Bene. Proviamo a fare una riflessione pacata sulla narrazione della violenza: mi sembra che sia importante e che ce ne sia bisogno.
Parto da tre esempi letterari.
Primo. American Psycho, di Bret Easton Ellis. Uno dei libri più importanti, a mio umile modo di vedere, degli anni Novanta e non solo: e questo al di là di ogni interpretazione sociologica che di quel romanzo si possa dare (e che, nei fatti, è stata data). Ellis sceglie la prima persona per raccontare le ossessioni glamour di Patrick Bateman. A narrazione avanzata, lo stesso tono è riservato al catalogo di omicidi, torture, stupri, mutilazioni, necrofilia, cannibalismo che entrano nella vita di Bateman e che sono posti sullo stesso piano dei completi Armani e della musica dei Genesis.
Secondo. Lasciami entrare di John Ajvide Lindqvist. Nel romanzo c’è una scena in cui Håkan, l’uomo che procaccia sangue per Eli, è in agguato in uno spogliatoio maschile. Håkan è un pedofilo (questa, anzi, la motivazione che lo porta a uccidere per conto del vampiro): spiando gli adolescenti sotto le docce si eccita e ha un fugace orgasmo.
Terzo. Terre desolate, terzo libro della saga della Torre Nera, di Stephen King. Susannah viene stuprata da un demone. Scelgo questa scena, ma nella produzione di King sono moltissime le opere che avrei potuto chiamare in causa.
Cosa hanno in comune i tre libri, a parte la durezza dei temi trattati?
Poco, in apparenza: il primo è un romanzo che si definirebbe mainstream, il secondo è un horror, il terzo può essere definito sbrigativamente fantasy, se proprio si deve fornire una catalogazione.
Molto, ai fini del discorso che mi piacerebbe approfondire.
Ovvero, il punto di vista. Anche qui, in apparenza, esistono delle diversità. Ellis sceglie, come detto, la prima persona: teoricamente, il suo è il punto di vista di Bateman. Ma non è del tutto esatto: perchè la narrazione viene congelata, e non permette a chi legge di identificarsi in alcun modo nel personaggio. Lindqvist narra in terza persona: nella scena che ho citato, però, il punto di vista è quello di Håkan. Ma a chi legge non è concessa alcuna empatia verso il personaggio. Anche King usa la terza persona: il punto di vista è quello di Susannah, ma il lettore non è chiamato a fermarsi sull’atto della violenza, ma sulla serie di azioni che la circondano.
Cosa voglio dire?
Che nei tre casi citati chi leggge non si sente, mai, voyeur. Non c’è nessuna concessione all’erotismo (che viene invece richiamato, specie da Lindqvist e King, in altri momenti dei romanzi) nella messa in scena della violenza. In ambito letterario, è difficile arrivare a questo risultato. In ambito visivo, è ancora più difficile, suppongo. Ben lo dimostra un articolo di Francesco Longo uscito su Il riformista nel passo dove afferma:
“Le ragazze nude disegnate sono inevitabilmente seducenti (così come i corpi, massacrati, respingenti). Il lettore del fumetto le osserva con gli occhi del carnefice, il punto di vista salta all’improvviso e noi guardiamo con gli occhi degli stupratori. Non è una questione di immedesimazione, ma di forma del desiderio. La seduzione dei corpi porta fuori strada e alla storia di dolore si mescola, sgradevole, l’attrazione per ciò che ha causato quel dolore. Che lo si voglia o no, il lettore si fa voyeur”.
Voglio semplicemente dire che è estremamente complesso maneggiare questa tematica e che quando la si affronta ci si assume una responsabilità che deve essere molto chiara e che necessita di spalle forti.
Soprattutto in un contesto come quello italiano, oggi. Giustamente, Natalia Aspesi faceva questa osservazione, su Repubblica di questa mattina: “Dieci anni fa la storica Barbara Ehrenreich, in un suo studio sul rapporto tra guerra e ruolo maschile, osservava che gli stupri sono più frequenti dove vi sono norme sociali di accettazione dell´uso della violenza come mezzo legittimo per ottenere ciò che si desidera”.
Complesso, ma importante. Ragionavo ieri, con un amico, di quanto sia necessaria la narrazione visiva della storia italiana recente e contemporanea che si accompagni a quello che è lo sguardo letterario attivo, oggi, sulla medesima. Proprio per questo, è indispensabile concentrarsi sul lavoro di approfondimento che deve precederla e accompagnarla.
E’ un invito.
Ps. In coda, l’integrale dell’articolo di Francesco Longo.
Come insegna “Valzer con Bashir” un dramma disegnato può scuotere le nostre coscienze con più onestà estetica. Ma i corpi delle vittime sono troppo seducenti per non “sposare” con sguardo voyeurista gli istinti dei carnefici. Le motivazioni sociali delle ragazze sono resi un po’ troppo semplicisticamente dagli autori Valenti e Ambu. | |
di Francesco Longo «Di che hai paura? È dei Parioli, non lo vedi?», dice Donatella Colasanti per rassicurare l’amica, quando lascia il numero di telefono ad un ragazzo sconosciuto. Al processo per il massacro del Circeo Angelo Izzo dirà: «Io con quelle ci ho parlato. Mi hanno raccontato della Montagnola… se ne volevano andare da quel quartiere… da quella vita di miseria». Si capisce subito che intorno alla tragedia privata – la morte di Rosaria Lopez e le violenze su Donatella Colasanti avvenute al Circeo nel 1975 – compaiono elementi che la rendono simbolica. Da una parte ci sono i riccastri di destra figli di un quartiere borghese, dall’altra giovani borgatare che si esprimono in dialetto, considerate arrampicatrici sociali in cerca di rampolli. Misoginia, odio di classe, sesso, politica. La cronaca nera si scurisce ancora di più quando si alza il livello emotivo e iniziano i linciaggi. Dopo la recente violenza a Guidonia sono scattati i raid razzisti. Risultato: albanesi colpiti con le mazze da baseball perché i romeni avevano stuprato la ragazza. Il problema slitta in poche ore: non era più lo stupro la questione, ma gli stranieri. Serve un passo indietro. Il delitto del Circeo è ancora oggi presente nell’immaginario collettivo per la quantità di significati e contraddizioni che sollevava. Commentarono quel caso tutti, da Pasolini a Calvino. Esce oggi in libreria un libro intitolato Il massacro del Circeo (Edizioni BeccoGiallo pp. 160, 15 euro), che ricostruisce la tragedia attraverso un graphic-novel scritto e disegnato da Leonardo Valenti e Fabiano Ambu. Operazione in cui non mancano dei rischi. La collana si chiama “Cronaca nera. I casi che hanno sconvolto l’Italia”, e racconta storie che vanno dal mostro di Firenze a Unabomber, dalla Banda della Magliana al delitto Pasolini. La scelta del fumetto per raccontare ferocia e brutalità è terribilmente efficace, basti pensare al film Valzer con Bashir candidato all’Oscar. L’animazione o il fumetto possono aprirci gli occhi più di un film perché si ha a che fare con qualcosa che simula chiaramente la realtà. La mente, davanti a un film con attori, può difendersi perdendosi nella sospensione dell’incredulità o nel riconoscimento