sempre di più.
    E qui vengo alla “cultura dello stupro”. Tutti noi maschi siamo costantemente in pericolo di sottovalutare certe cose che invece le donne colgono immediatamente, e quindi rischiamo (tutti, anche quelli di noi che ci stanno più attenti) di contribuire a riprodurre ed espandere la cultura dello stupro, nostro malgrado.
    Ecco, sottovalutare il fatto che quasi tutte le donne che sono intervenute qui e altrove abbiano trovato l’immagine raggelante, sottovalutare questo, non rifletterci sopra, è già un pericolo, ci mette su un brutto piano inclinato.
    Siamo per questo tutti stupratori in pectore? No. Ma, per via della nostra lunghissima consuetudine col dominio indiscusso sull’altro genere, abbiamo meno sensori delle nostre sorelle. Ci paiono “normali” cose che non dovrebbero (più) esserlo.
    Ecco, tutto qui.

  33. Grazie WuMing per il reset; è esattamente e finalmente qui il punto.
    E non vi pare significativo che tutto questo interminabile dibattito sia stato condotto in modo quasi esclusivo da uomini? che le donne, sempre molto presenti in questo blog, si siano nella maggior parte astenute? c’è stata ad un certo punto una carica di violenza tale da suscitare una necessità di fuga, perchè caparbiamente non si è voluto vedere il nocciolo della questione. Che di stupro si stava parlando. E di una vicenda che sta scritta nella memoria di tantissimi di noi, che hanno provato dolore e vergogna all’epoca e ancora li provano . Andate a rivedervi le immagini del processo. Andate a riascoltare le parole degli avvocati che difendevano Izzo e gli altri. e poi forse sarà un po’ più chiaro perchè questo modo di affrontare la questione è stato sentito come ripugnante. Mica solo dalle donne, naturalmente.
    Grazie a Loredana comunque, credo che da questo post potranno nascere tantissime riflessioni.

  34. Io davvero non vorrei tornare su questo, perché è un passo indietro. Però è infondato dire che il punto di vista nella copertina è quello delle vittime. Manca qualsivoglia effetto di prospettiva che giustifichi questa affermazione. Noi siamo ad altezza occhi degli stupratori sogghignanti, loro ci guardano sogghignando, “sfondano la quarta parete” in cerca della nostra complicità. Noi siamo insieme a loro, non insieme alle vittime. Le vittime sono piccoline, lontane da noi, in basso, nel fondo della copertina. Le vittime sono ai nostri piedi. Noi siamo insieme ai mostri del Circeo.
    E questo è soltanto uno degli aspetti.
    Ci sono le pose cool, le espressioni del viso, la disinvoltura.
    C’è il fatto che le maschere non le indossano, ma le tengono in mano, loro ci mostrano le loro facce soddisfatte, e perché mai lo farebbero se noi non fossimo loro complici?
    C’è il modo di rappresentare le due ragazze, di cui già molto si è parlato (nudità, bei culi, niente visi, riccioli alla Manara etc.)

  35. Siamo alle spalle delle vittime, con gli stupratori davanti.
    Il nostro punto di vista è quello delle vittime. Questo è l’ABC della decodifca del racconto per immagini., eh?
    Esempio:
    se devi rappresentare l’arrivo di un personaggio atteso dal protagonista della storia, l’aero lo rappresenti visto frontalmente, mentre atterra.
    Se invece il punto di vista è quello del passeggero a bordo dell’aereo, la scena la riprendi alle spalle dell’aereo, in fase di atterraggio.
    Mettendo l’inquadratura alle spalle delle vittime, è ovvio che chi guarda e chi racconta è “dalla loro parte”
    Quanto alle pose… immagino che tu ce le abbia presente le controparti reali e la loro storia, no? Rappresentarli come mostri, arroganti, mi sembra il minimo.
    Sulla mancanza di visi è perché quelle vittime siamo tutti noi. I carnefici un volto ce l’hanno eccome.
    E sulla presunta componente sexy di quelle figure femminili… signori, per me il problema è l’occhio di guarda, in questo caso.
    Vedete il peccato forse perché è dentro di voi.

  36. Una domanda: se la copertina fosse stata senza le due ragazze (che io a prima vista non ho visto) avrebbe provocato lo stesso “polverone”?
    Su questo si dovrebbe riflettere. Senza dubbio la prospettiva non è “apologetica” dello stupro, ma bensì il contrario. noi guardiamo i seviziatori, esattamente dalla prospettiva delle ragazze. Il punto però è che qui si è toccato un avvenimento particolarmente truce della nostra storia e, ahimé, tremendamente attuale. Avete letto cosa disse calvino nell’articolo? Pasolini s’affrettò a farne una questione di classe.
    e invece, guardando quello che succede oggi, forse calvino ci aveva visto lungo.
    Un’altra cosa che si evince, e spero possa essere utile alla discussione, è che “l’incitamento alla violenza” spesso è negli occhi di chi guarda. Prova ne è che per qualcuno american psycho sia freddo, per altri, me compreso, invece appariva assolutamente “dentro”. Prova ne è che beverly che si concede in It da una parte viene compresa, dall’altra, la stessa scena, viene vista come erotica.
    Nel caso di questa copertina, molto esplicita (che tende ad accalappiare con uno sguardo il lettore) il contenuto, mi pare di capire dall’articolo, è di tutt’altro tenore.
    Il punto rimane che questo tipo di argomenti si pongono in un confine che a caldo è difficile analizzare. Conoscete la canzone “rape me” dei nirvana? è la stessa cosa. il titolo è una copertina, la canzone parla dell’esatto opposto. In uno show dsi MTv non fecero cantare la canzone ai nirvana perché probabilmente lessero soltanto il titolo.

  37. Ho guardato e riguardato la copertina. Prima impressione a caldo: l’immagine delle due “donnine” (come sono state chiamate da qualcuno, con un diminutivo/vezzeggiativo che la dice lunga su alcune involontarie dinamiche mentali) mi sembra appiccicata su di un’altra immagine. Piccole, anonime, quasi un incidente in una tavola in cui non c’entrano nulla. Non riesco ad empatizzare con loro, mi sento più spettatore che compartecipe del dramma che sta per compiersi.
    Osservo meglio le donnine, chiamiamole vittime a questo punto: la mente vola a Manara, su questo non c’è dubbio, e alle sue boccolose e sinuose figure femminili, ma non è la nudità a sembrarmi fuori luogo. C’è nudità e nudità, un conto è quella di un servizio fotografico, un conto quella di un abuso di qualsiasi genere perpetrato su di una persona indifesa: ecco, quello che mi disturba è la patinatura dell’immagine, del bei corpicini sensuali e la posa: mi immagino donna, terrorizzata e indifesa di fronte a tre ragazzi che si sono trasformati in mostri… mi vengono in mente tutt’altre pose: il tentativo di fuga, la disperata resistenza, il corpo teso e dilaniato dal dolore, o raggomitolato dal terrore….non una posa da scenetta soft-porno-lesbo con i (fantastici) corpi stretti in un abbraccio un pò saffico, strette tra i tre mostri e gli occhi voyeuristici dello spettatore. Ho visto sul blog di Ambu delle tavole, in una era rappresentato lo sguardo degli occhi tumefatti di Donatella Colasanti, e non so perchè questa tavola sia stata scartata come copertina, rappresentava bene l’orrore della vicenda e a me personalmente quello sguardo fa sentire molto più addentro alla situazione, mi interroga sulle responsabilità della cultura in cui siamo immersi, su quello che è successo allora e succede oggi quando le vittime di stupro vengono violentate anche dalle parole di certi personaggi senza umanità, dignità, rispetto nonchè un briciolo di intelligenza. Bisogna però uscire da una logica dualistica di giusto e sbagliato, perchè in tutto questo non c’è un giusto per definizione o uno sbagliato. La maggioranza delle donne e anche alcuni uomini hanno reagito con veemenza, si è detto troppa, ma bisogna tenere conto che se anche il fumetto non inneggia ad una cultura dello stupro cionondimeno la nostra società è ancora imbevuta di cultura patriarcale, da cui tragiche conseguenze quali quelle sotto agli occhi di tutti e di cui le donne sono ancora vittime: e allora forse si può perdonare una reazione un pò forte, ma del resto i nervi scoperti fanno assai male. Credo che sia superficiale parlare di veterofemminismo in questa situazione, e invece di dare delle pazze isteriche alle donne che si vedono ogni giorno sminuite, viste come oggetti e non soggetti, colpevolizzate per ogni scelta che si discosti da quella reputata corretta – come se esistesse un corretto universale – e allora leggono una copertina con quel bagaglio di ingiustizie nel cuore, forse bisognerebbe interrogarsi su quanto molti uomini invece vivano la cosa in terza persona, da spettatori, da quelli che dicono “io non sono così…” non accorgendosi invece di aver introiettato così tanto quella cultura da considerare “normali” cose che non dovrebbero esserlo. Poi io penso che torti e ragioni esistano da entrambi i lati, ma come si può chiedere le scuse per aver definito una copertina ripugnante se dall’altra parte chiunque la trovi offensiva o fuorviante o non efficace viene tacciato di veterofemminismo o incompetenza e coloro che l’hanno approvata non paiono toccati nel profondo – e non solo piccati o offesi – dall’effetto che la stessa ha sortito?