che è solo un set, stanno recitando, il sangue è pomodoro. Il fumetto o il documentario d’animazione si presentano come finzione deliberata, e la mente va subito oltre la rappresentazione, e finisce, senza paracadute, in mezzo al dolore della vicenda. Però il meccanismo sembra incepparsi quando c’è di mezzo l’erotismo. Le ragazze nude disegnate sono inevitabilmente seducenti (così come i corpi, massacrati, respingenti). Il lettore del fumetto le osserva con gli occhi del carnefice, il punto di vista salta all’improvviso e noi guardiamo con gli occhi degli stupratori. Non è una questione di immedesimazione, ma di forma del desiderio. La seduzione dei corpi porta fuori strada e alla storia di dolore si mescola, sgradevole, l’attrazione per ciò che ha causato quel dolore. Che lo si voglia o no, il lettore si fa voyeur. Già al tempo del Circeo la violenza divenne un pretesto per ragionare d’altro. Si cercano sempre capri espiatori indistinti: è più semplice affidare la responsabilità ad un gruppo o a una comunità. Per Pasolini il delitto era emblematico: i ragazzi della borgata, che lui aveva raccontato, avevano ormai il mito della borghesia, emulavano i “figli di papà”. Per Italo Calvino le cose non erano da leggere in questa chiave. L’autore delle Città invisibili, che aveva più familiarità con i mattoni di fantasia che con le periferie, dava la colpa alla ricchezza. Sicurezza e benessere rendevano plausibile che un ragazzo potesse fare una rissa fuori scuola un giorno e compiere un massacro nel week-end. Calvino riportava la questione ad un fatto economico, ad uno stile di vita. Pasolini accusò Calvino: «Tu crei dei capri espiatori, che sono “parte della borghesia”, “Roma”, i “neofascisti”». E poi aggiunge qualcosa che, alla luce delle cronache attuali, suona molto strano: «Se a fare le stesse cose fossero stati dei “poveri” delle borgate romane (…) non se ne sarebbe parlato tanto e a quel modo. Per razzismo. Perché i poveri delle borgate (…) sono considerati delinquenti a priori». Oggi i poveri delle borgate sono diventati le vittime. I nuovi carnefici sono gli stranieri. Il libro a fumetti Il massacro del Circeo indugia sulla differenza sociale tra vittime e torturatori. Le due ragazze guardano deluse il proprio mondo «triste e grigio». Addirittura, in una pagina, gli autori disegnano la ragazza che sogna un villino lussuoso, sogna di «diventare moglie», sogna la fede al dito infilata da uno di quei «principi» dei Parioli. Il delitto del Circeo, incredibilmente, può aiutare a leggere le tragedie attuali. Ci ricordano che i mostri non sono gli altri e non vengono da lontano. La violenza si annida negli ambienti comuni, sta nei vicini di casa insospettabili. Persino nel nostro sguardo sedotto da un fumetto. Il male, ci ricorda, non è legato alla povertà né alla miseria. Ma alla natura umana. Izzo, Guido, Ghira avevano il passaporto italiano e portafogli gonfi. Il libro chiude con una citazione significativa, tratta dall’Istat: «In Italia, le violenze subite dalle donne non vengono denunciate nella quasi totalità dei casi». |
Nautilus: non ti sembra di avere un tantinello esagerato coi toni? le ragioni non si spiegano così, lo dico per tutti… non so, vogliamo appiccare dei fuochi?
mi sembra si sia perso di vista, come diceva la lipperini, quel po’ di evoluzione che aveva preso il discorso.
la copertina in sè si è smessa di difenderla tempo fa.
dire che tutti quelli si sono schierati “dall’altra parte” siano soltanto “fumettari” è un’offesa bella grossa, e mi intristisce profondamente, come se si fosse appena segnata una bella linea rossa dove da un lato ci sono gli essere umani normali e dall’altra, appunto, i “fumettari”, che sono stupidi e incapaci di comprendere qualsiasi regola di comunicazione.
sono intervenuti diversi “fumettari” anche “contro” la copertina, mi pare. quelli cosa sono, “fumettari” più evoluti?
cerchiamo allora di fare i conti col fatto che forse è difficile accettar che “un fumetto” possa trattare un argomento del genere, perchè nel caso di una fiction o di una copertina di un libro tutto questo non sarebbe accaduto.
e davvero, leggete le mie parole senza malizia, io questo fumetto neanche l’ho letto, quindi credetemi se vi dico che non ho nessun interesse a difenderlo a spada tratta, anzi, ci rimetto pure la faccia se difendo un opera così “dichiaratamente anti-morale”.
non sono queste le mie intenzioni, solo si è esagerato da tutte le parti, cercando, come sempre, di imporre il proprio punto di vista, a volte in maniera pacata e ragionata (e, per fortuna, molti interventi sono stati così), a volte in maniera cieca e irrazionale, come te, Nautilus, perchè le tue parole davvero allora mi fanno (tristemente) pensare che c’è sempre ben di peggio davanti ai nostri occhi, solo che, essendoci abituati (e non è una nostra colpa, purtroppo) non ci facciamo caso, mentre adesso, essendo un “fumetto”, allora ci si fa caso.
Sono sicuro che il volume è fatto bene e con impegno civile. Forse la lettura metterebbe in una luce diversa la copertina.
Comunque su una cosa bisogna riflettere. Certi videogiochi e certi libri sono incolpati da intellettuali a ‘giudizio istantaneo’ di fare apologia della violenza.
Ecco, che ci sia un effetto di lettura della copertina che dia fastidio, che ripugni addirittura, nel discorso che facciamo ci sta, del resto è un giudizio di fatto, è qualcosa che accade nella testa, nelle teste, di chi guarda.
Però passare a dire che si fa ‘apologia della violenza’, no. Questo è un giudizio che non ammetto, che trovo pericoloso addirittura.
Nell’ultimo libro di Gipi c’è una scena onirica di stupro. E’ onirica ma l’immagine è esplicita. Ragionando nei termini dell’apologia della violenza, quella scena sicuramente darebbe fastidio a qualcuno e andrebbe sbianchettata. Questo non va bene, c’è una libertà di espressione artistica che va mantenuta.
Diverso è il caso per esempio dei “Fan degli stupri di gruppo” su facebook.
Ciao,
nella serie di commenti del topic precedente – quello precisamente relativo alla locandina del fumetto «Il massacro del Circeo» – ho già espresso i miei pareri personali e le mie altrettanto personali valutazioni tecniche, se qualcuno pensa possano risultare utili alla discussione.
Ho letto con attenzione l’andamento ondulatorio di questo dibattito: si passa senza soluzione di continuità dalla locandina al fumetto, dalla narrativa allo stupro, dalla retorica stucchevole ai manga, da Stephen King all’assenza nella discussione di commentatrici; e non è una critica (tranne forse che in merito alla retorica stucchevole) ma un’osservazione sulla ricchezza di temi (anche se, siccome sono cresciuto in un ambiente forse troppo maniacalmente attento alla forma oltre che alla sostanza, mi disturba leggere post aggressivi e maleducati, quale che sia la ragione scatenante; incazzarsi va bene, è anche sacrosanto, ma con stile…).
Vorrei proporre solo due piccole puntualizzazioni periferiche. Si basano su miei interessi personali e però secondo me possono avere una qualche utilità, magari non al dibattito su «Il massacro del Circeo» ma per discussioni future, non so. Mi scuserete per la lunghezza.
1) Sono anche io del parere, come altri hanno scritto (perdonatemi se non ricordo chi, ma lo/la ringrazio comunque), che la lunga scena d’amore e sesso alla fine di «It» di Stephen King, con Beverly che fa l’amore con tutti i ragazzini della combriccola, non sia una scena di stupro. King è un maestro nel raccontare il mondo dell’infanzia e della prima adolescenza quasi come dal di dentro (cfr. per esempio, per commenti più illuminati dei miei, «La casa sull’albero», un bel libro di Antonio Faeti sull’autore). Lo ha sempre fatto senza didascalismi, senza finte morali, senza pedagogismi. King racconta l’adolescenza e la pubertà ricordando i propri pensieri – e quelli di moltissimi altri adulti – di quando era bambino egli stesso; mette in campo l’immaginario – anche erotico, alle volte – dei giovanissimi. Le sequenze d’amore (erotiche, perché attinenti all’eros) di «It» peraltro ci ricordano un fattore che spesso tendiamo a dimenticare, la sessualità e sensualità primo-adolescenziale, che esiste e che è carne della nostra carne, perché tutti siamo stati dodicenni e tutti abbiamo avuto dei sogni erotici, ingenui e intensi, a quell’età. King insomma pesca nell’immaginario di tutti noi, ma non – attenzione – nell’immaginario di noi adulti che sogniamo di copulare con un/una dodicenne (lì saremmo pedofili in pectore!) ma con il nostro io dodicenne, con il nostro io che ricorda di avere avuto 12-13 anni e di aver avuto quell’immaginario erotico legato ai/alle coetanei/e. Se c’è voyeurismo lì, c’è perché siamo voyeur del nostro io dodicenne.
2) È vero che non si deve essere addetti ai lavori per avere il «diritto» (sacrosanto) di poter giudicare un’opera; il cielo ce ne scampi. Anzi, più i «profani» esercitano i loro diritto d’opinione e più gli «addetti ai lavori» e gli autori possono capire cos’è che davvero conta e cos’è che «non passa» in una data opera, perché l’opera è fatta per il pubblico e il pubblico è sovrano; giudicarlo incompetente è solo un alibi per mascherare le proprie inadeguatezze o ingenuità comunicative/espressive. (È anche vero che i professionisti della comunicazione dovrebbero manifestare le loro opinioni in modo più chiaramente argomentato ecc., ma di questo s’è già parlato e chi di dovere è già ampiamente e argutissimamente ritornato/a sul tema chiarificando le proprie posizioni). È anche vero, però, che non si dovrebbe liquidare realtà complesse come quella dei fumetti giapponesi in base a impliciti pregiudizi. Non esiste «il» manga come calderone indistinto di stilemi (occhioni, forme efebiche, strizzate d’occhio all’erotismo ecc.): esistono invece moltissimi autori, stili, generi e approcci narrativi/espressivi provenienti dalla scuola giapponese. La rappresentazione del corpo e degli atteggiamenti femminili in molti manga erotici pensati e realizzati da uomini (non parlo di quelli pornografici perché dovunque il pornografico si basa su estremizzazioni poco realistiche del desiderio e dell’attività sessuale in senso fisico e performativo con lo scopo primo e ultimo di far masturbare il lettore/spettatore) si basa per un verso sulla considerazione media del corpo femminile e della donna nella società giapponese e per l’altro su un sistema di valori e cosmogonico diverso da quello occidentale (altro poi è il manga erotico disegnato da donne, materia per un’altra discussione…). Quindi rapportare tali rappresentazioni erotiche giapponesi alla società, al sistema di valori e al metro estetico italiani è un errore metodologico e culturale; i fumetti giapponesi (erotici e non) sono molto venduti e amati anche in Occidente oltre che in Asia in base a molti fattori, ma fra questi non v’è la coincidenza di valori e di posizionamento sociale della donna o l’immaginario erotico, che in Giappone è incentrato su luoghi, situazioni, cliché molto diversi da quelli dell’immaginario erotico italiano/occidentale.
Il motivo per il quale il disegnatore della locandina di «Il massacro del Circeo» ha disegnato due corpi di giovinetta valutati da molti come «manga» è a mio personalissimo avviso abbastanza semplice e ne avevo già parlato approfonditamente in altra sede: è il frutto di un innesto culturale in corso da trent’anni, a partire dall’arrivo in Italia dei disegni animati e dei fumetti giapponesi, che fin dal 1978 hanno cominciato a modificare le modalità di espressione grafica dei bambini. Alcuni di quei bambini dei primi anni Ottanta sono vari autori di fumetti di oggi. E ancora oggi gli adolescenti e i bambini disegnano le loro composizioni amatoriali con occhi, convenzioni grafiche, forme genericamente «manga».
Quando Gipi ha scritto, con grande acume (tipico della sua grandezza di autore), che quelle figurine femminili sono uscite non dal cuore ma dalla mano dell’autore, senza una adeguata riflessione, ha detto secondo me la verità: la mano e l’occhio di quell’autore sono abituate a un certo tipo di immaginario femminile tratteggiato non solo da fonti autoctone, come Manara, ma anche da quanto esperito nei manga e negli anime. Ci fosse stata maggiore riflessione sul come rappresentare quelle figure (specialmente da parte dell’editore, il maggiore responsabile dell’errore), le si sarebbe trattate in modo diverso. Magari non rinunciando al nudo, se proprio lo si voleva inserire a fini comunicativi e artistici, ma in altra maniera. Anche se personalmente ritengo che l’inserimento di quelle due figurine stoni completamente e su tutti i livelli col resto della composizione. Lo dico da grafico pubblicitario con oltre 10 anni di esperienza.
Cari saluti
Marco Pellitteri
“Come ho specificato nell’ambito di una discussione che si è sviluppata, con variegate posizioni, per tre giorni e duecento commenti, non ho MAI parlato del fumetto”
Secondo me è proprio da qui che nasce l’interpretazione errata della copertina.
La copertina è parte integrante del fumetto. Isolarla e giudicarla senza tenere conto del contenuto del libro è un’operazione scorretta (in generale, non solo in questo caso specifico), soprattutto se si accusa l’autore di apologia dello stupro.
Staccare la copertina dal resto del fumetto è come analizzare la frase di un libro senza tenere conto del contesto nel quale è scritta.
In pratica la copertina è la prima frase.
Mi sembra che manchi questo concetto (e non c’è niente di male: è una particolarità dei fumetti; anzi, solo di alcuni).
Si può fare una cosa del genere se Valenti scrive una cronaca in prosa e la casa editrice commissiona la copertina a Ambu.
In questo caso copertina e testo hanno due vite diverse.
Inoltre il fumetto è di formato piccolo.
Per curiosità, ho fatto vedere la copertina a mia madre, casalinga con una cultura del fumetto pari a zero, senza competenze di impostazione grafica, e per finire filofemminista inconscia. Chiaramente, ricorda benissimo i fatti del 1975.
Le ho chiesto di descrivermela e mi ha risposto: “Be’, i tre uomini sembrano diavoli, hanno le maschere da persone perbene ma in realtà sono malvagi, anche se hanno facce da bravi ragazzi.”
“E le ragazze?” le ho chiesto, senza aiutare i suoi processi mentali suggerendo se fossero provocanti, ammiccanti, sexy o quant’altro.
“Beh le ragazze sono piccole e innocenti, mi sembrano indifese e terrorizzate”.
Non so se voglia dire qualcosa, forse mia mamma è davvero troppo lontana dal mondo del fumetto e dell’impaginazione, ma queste sono state le sue impressioni a freddo sulla copertina.
Non voglio dimostrare nulla, eh, tanto meno accuse che ritengo personalmente stupide come “ha ragione xx, ha torto xy”, su argomenti del genere.
Però immagino che punti di vista come quello di coloro che continuano a dire che tale copertina è un’apologia della cultura dello stupro, forse sono un po’ troppo estremi.
La “gente normale” non la vede così. Tutto qui.
Significa che quelli che hanno avuto un’altra reazione sono anormali? Vi dico quel che mi sembra questa coda di discussione. Mi sembra il voler avere a tutti costi ragione. E’ la logica delle due squadre che si scontrano perchè uno l’ha guardato male. Invece di tirare altre conclusioni, si continua a dire “hai cominciato tu”.
Ci sono delle opportunità, cogliamole, invece di fare a chi ce l’ha più lungo.
Hai travisato completamente quello che volevo dire, Gnurant, direi che fai fede al tuo nickname.
“Siamo alle spalle delle vittime, con gli stupratori davanti.”
Siamo sopra le vittime. Loro sono ai nostri piedi. Siamo in cerchio insieme agli stupratori, con le vittime in mezzo a noi, piccole, come animaletti, come quando i bambini si mettono a tormentare le lucertole. Il tono nell’insieme è sadico, la domanda retorica è quella che parafraso dal commento di Andrea: “Non trovi anche tu divertente tutto questo? Non stiamo stuprando un po’ anche in tua vece? Ci vedi senza maschera perché noi siamo te.”
Se fosse intesa come “chiamata di correo”, allora sarebbe un messaggio disturbante in senso buono. Ma allora non ci sarebbe la glamourizzazione, la rappresentazione “fica” dei tre. Sarebbero davvero demoni, repellenti nelle forme, e il messaggio sarebbe: “Questo demone è anche dentro di te”.
Io non colgo questo. Barbieri sì. Chi ha ragione? Non lo so. So che la copertina mi ha disturbato subito, e ha fatto il medesimo effetto ad altri.
—
Una cosa importante
La copertina è la prima e spesso l’unica cosa che uno vede di un libro o di un albo. La copertina è riprodotta in rete, nei cataloghi, diventa anche locandina per le presentazioni, la vedi in libreria etc. Quelli che vedranno solo la copertina sono un insieme più grande di quelli che leggeranno il fumetto. Il messaggio veicolato dalla copertina acquisisce un’autonomia rispetto al fumetto che c’è dentro, che può anche essere impeccabile, ma viene in un certo senso “rovinato” dalla presentazione esterna.
Criticare la scelta comunicativa di una copertina prescindendo dal libro è non solo legittimo, ma in una qualche misura necessario.
Io posso passare di fronte a un negozio e dire che la vetrina è allestita in modo sbagliato, e questo non equivale a dire che dentro il negozio vende roba di merda.
—
Detto questo: siamo tornati al punto di partenza.
Io ieri avevo fatto uno sforzo per andare oltre.
Lo sforzo non ha pagato.
Pazienza.
Ciao Algozzino
quel che mi fa davvero arrabbiare, non è la copertina, quella la trovo ripugnante per le ragioni che mi sembra d’aver spiegato chiaramente nell’altra discussione, fine.
Quel che mi fa reagir male sono queste vertiginose arrampicate sugli specchi, questi sofismi improbabili, tutti questi argomenti speciosi e cervellotici che vengono messi in campo per difendere quello che è indifendibile.
Forse sarebbe meglio che al posto di tanta pacata razionalità provaste a vedere questa immagine per quello che COMUNICA a prima vista, “ciecamente e irrazionalmente”.
Se non vi riesce, siete voi i ciechi.
Sulla questione che non si può giudicare la copertina isolandola dal resto dell’opera: insisto, da questa immagine CI SI ASPETTA che il contenuto sia conseguente.
Se non lo è (e mi fido di chi dice non lo sia) resta il fatto che la si utilizza per creare un interesse morboso nel lettore, in modo da vendere qualche copia in più.
A me queste cose paiono d’una evidenza cristallina, negarle come fate voi non mi fa sospettare che siate legati a qualche carro, non sospetto un bel nulla, solo vi guardo esterrefatto (e incazzato).
Paradossalmente, non ce l’ho con l’autore dell’immagine, credo abbia ubbidito a normali logiche di mercato imposte dall’editore e sento dire che poi ha trattato l’argomento in modo diverso da quello che la copertina farebbe supporre, ci voglio credere.
Lo spregiativo “fumettari” non è rivolto a chi produce fumetti, è stato uno sfogo rivolto a tutti i difensori degl’ignobile copertina, non necessariamente addetti ai lavori.
Mi sono letto i commenti nel blog del disegnatore, e alla fine ho trovato questa frase che secondo me spiega tutto:
“Io non ho letto la cronaca e ci ho fatto tavole la storia è di Leonardo Valenti”.
Non accuso nessuno, ma porto qua un fatto molto semplice. Non conoscendo la storia, non essendoci entrato, non poteva avere quello che in questo post è chiamato il punto di vista delle ragazze.
Poi mi sono andato a cercare un articolo sulla morte di Donatella Colasanti, gennaio 2006.
Ecco:
“Ma ora basta – aveva detto – che nessuno parli più del massacro del Circeo, l’unica titolata sono io che in tutti questi anni ho lavorato da sola, mente tutti facevano finta di niente, dai magistrati ai ministri ai giornalisti che pur di fare uno scoop intervistavano Izzo”.
@Wu Ming.
Anche io avevo apprezzato molto il reset e in alcuni punti lo avevo trovato più che sensato, come il rischio di avere “meno sensori” sull’argomento. La discussione, però, è inevitabile nel momento in cui di un disegno dai un’interpretazione ben precisa. E non è un passo indietro, perché per me quell’interpretazione non è vera e la discuto. I tre, per me, non hanno pose glamour, hanno pose arroganti. Perché sono mostri arroganti, sicuri che la faranno franca. L’intento non è di dire “guarda questi, che gran fighi che sono”. Io la vedo più come un “guarda ste cazzo di facce di merda impunite, che fanno le peggio cose e sono pure sicuri di uscirne bene”. Hanno l’aria di gente che deve starti sul culo perchè guarda noi, le vittime, tutto quanto con un’aria di vuoto pneumatico e superficialità.
E questo, per rispondere anche a chi ha portato un allegro apporto esagitato e inutile alla discussione, non è nè essere azzeccagarbugli nè cortigiani. E’ leggere un’immagine in un altro modo.
Però purtroppo mi sembra che siamo arenati su uno sterilissimo “A me pare così”, “a me pare cosà” senza che ci si smuova minimamente.
E invece bisogna smuoversi. Le cose su cui mi interrogo ora, tra me e me, vanno oltre la copertina e oltre gli strascichi della discussione sulla copertina. La mia curiosità riguarda:
– il fatto stesso che ci siano due letture inconciliabili;
– le differenze nel modo di comunicare queste due letture (in parole povere: mi sembra che chi contesta la copertina guardi quest’ultima nel suo complesso, con uno sguardo d’insieme, mentre chi la difende la scompone nei suoi particolari);
– i motivi per cui questa dualità è stata e tuttora viene rimossa/sottovalutata in molti interventi, quando invece a me sembra il quid;
– che rapporto c’è tra questa rimozione e il problema più generale di un calo dell’attenzione (a parte gli scoppi emergenziali-spettacolari che durano il tempo di un lampo) sulla violenza contro le donne.
Un piccolissimo appunto, un’inezia ma anche questo fa parte di una “ecologia del comunicare”: Il mio nome d’arte è Wu Ming 1. “Wu Ming” è il nome del gruppo di scrittori di cui faccio parte. In un’intervista a Johnny Ramone, lo si chiama col suo nome, non “The Ramones”.
Pardonnemuà per essermi mangiato l’1.
Provo a risponderti, anche se (com’è ovvio) rispondo solo per me, non per gli altri con cui mi sono trovato d’accordo.
– è vero, l’immagine ha diviso tutti in due modi di vederla, anche se questi “versus” mi sembrano un pelo semplicistici. Sensibilità diverse, maggior-minore familiarità con certi codici grafici? non lo so, sinceramente. In alcuni blog ho letto interventi per me abbastanza allucinati. Un commento mi pare parlasse di “chiare figure falliche” nel disegno… boh. Se ne prende atto e basta, credo.
– questo è normale. Si parte dalla frase: “questa copertina è ripugnante”. Se si vuole contestare quest’affermazione i casi sono due: o si liquida con un “per me no”, e arrivederci e baci alla discussione, o si cerca di motivare il proprio punto di vista e spiegarsi. E, per farlo, non vedo molti altri modi se non scomporre l’immagine. Aggiungo che la scomposizione mi sembra sia stata fatta anche dall’altra parte: prima andando in fissa per un particolare del disegno (le “gnocchette”), poi facendo discorsi, come il tuo, di altezza del punto di vista, della resa grafica degli assassini etc etc.
– io la sottovaluto perché una cosa non viene resa reale dal numero di persone che ci crede (credo sia possibile solo in ambiti affatto pertinentia questo discorso). E perchè è un meccanismo che ti porta a derive sterili. Io posso dirti che molte mie amiche (alcune anche molto sensibili alla tematica) non si sono sentite offese da quel disegno. Questo ci porta a qualcosa? per me non ci porta veramente da nessuna parte.
– Al momento continuano a sembrarmi problemi separati. Anzi, per i motivi esposti prima, al momento mi sembra un problema solo il calo d’attenzione sulla violenza.
Scusa Cristiano ma proprio perchè esiste un calo di attenzione sulla violenza, un oggetto di comunicazione quale è un’immagine viene percepito come un ulteriore segnale di disattenzione; se vogliamo andare oltre la diatriba io sto di qua/tu stai di là e allargare la visuale, è proprio lì il nocciolo; e non è nemmeno questione di sentirsi offese, per l’amor del cielo, ma di abbassare le braccia sconsolate di fronte alla enorme difficoltà di comunicare. Insomma, quello che voglio dire è che non è proprio possibile separare i comportamenti degli individui dalla costruzione culturale che sta intorno, e questa è legata in modo indissolubile agli stereotipi (e qui mi pare che il lavoro di Lipperini sia fondamentale) che la comunicazione mette in circolo ogni santo giorno.
Non è solo questo, naturalmente, ma porsi qualche domanda sulla relazione che esiste tra calo dell’attenzione rispetto alla violenza e modelli di genere che condizionano il nostro agire mi sembra indispensabile. E’ chiaro che la vicenda della locandina, in questo senso, diventa esemplificativa: anche per tutti i commenti che ha generato, nei quali, ribadisco, c’è una enorme mole di materiale per riflettere.
@WuMing 1: pure io mi son persa per strada l’1 che giustamente ti identifica… in realtà ero abbastanza turbata da tutto questo dibattito, perchè nel fondo credo che ci sia molto di più che non un disquisire sulla valenza di un disegno: le modalità stesse con cui è andato avanti, sono oggetto di riflessione, per me.
Sì, Paola ha spiegato con altre e utili parole quello su cui cercavo di porre l’attenzione io.
—
Ora aggiungo un ultimo contributo su cui rimuginare.
Se un’immagine suscita certe reazioni nel complesso, a uno sguardo d’insieme, per giunta reazioni immediate, spontanee, forse cercare di immedesimarsi in quello sguardo d’insieme è più utile che contrapporvi la somma dei dettagli. Sono due piani diversi (fermo restando che per me nemmeno alla prova dei dettagli la tua/vostra lettura regge, non vedo nessun “punto di vista della vittima” in quella copertina). Il tutto non è solo la somma delle parti.
Nei giorni scorsi qualcuno ne ha fatto una questione di simbolismi cromatici (tra l’altro piuttosto meccanici: il rosso sta per questo, il nero vuol dire quest’altro), ma un approccio del genere può aver senso di fronte a opere medievali e rinascimentali che usavano simbolismi (il più delle volte legati alla religione). convidisi e noti a tutti (un “tutti” molto ristretto, in realtà: la comunità dei dotti). Oggi non è così.
Alessandro Zaccuri – ho citato questa cosa anche nel memorandum sul NIE – distingue tra due approcci di fronte a un’immagine sacra:
– quello cristiano, dove l’immagine dev’essere efficace e comunicativa prima nello sguardo d’insieme, e solo in un secondo tempo si possono decodificare i dettagli);
– quello neognostico, dove soltanto dopo aver decodificato tutti i dettagli e i livelli di significato sarà possibile capire l’opera).
Risulta ovvio che il primo approccio è più popolare (chiunque può apprezzare l’immagine sacra e farsi coinvolgere/commuovere da essa), mentre il secondo è elitario, consegna la comprensione delle immagini a una casta di eruditi in grado di cogliere tutti i minimi riferimenti, le citazioni e i simbolismi più invisibili.
Allora usiamo “cristiano” e “neognostico” come metafora (lo chiarisco perchè sono ateo): se un’immagine provoca certe reazioni sul piano cristiano, è improduttivo spostarne la lettura sul piano neognostico. In questo modo, tutti rimangono sulle proprie posizioni, senza comunicarsi niente.
Bene Brignola, tu dici:
“I tre, per me, non hanno pose glamour, hanno pose arroganti. Perché sono mostri arroganti, sicuri che la faranno franca. L’intento non è di dire “guarda questi, che gran fighi che sono”. Io la vedo più come un “guarda ste cazzo di facce di merda impunite, che fanno le peggio cose e sono pure sicuri di uscirne bene”.
Embè, e allora? Anche a me fanno il medesimo effetto che a te, guarda un po’!
E con questo cosa hai dimostrato? Hai dimostrato solo che non CAPISCI: associare questi 3 mostri alle due figurine nude abbracciate, spaventate e umiliate crea istantaneamente un’ immagine tipicamente SADICA.
Se non ci fosse il richiamo al Circeo, potrebbe essere la copertina d’un qualunque fumetto che si rivolge ai più bassi istinti maschili.
Te questo NON LO VEDI?
Ma come, sei così bravo a discettare di scomposizione, resa grafica, derive sterili e NON VEDI questa semplicissima verità?
Io non voglio far torto alla tua intelligenza, penso quindi che tu sia in malafede.
WM1 coglie perfettamente nel segno quando dice che chi nega l’evidenza palmare di quest’immagine è costretto a scomporla nei suoi particolari, inventandosi ingegnosissime sottigliezze pur di arrivare a dire: la mia tesi è valida quanto la vostra, è solo questione di “modi di vederla”…
No, il modo è solo uno, io non ho bisogno di ricorrere a nessun cavillo: quell’immagine è sadica e basta, e mi rifiuto di spiegarti il perchè, se non c’arrivi (ma non ci credo) affari tuoi.
Però, Nautilus, su… Propongo: meno parole e frasi in maiuscolo, meno personalizzazioni.
non so se sono fuori tema, mi sono un po’ perso nei battibecchi precedenti.
tuttavia, mi pare di poter dire che:
a) la copertina è piuttosto infelice. Cioè, è innocua, in sé, sembra la locandina di uno spettacolino a base di bulli e pupe. Poi uno legge il titolo e ci resta secco (sempre che non sia uno sprovveduto totale, e sopra ne ho letti parecchi che sfiorano la comicità). Credo che l’impressione sgradevole, piuttosto innegabile, nel rapporto tra immagine e tema, sia dovuta al fatto che chi ha prodotto l’immagine non ci ha pensato abbastanza bene, ha usato codici e schemi decisamente inadatti, oppure si tratta semplicemente di un brutto risultato come a volte può accadere a chiunque. Parlare di apologia della violenza o di alimentare una cultura della violenza mi pare però fuori luogo. A chiunque può capitare di prendere un inciampo, e sulla buona fede dei disegnatori credo si sia chiarito a lungo nel dibattito. Gli è venuta male, tutto qui. Forse semplicemente non è nelle sue corde (per fare un esempio sdrammatizzante: è come quando un attore comico abituato alla commedia un po’ scollacciata – magari non un grande attore, diciamo un cabarettista con un po’ di fortuna – prova a fare un film drammatico, serio. Il più delle volte è imbarazzante, quasi ci si vergogna per lui).
Ma apologia, no, dai: la vera apologia ha bisogno dell’assenza di codici espressivi che qui pur maldestramente è invece ben presente,. Apologia è un messaggio esplicito che non ammette distanza tra artefice e opera. Se un’opera invece esprime quasi il contrario delle tue intenzioni, non è apologia, è maldestria. E poi il risultato del lavoro del disegnatore è troppo debole sia in una direzione che nell’altra, manca originalità e forza espressiva, è nel complesso una roba molto datata e loffia: questa cosa non fa paura né stimola proprio nessuno, suvvia.
b) il rapporto tra autore, opera, ideologia dei personaggi, ideologia del’autore ecc ecc è complesso e stratificato (e rinuncio a parlarne ora, anche se è tema molto più interessante di tutto il resto), non si può farlo a fette per motivi di convenienza, e pretendere di sottoporre a giudizio morale l’opera (che sia un poema o un fumetto) è quanto di più scivoloso si possa fare. Tanto più che l’ulteriore rapporto tra testo e fruizione è ancora più complicato, di certo non funziona come un pavloviano stimolo e risposta. Si può dire – quando se ne abbia la competenza e la capacità – che un’opera è malfatta, incongrua, ingenua; dire che è immorale o criminale è attività che lascerei ai fessi e ai censori.
@WM1 – il fatto è che, proprio a colpo d’occhio, l’immagine non mi è parsa avere la valenza di significato che gli hai visto. Come ti dicevo prima, scomporla è servito a spiegare perché ho avuto tutt’altra sensazione e in questo è la sua utilità. Insomma, avere delle basi su cui imbastire un dialogo, non per spostare l’asse di un discorso. Se ti dicessi che un tuo libro non mi è piaciuto, tu forse mi chiederesti perché. E io ti direi “per questo, quello, quell’altro motivo”. Questa è la “scomposizione” che hanno fatto alcuni, sicuramente quella che ho fatto io. Trovare elementi per non cadere nel “la penso così e bona”. E’ diverso, rispetto allo spostare da un piano di lettura a un altro. Qui, però, perdonami, ho la vaga idea che ci stiamo perdendo nelle pippe mentali.
@Paola. Ti sei spiegata, ho capito un po’ di più e ci rifletto, davvero. Grazie per aver messo un po’ più a fuoco il discorso.
@Nautilus… sì, è un’immagine sadica. Ma un’immagine sadica in quel contesto ha un suo perché e per me può anche essere di denuncia. Sono sicuro che quando prenderai un bel respiro, una succosa camomilla e farai riparare il tasto caps lock della tua tastiera, sarai anche in grado di discuterne.
Wu, forse non si capisce cos’è che mi dà tanto noia: ci viene proposta dalla Lipperini una copertina repellente (visto il riferimento al Circeo), lo è in modo così lampante che mi pare non meriti nessuna particolare discussione, se non qualche commento più o meno indignato.
E invece s’innesca un vortice di centinaia di post con interventi lunghissimi, ponderosi e arzigogolati che mettono tutti in dubbio l’interpretazione più semplice: è una copertina con intenti scopertamente commerciali che se ne frega del rispetto per le vittime.
La mia foga nasce dal mio stupore: come si fa travisare una cosa così evidente? E qual’è il motivo?
Ho pensato al maschilismo, a fumettari fissati, all’amore per lo scontro dialettico fine a se stesso, ma niente, sono sempre più stupito e incredulo di quel che succede qui.
salve.
di fumetti ne mastico un po’.
di narrativa anche.
e conosco (un pochino) anche il mondo del fumetto italiano, inteso come community under-35, che vive su internet tra forum, blogghe, facebuch e altro.
la community fatta di autori, aspiranti autori, critici, aspiranti critici, e altro.
guai a toccare il giocattolo, se non si è conosciuti, o amico.
chi non è “dentro” al mondo del fumetto (o meglio, a questa nouvelle vague del mondo del fumetto italiano) non può permettersi di dire né Ah, né bah, perché
-non capisce niente di fumetto
-è bigotto
-è incapace di esprimersi in italiano
-fondamentalmente “non è dei nostri”.
oltretutto ci sono case editrici “sante a priori”, per cui osare toccare pinco o pallino, è delitto di lesa maestà.
non ti piace una cosa? ti suscita a pelle una sensazione, un sentimento, un’impressione che non ti piace?
devi tacere, perchè sei TU che non capisci.
e non capisci perché non sei “dei nostri”.
La lipparini ha osato dire “veramente a me questa cosa non piace”.
non poteva, perchè “che parli a fare dei fumetti se non sei fumettista?”
che tristezza….
Una volta, quando avevo sei anni, in un libro intitolato Vere storie della natura, vidi un disegno…Nel libro c’era scritto: “I boa ingoiano la loro preda tutta intera, senza masticarla”. Dopo qualche tentativo, con una matita colorata riuscii a tracciare il mio primo disegno. Il mio disegno numero 1. Mostrai il mio il mio capolavoro ai grandi e chiesi loro se il disegno li spaventasse. Ma mi risposero: “Spaventarsi? Perché mai ci si dovrebbe spaventare per un cappello? Il mio non era il disegno di un cappello. Era il disegno di un boa che digeriva un elefante. Ma poiché i grandi non erano in grado di capirlo, feci un altro disegno:il mio disegno numero 2
I grandi non capiscono mai niente da soli, e i bambini si stancano a spiegar loro le cose continuamente…E così decisi di non fare il pittore. Passarono gli anni…scelsi un altra professione…e imparai a pilotare gli aeroplani. Nella mia vita, ho vissuto a lungo in mezzo ai grandi. Quando ne incontravo uno che mi sembrava di mente aperta, tentavo l’esperimento di mostrargli il mio disegno numero 1. Così facendo cercavo di scoprire se fosse una persona davvero intelligente. Ma chiunque fosse, uomo o donna, diceva sempre: “E’ un cappello.”
Si vede che era un cappello.
E chiedo scusa, ma il piccolo principe non l’ho proprio mai digerito… :-/
Nemmeno alla Lipperini “Il piccolo principe” piace. Ma vi mettete d’accordo proprio su tutto? Siamo sicuri che non siate la stessa persona?
Quello che a me fa impazzire di rabbia è il moralismo che si è dimostrato. Viene fatta una copertina sadica e apologetica (non nelle intenzioni bla bla bla) “per denuncia”, quindi per porsi contro il sadismo e per condannare i criminali. Ma vi rendete conto dell’ipocrisia (involontaria bla bla bla)?! Potrei andare avanti dieci ore a parlarne e ce ne sarebbe sempre di più. Intanto:denuncia di cosa? Quancuno è dalla parte sbagliata e va convinto del contrario? Non credo. Dobbiamo trasmettere il messaggio che i criminali pazzi come questi fanno schifo? Sono gli unici nella copertina ad avere un’identità, è una mitizzazione inevitabile (per quanto del male). Vogliamo far passare l’unico messaggio che meriti, cioè la forza di Donatella Colasanti? E la rappresentiamo senza volto, nuda, sexy, con corpo e capelli diversi dai quelli che aveva, minuscola? Lasciamo perdere… L’intento è capire il male per riconoscerlo? Forse, partire da una storia vera non è il modo migliore per farlo. Chi sente questa storia non riuscirà mai a immedesimarsi nei colpevoli, chi non la sente… lasciamo perdere.
ERRATA CORRIGE: “qualcuno”
Ma sì Donata, pensa che ci sono voluti 200 post e non so quanti giorni per ammettere che sì, l’immagine è effettivamente sadica, cosa che chiunque non sia il piccolo principe avrebbe visto in un decimo di secondo.
Immagino ci vorranno altri 400 post per convincersi che forse denunciare il sadismo (intento meritorio) utilizzando un immagine che coinvolge persone reali con nome, cognome e sofferenze vere è una grave mancanza di rispetto, per stare bassi.
Linko qui un intervento di Michele Medda, sceneggiatore di fumetti per Bonelli editore.
http://xoomer.alice.it/michele_medda/nell.html
Molto bello l’intervento di Medda.
Medda: “In un crescendo delirante…ci si arrampica sugli specchi per dimostrare la validità artistica della copertina”
“Perché qui c’è un discrimine che molti, a quanto pare, non vogliono vedere. In quel volume non si tratta di una storia di finzione, ma di cronaca.”
Oh, lo vedi che non siamo soli io e la Cucchi a essere pieni di rabbia non tanto e non particolarmente con la copertina quanto con i “fumettofili che la difendono.
Ma come! Ma che dite? Nella copertina ci sono il bianco, il rosso e il nero, che simboleggiano l’arbitrio e la crudeltà delle dittature!
Ma perché, scusa, io non li ho criticati duramente i fumettofili arrampicaspecchi? M’han detto che gli faccio più paura degli stupratori! E’ che te ti sei messo a urlare in maiuscolo, e hai puntato l’interlocutore come un toro nero (= colore dell’arbitrio delle dittature) verso il drappo rosso (= colore dell’arbitrio delle dittature) 😀
E dopo 200 commenti direi che un-sorriso-uno ci poteva stare. Altrimenti c’è da mettersi a piangere.
Mi sono fatto un giro sul blog dove si aveva paura della Lipperini.
Ci terrei a sottolineare l’impressione che hanno avuto in diversi rispetto a tanti discorsi di questo tipo: “Qui siamo fumettisti, e gli altri non capiscono, etc…”.
Un atteggiamento mentale pericoloso, oltre che profondamente antipatico.
E’ anche uno dei motivi per cui buona parte del fumetto italiano resta così di nicchia?
Potrebbe essere.
Mi ricorda i discorsi di molti autori della videoarte: geni, plurilaureati, che se ne fregano del senso comune e del pubblico, anarchici e controcorrente, poi si fanno pagare salatamente…
Con il risultato che se non frequenti l’Università non li conoscerai mai.
Andiamoci piano con il “critica chi se lo può permettere”.
Speravo che il mondo del fumetto italiano fosse esente da certi ombelicocentrismi, ma è evidente che questo paese a certe persone stimola istinti deteriori…
– – –
x WM1: alla fine un difettuccio l’ho trovato pure a te!
Buffo, il piccolo principe si sarebbe accorto che l’immagine è sadica, lui vedeva il serpente che inghiotte l’elefante e non il cappello.
Ma il serpente mica inghiotte per sadismo. E il cappello serve a coprire.
Mi riferivo ancora una volta alla copertina in realtà. Era un’associazione di idee pure e semplici, perchè a leggere i vari interventi emergono due visioni quasi antitetiche. Ma lasciamo stare, che altrimenti si divaga troppo. Cito da altra fonte, riferita alle violenze dei nostri giorni (purtroppo a loro modo simili a quella di tanti anni fa): “è anche purtroppo un problema di genere. Forse gli uomini non vengono stuprati abbastanza (e non lo dico augurandomelo, per carità) o non sono dei mostri di empatia, ma a volte hai la sensazione che proprio non si rendano conto veramente, fino in fondo, di ciò che quella violenza rappresenta per una donna, soprattutto se si parla di uno stupro di gruppo. Quattro, cinque o più sconosciuti che compiono su di te l’atto più intimo possibile, anche se è l’ultima cosa che vorresti fare in quel momento o hai le tue cose o stai male o sei troppo piccola e non capisci nemmeno cosa ti sta succedendo. Ti portano via l’anima ridendo, lasciandoti ferite nella mente che non guariranno mai più mentre loro diranno: “che ho fatto, dopo tutto?” Io credo che lo stupro di gruppo sia un modo per esorcizzare sulle donne per vendetta l’angoscia più grande del maschio, l’impotenza. Far provare ad un altro essere cosa significa non riuscire a muoversi, a difendersi, ad evitare che ti venga fatto del male è un atto simbolico che viene dagli abissi più cupi dell’inconscio e che nasce dalla paura. Non so spiegarmi altrimenti come gli uomini abbiano un atteggiamento fin troppo tollerante nei confronti del fenomeno”…forse proprio in questa mancanza di empatia mi spiego tutte le spiegazioni arzigogolate dei vari commenti per difendere l’immagine in questione. Se tante donne la patiscono, un motivo c’è.
Sono d’accordo con bianconiglio.
Sono intervenuta su questo blog, che leggo sempre ma a cui non partecipo mai, proprio perchè come donna non ho potuto stare zitta.
Per me il tema era quello dello stupro, anche se guardato dall’angolazione della sua rappresentazione.
Molto opportunamente Loredana, per spostare il discorso più avanti, ha proposto altri due topic ‘la rappresentazione della violenza’ e ‘l’empatia’.
Il fatto però che ci siano ‘piccoli principi’ intuitivi e ‘adulti’ analitici (troppo, fino all’esasperazione) non mi convince tanto, mi fa pensare che un discorso, se ha bisogno, di tanti commenti, distinguo, glosse e interpretazioni è un discorso che non funziona.
E non funziona, per gli stessi motivi, anche la copertina incriminata.
Sono entrata nel sito della casa editrice (di cui ho apprezzato molto e l’ambizione di raccontare in immagini alcuni fatti tragici della storia italiana, cosa che in un primo momento non avevo capito), ho cercato di leggere il più possibile interventi anche molto dotti, sono tornata alla copertina e la mia reazione è stata ancora una volta di ripugnanza.
Direi anzi di una ripugnanza consapevole (mentre la prima era stata una reazione immediata).
E sono anche convinta che non si tratta qui di stare a segnare i punti, chi ha torto e chi ha ragione, ma di ragionare sui modelli culturali introiettati, e farlo con empatia e responsabilità. Come ha proposto Loredana.
Una sola cosa per finire: è mia convinzione profonda che ognuno che parli si debba assumere pienamente la responsabilità delle sue parole. Forse gli intellettuali se la debbono assumere un po’ di più. Forse.
Da parte mia però non mi sento di delegare solo a loro questo compito e neppure di farmi spiegare per filo e per segno da chi mi sta comunicando qualcosa come devo interpretare quello che mi sta comunicando .
Perchè il disagio come donna e come persona che ho provato qui è stato anche quello di sentirmi, sotto tutela e che tutto, alla fin fine , si riducesse a una questione tra intellettuali uomini (quelli sensibili e quelli no).
E anche questa reazione probabilmente è una questione di modelli introiettati.
Ah ah Wu, nessuno ti toglie il merito d’esserti battuto più che valorosamente sul campo dell’onore! Come anche altri/e. E le nostre idee su questo caso praticamente coincidono. (E anche sul PP..)
E’ che solo Donata e io siamo “impazziti di rabbia” come dice lei. Mi dai pure del toro infuriato, vedi che ho ragione? 🙂
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Bianconiglio (giustissimo il tuo intervento), scusa ma il PP era l’unico a vedere il serpente, io sostengo che chiunque doveva esser capace di vedere il sadismo della copertina, se scevro da pregiudizi.
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Valeria:”Perchè il disagio come donna e come persona che ho provato qui è stato anche quello di sentirmi, sotto tutela e che tutto, alla fin fine , si riducesse a una questione tra intellettuali uomini (quelli sensibili e quelli no).”
Infatti, e specialmente quando la discussione intellettuale è diventata accademia, mentre tutta la faccenda a ben guardare era piuttosto terra terra. E’ anche questo che a me ha fatto veder rosso.
@Roberto Recchioni: detto da una donna, quindi incassa e porta a casa: vaffanculo.
Per me: Nautilus for president. 700 post per dire che quel disegno è una merda. E si scomoda la semiotica. Mi viene il vomito.
“@Roberto Recchioni: detto da una donna, quindi incassa e porta a casa: vaffanculo.”
Ooohh, now you’re talkin’, sis.
…ché se glielo dicevo io, pareva ‘na cosa tra maschi.
E per quello glielo dico. Mi sarebbe piaciuto vedere tutte le donne presenti mandare affanculo quello lì. E colgo l’occasione per dire un’altra cosa che farà male, soprattutto alle donne. Se esiste ancora una forma di sottovalutazione dei soprusi quotidiani, anche quelli minimi, dalla battuta, alla toccata di culo al mobbing sul lavoro all’estetizzazione dello stupro è proprio perché le donne non reagiscono in maniera forte, è perché le donne giustificano sempre, a partire dalle cazzate che ho visto scrivere qui sopra, per finire con la violenza domestica. Non voglio che questo discorso venga presto per giustizialismo, perché non lo è. E’ che le donne dovrebbero davvero svincolarsi dalla dipendenza e per farlo non è necessario diventare aggressive, basterebbe avere il coraggio di osservare e reagire, perché è sulla presunzione di dipendenza che si fonda la convinzione che in fondo (e ripeto l’orrido “in fondo”) le donne la battuta idiota del presidente del consiglio, la sottovalutazione sul luogo di lavoro, e infine l’estetizzazione del reato, se la meritano.
Intervengo a polemica già in corso. Per di più, senza aver letto tutti i commenti precedenti: di questo mi scuso, ma (preciso) è dovuto solo alla scarsità di tempo, non certo a voglia di banalizzare o generalizzare.
Il fumetto del Beccogiallo sul Circeo l’ho letto e m’è piaciuto. Ma qui, vedo, la discussione verte (legittimamente) sulla copertina.
Dunque dico la mia sulla cover.
Io non ci ho visto apologia o una sorta di “cedimento culturale” verso lo stupro. Non ho neppure visto, però, la violenza “vista dalla parte delle vittime”.
Ci ho visto un’altra cosa: la violenza dal punto di vista dei violentatori. Che si sentono forti, belli, affascinanti. E questo non so che effetto dovesse trasmettere al lettore; so quale effetto ha trasmesso a me: uno straniamento angosciante; il senso di un’estraneità “sperata” o voluta, che cede il passo ad un’appartenenza (quella maschile) che inquieta e fa vergognare proprio nella misura in cui vuole trasmettere “potenza” (nel senso di poter disporre in assoluto dell’altrui destino).
Non credo, quindi, che la cover sia la “spia grafica” (e conseguentemente culturale) di una subcultura maschilista: credo sia un atto di denuncia di quella subcultura. Se riuscita o meno, non sta a me dirlo, avendo poca dimestichezza della “dimensione grafica” del “prodotto-fumetto”.
Ho ripreso in mano il libro di Klaus Theweleit ‘Fantasie virili. Donne flussi corpi storia. La paura dell’eros nell’immaginario fascista’ .
Cito solo la frase messa in esergo:
“Speriamo che un giorno il potere dia sui nervi a tutti gli uomini” (Vlado Kristi).
Con questo augurio chiudo.
Valeria, se hai letto Theweleit, consiglio vivamente il saggio Le sec et l’humide di Jonathan Littell (l’autore di Le benevole). L’ho letto l’anno scorso, mi è molto piaciuto e c’è la postfazione di Theweleit.
Grazie, Wu Ming 1, faccio fatica a leggere certi libri, ma cocciutamente li leggo. A presto.