  38. Il fatto che ci siano due reazioni, insisto, dovrebbe far pensare. E non a chi ha l’anima più candida.
    Perdonate, ma mi sembra che dopo gli ultimi commenti sia davvero un passo indietro ragionare in questi termini.

  39. Ho letto il pezzo di Recchioni sulla copertina e mi sembra fatto bene (a parte la chiusura, dove si scivola un po’ sul personale, ma vabe’…).
    Secondo me anche quello che dice WM1, sulla ‘complicità’ che lo sguardo degli assassini stabilisce col lettore, è una intuizione molto interessante. A me non era venuta.
    Può essere che entrando ancora più all’interno dell’immagine è come se questa dicesse: “Non le trovi belle anche tu, lettore? Non vorresti essere qui con noi?”
    Io. No anzi, non posso scrivere ‘Io’ altrimenti Wu mi dà del bambino. Tolgo ‘io’ dunque. Dicevo, un fronte trova che la copertina sia un messaggio di arruolamento tra le fila degli assassini, mentre a me pare incolparci tutti.
    E’ fare accademia questo?
    Direi di sì, sto interpretando a freddo, mentre a monte c’è un dolore intollerabile. Faccio torto a quel dolore? Spero di no, se realizzassi che è così cancellerei tutto.

  40. Ho finalmente letto tutti gli interventi. E ripeto quello che ho detto all’inizio, chi dà un’occhiata alle tavole dell’interno, per lo meno alle tre che che ci sono nel sito di Beccogiallo, non mi sembra che le accuse qui mosse al lavoro di Ambu e Valenti reggano.
    Non sono un semiologo, ma non mi pare azzardato leggere l’immagine così:
    1) massima rilevanza a 3 figure rosse e nere, chiaramente disumane e ipocrite. L’unico elemento bianco, che mette questi 3 in contatto con le 2 piccole figure poste in basso è la maschera. Il vero volto dei 3, disumano e color del sangue mostra confidenza, strafottenza, superiorità: distacco dalle persone qualunqui. “Valori” “borghesi” (e l’aspetto borghese è rimarcato dal taglio alla moda dei vestiti) nel senso più deteriore dei termini.
    3) Se mi chiedo chi sono quei 3 e non so niente della vicenda, guardo il titolo, e non posso non identificare i 3 come gli autori di un “massacro” e le 2 come vittime. Se so di cosa si parla, posso persino appiccicare un nome e una biografia a tutte e 5 le figure.
    3) Le dimensioni e dei 3 (peraltro uniti, unificati da radici nere) nonché la loro posizione rispetto alle 2 figurine definisce chiaramente chi si trova in una posizione dominante e chi in una posizione dominata. Sopraffazione. Le rispettive posizioni dei 2 gruppi chiariscono l’aggressione e la violenza senza doverle mostrare esplicitamente.
    3.3) Le dimensioni contano: se io NON leggo una “carica erotica” in due picole figurine (occuperanno meno del 10% della copertina) inginocchiate e abbracciate e leggo nudità_come_esposizione, fragilità (bianco: porcellana, figura piccola: statuina), isolamento totale, potenziale universalità (perché non vedo i volti, ci potrebbe essere chiunque lì) e qualcun altro sì, devo davvero delle domande sui MIEI investimenti libidici? O su una mia ideologia implicita?
    3.5) Mi pare che già a questo punto questa copertina risulta ben lontana, dalle rappresentazioni “pulp” e “sexy” con donne procaci e svestite in pericolo. Non dico estremamente raffinata, ma mi pare esagerato dire che sia costruita per far leva su “bassi istinti”.
    4) L’inquadratura ci mette di fronte gli assassini e alle spalle delle vittime: a chi siamo più vicini? Con chi siamo costretti invece a confrontarci? Chi potremmo illuderci di proteggere? Chi potremmo diventare? L’inquadratura contraria avrebbe accentuato la posizione di vittime delle vittime (e avrebbe consentito un voyeurismo ben maggiore!) e ci avrebbe costretti a condividere lo sguardo e la posizione degli assassini. Questo avrebbe turbato di meno o di più la nostra empatia?
    5) Riassumendo, mi sembra di poter dire che ciò che viene mostrato è principalmente il rapporto di forza tra i 2 gruppi. Demoniaci, grandi, radicati, fasulli gli stupratori; umane, fragili, indifese, solidali le vittime. Condizione purtroppo ben più universale che in questo caso specifico.
    6) Sullo sfondo: nulla. Nessun appiglio alla topografia, alla storia, a niente. Dove, quando sta accadendo? Ora, sempre, ovunque — oltre che quella volta che ci suggerisce il titolo.
    7) Gli elementi deboli sono quelli testuali. Un titolo scontato, una frase a effettaccio, secondo me un po’ logora.
    8) Ora, per essere un’immagine singola, mi pare che questa veicoli un notevole numero di informazioni ed emozioni. Fa un lavoro molto più egregio, per dire, di quello della copertina di Duma Key — che se non avesse in grande scritto sopra “STEPHEN KING”, non se la filerebbe nessuno. Secondo me questa copertina (l’illustrazione) invece funziona perché dice senza sconti: uno stupro è quando si elimina l’umanità. Nessuna delle altre tre copertine affermava una cosa così forte.
    9) Ora, io sono invece agghiacciato (no, non provo ripugnanza) da questa immagine, da questa affermazione, da questa situazione. La catena viene da sola. Agghiacciato vuol dire paralizzato, inchiodato a vederla, destinato a parteciparvi senza poterla cambiare; perché a questo punto, dati questi rapporti di forza, si producono vittime e carnefici. E’ microfisica, non è morale.
    10) Dicevo. Darò un’occhiata, quando arriva in libreria.

  41. ANCORA QUA! ANCORA QUA?
    Oggi son pure spuntati nuovi difensori della copertina-vergogna?
    E trovano quanti sofisticati sofismi! E dànno mano a tutto l’arsenale della cazzate da AZZECCAGARBUGLI per giustificare, minimizzare, deviare, distinguere, annacquare, mistificare ecc. ecc. quello che anche un bimbo vedrebbe: IL RE E’ NUDO direbbe, cari cortigiani.
    Lasciatevelo dire da un analfabeta del fumetto e di tante altre cose, quella COPERTINA, co-per-ti-na, c o p e r t i n a:
    fa VOMITARE
    fa INORRIDIRE
    fa INCAZZARE
    se non lo vedete è perchè non lo volete vedere!! Altro che colori, altro che “punti di vista”, “medium” e altre stupidate giganti!
    Si rammenta “Maus”. E se Maus in copertina avesse disegnate seducenti ebreine nude che vanno alla camera a gas? LO SO che lì son gatti e topi! Ma se un fumetto sulla shoah cominciasse come questo?
    BESTEMMIO? Anche voi, trattando le vittime del Circeo in quel modo!
    (E guardate che per far incazzare me ce ne vuole, cari fumettari)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto